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Full text of "Archivio per lo studio delle tradizioni popolari"

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ARCHIVIO 

-0 — — — 


PER LO STUDIO 


PÈ LLE 

TR AQIZIO NI PO PO I A R I 

RIVISTA TRIMESTRALE 


DIRITTA DA : ; -V- 

G. PITRÈ S. SALOMONE; MARINO 




PALERMO 

LIBRERIA INTERNAZIONALE 

CARLO CLAUSEN 

(GIÀ L. PEDONE LAURIEL) 

1891 


Pubblicato il 5 Giugno 1891. 





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SOMMARIO DEL PRESENTE FASCICOLO. 


Buon capo d'anno! Uso contadinesco siciliano (S. Salomoxe-Makino). 

Capo d'anno ed Epifania in Piemonte (Filippo Seves). 

Goethe e il poeta italiano Domenico Batacchi (Reixhold Kohler). 

Sena vetus : Superstizioni, Canti, Indovinelli e Giuochi : Medicina po- 
polare. — Superstizioni delle ragazze. — Varie superstizioni (G. B. 
Corsi). 

La filata, o la coltivazione del canape nel Bellunese. III. Del tessere 
(Angela Nardo-Cibelk). 

La leggenda dello sciocco nelle novelline calabre (F. Mango). 

Novelline popolari toscane: I.u nocella di Ohimè. — Le Fate (G. Pitrè). 

Spigolature di Usi, Credenze, Leggende : VII. La giostra dei tori e un 
mago di Fano. — Vili. La tana del re Tiberio. Leggenda romagnola, 
IX. Usi novaresi del secolo XVI (Alb. Em. Lumbroso). 

L'erba prodigiosa di San Giovanni (Rodolfo Gemer). 

Fiabe popolari dalmate: Avvertenza. — I. El re Porco. — li. El Beeher. 
— 111. I cazza-dori. — IV. La rana (Riccardo Forster). 

Folk-Lore dell'Agricoltura : Xotizie dei comuni di Offida e Rotella e 
dintorni (Ascoli- Piceno). — Xotizie dell'Alta Maurienne (Savoie) (Mi- 
chele Angelini). Noti zie del Polesine 'Maria Ferrante Mazzucciu). 

Contes de Mari&^irieaueillis en Haute Bretagne : VII. Le Mousse jetc 
à la mer. matelot qui épousa la fille da roi d } Angleter re. 

— IX. Tribohl Amures. — X. Gaiette de Biscuit et Qudrt de Vi n . — 
XI. Le Guitan et le Maquerean.—X II. Pourquoi on emploie le ci meni 
pour tester Ics bateaus (Paul Sébillot). 

Due racconti siciliani : I. Li tri duonni, chi mali cci abbinai. — II. Chiddu 
di hi greca minchioni. (Emanuele Armafoute). 

Tradi^òes portuguezas : Concedo popular da Sereia (A. Thomaz Pires). 

Miscellanea : ’U ciuccili e y u porca , Favola calabrese (Luigi De Pasquale). 
Il modo popolare di dire : u Un nuovo nato — La Processione del 
Venerdì Santo in Metcovich nella Dalmazia. — Canzonetta fanciul- 
lesca nel Trentino. — Pregiudizi savoiardi nell' XI secolo. — Il nome 
popolare di un carnefice mila Riviera francese. — Gridata dei rem 
ditori di pomi in Normandia. — I u Goéland „ in Brettagna. — Ap- 
punti sulla idrofobia nel Belgio (Alb. E. Lumbroso). 

Rivista Bibliografica. — FERRAIO , Canti popolari in dialetto logudorese 
(F. Mango).— BLF.mont, Edhétique de la Iradition (M La Via-Bonelli). 
— LEDIEU ,, />* vilains dans les oeucres des trouvères (M. La Via-Bo- 
nelli). — Etudes romanes dédiées à M. Gaston Paris (M. La Via-Bo- 
nflli). — riNFAU . Les contes popìdaires da Poitou (G. Pitrè). — HOCK. 
Moeurs et eoutumes bourgeoises (M. La Via-Bonelli). — GOMl.% Botanica 
popular (G. Pitrè). — SIDNEY H ah tland, The science of Fairy Fales (M. 
Di Martino). — Hi DE , Beside thè Fire : A coìlection of I risii Gaelig 
Folk-Stories (M. Di Martino). — ORANE, The Esempla , or Illustrative 
stories from thè u Sermones vulgares „ of Jaques de Vitry (M. Di Mar- 
tino). — GOMME, The llandbook of Folklore (G. P^trè). 

Bullettino bibliografico (Vi si parla di recenti pubblicazioni di Mango, 
Amalfi. Zanazzo e Sabatini, Menghini, Bacci. Savi Lopez, G. Giannini, 
Seves, Minelli, Bozza, Sébillot, de Puymaigre. A. Millicn, G. Mover). 

Recenti pubblicazioni. 

Sommario dei Giornali (G. Pitrè). 

Notizie varie (G. P.). 


ARCHIVIO 

PER LO STUDIO 

DELLE 

TRADIZIONI POPOLARI 

RIVISTA TRIMESTRALE 

DIRETTA DA 

G. PURÈ H S. SALOMONE-MARINO 


Volume Decimo 


PALERMO 

LIBRERIA INTERNAZIONALE 

CARLO CLAUSEN 

(GiX L. PEDONE LAURIEL) 

1891 


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Proprietà letteraria , 


Tipografia del Giornals di Sicilia 


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KO'òh-L. ' 



# BUON CAPO D’ANNO ! 

USO CONTADINESCO SICILIANO. 


uon Capo d’anno ! 

È il saluto che tutti si scambiano il i° di gennajo- 
nelle alte, nelle medie e nelle infime classi sociali, nelle 
città come ne' comunelli rurali dell’ interno dell’ Isola. Secondo 
le persone e i luoghi e l’ambiente in cui si vive, I’augurioso sa- 
luto è or aperto e sincero, che erompe dal cuore, ora freddo e 
artificioso, inteso, co’ varj atteggiamenti di forzato sorriso, a ve- 
lare una invidiuzza, un dispetto, un odio feroce anche. 

Al contadino, però, è ignota la simulazione e la doppiezza 
a questo riguardo. Egli vi porge il Huon Capo d'anno con franca 
espansione sempre , e con quell’ aria d’ ingenua bonomia che vi 
commove. Egli, se per una ragione qualsiasi ha da dolersi di voi 
e non vi vuol bene , il primo giorno dell' anno nuovo cerca in 
tutt’ i modi di sfuggirvi, di non. incontrarvi affatto ; e se pur vi 
incontra a caso o è costretto a venirvi in presenza,, o trova un 
pretesto per voltarsi di là e fingere che non vi ha visto, o vi dà 
il suo saluto con. una sberrettata, ma tace; perocché, su le labbra 



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4 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

non gli viene la santa parola dell’augurio, che non sente di dover 
fare e che reputerebbe delitto di fare con simulazione e men- 
dacio. 

Buon Capo d'anno! dunque. E notate bene, come il nostro 
contadino, conservando la formola già adoperata dai Quiriti suoi 
antecessori : Annum novum faustum felicem , vi formuli sempre con 
* parole l’augurio suo; più ragionevole e più sincero 
e piu vero ui quelli altri augurj che noi cittadini ci regaliamo tutti 
gli anni con iperbolica leggerezza: « Cent’anni di felicità! — Mille 
di questi giorni ! — Un milione di giorni felici ! — Vi auguro gli 
anni di Matusalemme!» — ecc. ecc. 

Conformemente all’antico uso de’ primitivi Romani, il primo 
giorno dell’anno è un giorno festivo e sacro, un giorno che dà 
norma agli altri trecento sessantaquattro. Ciò che in esso si fa, si 
farà per tutta l’annata; ciò che in esso ci accade, ci accadrà ugual- 
mente fino a che l’annata non abbia attinto il suo fine. Da questa 
inveterata ed universale credenza muove la costante cura in cia- 
scuno di iniziarlo auguriosamente , di evitare perciò tutt’ i brutti 
incontri, tutti i dispiaceri, tutto quanto insomma ci può recar 
amarezza, e di cercare studiosamente che ogni cosa intorno ci 
sorrida, ci rechi gioja e consolazione all’anima, salute e prospe- 
rità al corpo. In appoggio di tale credenza, il contadino vi scio- 
rina alcuni proverbj, che fanno parte del suo Codice di sapienza 
tradizionale, immutabile ed infallibile, che sono i seguenti: 

Zoccu si fa lu Capu di l’annu, 

Si fa tuttu l’annu. 

Cu’ è malatu lu Capu di Panno, 

È malatu tuttu Pannu. 

Capu di Pannu pènzacci eh* ha’ fari, 

Si annata bona ti vói passari. 

Capu di l’annu saluti e dinari! 

Pènzacci beni lu chiddu eh* ha* fari. 

Salute e denari : ecco quello che veramente e specialmente 
il contadino desidera e si augura per il Capo d'anno, e per con- 


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BUON CAPO D'ANNO 


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seguenza per l'anno intero. Nella salute e nei danari , ritratti da 
onesto lavoro, il contadino compendia tutte le aspirazioni di fe- 
licità, e con la salute e i danari crede e sente di poter sopperire 
a quanto occorre perchè la vita sua trascorra tranquilla e lieta c 
soddisfatta in tutto. Il concetto medesimo informa, del resto, la 
totalità quasi degli atti suoi, e lo trovo ugualmente espresso nella 
seguente canzona, solita a cantarsi durante l’allegro lavoro della 
vendemmia, lavoro che in essa canzona viene glorificato come 
sorgente di copioso guadagno : 

Allegamenti si fa la vinnigna ! 
l’omu travagghia allegru e nun si lagna ; 
forza e saluti nni teni a la vigna, 
cui cchiù travagghia, cchiù assai guadagna. 

L’omu travagghiaturi nun si ’ntigna l , 
campa letu e cuntenti cu la magna 2 ; 
cui cerca, trova; cui voli si ’nsigna; 
cui sapi travagghiari, assai guadagna. 

Or, poiché, in conformità alia tradizione ed agli insegnamenti 
dei proverbj, dal primo giorno piglia norma ogni altro dell’anno, 
il contadino fa di tutto perchè questo primo giorno ei passi al- 
legramente in compagnia de* suoi cari , per i quali e co’ quali 
apparecchia un desinare che si sforza di rendere ricco e piace- 
vole, per quanto gli è possibile, di tutto il ben di Dio. Nel qual 
desinare però , posson mancare , e mancano in fatti (com’ è na- 
turale) molte e molte cose ; ma non vi mancheranno mai le lar- 
ghissime lasagne speciali condite con ricotta, che per tutta l’Isola 
portano uniformemente un nome poco pulito* in vero; il quale 
non toglie, però, ch’esse siano appetite e mangiate avidamente da 
tutti, anche nelle città, e anche chiamandole con esso nome ap- 
punto. E aggiungo di più : le lasagne del Capo d' amino non 
debbono essere manipolate nelle singole case dei contadini, come 


1 * Niigfidrisi , vale coprirsi di debiti. 

* Cu la magna , con agiatezza. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


nel resto dell’annata suole praticarsi, ma comprate sempre dal pa- 
stajo , che appositamente le lavora per quel di {lasagni d'arbitriu ); 
ed è perciò che in tutte le pasterie si vedono , il dì primo del- 
l’anno, messe in bella mostra in gran copia, e sole, queste larghis- 
sime lasagne dal bordo ondulato ; le quali poi vanno cotte cosi 
lunghe come sono , evitandosi con la massima attenzione che si 
spezzino. La ricotta viene aggiunta ne’ piatti, e con essa il for- 
maggio e L’ indispensabile sugo dello stufato. 

A tutte queste minuzie, che sono di rito, si bada con ogni 

cura, se no non saranno le vere lasagne c del Capo d’anno. 

E queste vogliono essere, e non altra pasta di qualsiasi altra forma, 
se no, a chi mangia di questa, il proverbio pronostica scombus- 
solio e guai per tutto l’anno : 

Cui mancia a Capu d’annu maccarruni, 

Tuttu l’annu a ruzzuluni; 

mentre, per contrario, le lasagne c inaffiate (com’ è giusto) 

da boccali di ottimo vino, fanno buon sangue, non per un giorno 
soltanto, ma per l’anno intero, giusta un altro proverbio : 

Lasagni c e vinu a cannata 

Bon sangu fannu pri tutta l’annata. 

U flagello delle mance, con cui nelle città vi percuotono 
inesorabilmente a Capo d’ anno e portinaj e servitori e barbieri 
e portalettere e fattorini e tutta la caterva di gente ai quali avete 
dato lavoro nell’anno ch’è terminato o pe' quali non vi son ve- 
nute spesso che seccature e dispiacenze, questo flagello, dico, vi 
è risparmiato dai buoni contadini che con voi hanno relazione, 
che lavorano la vostra terra, che vi han reso c rendono dei veri 
servigi. Il contadino accampa qualche diritto , se cosi vogliam 
dire, a qualche piccolo dono (in comestibili specialmente) nelle 
solennità del Carnevale, della Pasqua, del Natale; ma non pre-* 
tende nulla, non chiede nulla pel Capo d’anno, giorno nel quale 
non vuole affatto far la figura di pitocco, chiedendo. Se gli re- 
galerete spontaneo alcun che, lo accoglie esso con vera conten- 
tezza, come pronostico felice per Tanno che si inizia, come ottimo 


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BUON CAPO D’ANNO 7 

cominciamento di prosperità che avrà in esso, e però ne ringra- 
zia lietissimamente Dio : 

Lu Capu dannu si ti porta e duna, 

Vasa la terra, ca l’annata è bona; 

ma quanto al chiedervi cosa, proprio in questo sacro giorno, egli 
non se ne persuaderà mai, nè mai vi si adatterà. Un solo pro- 
verbio mostrerebbe che egli chiede, .una cosa soltanto : 

Bon capu d’annu! Bon capu di misi! 

Li cucciddata unni su’ misi? 

Ma questi cucciddaia (o nueàtuli, o musiamoli, secondo la va 
riante della città) sono i dolci speciali del Natale, che il conta- 
dino si aspetta e pretende dal suo padrone; e se questi ha dimen- 
ticato a darglieli o ha indugiato, egli allora li chiede pigliandone 
occasione dal Buon capo d* annoi che va ad augurargli; ma non 
li chiede già come strenna deiranno novo, bensì come un debito 
del Natale non soddisfattogli ancora, intendendo con essi ornare 
e arricchire la domestica mensa, apparecchiata per il solenne primo 
giorno dell’anno. 

Il desinare de’ contadini è, nel Capo d’anno, come sempre, 
la sera. Mangiate gustosamente le lasagne c e il resto, la fa- 

migliola rimane tutta in casa, a novellare, a scherzare, a motteg- 
giare, a fare qualcuno de’ prediletti giochi popolareschi. 

Un’altra usanza mi resta a menzionare, propria a questo giorno, 
ed essa appartiene alla massaja ed alle figliole del contadino. Se 
un lavoro casalingo (si intende un piccolo lavoro) si è intrapreso 
o si trova già in corso il 3 1 decembre, e’ bisogna ad ogni costo 
che sia terminato innanzi che Panno termini; l’ora prima deiranno 
novo non deve trovare incompleto quel lavoro, perocché se ciò 
accadesse, il lavoro rimarrebbe incompleto tutto l’anno, per quanti 
sforzi di volontà e di opera si abbiano a fare per condurlo a fine. 
C’è tuttavia un mezzo di scongiurare questa singolare fatalità. Se 
la massaja, o la giovinetta che sia, s’è affannata tutto il santo di 
per completare il lavoro suo , ed intanto la mezzanotte scocca 
mentre non rimarrebbero al compimento che insignificanti o ac- 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


cessorj residui, allora ella, prima che i rintocchi dell’orologio sien 
cessati, dee, ginocchioni e con le mani levate, recitare fervo- 
rosamente cinque Credo , cinque Salve %egina 9 cinque Paternostri , 
ciuque Avemmarie , cinque Gloria Patri , e per ultimo questa tra- 
dizionale Orazione: 

’U Patri, ’u Figghiu, lu Spiritu Santo, 
eterna Trinitati di cumannu, 
chistu travagghiu Thè stinta tu tantul 
ora ’na sula grazia 'ddimannu : 

Vui lu toccati e lu faciti santo, 
binidittu m’arresta luttu l’annu ; 

e binidittu e binidittu sia, 
biniditta la Virgini Maria ! 

Si capisce bene che, recitate in furia, le preci sono espletate 
quasi sempre prima degli ultimi tocchi della mezzanotte; e allora 
la massaja va a dormire, lieta di avere scongiurata una fatalità, 
che F avrebbe preoccupata ed attristata assai. 

Palermo , 3 1 ‘Dicembre 1890. 

S. Salomone-Marino. 



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CAPO D’ANNO ED EPIFANIA. 

IN PIEMONTE. 


la smania del nuovo, l’orrore, la repugnanza del vec- 
chio, è l’umanità che è diventata più seria, la civiltà 
che vuol rimondarsi, che vuole seppellire certe abitu- 
dini mantenutesi fino a ieri ? Queste io credo ed altre ragioni 
equilibrantesi insieme hanno contribuito e contribuiscono a fare 
scomparire usi, costumi e tradizioni che furono il patrimonio di 
molte generazioni. E fra pochi anni molte costumanze saranno 
appena ricordate , nè di molte altre si farà più parola : affrettia- 
moci pertanto a raccoglierle prima che il tempo che porta con 
sè ogni umano accidente, non le abbia divelte con la sua falce. 

Queste idee mulinavano nella mia mente il primo giorno 
di quest’ anno allorquando vedeva aggirarsi per le vie di Pine- 
rolo una turba di ragazzi miseramente vestiti, entrare nelle bot- 
teghe, nelle case , affrontare i passanti e domandar loro: a lalu 
fittila e prinssipialu bin ? 

A una tale domanda invariabile , essi aspettano la mancia 
o strenna e non v’ è alcuno che in quel giorno si rifiuti di re- 
galar loro un soldo o qualche cosa pertinente alla bottega in cui 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 2 




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10 ARCHIVIO PER' LE TRADIZIONI POPOLARI 

entrano. E mentre i poverelli vanno e vengono fermandosi a 
gruppi dove ognuno magnifica i denari raccolti, altri più agiati, 
alzatisi di buon’ora per correre ad abbracciare i genitori da cui 
si ripromettono qualche regaluccio, corrono lindi lindi dai loro 
parenti, dal padrino e dalla madrina a fare gli auguri, recando 
una bottiglia di liquore o il caffè se sono vicini di casa. 

Taccio delle parsone adulte che in generale non aspettano 

11 primo giorno dell'anno per Scambiarsi gli auguri, ma lo fanno 
durante la settimana che precede questo giorno, ripetendosi do- 
vunque insistenti monotoni e tutti assomigliantisi. Molti a capo 
d’anno traggono pronostici per il loro avvenire c le ragazze in 
particolare nulla tralasciano per tentare la sorte. Ogni movimento 
ogni atto in questo giorno è ponderato e discusso; infatti è co- 
mune credenza che chi è allegro a capo d’atino tale si conservi 
per trecento sessantacinque giorni e chi prova un dispiacere si 
mantenga di cattivo umore per tutto P anno. Le ragazze vanno 
caute nell’intraprendere un lavoro perchè temono che non riesca 
o che debba essere la loro occupazione giornaliera durante tutta 
Pannata. Ognuno badi a chi incontri nell’uscire di casa e ripeta 
l’osservazione per tre mattine consecutive : se il primo veduto è 
un gobbo, uno zoppo, un amico, un soldato, sono uomini in ge- 
nere, devesi ritenere come indizio di fortuna; se invece è un ne- 
mico, una donna, un prete, un beccamorto, significa augurio 
cattivo; quando poi sia uno storpio, gli affari riescono addirittura 
rovinosi o per lo meno incerti. 

Vedendo contemporaneamente un gobbo , un pinete ed un 
cavallo bianco , vuol dire che si dovrà provare un piacere , ma 
questo pronostico si trae in qualunque giorno dell’ anno ogni 
qualvolta cioè vien fatto di osservare un simile caso. 

V osservazione , come ho già notato , si deve ripetere tre 
mattine di seguito, diversamente il pronostico non è valido, ed 
inoltre perchè possa dirsi compiuto fa duopo che la persona 
veduta il primo giorno si riveda per due altre volte. Nel caso 
contrario, ed è il caso più frequente, si dà la preferenza alP os- 
servazione fatta a capo d’anno traendo da essa il pronostico. 


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capo d'annó ed epifania in Piemonte ii 

Le ragazze che sognano un marito quando veggono uno 
spazzacamino per la via , procurano di avvicinargli e gli do- 
mandano -che nome ha c saputolo pretendono che il loro futuro 
sposo debba chiamarsi con un tal nome. Esse però non si limi- 
tano a questo soltanto , ma spingono la curiosità tentando la 
sorte in altre maniere, come verrò dicendo fra poco nel parlare 
dell’Epifania. A Luserna S. Giovanni , tutti coloro che posseg- 
gono degli strumenti musicali, costumano di suonare per le vie per 
sgranellare qualche soldo e non poche volte si veggono indi- 
vidui mascherati entrare nelle case a domandare V elemosina , 
ma sovente son fatti fuggire con mezzi persuasivi perchè non 
conosciuti o perchè conosciuti troppo bene. 

Se noi vogliamo vedere alcune consuetudini caratteristiche 
e degne d’ essere ricordate , dobbiamo penetrare nella valle del 
Chisone, salire su a Fenestrelle e nei luoghi circostanti dove tratto 
tratto presso a boschi incantevoli, tra prati nei quali lussureggia 
una flora svariatissima, tra dirupi scoscesi, appaiono casupole am- 
monticchiate, piccoli paesi 1 e borghi dove vive una gente la- 
boriosa, lontana da ogni rumore mondano, meno dimentica delie 
sue vecchie costumanze, più gelosa delle sue tradizioni e ... su- 
perstizioni. Ma anche fra queste montagne il tempo lentamente 
compie il suo cammino, molte costumanze non si rinnovano piu 
e di esse va pur anco perdendosi la memoria. Un mio carissimo 
alunno, Luigi Richard, da me pregato, mi ha fornito alcune no- 
tizie intorno agli usi di quei luoghi, ed io mediante l'aiuto di 
lui, mi accingerò a descriverle. 

Il Natale è infecondo per i fanciulli di lassù, perchè il bam- 
bino non porta nulla sotto il loro capezzale : lassù i poveri fan- 
ciulli dormono senza sognare regali. Ma il primo giorno del- 
l’anno è festa solenne, all'egra per tutti e specialmente per Tin- 
fanzia. Capo d* anno non può essere paragonato che alla festa 


1 Noto tra questi : Roure, Usseaux, Mentoulles e Pragelato sparso in vatie 
frazioni , ai quali più propriamente si riferiscono le costumanze di cui si fa 
parola. 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


patronale; capo d’anno è forse il giorno più schiettamente allegro 
per la gioventù. Si fa molto bere di liquori dolci e forti secondo 
gli stomachi , ma i dolci sono riservati alle sole donne, e tutte 
le famiglie, tutte, intendiamoci , anche le più povere (che fareb- 
bero dei debiti pur di non venire meno alla costumanza) si prov- 
vedono anticipatamente di liquori per offrire a quelli che vanno 
ad augurar loro il buon anno. 

I figliocci non si alzano mai tanto per tempo come in questo 
giorno : due o tre ore prima dell’alba sono per la maggior parte 
in piedi e passano per le strade cantando e fischiando dalla gioia. 
Ognuno porta in tasca una bottiglia di liquore e si reca ad offrire 
il bicchierino al proprio padrino e alla madrina, avendo cura di 
trovarli ancora in letto per far vedere che per essi si è alzato 
presto. Eccolo arrivato, entra nella stalla ove d’inverno dormono 
quasi tutti, augura loro il buon anno ed offre il bicchierino. Il 
padrino e la madrina lo ricambiano di gentilezze , V invitano a 
colazione trattenendolo fino a mattino tardi e quindi lo conge- 
dano regalandogli alcuni soldi ed un grosso pane più bianco del 
solito, preparato apposta per lui. Non so quale significato abbia 
questo pane e neppure i contadini lo sanno , ma la costumanza 
è tanto antica e tradizionale, che se un ragazzo anche grandicello 
non lo ricevesse in questo giorno , si terrebbe offeso ed il suo 
padrino e la sua madrina potrebbero esser certi che un’altra volta 
il loro figlioccio non si alzerebbe tanto di buon mattino per an- 
dare ad augurar loro felice il nuovo anno. 

Se i figliocci non possono recarsi a trovare il padrino perchè 
lontano, gli scrivono una lettera sopra carta a fiori; ve ne sono 
perfino di quelli che pure avendoli vicini , scrivono ugualmente 
la lettera e poi la portano essi stessi. Perciò tutti gli anni il mae- 
stro e la maestra si affannano molto per tempo a dettare ai loro 
alunni una o più lettere e talvolta a farle imparare a memoria. 
Se cosi non facessero , non solo gli scolari che su questa ma- 
teria, principian presto a ragionare, ma perfino i padri li taccie- 
rebbero di poco zelo e di noncuranza. 

Anche i giovanotti e gli adulti non tralasciano di augurare 


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Goc e 


CAPO d’anno ED EPIFANIA IN PIEMONTE 


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il buon anno ai loro parenti, ed anzi parecchi anni or sono, 
quando non era proibito di portar armi , essi solevano , armati 
di pistole grossolane, andare sotto le finestre dei parenti .ed amici, 
dove sparavano alcuni colpi e po\ entravano nella casa; altri poi 
tiravano tre colpi di seguito e poi, se l’uscio di casa non veniva 
incontanente aperto, se n’andavano pei fatti loro. E i colpi misti 
a grida ed a fischi si succedevano con tal frequenza da formare 
un baccano indiavolato, tanto che lo stare più oltre* a letto per 
dormire era impossibile. Ora quest’usanza delle pistole , è andata 
in disuso e nessuno s’ arrischia più di ripeterla perchè le molte- 
plici multe inflitte dalle guardie, che in questo giorno vigilano 
attentamente, hanno assicurato la gente di montagna che la legge 
non ischerza. 

Un’usanza che i giovani hanno dimenticato ma che i vecchi 
rinnovano ancora con tenacia , è quella di baciarsi. Le donne 
sopratutto, se tra di loro non compiessero questa cerimonia, man- 
cherebbero ad un dovere e si farebbero chiamare superbe. La 
costumanza trae la sua origine dalla celebrazione dei matrimoni, 
nei quali le ragazze passando per le vie del paese collo sposo, 
debbono stringere la mano a tutti gli uomini che vedono , ed 
inoltrarsi nelle case per baciare le donne, piangendo come se 
dovessero partire per non ritornare più. Molti anni addietro nel 
primo giorno dell’anno si baciavano tutti, uomini, donne, ragazzi 
senza distinzione di sorta , ma adesso per ottenere un bacio da 
una fanciulla , bisogna farselo promettere anticipatamente e non 
pretenderlo in pubblico. Oramai gli uomini Luciano il bacio e 
si limitano ad una stretta di mano autenticata dall* offerta di un 
bicchierino di liquore. Ma i baci, le strette di mano, i bicchie- 
rini di liquore si danno sempre accompagnati con quest’augurio; 
espresso nel loro dialetto di francese storpiato: 

Bon giourn et bon an 

Per le premier giourn de l’an; 

la quale espressione è detta da tutti indistintamente, dal bambino 
che non sa ancor l’alfabeto, ma a cui la mamma la sera innanzi 
filando nella stalla, ha fatto imparare parola per parola affinchè 



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sapesse augurar felice Tanno ai suoi genitori, parenti e conoscenti, 
dal bambino ripeto, alTuouio adulto. 

Molti alle parole suddette ne aggiungono altre, tra le quali 
.sono comunissime ancora queste : Je vous la souhacle borine. 

Un’altra costumanza che dura pur ora ma che non si è ri- 
petuta quest* anno per il cattivo tempo e la pessima annata 'è 
questa : tutti, quale più quale meno, a capo d*anno sono prov- 
visti di doh:i, noci, nocciole, mele ed altre frutta; escono di casa 
con le tasche piene, perchè sanno che incontrando qualcuno, 
anche il più serio (perchè in questo giorno tutti sono allegri e 
sorridono), domanda loro « des noveaux », volendo con ciò in- 
tendere frutta o dolci ma più specialmente frutta e in particolar 
modo noci e nocciole; e taluni anzi le conservano in sacchetti 
per averne da regalare nel primo giorno dell* anno. Ma perchè 
dicono « des noveaux » sapendo di ricevere frutti che sono tut- 
t’ahro che uuovi ma deil’anno prima ? A parer mio l’espressione 
vuol indicare che si chiede un frutto che la stagione non pro- 
duce e che perciò è nuovo per il tempo in cui si distribuisce. 

Alla sera quando è finita la festa, di consueto, si raccolgono 
nelle stalle e qui ognuno ricorda i fatti accaduti durante la gior- 
nata, ognuno enumera la quantità dei bicchieri bevuti e ripete 
il nome delle persone colle quali è stato in compagnia e tutti cer- 
cano di ricordare la prima persona che hanno incontrato al mat- 
tino. È un uomo ? salta su a dire la vecchierella, ebbene durante 
Tanno avrete sicuro fortuna e secondo alcune, questa fortuna sarà 
tanto più grande quanto più sarà giovane la persona veduta. 
Avete visto una donna ? soprasterà immancabilmente una di- 
sgrazia. A proposito di fortuna e disgrazia , ricorderò che alla 
vigilia di capo d’anno nel solito ritrovo della stalla, i vecchi rac- 
comandano alle nepoti di star buone , di allontanare ogni pen- 
siero cattivo e di badar bene ciò che faranno il dimani, perchè 
come si comincia si finisce, e il lavoro del primo giorno è lavoro 
di tutto l’anno. 

Le donnicciuole pretendono in questo giorno di trarre dei 
^pronostici ed osservano il tempo, perchè secondo esse, come fa 


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CAPO d’anno ED EPIFANIA IN PIEMONTE 15 

a capo d’anno, si mantiene per quaranta giorni consecutivi: ma 
quantunque questi pronostici siano sempre bugiardi, nulla dimeno 
chi li fa trova sempre la maniera di difendere la sua asserzione 
allegando mille scuse e incolpandone spesso la luna. 

Natale» Capo d’Atino ed Epifania, ecco tre feste solenni che 
si succedono nei volger di pòchi giorni e che fanno desiderare 
un po’ di tregua a molte saccocce smunte , ma ecco tosto sq- 
praggiungere il carnevale cosi che se 

L’Epifania a mena le feste via, 

’L Carlevè-ai turila a mnè. 

I bimbi hanno ben poco da desiderare nel giorno dell’Epi- 
fania, perchè i loro desideri!, almeno in parte, sono già stati sod- 
disfatti e per buona ventura delle mamme , non conoscono la 
Befana e le sue sorprese. Ma se i bimbi non han nulla da sperare, 
le ragazze, e specialmente le ragazze da marito , attendono con 
giubilo l’Epifania, giacché è in questo giorno ch’esse ricorrono 
a molte prove dalle quali si ripromettono varie particolarità in- 
torno al loro avvenire. 

Alla vigilia della festa , alcune di esse prendono una sco- 
della nuova, la riempiono d’acqua e v’immergono tre pezzetti 
di carta, su l’uno dei quali è scritto : « morte », su l’altro: « ma- 
trimonio » e sul terzo: « nubile ». Espongono quindi il recipiente 
alKaria aperta affinchè geli durante la notte. Al mattino guardano 
la scodella, se l’acqua si è congelata, si sforzano di vedere nella 
massa qualche figura speciale che lontanamente accenni alla pro- 
fessione che eserciterà l’uomo che dovranno sposare. Cosi se la 
suddetta figura si assomiglierà ad una scarpa , o ad una pialla, 
lo sposo sarà calzolaio , falegname e via discorrendo. In pari 
tempo cavano fuori dall’acqua il biglietto rimasto a galla su cui 
sta scritta la loro sentenza se debbono cioè maritarsi, o restar 
nubili, oppure morire. 

Alla mattina dell’ Epifania le ragazze costumano di puntare 
sul cuscino del letto tré aghi infilati di filo bianco , rosso' e nero; 
chiusi gli occhi, andando a tastoni, ne prendono uno. Se questo 
è infilato df rosso significa che nell’annata si mariteranno , se è 


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infilato di bianco, che dovranno restar nubili, se di nero, che do- 
vranno farsi monache. Talvolta non contente della prova ricor- 
rono a quest’ altro esperimento : ripongono sotto il cuscino tre 
pacchetti contenenti cenere, crusca e farina ; se estraggono quello 
di cenere, sono scontente perchè la cenere indica morte; se toc- 
cano il pacchetto della crusca; è indizio che durante 1" anno do- 
vranno rimanere zitelle ; se toccano quello di farina , giubilano 
come buon segno indicando un non lontano matrimonio. 

A S. Germano Chisone si suol fare come a Pinerolo , una 
prova consimile: parecchie ragazze prendono quattro piattelli, in 
uno mettono della farina di frumento, nel secondo farina di bar- 
barti (segale e frumento), nel terzo farina di grano turco o di 
segale, nel quarto crusca. Velatesi quindi gli occhi, ciascuna va 
temoni ad immergere la mano in uno di quei piattelli; secondo 
che toccano il primo, il secondo, il terzo od il quarto, è destino 
che vadano spose in una casa di buona condizione, o di me- 
diocre stato in primo grado , o di mediocre stato in secondo 
grado, o di miserie. 

Ma come una ciliegia tira l'altra e i desideri non vengono 
mai soli, così la curiosità delle ragazze è insaziabile e non con- 
tente delle prove riferite , tanto più poi se queste sono riuscite 
negative , ricorrono a quest’altra. Prendono tre fagiuoli di vario 
colore, rosso, bianco e nero, li depongono sotto il cuscino , se 
toccano il nero lo buttano via indispettite, mostrano noncuranza 
per il bianco e se riescono a stringere fra la mano il rosso, gri- 
dano per la gioji. 

Talune poi, le più allegre, si collocano neljnezzo della stanza 
e quindi si seggono per terra tenendo la schiena rivolta all’uscio; 
pongono la pantofala sulla punta del piede destro e la gettano 
in aria. Se cade con la punta rivolta verso l’interno della stanza, 
è ammonimento che nell’ anno dovranno restare ancora zitelle; 
se cade nella direzione dell’uscio, il pronostico è buono indicando 
un prossimo matrimonio , se infine la pantofala cade rovesciata, 
significa che durante rannata proveranno dei dispiaceri. 

A S. Germano Chisone usano gettare uno zoccolo dietro le 


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CAPO D* ANNO ED EPIFANIA IN PIEMONTE 


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spaile , quindi voltandosi guardano da qual parte sia rivolta la 
punta: se all’ insù significa che loro toccherà d’ andare spose in 
montagna, se all’ingiù in pianura. E giacché ho citato per la se- 
conda volta il nome di S. Germano, ricorderò che qui le ragazze 
costumano pure di dare un calcio nell’uscio del porcile e se l'in- 
quilino grugnisce, significa che l’uomo da sposare sarà un bron- 
tolone. 

Pongo fine alla serie delle prove citandone ancor una che 
si costuma in Pinerolo e nelle sue vicinanze , la prova dei mi - 
gnunfUt. Si fanno alla sera dell’ Epifania : prendonsi due fogli 
di carta e si dà loro la forma d’um imbuto, collocandoli diritti 
sopra la tavola Tono accanto all’altro. La ragazza che fa il giuoco, 
battezza un tnignunfiel col proprio nome e designa l'altro col nome 
di chi presuppone le voglia bene , quindi appicca contempora- 
neamente il fuoco ai due pezzi di carta. Quando uno od ambedue 
si rovesciano addosso , vuol dire che i due giovani si vogliono 
bene, quando l’uno o l’altro cade di fianco , indica indifferenza, 
se cade dalla parte contraria , che fra i due pretesi amanti non 
c’è amore di sorta. Ad una simile prova si sottopongono tutti 
i presenti al giuoco. „ * 

In campagna la ragazza incaricata di fare 1’ esperimento, 
prende della canapa, la divide in due parti e dispostele in modo 
che restino diritte, esclama: 

Sun andait a la fera di gramissei, 

I Pai mai vist dui matafani pi bei, 

Sa s* amu d’ amur 
Vedruma ur ur. 

e nel pronunziare quest’ ultime parole , dà fuoco ai mignonflet. 
Generale, è poi l’usanza di mangiare la focaccia nel giorno deli’ E- 
pifania; a Pinerolo, nella valle del Chisone, in vai Pellice, in tutto 
il circondario insomma. É il regalo dei garzoni panattieri, quan- 
tunque però questi vadano perdendo la costumanza di largheg- 
giare verso i loro avventori, .dico largheggiare cosi per modo di 
dire, poiché ognuno sa che al regalo tien dietro la mancia che 
è sempre superiore al valore della focaccia. 

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Nella focaccia si trovano due fave , Puna bianca , e Paltra nera , 
e la si mangia per lo più alla sera in comitive. Fatta la distri- 
buzione, colui al quale tocca il pezzo contenente la fava nera 
deve pagare un pranzo, o una merenda o alcune bottiglia* que- 
gli che trova la bianca, si obbliga di pagare ai presenti la cena 
o qualche altra cosa e poiché la fava bianca prende il nome di 
« regina » e di re, la nera, cosi è comune il detto : 

Chi trova la regina 
Paga da sina. 
e 

Chi trova ’1 rè 
Paga *1 disnè. 

In campagna alla sera delPEpifania sogliono radunarsi nella 
stalla di Tizio o Sempronio a mangiare la focaccia. Ma prima 
che imbrunisca, schiere di giovani fanno provviste di castagne 
abbrustolite, nocciuolé, fichi, dolci (le batiaje ), da riempirne una 
calza bianca e rossa; poscia di comune accordo si avviano can- 
tando al luogo convenuto. Giunti alP uscio della stalla, si fer- 
mano zitti e cheti, mentre il capo delia brigata , accompagnato 
dal suono di una chitarra canta : 

Buna sera, Madona, 

Madona buna sera. 

a cui la padrona di casa risponde : 

Buna sera, Martin, 

Martin buna sera. 

E dime un po’, 

Da duva i rive? 

I rivu da la fera. 

Madona, buiia sera. 

Non appena pronunziate queste parole, apre l’uscio e getta la 
calza in grembo della padrona o di qualche ragazza che trovasi 
nella stalla, cantando : 

L* carlerè sracoumatida : 

Chi voi nen cherde 
Ecco si la gamba i . 

1 Altrove si canta questa variante : 

Parisia a sracouraanda : 

Si vole nen cherdi. 

Guardò si la gamba. 


CAPO D* ANNO ED EPIFANIA IN PIEMONTE 


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Clamorose risate scoppiano da ogni parte, mentre entrano i 
camerata strimpellando qualche vecchio istrumento. In un attimo 
la stalla si converte in una sala da ballo, tutti, giovani e vecchi, 
cedono alla forza irresistibile d’una nota musicale e quattro per 
quattro saltano !u brattdu a la piemotileisa. Passato poi il primo 
furore del ballo, la padrona invita le coppie danzanti a mangiare 
la focaccia. Al giovane ed alla giovane cui per sortilegio tocca 
la parte della focaccia contenente la fava bianca e nera, sono 
rivolti gli ^auguri di tutti e da quell’istante sono gridati <r gli 
sposi ». I favoriti dalla sorte entrano a braccetto nel ballo e dan- 
zano più volte soli in mezzo a strepitosi evviva. La festa continua 
fino ad ora tarda : al momento di lasciarsi ognuno dà la buona 
notte e stanco, ma soddisfatto, ritorna alle proprie case. 

Ma lo scherzo innocente della calza diventa talora triviale 
per opera di alcuni buontemponi che talvolta raccolgono qualche 
immondizia, solitamente sterco di bue, ne riempiono la calza, 
volendo fare uno scherzo bene spesso suggerito dalla malignità 
o dal desiderio di vendetta , e si avviano alla casa dove hanno 
stabilito di compiere l’impresa : spiano l’occasione di fare il tiro 
e quindi dal finestrino della stalla (lu pèrius du cialt) gettano la 
calza sulla schiena di qualcuno, dandosela tosto a gambe. 

Ho detto più sopra che a Pinerolo, nella valle del Chisone 
e in Val Pellice, è generale l’uso di mangiare la focaccia, ho 
accennato alla consuetudine di collocarvi dentro due fave ed al 
duplice significato che vi attribuiscono. Ricorderò ancora un’ul- 
tima costumanza che hanno gli abitanti di Fenestrelle. Qui alla 
sera dell’ Epifania si fa la veglia nella stalla e tutti i parenti vi 
concorrono portando chi una focaccia , chi un fiasco di vinello. 
Poscia ognuno siede sopra rozze panche disposte all’ intorno di 
una tavola su cui si ripongono gli oggetti portati. Il capo della 
famiglia si alza brandendo un coltello e taglia ad una ad una le 
focacce, ripone i pezzi sopra un piccolo asse : quindi facendo il 
giro li distribuisce agl’ invitati e presane egli pure la sua parte, 
va a sedere al suo posto mentre un altro versa il vino nei bic- 
chieri. Quegli cui toccano le fave (naturalmente sono più, perchè 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


varie le focacce, ognuna delle quali però non contiene che una 
sola fava) diventano l’oggetto dei discorsi di tutti. Se la fava è 
nera ed è toccata ad un giovane , le vecchie gli assicurano un 
avvenire brutto, pieno di dispiaceri, se è bianca gli predicono un 
avvenire splendido. 

La veglia si prolunga fino a tarda notte e quando i fumi 
del vino hanno esaltato le menti di quei montanari , questi si 
mettono a cantare un poco e quindi vanno a riposarsi. 

Filippo Seves. 





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GOETHE 

E IL POETA ITALIANO DOMENICO BATACCHI 





opo che il Goethe nei Tag-und Iabres-Heften dell’anno 
1811 ha raccontato che il Povero Enrico dal Busching 
gli ha apportato dolore fisico-estetico e che la terri- 
bile malattia che in esso si trova — la lebbra — opera cosi po- 
tentemente sopra di lui, che egli si crede già infettato di essa dal 
semplice toccare di un tal libro, continua : « Per un singoiar caso 
poi mi venne alle mani un’ opera, dalla quale si sarebbe potuto 
temere un’infezione d’immoralità; ma perchè contro a influenze 
dello spirito ci si tiene, per una certa temeraria presunzione, 
più sicuri , che contro a influenze fisiche , lessi i volumetti con 
piacere e con fretta , poiché non m' erano concessi per molto 
tempo cioè le Novelle galanti dei Verrocchio : esse stanno per va- 
lore poetico e retorico abbastanza vicine a quelle dell'abbate Casti; 
soltanto è questi artisticamente più raccolto e domina più mae- 
strevolmente la sua materia. 


1 Estratto dai Berichten der Kònigl. Sachs . Gistllschafi der fVissenscbaftcn, 
§eduta del 19 luglio 1890. Questa memoria fu fatta presentare dal sig. Zarncke, 



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La designazione « del Verrocchio » non è del tutto giusta; 
doveva dire « del padre Atanasio da Verrocchio », e cosi anche 
/ il Goethe ha , come vedremo , chiamato alcuni anni più tardi il 
Poeta in una lettera al Knebel. Il nome è naturalmente finto; in 
realtà il Poeta si chiamava Domenico Batacchi. Egli era nato a 
Pisa nel 1748; fu nel 1793 impiegato alla Dogana di Livorno e 
nel dicembre 1801 « ministro principale delle Regie Rendite dei 
Presidj, a Orbetello, dove mori Yn agosto 1802. Oltre le 25 «No- 
velle galanti » in seste rime, possediamo di lui anche i poemi co- 
mici «La Rete di Vulcano» e «Il Zibaldone», il primo in 24 
canti in ottave rime, il secondo in 12 canti in seste rime *. 

Ritorniamo al rapporto del Goethe col Batacchi. 

Del padre Atanasio di Verrocchio e delle sue Novelle galanti 
trattano, oltre il suddetto passo nei Tag-und lahresheften , anche 
altri nei carteggio fra il Goethe e il Knebel 1 2 . Essi sono i seguenti : 

Il Knebel al Goethe, 11 gennaio 1814 (Epistolario, II, 124): 
« Il Gries desidera molto d’ avere la poesia italiana , della quale 
tu ci parlasti, ed è anche pronto a tradurla, quando tu stimi ciò 
ben fatto, e non superi le sue forze ». 

Il Goethe al Knebel, 12 gennaio (II, 125): « Ecco qui la 
poesia italiana. Al versato ingegno del signor Gries riescirà una 
traduzione tanto più facile, in quanto che lo divertirà. Di un’in- 


1 Nel fascicolo di novembre della Nuova Antologia dell’anno 1874 Felice 
Tribolati ha pubblicato un eccellente lavoro intorno a D. Batacchi sotto questo 
titolo: «Un novellatore toscano del secolo XV III. Racconto biogra fico-cri- 
tico ». Disgraziatamente la promessa riproduzione dell’ articolo , che doveva 
essere accompagnato da lunghe annotazioni, non è, per quanto io sappia, fi- 
nora comparsa. Per ciò che riguarda le diverse edizioni delle Opere del Ba- 
tacchi, cfr. Giambattista Gassano, I Novellieri Italiani in verso indicali e de- 
scritti , Bologna 1868, p. 137-40. Io ho dinanzi le « Opere di D. Batacchi. 
Voi. I-V. Londra 1856 in-8° ». 

* W. bar. di Biedermann ha naturalmente, nelle sue così pregevoli anno- 
tazioni ai Tag-und Iahres-Heften (Edizione Hempel delle Opere del Goethe 
XXVII, 1, p. 471), rimandato a questi passi di lettere; ma è strano che egli 
n on abbia svelato la pseudonimia del Padre Atanasio da Verrocchio. 




GOETHE E IL POETA ITALIANO DOMENICO BATACCHI 23 

tera raccolta di simili poesie è questa la sola producibile; le altre 
sono un pochetto troppo allegre ». 

Il Knebel al Goethe, 18 gennaio (II, 126): « Ho consegnato 
la poesia italiana al Gries, il quale ne rende grazie. Egli trovò 
che le sestine sono di formazione mplto recente , e ne ha sup- 
posto autore il Casti ». 

Il Goethe al Knebel, 19 gennaio (II, 127): « L’autore della 
poesia è certo recente, contemporaneo del Casti, ma più giovane: 
sono due volumetti di Novelle galanti usciti sotto il finto nome 
del P. Atanasio da Verrocchio e il supposto luogo di stampa di 
Londra 1800; il suo vero nome non l’ho ancora potuto sapere ». 

Il Knebel al Goethe, 21 gennaio (II, 129): «Il nostro Gries 
non ha voglia, pare, di tradurre la poesia haliana. Egli vuol ri- 
manere con Calderon ». 

Il Goethe al Knebel, 22 gennaio (II, 1 3 1) : « Al nostro ec- 
cellente Gries non posso rimproverare che egli voglia rimanere 
fedele al genere di poesia una volta abbracciato, il quale è cosi 
degno ». 

Il Goèthe ha inoltre avuto di nuovo nelle mani nel gennaio 
1814 le Novelle galanti dei Batacchi, che nel 18 11 non gli fu- 
rono lasciate per lungo tempo, forse le possedè, poiché oggi si 
trova almeno il primo volume della edizione da lui citata 1 nella 
sua biblioteca; ed una delle Novelle l’ha specialmente interessato 
in quel tempo. Se egli indica questa come la « sola producibile », 
può con ciò soltanto esser intesa la prima, che è intitolata: « La 
vita t la morte di prete Ulivo », tutte l’altre sono più o meno la- 
scive 2 * * * * * . 

Il Batacchi, come noi sappiamo da una lettera di lui 8 , ha 


1 Erroneamente nella lettera sopra citata si parla soltanto di due invece 

che di tre volumetti. 

* Un amico del Batacchi gli scrive in una lettera del 12 ottobre 1797 (La 

Nuova sÀntologia, 1 . c., p. 568): <r Le Novelle del P. Atanasio metteranno in 

qualche impegno il loro Autore: Prete Olivo, che è la più innocente, ha fatto 

mormorare molti ». 

• Il Batacchi scrive il 4 ottobre 1797 Hbraio Luigi Megliaresi in Li- 



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udito raccontare la storia di prete Ulivo dalla sua nonne o dalla 
sua balia. In fatti è fondamento alla novella un racconto popo- 
lare, il quale non si trova solo in Italia, ma anche in Germania 
e in altri paesi con molte varianti, come qui non fa bisogno si 
dimostri più da v vicino. Il contenuto della novella , la quale è 
lunga 104 sestine, si può rendere nel modo più breve presso a 
poco così : 

Ulivo , uomo ricco di Palestina , aveva un giorno ricevuto 
ospitalmente Gesù Cristo e i dodici apostoli e fattili pernottare 
presso di sè. Alla mattina san Pietro lo spinge a chiedere una 
grazia dai suo Maestro , il quale è potente non meno sopra la 
terra che in cielo. Ulivo chiede dal Signore di vivere ancora 600 
anni. San Pietro gliene fa rimprovero, e gli dice che egli deve 
andare ancora una volta dal Signore e chiedere qualcosa di me- 
glio. Ulivo, che ha nel suo giardino un bel pero, i cui frutti però 
glt son sempre portati via, prega il Signore che chi salga sult’al- 
• bero, non ne possa sceudere prima che egli (Ulivo) lo consenta. 

Naturalmente san Pietro è di nuovo molto sdegnato per questa 
preghiera, e gli dice di andare ancora una terza volta dal Signore 
e di chiedere finalmente qualcosa di più alto e di più nobile. Ma 
Ulivo, che la sera giuoca volentieri in casa con buoni amici alle 
carte, ma che perciò molto spesso si stizzisce, quando gli amici 
troppo presto vogliono andar a casa o quando egli perde, prega 


vorno (La Nuova Antologia, I. c., p. 566): « Prete Ulivo è una novella che 
in compagnia di quella di Buchettino della Menandugia mi fu raccontata dalla 
nonna o dalla balia, e che per tale é stata conosciuta da chi l’ha letta, avendo 
mostrato di applaudire alla maniera con cui è stata decorata e vestita una in- 
sipida e inconcludente novella ». — Buchettino si chiama in una novelletta to- 
scana recentemente trascritta in varie maniere dalla bocca del popolo, un pic- 
colo fanciullo, che l’Orco (mangiatore d’uomini) ha preso prigioniero e vuol 
mangiare, ma che novamente sfugge alFOrco. Si veda Giov. Papanti, Novel- 
line popolari livornesi , Livorno 1877, n. V. Gherardo Nerucci, Cincdlc da 
bambini, Pistoia 1880, n. III. Gius. Pitrè, Novelle popolari toscane , Firenze 
1885, n. XLI 1 I e XLIV. Ma che cosa significhi della Minandugia nessun amico 
neppur italiano ci ha saputo spiegare. 



e 




GOETHE E IL POETA ITALIANO DOMENICO BATACCHI 


2 5 


il Signore che chi segga sopra una certa sedia nel suo salotto 
non possa più alzarsi senza suo volere, e che un mazzo di carte 
che egli ha in tasca , vinca sempre. San Pietro lascia adesso di 
mandare ancora una volta dal Signore quello scervellato d’Ulivo, 
e chiede egli . stesso per lui P eterna Beatitudine. Passati i 600 
anni apparì la signora Morte ad Ulivo, che intanto era divenuto 
cristiano e prete in Italia, per prenderlo. Egli si mostra pronto 
ad andare con lei, ma la prega di cogliergli prima un paio di 
pere dal suo albero. Elia sale sopra P albero , ma non può poi 
scendere e deve rimanere per tre giorni su di esso , finché Dio 
padre manda P arcangelo Gabriele ad Ulivo. Gabriele apparisce 
Dell’aspetto di un vecchio notaro, e. riesce a fare che Ulivo lasci 
scendere dall’ albero la signora Morte dopo che ella s’ è impe- 
gnata di lasciarlo vivere ancora 500 anni e 4 mesi, sopra di che 
vien steso dall’Arcangelo un comico contratto, lungo undici strofe. 
Passato questo tempo apparisce di nuovo la signora Morte , e 
questa volta è tenuta ferma sulla meravigliosa seggiola , sulla 
quale si è posta per riscaldarsi un po’ al camino, per tanto tempo, 
finché essa assicura ad Ulivo ancora 500 anni. Dopo che anche 
questi sono scorsi, picchia la signora Morte alla porta d' Ulivo 
e Ulivo questa, volta risponde: «Vengo», e tosto muore. Egli è 
solamente sotterrato, e con lui, come aveva disposto nel suo te- 
stamento, il suo mazzo di carte che sempre vinceva. La sua a- 
nima va tosto al Purgatorio , dal quale , in conseguenza delle 
molte indulgenze, messe e penitenze ecc., è liberato , e poi va 
all’Inferno, dove Belzebù lo indirizza al Paradiso, che a lui è stato 
concesso. Ulivo propone quindi col Diavolo una partita e gli 
vince una quantità di anime, con le quali si presenta al Paradiso. 
San Pietro non vuole senz'altro lasciare entrare questa moltitu- 
dine di anime, e interroga per ciò il Signore, il quale fa dire a 
Ulivo , che deve prima indicare quante anime sono. Ulivo ri- 
sponde che egli, quando accolse presso di sé il Signore e i do- 
dici apostolinon, li ha prima contati. Perciò egli è fatto entrare 
da san Pietro con tutte le anime ed accolto dagli angioli con 
giubilo. 

Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 4 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Questo è dunque il contenuto della Novella del Batacchi, 
sulla quale il Goethe nel gennaio del 1814 parlò ed ebbe corri- 
spondenza. A questa novella appunto accenna ancora una volta, 
neH’anno 1816, il carteggio di Goethe e di Knebel , dove però 
nè il titolo nè l’autore è ricordato. 

Il Knebel scrive il 5 luglio 1816 (II, 199) al Goethe: <r P.S. 
Quale fu dunque la terza promessa che il decano (Dekan) si fece 
dare dal Salvatore ? Io voleva raccontare la storia , ma ho di- 
menticato questo particolare » . 

A ciò rispose il Goethe nel giorno seguente : « La terza 
grazia che il Decano (Dechant) chiese, fu un mazzo di carte, che 
non perdesse mai; con questo vìnce al Diavolo le dodici anime, 
le quali da ultimo porta nel cielo ». 

Alle parole del Knebel il Riemer ha fatto la seguente an- 
notazione: « Questa storia che il consigliere aulico Meyer seppe 
riprodurre con proprio caratteristico umore sopra una vecchia 
novella italiana ha nel fatto principale la più grande somiglianza 
con la leggenda del Fabbro di Juterbock, e con quella del Fabbro 
di Apolda, scritta ad imitazione di quest’ultima dal Falk ! . 

Secondo questa annotazione e poiché il Knebel nella lettera, 
alla quale appartiene il suddetto poscritto, parla della visita fat- 
tagli dal Goethe e dal Meyer in Iena, abbiam ben da credere che 
non il Goethe, ma il Meyer in questa visita abbia raccontato la 
storia in questione. Egli 1 ’ ha però raccontata non secondo una 
vecchia novella italiana — non ve n' è alcuna di questo conte- 
nuto — ma secondo la Novella del Batacchi. Con questo s’ ac- 

1 Stephan SchOtze racconta nella sua memoria « Die Abendgesellschaften 
der tìofràtìnn Schopenhauer in Weimar , 1806-1830 » in « W cimar s Album %ur 
vierleti Sdcularfeier der Buchdruckerkunst am 24 Jutii 1840 » di H. Meyer, 
p. 189: « Non di rado egli si diffondeva con schietto umore nel racconto di 
facezie antiche ». — Quanto al Fabbro in Juterbock rimando alPannotazione al 
n. 82 dei Kinder-und Hausmdrchen dei Fratelli Grimm, p. 1 $9 e sg. L’ « Uyser 
Herr und der Schmidt von Apolda . E in Scìnvank . ach einer aìten Thùring- 
schen Volksfabel » del Falk sta nei suoi : Grotesken , Satyren und c bLaivitàten 
auf das Jahr 1806. 



GOETHE E IL POETA ITALIANO DOMENICO BATACCHI 27 

corda ciò che possiamo dedurre, intorno a questa storiella, dalla 
domanda del Knebel e dalla risposta del Goethe e dall’ annota- 
zione alle parole del primo. È del tutto senza importanza che da 
prete o curato o pievano sia divenuto un decano (« Dekan » o 
a Dechant ») e che il Goethe scriva che il decano chiese un 
mazzo di carte che non perdesse mai , mentre Ulivo chiedeva 
questa proprietà per il mazzo che egli per Y appunto aveva in 
tasca. Alquanto più importante è che secondo la risposta del 
Goethe il Decano vinca al Diavolo con questo mazzo di carte 
12 anime, mentre nel Batacchi non s’indica un numero determi- 
nato di anime , ma s’ accenna a uno molto maggiore. Adunque 
qui probabilmente ha influito la poesia del Langbeins, dal Poeta 
designata come leggenda, <r Der Gastfreund » (Langbeins, Neutre 
Gedichte , Tubingeh 1812, p. 171-88), composta il 1811, nella quale 
Filemone vince al Diavolo ugualmente 12 anime. La poesia del 
Langbeins sta del resto in tale relazione col Batacchi, da poter 
credere che il Langbein la conoscesse e se ne giovasse *. 

Finalmente si ricordi ancora che in un libro di notizie del 
Goethe; che si trova nell’archivio del Goethe e dello Schiller, e 
del quale ha dato nòtizia G. von Loeper nel Goethe- Jahrbucb, XI, 
I 37'43 i è segnato di mano del Riemer « Novelle Galanti edite 
et inedite del P. Atanasio Da Verrocchiò Minore Osservante di.... 
Torri. IH. Londra 1800, per Richard Barker 2 ». Questo è il ti- 
tolo dell’edizione citata dal Goethe nella lettera al Knebel, della 
quale edizione si trova ancora il primo volume nella sua biblio- 
teca. Ma nel frontespizio di questo volume non sta «Richard 
Barker », come scrisse il Riemer, ma « Richard Rarker ». 

Reinhold ‘ Kòhler. 


1 II « Gastfreund » del Langbein fu tradotto liberamente dal poeta olan- 
dese Hendrik Tollens (nato 1780, morto 1856) sotto il titolo di « Philemon. 
Legende ». 

2 Nel Goethe- Jahrbucb , 1 . c., p. 141 si trova « minore » invece di « Mi- 
nore » e « London » invece di « Londra ». 

— R t H — 



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SENA VETUS 

SUPERSTIZIONI, CANTI, INDOVINELLI E GIUOCHI ». 



Medicina popolare. 

Per l’itterizia. 

ercano dei pidocchi (pulizia benedetta e quel porco, 
che 1* inventò !) e li somministrano all’ itterico nella 
pappa, in un tuorlo d’uovo, o in altro cibo. 

Anche, fanno un ciuccino coll’ orina del malato, e poi lo 
dànno a mangiare al primo cane che vedono. L’itterizia va via 
subito da chi l’ ha, e se ne ammala il cane. 

Pigliano pure una specie di felce, e precisamente quella che 
fa nei muri vecchi, la mettono a seccare in forno, la riducono in 
polvere, la stacciano e quella che passa di sotto lo staccio, vien 
méssa nel vin bianco di quel buono e la mattina, a digiuno, la 
fanno bere all’itterico. 

Pel mal del pino. 


La ricetta è questa : si bruciano le pine , si stiacciano i 
pinottoli; poi in un pentolino pieno d’ acqua si mettono a bol- 
lire la ragia di pino, la cénere dei pinottoli stiacciati e bruciati 
e un po’ di unto di maiale, mastio , lavato; si fa bollire ben bene 
ogni cosa e poi quando quest’intruglio è tepido, ci si unge il dito. 

1 Continuazione. Vedi Archivio, v. IX, p. jai. 


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SENA. VETUS 


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Per le morpidi. 

Tenere in saccoccia una castagna d’ india ; quando questa 
sarà seccata, le moroidi saranno sparite. 

Oppure grattugiare delle castagne d’ india , mettere la pol- 
verina ricavata nel vino e beverlo. 

Per le doglie. 

Tenere in tasca uua patatina. 

Pel dolor di capo. 

Mettere delle ranocchie vive in un fazzoletto e poi fasciarvisi 
la testa. 

Superstizioni delle ragazze. 

Per sognare lo sposo, che loro è destinato, per tre sere con- 
secutive, dicopo questi versi : 

San Francesco dell’abito, 

Fatemi vedere lo sposo che devo avere: 

Senza paura e senza sospetto 
Fatemelo vedere al capezzale del letto. 

E poi recitano tre pater , ave e gloria . 

Per lo stesso motivo dicono pure qucst’altra preghiera : 

O Sant'Elena che dal mare andaste, 

La Croce di Gesù voi ritrovaste. 

La prendeste, la baciaste, 

Sopra l’altare la posaste. 

Alzando gli occhi al cielo voi diceste: 

O Dio 1 o Dio 1 

Se questa grazia )a devo aver io, 

Fatemi vedere : 

Prato fiorito, chiesa parata, 

Tavola apparecchiata. 

Variante : 

O Sant’Elena che dal mare voi. passaste, 

La Croce del Siguore voi trovaste, 


ir* ~ 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


La pigliaste, l’abbracciaste, la baciaste. 

Sopra l’altare la ponsaste. 

O Sant’ Elena, vi chiedo una grazia. 

Se questa grazia la devo avere 
Tre cose fatemi vedere: 

Prete parato, vigna vignata, 

Tavola apparecchiata. 

Se questa grazia non devo avere, 

Fatemi vedere : 

Fuoco ardente — acqua corrente, 

Spada pungente, 

Che non faccia mal nè a me, nè ad altra gente. 

Se questa grazia non la devo avere 
Fatemi vedere : 

Fuoco ardente, acqua corrente, 

Spada pungente, 

Che passi d’accosto a me 
E non ferisca nè me, nè la mi’ gente. 

Le ragazze, per vedere se il loro damo le ama, o no, buttano 
nel fuoco dei semi di qualche frutto specialmente di mele: se 
questi bruciano senza far tonfo, vuol dire che non sono amate, se 
poi fanno il tonfo indica che possono viver tranquille. 

E nel buttare i semi nel fuoco, dicono, al solito, dei versi : 

Se ’l mi’ amore mi vuol bene, 

Questo seme scoppi bene; 

Se. ’l mi’ amore ’un me lo vorrà, 

Qpcsto seme in fumo anderà. 

Hanno le ragazze anche il mezzo di punire ramante, il quale 
le abbia abbandonate. 

Pigliano dei capelli o qualunque altra cosa che sia stata del 
traditore e la mettono in bocca o alle gambe di un rospo. Pongono 
questo sotto un testo , e lo legano a un albero. Finché il rospo 
vive, arrabbiato, V amante starà male e, morto il rospo', morirà 
anche lui. 

Perchè le ragazze non fossero lasciate da chi le ama, baste- 
rebbe che buttessero addosso o mettessero in saccoccia al loro 
damo un po’ di calamita polverizzata. 

Per vedere V andamento del suo amore , qualche giovinetta 



SENA VETUS 


3* 


tiene in casa una pianta di ruta. Finché questa è bella e vegeta, 
è segno che va tutto bene; ma se la pianta intristice e si secca, 
vuol dire che Famore è svanito. 

Le ragazzine non devono mai tenere fiori in petto, altrimenti 
San Giuseppino ci passa sopra colla pialla. 

Varie superstizioni. 

Perchè i citrini non facciano la piscia a letto , occorre dar 
loro da mangiare un topo cotto. 

Quando si dubita che un cittino sia slregonato y si va a pigliare 
acqua in cinque fiumi maschi, gli si fa la pappa, ci si lava e lui 
guarisce e le streghe non lo toccano più. 

Il Sabato Santo, quando si sciolgono le campane, le mamme 
piglino i cittì e facciano loro traversare la strada : allora cammi- 
nano subito. 

Quando si sciolgon le campane, si attinge tant’acqua e se ne 
riempiono tutti i vasi che sono in casa, perchè quell’acqua è be- 
nedetta. 

Piantando dei fiori allo scioglier delle campane, anche a se- 
minare semi scempi, nascono i fiori doppi. 

Entrando in una chiesa per la prima volta, si può ottenere 
qualunque grazia si chieda. 

Per mandar via il latte, basta che le donne tengono in petto 
le erbucee. 

Perchè il latte non se ne vada, molte donne, anche signore 
tengono al collo un chicco di diaspro. 

Dal primo sogno che fa una donna dopo il parto, a saperne 
ricavare per bene i numeri, è vincita al lotto sicura. 

Le puerpere badino bene di'non farsi mai lavare pignatti, 
nè piatti, nè posate. 

Chi vuol mandar via i porri dalle mani e dalla faccia, se li 
unga con quella tal rugiada che casca alle donne quando sono 
lunatiche. 

Se poi non garbasse molto questa pulitissima* ricetta, vadano 
ad una ginestra scoppiamela , contino quanti porri hanno e facciano 



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altrettanti nodi nella ginestra. Se li hanno in paio, la ginestra si 
secca, e loro guariscono, e se li hanno in numero dispari, qualcuno 
ne resterà sempre. 

Per S. Lorenzo, quando la sera cadono le stelle, stare attenti, 
e mentre ne casca una, chiedere una grazia. Si ottiene di certo. 

Per fare un sogno che sia vero: contare per quindici sere 
consecutive quindici stelle. Se una sera, anche la penultima, non 
si possono contare , rifarsi da capo ; dopo di essere giunti per 
quindici sere a contare le quindici stelle, andare a letto ed esser 
certi che quel che si sogna sarà verissimo. 

{Continua) G. B. Corsi. 





LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 

NEL BELLUNESE ». 


III. — Del tessere. 


a elegante pianticella del lino poco alligna nel Bellu- 
nese; sicché quasi non vi si raccoglie che canape; il quale 
come dissi altra volta , si distingue cosi : il canevo e 
la canevèla. Ad essi è tutta rivolta l’opera del tessitore. 

Vi sono due sorta di tessitori: quello che tiene bottega ed 
uno o più telai a mano e riceve ordinazioni dalle ricche fa- 
miglie e dai contadini del villaggio , e quello che possiede un 
telajo solo ad uso di certe numerose famiglie del contado. È 
quasi sempre il più giovane dei figli maschi ed il più debole, 
quello che si dedica a tal lavoro, mentre gli altri attendono ai 
lavori faticosi della campagna. E per la costituzione sua, e pel 
genere di applicazione sedentaria, che non concorrerà a renderlo 
forte, il povero figlio resterà forse artelus (celibe). 

In quasi tutti i paeselli del Bellunese il tessitore si chiama 
cargniel , piuttosto che tessèr , ed ho pensato che ciò ricordi la vec- 

1 Continuazione. Vedi Archivio, v. IX, p. 461. 

Archivio per ìe tradizioni popolari — Voi. X. 5 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


chia abitudine di quei di Carnia (Friuli) che facilmente discen- 
devano dalle loro montagne per insegnare ed esercitare nella pro- 
vincia limitrofa il loro delicato mestiere. 

Il tessitore che tiene bottega, è per lo più persona benestante 
ed autorevole ne* paeselli alpini. Fa spesso parte del Consiglio 
comunale, e divide col sarto del villaggio certi uffici delicati e 
gelosi, come quello di far la stima dotale alle ragazze che vanno 
a marito. 

I telai alla Gacquard non si adoperano che nei grandi opi- 
fici. Il contadino di quassù , non ne ha che una confusa idea; 
anzi , mentre ne parla con curiosità e meraviglia, il suo arguto 
risolino, sembra dire : Bellissime cose ! ma ai nostri bisogni , ai 
nostri semplici gusti rispondeva troppo bene il vecchio telajo di 
cui noi soli eravamo Fanima e la vita. Ed è curiosa F espres- 
sione di questi uomini zotici se si trovano dinnanzi ad uno di tali 
miracoli delFindustria. Increduli, perplessi, canzonatori, sembrano 
la protesta vivente della forza individuale che vede nella mac- 
china quasi un emula ed usurpatrice de* proprii attributi , solo 
pel sospetto che venga a turbare quell' ordine primitivo , la cui 
conoscenza tu per tanti secoli Forgoglio dei padri della villa, la 
tradizionale eredità dei figliuoli. Cosi del resto avvenne sempre 
per ogni' grande e piccolo beneficio del progresso, che fu accet- 
tato dopo lotte penose, nelle quali F uomo nuovo dovè sorgere 
dalle ceneri delFuomo antico. 

Poche sono le arti che, come questa del tessitore, richiedano 
Fesercizio di tutti i sensi, di tutte le facoltà umane ad un tempo. 
Questo fatto che mi colpi vivamente osservando il contadino in- 
tento al lavoro, trovai quasi scolpito in una sola bellissima pagina 
del Bartoli, che ha saputo costringere l’adorna parola ad un vero 
sforzo di sobrietà e precisione. Eccola che la trascrivo : 

« Solca dire un gran principe quel che la esperienza gli 
aveva insegnato ; il mestiere del governare , essere come quello 
del tessere, che tien tutto il corpo in esercizio, tutta l’anima in 
atto, tutti i sensi in opera. 

« Sta il tessitore assiso al telajo in sembiante quieto, ma in 


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LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 35 

più maniere moventesi. I piè sulle calcolc y continuo in premere, 
prima Puna e poi l’altra; con esse a sollevare una parte dei licci 
ed una parte, già sollevata , abbassarne , per cosi costringere ed 
incrocciare le fila dell’ orditura. Delle mani affaccendate una a 
gettar la spola e attraversar la trama a filo a filo , P altra ad in- 
contrarla e corrente intorno a riceverla; e quella che gittò presto 
a batter le casse sul filo e stringerlo e unirlo, temperando la più 
o meno forza del colpo col raro e fino a che si vuole riesca il 
lavoro. Indi scambiare ufficio le mani ed il loro muoversi ed il 
loro atteggiare sempre unito d’accordo col piè, rispondente l’uno 
all’una, l’altro allibra. L’ occhio poi , tutto inteso al presente e 
tutto alPavvenire. Se nodo si avvicina al pettine quanto il più si 
può, sottigliarlo e aprirgliene il passo fra denti; se il filo si schianta, 
levar mano dall’ opera e drizzatosi , raggrupparlo : e di tanto in 
tanto lisciar le fila , imbozzimarle , rammorbidirle ; e svolgere i 
subbi, e rimettere dell’ordito quanto si avvolge del già tessuto». 

Il Bartoli, artista della parola, in questo quadretto ci porge 
quasi l’immagine viva del tessitore intento al lavoro, lasciandoci, 
come s’ era prefisso , P impressione della simultaneità degli atti 
di lui. 

Ciò ha fatto pure più tardi il Carena nel suo Vocabolario d’Arti e 
Mestieri con sapienza ed autorità di filologo e maestro. Ad esso, 
e specialmente al suo particolareggiato capitolo : Del tessere , ho 
chiesto lume nel volgere in lingua italiana i rozzi vocaboli coi 
quali il mio primitivo tessitore ha cercato spiegarmi le regole del 
suo mestiere e l’ufficio di alcune di quelle parti di cui è formato 
il telajo in legno. Dico alcune, poiché di tutte il mio uomo, mas- 
sime di quelle accessorie, conosceva beusi Puso, ma »on il nome. 

E a questo proposito avverto , che io ho raccolto i pochi 
termini relativi a quest’arte da un rozzo contadino che lavora in 
casa in uno sconnesso telajo ed apprese l’arte in famiglia, ed ho 
preferita la sua descrizione a quella di un tessitore provetto che 
pure teneva bottega poco lontano dalla villa da me abitata, per- 
chè temevo di perdere forse nella cognizione tecnica del telajo, 
ma di guadagnare invece nella scoperta di parole antiquate , di 


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36 

frasi efficacissime proprie al rustico dialetto che talora racchiudono 
classici ricordi, bellezze vere, non indegne di figurare nel morto 
patrimonio della lingua del passato. 

Durante questo mio studio, mi venne fra mano quel libretto 
popolare del Paglia 1 che s’intitola : La camicia . Scritto com’è con 
una invidiabile chiarezza, mi fu utilissimo e vorrei che esso fosse 
conosciuto e diffuso, e corresse tra mano di tutti i fanciulli ita- 
liani. 

È certo che tra pochi anni, le patriarcali abitudini scompa- 
riranno e con esse il telajo in legno c certi nomi rnstici delle 
varie parti che lo componevano. 

Venendo ora all* uso che se ne fa, dirò che alla semplicità 
dei mezzi corrisponde la semplicità dei prodotti. 

Dal telajo in legno non si ottiene che tela assai schietta, che 
deve servire ad usi contadineschi. Varia più o meno in grossezza, 
secondo gli uffici a cui si destina. È di cosi facile fattura che non 
ha neppure 1* ordivo , (orlo) che finisce per lunghezza le tele che 
si acquistano. 

Gialletta , groppolosa , questa tela di canape aspetterà , per 
imbianchire sul prato, molti e molti baci dall'ardente sole. Sono 
assai poche le famiglie di contadini che possono avere il lusso 
di un telajo, che è sempre proprietà del padrone, ed ogni giorno 
diventa più rara, offrendo il mercato ed i negozi dei paesi coto- 
nine resistentissime a prezzi discreti. 

Dove ancora c' è , bisogna che il telajo provveda a tutti o 
a quasi tutti i bisogni della famiglia c mantenga vestiti i singoli 
individui che la compongono. Perciò il prodotto della filata, una 
metà della quale spetta ai padroni, è già destinato par ordene , dal 
generale consenso, a questo od a quello , prima ancora che sia 
raccolto. 

Oltre a tela per biancheria, si fanno vestiti da donna e da 
uomo. Ad un vestito completo per uomo si dà il nome di mu- 
dada o muda (da mutare, cambiarsi). 

1 Paglia, La camicia 0 conversazioni in famiglia sulle materie cd arti tes- 
sili e filareccie . Operetta illustrata con 38 incisioni. Treves, 1869. 



LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 37 

% 

Acquista fra tutti una certa solennità la tessitura dell' abito 
navicai (vestito da sposa) per lo più di me^alana, che viene con 
particolare istudio ed amore tessuto da un fratello o cognato 
della ragazza promessa, di quella stoffa, grossezza e disegno che 
meglio a lei piacciono. In compenso di si paziente e faticoso la- 
voro, essa gli offrirà in dono alla consegna, una misera scodella 
di piccole noci. 

Le nostre vecchie, nel di delle loro nozze, indossavano un 
abito di pannetto nero o turchino ; ma i gusti ed i colori tradi- 
zionali vanno in disuso ed oggi la giovane contadina preferisce 
andare a Belluno nei grandi negozi, come una signora, a far le 
spese del corredo e scegliere fra le altre, la stoffa di spagnoletta , 
non più turchina o vivace, ma de color %ivil (civile, pulito, signo- 
rile), a tinte morte, che dovrà vestirla in quel di. 

Anche l’abito nero, di tela per Testate, di frustagno per l’in- 
verno che dicono del dispiaser (corruccio) e che fa pur parte della 
dote di una ragazza, viene lavorato in famiglia. Quante volte fu 
indossato, per quello stesso che ne ordiva le fila! 

Il telajo casalingo fa pure la tela ad intima pei materazzi del 
letto novigài. È quasi sempre a due colori, bianco c turchino a 
quadri od a righe, ma il disegno varia anche in questi termini: 
riga spe^ada ; riga intima; spinila sopra ; spinocòlo dale do parte; 
sopra e sotto ; in cao; doi fil ; doi fil par sorte. 

In una bella e vasta bottega da tessitore ove lavoravano 
molti telai, che io visitai un giorno nel paesello di Cesio (Fel- 
trino) , mi si mostrò un vecchio libretto dove erano quasi cin- 
quanta esemplari di disegni vari e graziosi, con le regole dei quali 
si lavoravano da più di cento anni le grandi tovaglie, quelle to- 
vaglie ricche e pesanti, contornate da merletti a fuseleo, che co- 
privano il lieto desco dei nonni ed erano profumate di lavanda, 
l’orgoglio della brava massaja quando T ospite festeggiato sede- 
vasi alla sua mensa. Allora, invecchiando, diventavano lucide come 
raso e non avevano da invidiare i serici riflessi del finissimo filo 
di Fiandra. Oggi, mentre il lavoro raffinato e veloce della mac- 
china veste la tela di una effimera bellezza, ne snerva la fibra o 




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T adultera e la tela se ne va, vera imagine della fuggevole vita 
umana, a cui si è ispirato con bellissimi versi il povero Zendrini. 

La tovagiàda è lusso da signori. I contadini ne tengono ap- 
pena una grossolana, bislunga, che trovano necessario distendere 
sul loro desco soltanto in due solenni occasioni : nel di delle 
nozze, e quando fanno ad ogni anno la merenda del pappar (il 
lavoro della terra), con la quale chiudono la serie dei più faticosi 
lavori della campagna. In quel giorno mangiano il pan missià (di 
farina bianca e frumentone) e cucinano il vecchio gallo, che se 
vivesse più di tre anni, potrebbe anche far l’uovo da cui nascerà 
l’Anticristo. Il tessitore si guarda bene dal cominciare la tela di 
venerdì, giorno nefasto, nè la riporterà in quel di al palazzo dei 
signori dai quali l’ha avuta. E quando l'avrà riportata, avrà il di- 
ritto di rimanere a cena con essi. Anima paziente e tranquilla , 
avrà bisogno, il buon uomo , se giovane , d’ingannare il tempo 
cantando. Quei d’ una volta, cantavano cosi: 

Cole calcole e la spola 
Staghe e sente {siede) sul telàr. 

E1 mio nono se consola, 

1 suoi panni fanno onor. 

0 che gusto lavorar, 

1 aventori contentar ! 

A cui le ragazze maliziosamente rispondevano: 

Co la lana se fà i stramazzi 
Coi ragazzi se fà P amor. 

Te la piuma se fà i cuscini 
Ai biondini se ghe dà el fior. 

Cola stòpa se impiza el fogo 
A poco a poco se fà l’amor. 

Co la pagia se fà i capèli 
Ai più beli se ghe dà el cuor ! 

Non è affatto estraneo all'operazione del tessere , il giuoco 
veneziano dei bra^i di tela che si fa dai bimbi in giro disten- 
dendo le braccia, le quali figurano la tela che un compratore deve 
prima misurare. 

Avviene che manchi la quantità della tela ricercata, ed allora 


LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 39 

succede che chi ne era responsabile, deva subire rimproveri e 
penitente. 

Ed ora cedo, come sempre, la parola, al mio giovane con- 
tadino : 

E1 prim servizi che fazze co’ le femene me dà tela da far, 
l’è quel de pesar par saver quanta tela ò da ordir l . Co ò dit, 
quà r è tanta tela , la ordisse. Mi cogne in prima far tanti de 
parci 2 . Poi, vanti da tirar zò da P ordidor , la lighe ben streta 
an te la erose, nei porti 8 . 

Noi laoron par mudade 4 . Ogni mudada se segna co ’n fil 
bianc. Co V è cossita prepari se tira zò el fil da V ordidor e se 
lo porta sul teler 5 . Ocor che se sie in quatro par far sù l’ordl 
an tei sogòl 6 ; poi se lo incompnsturea 7 , che voi dir che se ghe 
cazza a na bachèta e an spago par entro atraverso i porti par 
poder meterlo an tei restel 8 e tirarlo an tei teler. 

Co la ordidura è tirada zò, se ghe met le ma^e in erose a - 
vanti de desligarla e subito dopo se la ingròpa e se laora. Co 
la è ingropàda, ocor enea da tirarla sù par el peten 9 . Co la tela 
è cossita preparada, se la imbosimea 10 . 

1 Ordir , me ter sul teler , ingropar, Tordire. 

2 Tu rei, bell; comparti, Feltno. Misura di filo che equivale ad otto braccia 
bellunesi c dieci feltrine. 

3 Portò, misura che equivale a quaranta giri di filo, ciò che forma una 
matassa. Medina equivale a mena portò, o venti fili , che vanno introdotti in 
ogni buco del rastello. 

4 SSCudada, tnutà, mutata, da mutare, cambiare. Vestito completo da con- 
tadino. Si fa di otto braccia bellunesi e dieci feltrine. 

5 Teler, telajo. 

• Sogòl o ulon subbio, subbiello. Far sii V ordì an tei sogòl. 

7 Incompasturea. La operazione consiste nell* introdurre un* assicella nel 
canale ( attraverso i portò) per poter fermare 1* ordito sul restii e trasportarlo 
sul telajo. Ita], tfompastojo. Vedi a pag. 178 del Vocabolario ‘Domestico di G. 
Francesco Rambelci, Bologna, 1850. 

Quando è fatta, si mettono le mane in erose , e sciolto che sia, si lavora 
a tramare. 

• Restrello. 

• Peten , pettine. 

10 Imbosemar, imbozzimare. 


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40 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

La bosema se fà cossita: se ciol sù dei gran d’orz e dei fa- 
sioi, se i cusina e se i lassa a marzir. Co stà mistura è gnesta 
agra \ se la dà su par sora la tela coi bruschin 2 de radis d'erba 
carnièla 8 , e dopo se la onde col seo 4 . 

’Na ’olta i véci i cavava ogio dai ghighi B dele nose e re- 
stèva 'na pinza 6 , co la qual i fasea la bosema. Dopo che la tela 
è imbosemada, se ghe met, come ho dit ancora, le tre mazze in 
erose e se laora in fin che la è finida. 

La tela che se rcominzia la vien a esser ingropada su la 
pèdena 7 . La pèdena per chi no ’l sà, la è quele tre quarte de 
fil che co se a fenido de laorar , se lassa sempro sul peten par 
n’ altra olta. Parchè se el peten Tè novo e no Vi la pèdena, se 
cogne incoatarlo 8 e Tè an laoriér Ione e diffizil prechè se à da 
cior sù 9 tut al teler. Del peden del tessèr i fà tela gropolosa, 
parchè ogni mèdo metro de fil l'è an grop 10 e cossita gnente se 
perd. El grop che noi fon al fil co se laòra, s’el dis grop a ongia 
o ala tessèra u . 


1 Agra, inacidita. 

* Bruschin, setolino o spazzola. 

3 Erba carnièla , ‘Brornus rnollis (?) 

4 Seo, sevo. 

5 Ghigo, ganglio. 

6 Pitica, stiacciata. 

1 ‘Pèdena, panerata, panerò. Quella piccola parte di ordito la quale rimane 
in fine della tela senza esser tessuta. Ai fili della panerata sogliono rannodarsi 
i fili di altra pezza che in continuazione della prima si voglia tessere; cosi si 
risparmia tempo c lavoro. 

8 Incantar, raffermare, adattare. 

0 Cior sù, rimontare. 

10 Grop, nodo. 

41 Grop a ongia, nodo, allicciatura. Q.uel groppo speciale che usano i tes- 
sitori per giungere filo a filo e che comunemente si dice alla tessèra. 

Ecco alcuni altri nomi di nodi che si adoperano nel Bellunese per altre 
operazioni campestri: grop canoslrèl ; grop da cavai; grop da pèden; grop da sar- 
tori; grop da vachèri; grop pian ; grop da sàche; grop da strèpa. 

Fra tutti, il più decantato, ma certo il meno pratico, è il grop de Salamon 
(nodo di Salomone), che è pure conosciuto dal contadino, cd ha anche per 



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IA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 4I 

Adess dirai el nom de le impreste 1 da laovar e dele arte 9 
del teler. 

Le arte del teler, o gli attrezzi del telajo. 

leler> telajo. Grosso arnese quadrangolare di legno col quale 
il tcssir o cargnid (tessitore) fa la tela di canape. 

Brancai , brancali, panconi. I quattro legni verticali che for- 
mano le quattro cantonate del telajo. 

Traverse , sbarre. Nome collettivo di due stanghe orizzontali 
distanti poche dita Tuna dall’altra. Sur una di esse passa e strìscia 
il tessuto che discende ad avvolgersi sul subiello l’altra; serve di 
appoggio al tessitore. 

Cassa , cassa. Due legni orizzontali paralleli, uno al di sopra 
dell’altro, distanti quanto è la larghezza del pettine che si frap- 
pone. 

Subio , ulott , subbio. Cilindro orizzontale che attraversa la 
parte posteriore del telajo e da potersi far volgere su di s è per 
avvolgervi Tordito. 

Canesda del sogol. È una scanalatura nella larghezza dei 
subbio e subbiello per incastrarvi la bacchetta. 

Ma^a de trata , lungo bastone piegato ad una estremità con 
cui il tessitore stando al suo posto, fa girare il subbio e lo tiene 
fermo. 

Subièloy subbiello o carretta. Specie di subbio nella parte an- 
teriore e inferiore. Sul subbiello si va mano mano avvolgendo il 
tessuto. 


esso T antico significato magico e cabalistico, e ricordasi usato da streghe c 
maghi nelle loro evocazioni ed in opere di magia. 

In Cadore i fanciulli prendono alcuni rami di salice selvatico, li tagliano 
in tanti pezzetti di eguale lunghezza e poi li intrecciano in maniera da for- 
mare un gropo o pigna che è difficile sciogliere e che ha la pretesa di essere 
una imitazione del magico nodo. 

4 Impresta, strumenti, specialmente relativi ai lavori campestri. 

2 Arte , attrezzi, qui relativi al telajo. 

Archivio por k tradizioni popolari — V«l. X. 6 


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I 


42 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Tirador del subièlo . Breve bastone piegato esso pure ad una 
estremità che s’ introduce ne’ buchi del subièlo per avvolgervi la 
tela tessuta* 

Zirèlè y girelle. Due dischi di legno a ciascuna testata del subbio, 
affinchè meglio sia rattenuto l’ordito che vi è avvolto. 

Busnei, specie di girelle. Si adoperano per far intima (fodera) 
o roba spinada invece delle girelle e sono puleggie che servono 
a far scorrere le licciate. Si chiamano busnei perchè girano i 
busna , cioè fanno rumore; quando si adoperano i busnei , occorrono 
quattro carcole (calcole) e non due, come si usa per far tela ordi- 
naria. 

Balan^in y bilancieri. Regoli di legno appesi per il mezzo alle 
girelle inferiori per la estremità delle calcole. Servono special - 
mente essi pure a far tela spinada . Sono attaccati alle quattro 
maneghe di sotto e servono per lavorare di tela. Sono poco ado- 
perati. 

Matteghe o Li%. I licci uniti. 

Bacbèta . Bacchetta o bastoncino, la quale incastrata nel canale 
del subbio, rattiene fermo l’ordito e sul subiello il tessuto, affinchè 
non isguscino nel tenderli. 

Can o pesatigol, cane. Lieva imperniata nei suo mezzo contro 
il brancate in prossimità della stella, nei cui denti curvi imbocca 
l’estremità di un braccio di essa lieva allargato e fesso. L’altro braccio 
è il manico e serve a liberare la stella, onde poter girare il subbio 
mano a mano che si progredisce nella tessitura. « Un sàs picà 
s' un ranzin che tien zò ei molinèl (stella) che no i vade atorno 
(Contadino). 

Li licci. Serie di fili di spago, lunghi tre o quattro palmi a 
pendenti tra il subbio c la cassa del pettine , ma più vicine a 
questo. 

Ordiy ordito. Tutti quei fili, tesi orizzontalmente, e destinati 
a formare la larghezza del panno che s' ha a tessere sul telajo. 

Li^adora, licciarola. Lunghi regoli di legno che reggono le 
licciate. (( 'Na stèca larga quatro dèt (diti) longa doi braz. Se usa 
a far i fiz coi quai se salda le maneghe sù in son (in alto) c 
abasso » (Contadino). 




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LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 


43 

Cros de F ordì, croce deirordito. Estremità deirordito opposta 
al piede nella quale i fili s’incrociano e sono in qualsiasi modo 
raccomandati al subbiello. 

Bosema, bozzima. Intriso, qui d’orzo e fagiuoli inaciditi, coi 
quali si soffrega l’ordito per renderlo liscio. 

. Navesèla , spola. Arnese di legno a foggia di navicella, me- 
diante cui il filo del ripieno si fa passare in quello dell’ ordito 
nell’operazione del tessere. 

Spòla, rochil , cannello. Specie di rocchello su cui è avvolto 
una quantità di ripieno. 

Trama , ripieno. 

Tràta, mandata; se dis, tràta, trar via ; andar t gnèr (andar e 
venire). 

Tèlen , pettine. Arnese formato da qualche centinajo di stec- 
chine per lo più di buccia di canna , sottili , parallele e vicinis- 
sime, fra ciascuna delle quali passa uno dei fili dell’ordito. L’uffi- 
cio del pettine è di tener divisi i fili dell’ordito e di serrare contro 
il tessuto ciascun successivo filo del ripieno. « E1 peten 1 J è fat 
de steche de cana gargana cotta. (Arando donax ). Se doperà otto 
maneghe a far un peten quattro sora e quattro sot. In prima se 
gh’ en ciol una e se fa metà dei liz , e se i ferma co an legàz 
(legaccio). Dop se ciol l’altra mèza e se fa el liz intiero. Terminà 
sta operazion, el se dama peten. Allora se lo incoorsa l , se l’è senza 
pèdena , e par incoorsarlo se doperà la lizzadora. Dopo se ciol 
doi stec in erose, se l’apoja segura e se fa i liz (Contadino). 

1 dent (la sarta , bell.; Fi^a, feltr.), denti. Cosi chiamansi le 
stecchettine delle quali è formato il pettine. 

Banca , panchetta. Quella su cui sta seduto al telajo il tessitore. 

Orlivo , cimósa, vivagno della tela. 

Tendila , tempiale-tendella. Arnese col quale si tiene ben di- 
stesa, nel senso della sua larghezza, la tela che si sta tessendo. 

Pèdena, panerata, panerò. Quella piccola parte dell’ordito che 
rimane in fine della tela senza esser tessuta. 


1 Vedi per questo vocabolo alla parola incorsatura del Vocabolbrio dome - 
tico di Francesco Rambelli, pag. 179. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


FU biattc y tirella. Riga o striscia, che qui dal contadino si fa 
per ogni mudada (vestito), onde determinarla. 

FI restii , rastrello. Ordigno tutto di legno fatto di due assi 
orizzontali a cui sono fissate altre piccole traversali a breve di- 
stanza. Serve per caricare l’ordimento, per ogni buco o interstizio 
fanno passare venti fili e cosi li distribuiscono per tutta o quasi 
tutta la larghezza che deve avere la tela; quando poi hanno finito 
di caricare l’ordito sul subbio, allora il rastrello si apre, cioè ne 
levano la parte superiore o viceversa e lo cavano agevolmente. 

Ma^èta, mazzetta, pajuola. Quel numero di fili necessari a 
costituire l’altezza, ossia la larghezza voluta dalla tela. 

( Continua ) Angela Nardo-Cibele. 




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e 



LA LEGGENDA DELLO SCIOCCO 

NELLE NOVELLINE CALABRE. 


R che tanto si studiano i tipi umani, non è vano che 
anche il demopsicologo ricerchi il tipo della scioc- 
chezza. In proposito non poco si è scritto, e massime 
dal dr. G. Pitrè, per modo che nulla quasi resta a dire circa la 
storia della sciocchezza. L'origine di questa personificazione fan- 
tastica della sciocchezza è indiana, secondo il Pitrè, che ne trova 
qualche versione fino nel Tanlschatantra (Fiabe, Novelle e Rac- 
conti popolari siciliani, Palermo, 1 875, voi. I, pagg. LXVII-LXXXVIII). 
« Ogni popolo — egli dice — ha i suoi personaggi favoriti, nei 
quali individualizza cento storielle di sciocchezze, di furberia, di 
astuzia, di rilegiosità, di divozione, che, avvenute in un luogo, o 
non avvenute mai, presero qua e là sviluppo e ferma stanza. Però 
questi personaggi, differenti nei nomi, si somigliano nella natura, 
perchè informati a un medesimo tipo ». Poi che il De Gubernatis 
iniziò gli studi comparati su le tradizioni novellistiche dello sciocco, 
si è accertato che il tipo dello sciocco furbo appartiene a più luoghi 
e a più tempi. I Piemontesi, i Lombardi, i Bolognesi, i Veneziani, 
i Napoletani, i Salentini e i Siciliani hanno Simonètt, Meneghino, 
Bertoldo e Bertoldino, Mato, Turlulù, Giucca, Vardiello, Trian- 
niscia e Giufà. 




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4 6 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Non ho stimnto necessario apporre varietà e riscontri alle 
nostre novelline per mostrare i rapporti che ha il tipo calabro 
della sciocchezza con quello di altre tradizioni congeneri, italiane 
e straniere, perchè sono stati già fatti nel volume terzo dell’ o- 
pera citata del Pitrè e nella lettera deli’ Imbriani contenuta nel 
voi. quarto della stessa. 

Or se v’ha tanta somiglianza tra i dialetti, i canti e le tradi- 
zioni della Calabria e della Sicilia , del pari è « perfetta somi- 
glianza fra certe novelle calabro-sicule ». La somiglianza delle no- 
velline calabrosicule riferentisi al tipo leggendario si manifesta 
innanzi tutto nel nome di esso, il quale in Sicilia è Giufà, Giucà 
e Giuxà, e nella Calabria citeriore è Juvadi e per abbreviazione 
Juvà\ E poi, se si raffrontino le scempiaggiani che a cotesto tipo 
si attribuiscono nelle due regioni , ne segue che il. fondo è lo 
stesso, comechè v’appaia qualche variazione. D’ordinario il Giufà 
siciliano è babbu , lagnasti e marioli i> e il calabrese Juvadi è pari- 
mente ciuotu , lintrunu e maligtusu\ ma parmi che Juvadi sia meno 
locco di Giufà. 

Raffrontiamo queste novelline soltanto con quelle del popolo 
siciliano. Sette delle novelle calabresi e alcune delle siciliane, salvo 
qualche caso particolare, a un dipresso son le stesse. Cosi si ri- 
scontrano Giufà e la statua di glassa (Pitrè , op. cit. , voi. Ili, 
CXC, § i), e la nostra Juvadi e la cruci e cerasa (n. X); Giufà 
e lu Judici (§ 3 e pag. 372), e Juvadi e li muschi (n. XI); Giufà 
e la simula (§ 6 ), e Juvadi e la ammara (n. XIII) ; Giufà e la 
ventri lavata (§ 7), e Juvadi e la trippa (n. II); Giufà e la Hjocca 
(§ io), e Juvadi e la jocca (n. I); Giufà e li latri (§ 11, e pag. 377), 
e Juvadi e li briganti (n. XIV); Canta-la-notti (§ 13, e pag. 375), 
Fra Ghinìparu (CLX, pag. 250-51), Gnè ca pugaret e Giuyjait (op. 
cit., voi. IV, III) , e Juvadi e lu cantalanotti (n. V) ; Lu loccu di 
passali e fica (op. cit., voi. Ili, CLXXXVIII), e Juvadi e la Prin - 
cipissella (n. VI); Sdirrameddu (ivi, CLXXXIX), e Juvadi e li gai- 
lini (n. IX); Lu scarparu e li monaci (n. CLXII), e Juvadi e lu 
jencu (n. IV); Lu Partannisi (n. CL) e Juvadi e la sua morti (n. XV). 

Le altre novelline calabre (nn. VII, Vili, XII) non si ri- 
scontrano, per quanto io sappia, con versioni siciliane. 


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RE 


LA LEGGENDA DELLO SCIOCCO 


47 


In Calabria, quando si dice male di chi ha commesso troppe 
cattiverie, è usitato il motto : N’ ha fatiti quanta Cappiellu ; e chi 
sa se il nome accenni a una personificazione popolare del ma- 
landrino , o a un personaggio reale. Pongo la ipotesi si perchè 
tuttora in Acri vive la famiglia plebea de* Cappiellu e si perchè 
abbiamo avuto qualche tipo sciocco realmente esistito , qual sa- 
rebbe don ’Razio, (di cui spero pubblicar le sciocchierie) e non 
è impossibile che ci sia stato anche qualche tipo di furbo. E quando 
s’ha a parlare di qualcuno, eh’ è la quintessenza della sciocchezza 
come in Sicilia si dice : Nni fici quanta Giufà , cosi da noi usa a 
ripetere proverbialmente : TSC ha fatta quanta Juvadi. Ciò fa so- 
spettare che non poche debbano essere le versioni concernenti il 
tipo calabrosiculo dello sciocco ; ma noi non si potè racco- 
glierne più di quindici, e lo stesso Pitrè ne reca sedici (op. cit., 
pagg- 344-79)- 

Credo che a’ folkloristi torneranno gradevoli queste curio- 
sità inedite del nostro popolo, e perchè quel tipo par che vada 
scomparendo, forse essendo la sciocchezza morta affatto o quasi, 
e perchè non si son mai messe in luce novelline o fiabe cala- 
bresi di tal genere , salvo una sola edita da F. Chicco. E pur 
metteva il conto di farne una raccoltina, perchè se ne ha di 
quasi tutte le altre regioni italiane, salvo la Sardegna, della quale 
soltanto conosco la versione , Michele Figus , inserita nelle mie 
'Novelline popolari sarde , a pag. 12 1. 

I. — Juvadi e la jocca *. 

’Na vota c’era ’nu ciuotu 2 chiamatu Juvadi. ’Na matina ’a 
mamma dici a Juvadi : — « Ju vaju fóri , e nu’ mi fari trovari 
danni a la casa. Nun fari esciari 3 ’a jocca, ca si difriddanu 
l’ova.» ’A mamma escietti d’ ’a porta, Juvadi s'ha sbracat’ i qua- 
zuni 4 , s’ è misu supra 1’ ova, e ha dittu: — « ’I cuvu ju V ova, 
c’ 'a gallina ’u’ li sa cuvari.» Ma illu gravava tantu eh’ ha ruttu 
1’ ova, e si n’ è chinu tuttu ’u cudu. Pu’ s’ è misu a ridari di- 
ciennu : — '<( Mi ci fazzu ’na bella frittata, ci miscu puru i pullici- 

1 Chioccia . — 8 Sciocco .—* 3 Escire . — 4 Calzoni. 


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48 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

nielli, e sa cumu sa. » È ricota 1 ’a mamma , ha trovatu chillu 
dannu, ha pigliatu ’nu vetti 2 e F ha minata buonu. 

II. — Juvadi e la trippa. 

’Nu juornu 'a mamma ha accattatu ’na trippa, e ha dittu a 
Juvadi: — « Va a lavari ssa trippa, e lavada bona.» Juvadi è jutu 
a lavari 'a trippa, ma apparti ’e jiri a la juinara, è jutu a lu mari; 
s’ è misu a lavari e gridava : — « Oooooi genti ! è davata bona 
ssa trippa ?» I marinari Fhanu sentutu e duntanu 3 , e si cridianu 
ch’era ’na persuna chi vodia passari ’u mari; su’ juti ed hanu 
trovatu a Juvadi eh’ ancora gridava : — « Genti ! è bona davata 
ssa trippa?» Chilli, sdingati 4 , Fhanu fattu ’na bona vattuta. Ju- 
vadi ha jettatu ’a trippa intr’ ’u mari, c si 11’è fujutu ; ed è ri- 
cuotu a la casa dopo dua juorni , e ha dittu : — « ’A trippa mi 
Fha levata ’nu dupu 5 , mamma mia.» Chilla povarella chi vodia 
la trippa, chiangiennu chiangiennu F ha fattu ’na ferma vattuta 
eh’ è statu ’nu misu a lu diettu c . 

III. - Cioty 7 ’e Juvadi. 

’Nu juornu Juvadi ha dittu a la mamma: — « Va, zappa tu, ca 
ju staju a la casa.» E \a mamma ha rispusu: — « Fatti tutti i ser- 
bizia ca ju vaju a zappari. ’Un fari mangiari i ricotti a la gatta; 
conza ’u diettu; scupa ’a casa; ’un fari perdari "a jocca, va a lu 
jumi c fa ’a vucata 8 .» Juvadi ha rispusu : — «r Sini, sini, mamma 
mia.» Cussi illa è juta a zappari, e Juvadi apparti 9 ’e conzari ’u 
diettu, Fha sciollatu 10 , ha pigliatu i matarazzi e la vutana 11 e Fha 
jettati ’mmienzu ’a casa; pu’ ha .china ’nu cofanu e cruopu ia , e 
Fha cernutu "a casa ’a casa; e ha dittu : — « Mi fa fami.» Ha pi- 
gliatu e s’ha mangiati! tutti i ricotti ; doppu ha pigliatu ’nu ca- 
daruottu e ci ha bullutu ’a jocca cu’ li pullicini c si F ha man- 
giati. Pu’ ha chinu ’na sporta ’e panni, ed è jutu a lu jumi, Fha 
jettati ’ntra F acqua, e si n’ è jutu. 

1 Raccolta, ma qui vale tornata .— 2 Palo. — * Lontano .-— 4 Sdegnati .— 5 Lupo. 
— 0 Letto . — 7 Scioccherie. — H Bucato . — 9 Invece. — 10 Rovesciato . — 11 Specie di 
pagliericcio. — 12 Concime. 



LA LEGGENDA DELLO SCIOCCO 


4 * 


'A via via l’è scontatu 1 ’nu ciucciu, e illu l’ha acchiappata 
ppe la cuda ; chillu 1’ ha jettatu ’nu cauci e F ha spezzatu ’na. 
gamma. Juvadi chiangiennu chiangiennu si n’ è jutu a la casa , 
s' ha chiusu ’a porta, e s’ è curcatu supra ’u focudaru. 

’A sira s’ è ricota ’a mamma, e ha chiamatu a la porta: - — 

« Juva’, apirèmi.» Illu ha rispusu:-^« Inno.» — « Ha' patutu ncunu 
dannu ?» — « Isl. » — a E c’ ha patutu ?» — « ’A gatta s’ ha mangiati! 
i ricotti .» — « Via via, 'un è nenti, ca 'un accattamu "chiù. Juva’, 
apirèmi.» — « Inno.» — « E cumu ? n* ha’ patutu ’n’ autru dannu ?» 
— « Isl.» — « E chi cos’è?» — « È persa ’a jocca cu’ li pullicini. »■* 
— a Via via, ca nu’ fa nenti, apirèmi mo.» — «Inno.» — « E cumu 
va ? ncun’ autru dannu ha’ patutu ?» — « Isl, » — E c' ha’ patutu ? » 

— « Sugnu jutu a lu jumi a la vari , e T acqua s' ha pigliatu i 
panni.» — « Via via, ca nu' fa nenti, apirèmi mo.» — « Innò.» — 

« E c’ha’ patutu?» — « ’Nu ciucciu m’ha ruttu 'na gamma.» Al- 
lura ’a mamma ha scasciatu 'a porta, e ha trovatu ’a casa tutta 
ruvinata, e s’è misa ad ammazzari; pu' ha pigliatu ’nu padu, ha 
minatu buonu a Juvadi e 1’ ha cacciatu fora. 

IV. — Juvadi e lu jencu. 

Juvadi ha dittu a la mamma: — « Vaju a la fera.» ’A mamma 
ha rispusu: — « Accatta 'nu jencarieilu a .» Illa 1’ ha datu i dinara, 
e Juvadi si n'è jutu a la fera. Ha accattatu ’nu biellu-jencarielluv 
e si n’è jutu a la casa. È passatu ppe duvi i monaci e l’ha tra-* 
vati ’mmienz’ ’a via; appena 1’ hanu vistu, hanu dittu:— « Juva', 
duvi si statu ?» E Juvadi ha rispusu: — « Sugnu statu a la fera, 
ed haju accattatu ’nu jencarieilu.» I monaci rispunnianu ad unu 
ad unu : — « È jencu o zimmaru 8 chissu ?» Passa ppe duvi ’n 
autru monacu. « Juva’, chid’ è chissu ?» — • a È ’nu jencarieilu.»* 

— « È jencu o zimmaru chissu ?» — « È jencu e no’ zimmaru 
chissu, l’haju pagatu vinti ducati.» ’U guardianu ha dittu: M' 
’u vu’ vinnari a mia, ca ti dugnu deci ducati ?» — « Quannu è 
zimmaru, pigliatidu.» Cussi ’u guardianu l’ha datu deci ducati, e 
si n’è jutu a la casa. ’A mamma ha dittu: — « C' ha’ fattu ?» — 

1 Incontrato. — * Piccolo giovenco. — 8 Caprone. 

Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 7 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


<r Haju fatta: haju accattatu 'nu biella jencariellu, sugau passatu 
ppe duvi i monaci, e m’ lianu ditta ca chillu era zimmaru ; si 
T hanu accattatu illi e m’ hanu datu deci ducati.» 'A mamma ha 
pigliatu ’nu vetti, ha minatu a Juvadi, e V ha dittu : — « Mada 
nova ti vo’ veniri ! t’ ha' fattu chiacchiariari e di monaci ?» 

Allura Juvadi s’ è bcstutu e fimmina, cu’ li patrinnuosti a la 
manu, ed è jutu a la ghiesia e di Cappuccini, e stava là. E fattu 
notti, è jutu # ’u sacristanu e ha dittu: — « Vatinni c’ haju e chiu- 
dari a ghiesia.» Chillu ha rispusu : — « Fammicci dormari ppe ca- 
rità.» — « 'U vaju dicu a lu guardianu.» È jutu, e ’u guardianu 
ha dittu: — « Sini, sini, facci ’u dormari.» Quannu è fattu mèz- 
zannotti, è jutu cittu cittu ' a la cella e du guardianu, s’ è pri- 
sentatu avant' ’u diettu, ha cacciatu ’na mazzarella e sutta ’a ve- 
sta, e ha 'ngignatu 2 a minari diciennu: — « È jencu o zimmaru ? 
eee te"; è jencu o zimmaru ? eee te’ »; e minava. Quannu 1’ Ha 
lassatu mienzu muortu, si n’è jutu. 'A matina su' juti i monaci, 
ed hanu trovatu ’u guardianu chi stava moriennu; priestu priestu 
su’ juti a chiamari i miedici ppe vidari chi cos’ era. 

Juvadi si n’è jutu a la casa, s’è bestutu e miedicu, ed è jutu 
a spassiari avanti i Cappuccini. Ed esciutu ’nu picuozzu 3 , ed ha 
dittu a Juvadi : — « Chini si vussuria ? » Juvadi ha rispusu : — 
(( Ju sugnu ’nu miedicu frustieri , c' è ncunu madatu ? » ‘U pi- 
cuozzu priestu priestu V è jutu a diri a li cumpagni chi 1’ hanu 
fattu trasiri. Trasutu, e guardatu su madatu, ha dittu Juvadi: — 
« Chissu ha avutu mazzi.» 

Cussi ha mannatu fora tutti i monaci chi si trovavanu là; 
chini è jutu a fari cafè, e chini è jutu a pigliari medicini. Allura 
Juvadi , restatu sudu sudu , ha cacciatu 'a mazzarella e sutta ’u 
suprabitu, ha ’ngignatu a minari e dicia: — « È jencu o zimmaru ? 
eee te’; è jencu o zimmaru chissu? eee te'.» Cussi l'ha cunsu- 
matu buonu buonu eh’ è restatu muortu ’u guardianu. Juvadi si 
n’ è fujutu. Su’ ricuoti i monaci , hanu truvatu ’u guardianu e 
chilla manera, su’ misi a chiangiari, e 1* hanu addimmannatu: — 
((Chi t’ha minatu?» ’U guardianu ha rispusu: — « M’ ha minatu 

4 Zitto zitto. — 8 Cominciato. — 3 Monaco questuante senza beneficio d 
messa. 


LA LEGGENDA DELLO SCIOCCO JI 

chillu eh* è stata cca.» Hanu dittu i monaci: — « ’U vodimu jiri 
a biliari.» E cussi hanu misu ’u guardianu supra ’na seggia , e 
su’ misi a currari ppe arrivari a chillu. Juvadi l’ha bisti e dun- 
tanu , e ha dittu a V omo chi zappava : — « Oi bell' omo chi 
zappi, vidi vidi quantu genti chi ti minanu.» Chillu s’è spagnatu, 
ha jettatu ’u zappuni, e si n’è fujutu. Altura Juvadi s'ha pigliatu 
’u zappuni, e s’è misu a zappari. I monaci hanu arrivatu a chil- 
T omu, e T hanu ‘fattu ’na ferma mazziata. Chillu puvariellu gri- 
dava: — « Pecchi mi minati ? ju V b’ aju fattu nenti.» Juvadi e 
duntanu si ni ridia, ha jettatu ’u zappuni, e si n’è jutu a la casa 
diciennu: — « M’ haju pagatu ’u jencu miu.» 

V. — Juvadi e lu cantalanotti. 

Era la sira e carnidevaru. ’A mamma e Juvadi ha ammaz- 
zata ’nu gallu e l’ha cuottu cu* li maccarruni ; è benutu Juvadi 
e hanu mangiatu. Doppu mangiatu ha dittu a la mamma : — 
« Mamma mia, cumu si chiama chissu chi n’amu mangiatu?» ’A 
mamma ha rispusu: — « Figliu, chissu è ’nu cantalanotti.» E cussi 
Juvadi ha sentutu ’n omu chi cantava ’mmienzu 'a via, è jutu e 
Pha ammazzatu, e Pha purtatu a la mamma. ’A mamma s’è misa 
a gridari: — « Ciuotu, chissu era ’n omu e no' cantalanotti. » Ju- 
vadi ha dittu: — « Via via, mamma mia, ’u mintu intra nu saccu 
e lu vaju jettu e ’na timpa *.» Ppe la via Juvadi ha scontatu ’n 
omu chi portava ’n autru saccu, e P ha dittu : — « Cumpa’, chi 
puorti intra ssu saccu ?» E chillu ha rispusu : — - « Puortu ’nu 
puorcu.» Juvadi ha dittu: — « Vodimu cangiari ?» Chj^u sbentu- 
ratu ha dittu: — a Si.» Ed hanu cangiatu. Juvadi è jutu a la casa 
duvi ’a mamma, e ha dittu : — « Mamma mia, minti ’a quadara 
ca spinnamu ’nu puorcu. Chiudi ’a porta ca vaju a fari ’na mma- 
sciata. » Ed è jutu duvi e chillu chi P avia datu ’u saccu cu’ lu 
muortu, e Pha dittu: — « Chissu ha’ fattu? mo ti cuonzu ju ca 
vaju duvi 'u judici. » Chillu tuttu chiangiennu ha dittu : — « ’U' 
diri nenti ca ti dugnu cinquanta ducati. » Cussi Juvadi s ’ ha pi- 
gliatu 'u muortu e cinquanta ducati. Doppu è jutu a la porta e 

1 Rupe. 


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5 * 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


di monaci, Pha misu allallirta f , e ha sonatu ’u campaniellu ; e 
intra ’u sacristanu ha apicrtu ’a porta,, e la muortu è cadutu; ’u 
sacristanu dicia: — « Azati azati ! C ha* patutu?» Esci Juvadi e 
■dici: — «Cussi s’ammazzanu i genti?» ’U sacristanu dici: — « ’U' 
diri nenti, ca ti dugnu cinquanta ducati.» E Juvadi:— « Si ni vu’ 
c’ u’ dicissi nenti, m’ he dari cinquanta ducati, ’n abita ’e monacu 
e lu muortu.» Juvadi piglia lu muortu, li minti Pabitu, ’na pippa 
a la vucca , P assetta a lu cacaturu e di monaci , ed illu s’ am- 
muccia. È jutu ’u guardianu ppe fari ’nu bisuognu, ha trovatu a 
chillu, e T ha ditta: — « Susiti c’ haju e fari ’nu bisuognu »; ha 
pigliatu e P ha mmuttatu * , e chillu è cadutu. ’U povaru guar- 
dianu dicia: — « Su, su^ chi t’ haju fattu ?» Esci Juvadi e dici: — 
« Cussi s’ammazzanu i genti ? mo vaju davi ’u judici e lu dicu.» 
*U guardiana spagnatu 3 ha rispusu: — « Ppe carità V diri nenti, 
cà ti dugnu cientu ducati, e P orbicamu 4 .» Juvadi s’ ha pigliati 
i cientu ducati , e lu muortu P hanu misu a la fossa. Juvadi si 
n’è a la casa tutta ailegru cu’ i duacientu ducati, e ha ditta 

a la manetta: «c Mamma mia, cumu m’ ha fruttatu ’u cantala- 
tto&i! sugna fatta ricca....» 

Vi. — Juvadi e la Principissella. 

’Nu juornu Juvadi è jutu a fraschi, e ha trovatu ’nu prànzu 
e cèrea carricatu e padummi, si P ha chiavatu 6 supra i vrazza e 
Ita portava cu’ tant’ allegrizza. Quand’era vicinu ’u paisi, si c’ è 
«uisu a cavalla, e la tirava. E d’ ’a finestra e du re si ci trovava 
■’a Princ^fSsella, e s’è misa a ridari forti. Juvadi Pha guardata e 
ha ditta: — « Ti via prena e mia ». Priestu priestu èd esciuta 
4»rena, e dojppu novi misi ha fattu ’na <iuatrariellu. ’U re tantu chi 
&tava dispiaciuta eh’ ha chiamàtu ’u cunzigliu e ha dittu: — « Cun- 
zigiiatimi chi cosa haju e fari a chissà c’ ha fattu ssa vrigogna; 
,ju nu’ puozzu mai Gridari a chillu chi dicinu ». ’U cunzigliu ha 
tispusu : — « Facimu veniri tutti Puomini e du regnu, e vidimu 
a chini chiama papà ». Allura ’u re ordinò chi tutti Puomini si 
iuossiru ^risentati a la casa sua. Cussi su’ benuti baruni, re, prin- 

1 Airimpiedi. — * Spinto. — * Spaurato, — 4 Inumiamo. — 5 Caricato. 


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LA LEGGENDA DELLO SCIOCCO 


53 


cipi , gadantuomini , mastri e tamarri 1 , e a nulla ha chiamatu 
papà. Sudu c’era restatu Juvadi eh’ ’u bolia veniri, ma’ ’u re l’ha 
fattu veniri a forza. Appena 1’ ha bistu, ’u quatrariellu 3 s’è jet- 
tatu intra i vrazza ’e Juvadi, e l’ha chiamatu papà. Altura ’u re 
ha chiamatu ’e nuovu ’u cunzigliu, e ha dittu : — « Chi pena s’ha 
de dari a chissà c’ha ssa vrigogna ? » Chilli hanu rispusu : — 
« 'A chiudimu intra ’na vutti, e 1’ àrrummudamu ’e ’na timpa » 
Cussi hanu fattu fari ’na vinta, e la rigina ci ha misu ’nu saccu 
’e ficu e passudi, ed hanu chiusu ’a Principisella, ’u figliu e Ju- 
vadi. Su’ juti a la derrupari ’e ’na -timpa. Quannu s’ arrummu- 
dava, Juvadi dicia: — « Iesci, iesci, ca ti dugnu ficu e passudi.» E 
jettava puini ’e ficu ’e passudi fòri e d’ ’a vutta. ’A vutta s’ è fer- 
mata a ’nu chianu; Juvadi ha scasciatu ’a vutta, e sun’ esciuti. 

Vicinu là ci stava ’na fata, chi si misi tantu a ridari c’ avia 
’na vozzarella 3 e 1’ è passata e d’ ’a canna. ’A fata tutta cuntenta 
ha dittu a Juvadi: — « Chi cosa vu’ ? ju tuttu puozzu e ti fazzu 
beni. » Juvadi ha rispusu: — « Fammi riventari ’na casa, ca ’un 
hamu duvi stari.» ’A fata ha pigliatu ’na frusta, ha fattu ’nu cir- 
chiu ranni ranni, e ha dittu: — « Si ci vo’ rivintari ’nu padazzu 
cu’ tutt’ i comoti e d’ ’u munnu. » Cussi si ci riventò ’nu biellu 
padazzu, e Juvadi tutt’ allegru cu’ la Principissella e la figlia ci 
su’ trasuti. ’A Principissella ha dittu a Juvadi : — « T’ avia de fa- 
tari a tia ppc ti passari ssa ciotia 1 chi tieni.» 

VII. — Juvadi e la Principissa. 

: Na matina ’a Principissa ha persu a Juvadi, s’è njjsa a gi- 
rari ppe li cammari, e l’ha trovatu a ’na finestra. Là sparava cu’ 
la vucca, e facia bu, bu, bu , bu,... bu.... bit bu bu .... bit. Illa l’ha 
gridatu: — «Chi cosa fa’ ?» E Juvadi ha rispusu:— « Sparu a ssi vespi 
e a ssi muschi, ca si no trasinu, ni muzzicanu e potimu moriri.» 

Vili. — Juvadi e la Principissa. 

’N antru juornu Juvadi s’ è persu , e ’a Principissa nu’ lu 
potia trovari. ’U juornu appriessu 1’ hanu trovatu cu’ ’na cuda e 

* Villici. — 2 Bimbo . — 3 Tumore sotto la gola . — 4 Grulleria, 


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54 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

vacca a li mani chi guardava ’n aria e sparava bu, bu, bti bu .... 
bu.... bu bu bu .... bu. Hanu dittu: — « Juva’, chi fa’ luocu?» E Ju- 
vadi tuttu ridiennu: — « Avia ammazzata ’nu puorcu sarbaggiu, è 
benutu ’u vientu, e mi 1’ ha levatu. Ju tant’ e d’ 'a forza c’ haju 
fattu, tira cca, tira là, chi m’ è restata ’a cuda a li mani.» 

IX. — Juvadi e li gailini. 

’N atra vota Juvadi ha dittu: — « Vaju a lu gallinaru a pi- 
gliari ova.» È jutu, ha pigliatu ’nu curtiellu, ha ammazzatu tutt’i 
galiini, e 1’ ha appicati i mura mura. Sunu juti a bidari, hanu tro- 
vatu chillu dannu, e su’ misi a gridari: — « Pecchi ha’ fattu ssa 
cosa ?» E Juvadi: — « Sugnu fattu chianchieri ! 1 chi boditi ?» 

’A Principissa ha pigliatu ’nu vettu , 1’ ha mazziatu buonu 
buonu, e pu’ 1’ ha cacciatu fora ppe tutti ssi ciotij. 

X. — Juvadi e la cruci "e cerasu. 

Juvadi avia ’n orticiellu, e c’ era ’nu sudu pedi ’e cerasu. Illu 
s’ ’u curtivava cu’ tanta affezzioni, ma ss’ arburu ’un ni portava 
mai ’nu cuocciu a . ’Nu juornu ’u patrunu ha persu ’a pacienzia, 
e ha dittu : — « ’U vuogliu tagliari ssu madadittu arburu c’ ’un 
porta nenti.» Taglia ’u cerasu, ci fa ’na cruci, e la chiama intra 
l’orticiellu. Illu cridia ca si pregava a Gesù Cristu, li facia tutt’i 
grazij; ma prega oij, prega craj, prega pruschillu 8 , nu’ bidia mai 
’na grazia. Allura Juvadi sdingatu piglia la cruci, ’a jetta ’n terra, 
’a fa a cientu piezzi, e dici : — « Ju ti sacciu 'e quannu era ce- 
rasu.» 9 

XI. — Juvadi e li muschi. 

Juvadi era sempri ’nquetatu cu’ li muschi, pecchi ’i cacciava 
e nu’ si ni volianu jiri. ’Na vota è jutu a si cunsigliari cu’ lu 
judici, chi s’ è misu a ridari e 1’ ha dittu : — « Sa’ chi bu’ fari ? 
duvi ni vidi, ammazzali.» Sentiennu eccussi, Juvadi vidi ’na musca 
supr’ ’u nasu e du judici, ci jetta ’nu biellu puinu 4 e ci 1’ am- 
macca. 


1 Macellaio, — * Ciriegia, — 3 Posdomani, — 4 Pugno, 


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LA LEGGENDA DELLO SCIOCCO 


55 


XII. — Juvadi e lu cumpari. 

Si cunta ca ’na bella jurnata Juvadi è jutu a trovari ’nu cum- 
pari. ’A muglierà facia lu pani, ed illu ha dittu: — « Buonu ve- 
nutu , Juva’, statti cu’ nua, ca n’ ajuti a fari ’u pani. » Mentri a 
fimmina stava a la cucina ppe fari ’u mangiari, Juvadi va .a bi- 
dari s’ era crisciuta ’a pasta, trova ’na cammara tutta sciollata 1 
e tutta jaccazzi 2 , duvi ’u vientu trasia ed escia, ed ha dittu: — 
« Fa lu pani, e ’a casa sta sciollannu, mo ci ’a vuogliu conzari 
ju.» Ha pigliatu ’a pasta, e l’ha fravicata i mura mura ppe ntip- 
pari 8 tutt’ i grupi 4 . Quannu ’a cummara ha trovatu chillu dan- 
nu, s’è misa a gridari: — « Fuocu miu ! fuocu miu ! cumu fazzu ? 
mo veni marituma 5 e m’ammazza.» Juvadi tutt’ affruntatu ha dittu: 
— « Apparti ’e mi ringraziar! , ca a’ casa stava sciollannu, mi pi- 
glia cu’ madi parodi.» E si n’ è fujutu. 

XIII. — Juvadi e la cummara. 

’Na vota Juvadi è jutu a trovari ’na cummara. Chissà quannu 
l’ha bistu, tutta cuntenta ha dittu: — « Buonu venutu, cumpa’, ’u 
piaciri chi m’ he fari è de stari stamatina cu’ mia. Tu guardami 
’u picciudillu 6 , ca l’haju curcatu , ed ju fazzu i serbizij e da 
casa.» Juvadi ha pigliatu ’u picciudillu, ha bistu ca tenia la capu 
molla molla, ha pigliatu ’na spinguda 7 , l’ha fattu esciari ’a me- 
dulla, e ha dittu: — « Madonna mia! teni lu figliu cu’ ’na pu- 
sterna nun ci pensa. » Quannu ’a mamma vidi ’u picciudillu 
muortu, s’è misa ad ammazzari, e gridava: — « Figliu... miu... fì- 
gliu... miu, t’aju dassatu a li mani e ’nu ciuotu.» Juvadi ha dittu: 
— « Ppe fari beni ricivu malu.» E si n’è jutu. 

XIV. — Juvadi e li briganti. 

’Nu juornu Juvadi è jutu fóri, è azziccatu supra ’nu mun- 
tariellu, s’è misu a pisciari, e dicia a li davinelli 8 : — « Arriva a 
chillu tu, e tu arriva a chillu, chillu arriva a tia, e chillu arriva 
a chili’ autru. » ’Na cumpagnia ’e latri, chi si trovavanu sutta ’u 

1 Oliasi diruta. — * Fessure. — 3 Chiudere. — 4 Buchi. — 5 Marito mio. — 
• Bambinello — 7 Spilla. — 8 Rivoletti. 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


muntariellu e si stavanu spartiennu tanti migliara ’e pezzi ’e ar- 
gientu, hanu sentutu diri cussi, e cridiennu ch’ara la forza, si ni 
su’ fujuti. Juvadi si n’è scisu, s’ ha cuotu tutti chilli pezzi, ’e si 
n’ ò ricuotu a la casa carricatu e dinara. 

XV. — Juvadi e la sua morti. 

’Na vota Juvadi è jutu a ligna cu’ lu ciuccili. È nchianatu 
supra ’na cerza , e stava tagliannu ’nu pranzu , quannu passa ’n 
omu e li dici: — « Juva’, statt’ accortu ca cadi, eh 1 ’u pranzu si 
ni sta beniennu.» Juvadi ha rispusu: — « ’Nn ti ni ’ncaricari, ca 
nu’ muoru ju.» Ma diciennu eccussì, si n’è cadutu, e ppe ’na zica 
zica 1 ’un è muortu. Allura Juvadi ha dittu a chillu: — « Bon o’, 
quann’ haju e moriri ju ?» — « Quannu ’u ciucciti tuu fa tri pi- 
dita.» Juvadi ci ha crisu, e nu 1 si n’ è scordatu. Illu avia de fari 

’n’ irta, e lu ciucciu ch’era troppu caricu ha fattu ’nu p « Uh 

mada nova mia !», dissi Juvadi, « ’a morti mia s’ abbicina.» Illu 

va chiù avanti , e senti lu ciucciu chi fa ’n autru p , e chiù 

trema e d’ ’a paura. Quannu senti l’urtimu, sbeni, e cadi ’n terra 
cumu ’nu muortu, e resta ’mmienz’ ’a via. ’U ciucciu, chi l’ avia 
fatta chi sa quanti voti chilla via , s’ è ricuotu a la casa cu’ li 
digna, ma senza e Juvadi. ’A mamma vidiennu ’u ciucciu senza 
’u figliu, s’ò quagliata 2 , e si h’è juta fóri ppe bidari chillu c’avia 
patutu ; trova Juvadi jettatu a la tumanca 3 supra ’a via , si ri- 
cogli e mmanna ’u prievitu , ’nu fratellu cu’ la cruci, ’u^sacri- 
stanu cu’ l’acqua santa e quattr’ uomini cu’ la vara. S’ ’u mpe- 
sarunu 4 , ma si lamentavanu ca gravava forti, e ogni deci passi 
si spunianu. Arrivati a ’nu puntu e d’ ’a via, Juvadi aza 5 la capu, 
e grida : — « Votiti e cca. » Chilli c’ ’u purtavanu e d’ ’a paura, 
pecchi ’u cridianu muortu , ’u jettarunu \n terra , ed illu ’u po- 
varu Juvadi s’ha ruttu ’a capu c ppe daveru si n’è muortu. 

F. Mango. 


1 Poco poco. — 2 Spaventata. — 3 Alla supina. — 4 Caricarono . — 5 Alza. 


!■ 


- Qgl- 



NOVELLINE POPOLARI TOSCANE. 


La novella di Oimè ! 


’era una volta una regina, che era molto avara, e non 
dava mai il becco d’ un. quattrino a nessuno. Questa 
regina desiderava di avere uti figlio, e per questo de- 
siderio andava ogni giorno alla Chiesa a pregar Dio per ottenerlo. 
Nell'andare alla chiesa incontrò una mattina una povera vecchia- 
rdi!, che con voce piagnolenta gli chiese la limosina; la regina 
con cattivo garbo gli disse : — « Gran noiosi che sono i poveri ! » 
e gli diede un quattrino. 

La mattina dipoi rincontrò la solita vecchia , che di novo 
gli chiese la limosina, e lei gli disse': — «Non ve la diedi ieri? 
non sapete che siete noiosi! ». 

— « Maestà, con un quattrino c’ ò da far poca strada ». 

— « Bene, eccotenc un altro ». 

E di novo, la mattina dopo, la vecchia ritornò a chiedere la 
limosina. La regina, annoiata, la scacciò con cattiva maniera. La 
vecchia allora gli disse: — «Tu vai alla chiesa per ottenere un 
figlio: l’avrai, ma non lo goderai », e se n'andò. 

La regina, colpita da queste parole, le fece correre dietro of- 
frendogli del denaro; ma la vecchia non si trovò più. 

Archivio per le tradizioni popolari . — Voi X, 8 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPÓLARt 


58 

In capo a nove mesi la regina partorì un bellissimo maschio, 
e per quello che gli avea detto la vecchia gli pose nome : Oìmè ! 

Si può considerare quante cure si avessero a codesto bam- 
bino; ma inutile, perchè una mattina che la sua nutrice 1’ aveva 
sulle ginocchia in una sala terrena , comparve un grosso cane , 
prese il bambino in bocca, e se ne fuggì. La nutrice urlò, ci corse 
dietro per avere il bambino, ma tutto fu invano. 

A questa novella la regina rimase; ma come c'era preparata, 
non disse nulla. Seguito ciò, la regina divenne tanto buona, ele- 
mosiniera , che non c’ era poverello che non fosse da lei bene- 
ficato. 

Lasciamo questa regina così convertita, e parliamo di un po- 
vero omo di campagna che era rimasto vedovo con tre figli. Per 
dar da mangiare a queste sue creature, gli conveniva andare per 
i boschi a rubare delle legna per poi venderle. Per un pezzo durò 
codesta storia , ma i padronali se ne accorsero e tutti gli pro- 
misero che se 1’ avessero ritrovato nel suo podere, l’avrebbero 
legnato. Un giorno codesto pover omo, non sapendo dove darsi 
la testa, chiamò le tre figlie, c gli disse: — « Figlie mie, bisogna 
che mettiate il capo a partito, e cerchiate di guadagnarvi il pane ; 
io non posso più darvelo ». Le tre fanciulline si misero a pian- 
gere : — «Sì, faremo tutto quello che potremo, ma almeno per 
oggi procuratecelo da mangiare ». — « E come fare ? in qualunque 
luogo che io mi presenti, mi hanno minacciato di legnarmi! ». 

Ma prega, prega; il poveretto prese il su’ asinelio, e se ne 
andiede cercando bonav^ntura. Vagando per la campagna, vidde 
un bellissimo giardino , che apparteneva a una magnifica villa. 
Si accostò e vidde della bellissima insalata , che per la stagione 
che correva era una rarità, e il povero vecchio diceva fra sè : — 
« Se ne potessi avere un poca, potrei prender de’ danari e por- 
tare il pane alle mi’ sciagurate figliole ». S’accostò al cancello, 
e lo trovò aperto. Lo spinse pian pianino, e vi entrò. Guarda da 
tutte le parti, e non vedendo nessuno, si mette a cogliere l’ in- 
salata, e riempì i corbelli del su’ asinelio. Fu così indiscreto che 
ne lasciò un cesto solo, che era grossissimo; e costì se ne fuggì, 
al mercato a vendere l’insalata, e ne ricattò bona moneta. 


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NOVELLINE POPOLARI TOSCANE 


59 


Con questa moneta vissero più di una settimana; ma finito 
il danaro, il padre ripetè alle figlie ciò che gli aveva detto pochi 
giorni avanti. Loro rispondendogli che avrebbero pensato, avreb- 
bero fatto , ma per quel giorno bisognava provvedere ; e tanto 
dissero e tanto fecero che il povero padre lo costrinsero a ri- 
tornare a prendere anche il cesto lasciato. 

Il padre vi andò con malincuore. Arrivato al giardino, trovò 
ancora il cancello aperto; tutto pauroso vi entrò, e non vedendo 
nessuno, andiede a cogliere il cesto della insalata. Ma questo aveva 
sì forti radici, che per svellerlo dalla terra, bisognò che adoprasse 
molta forza, e cedendo, il vecchio battiede una solenne culata; 
e gridò : Olmi ! Quando ad un tratto, da una finestra sente una 
voce : — « Chi è che mi chiama ? » 

Il contadino tutto spaventato si rivoltò , e vedendo un si- 
gnore, gli disse : — « Io no, non vi ho chiamato ». — « Sì, mi hai 
chiamato; e così ora ho capito chi è stato il ladro della mi J in- 
salata ». 

Il vecchio si gettò in ginocchioni chiedendogli perdono, e 
dicendogli che era un povero padre, che doveva sostentare tre 
figlie, e che la miseria P aveva ridotto a questo. Allora quel si- 
gnore gli disse : — « Hai tu figlie ?» e gettandogli una borsa di 
danaro, gli disse: — «Vai a casa, fai ripulire le tue figlie, nu- 
triscile, dimmi dove tu stai, e fra otto giorni verrò a vederti ». 

Il contadino tutto contento gli insegnò la su’ casa, e rin- 
graziandolo, tutto felice se ne tornò a casa sua, raccontando alle 
figlie l’accaduto. 

La minore delle tre figliole era molto bella , e P altre due 
capirono che a quel signore la gli sarebbe piaciuta, e rimprove- 
rano il padre di aver detto che aveva tre figlie. 

— « Ma è cosa da rimediarci ! dissero, perchè a lei la rinchiu- 
deremo in una soffitta, e ci faremo vedere noi due sole, e a quel 
signore gli direte che avete sbagliato a dirgli che avete tre figlie, 
ma che eravate tre in famiglia ». 

E cosi fu fatto. 

Venuto il giorno che doveva presentarsi questo signore, le 




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6 o 


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due cattive ragazze si acconciarono nella più bella maniera. Arrivato 
il signore, guardò le du* ragazze, ma nèl’una, nè l’altra gli piacque; 
sicché dice al padre: — « Mi avevi detto che avevi tre figlie, e 
queste son due ». 

— « Avete ragione : ma mi sono sbagliato; volevo dirvi che 
eramo tre in famiglia ». 

Ma in questo mentre una voce lontana grida: — « Ci sono 
ancor io ! » e il signore obbligò il padre a fargli vedere quei- 
raltra figliola. La vidde e la gli piacque tanto ; e senza fare altri 
discorsi, la prese e disse: — « Questa sarà la mi’ sposa ». 

Le altre sorelle rimasero svergognate e piene di ira (caro- 
gne, ’un eran altro ! ). Oimè la condusse nella sua villa, la fece 
tutta ben vestire, e poi le fece girare tutto il palazzo, e gli disse: 
— a Qui tu siei la padrona, meno che non andrai mai in questa 
porta ; anche se tu volessi, non potresti, perchè la chiave l’ho io 
al collo. » E lei : — « Ci ho tanto da vedere e girare, che non mi 
importa nulla di sapere cosa si racchiude là dentro ». 

Costì vissero felici, e lo sposo era molto contento che era 
presso ad avere un figliolo. 

Un giorno gli dissero a questa ragazza che c’ erano le su’ 
sorelle, che erano venute a visitarla. Ella le accolse di bon core, 
e dopo averle fatto molte feste le condusse a girare il su’ palazzo. 

Le curiose volevano vedere cosa ci era anche in questa porta. 

— « Oh ! che ci vol’esser li dentro? » 

— « Questo non lo so neppur io , perchè mio marito non 
volc ». 

« Voi dire che tuo marito non t’ama, perchè ha de* segreti 
con te. Noi poi vorrebbimo vedere cosa c’è là dentro ». 

« ’Un me ne importa; e poi se ancora lo volessi, non potrei 
farlo, perchè la chiave la tiene al collo lui ». 

— « Ehi! come siei strulla! Quando lui dorme, prendigli la 
chiave, e vai a veder cosa c* è ». 

— « No, no, non lo farò mai ! » 

Ma, partite le sorelle, gliene venne la voglia, e la sera quando 
il marito dormiva, tagliò il cordoncino dove vi stava appesa una 




NOVELLINE POPOLARI TOSCANE 


6 1 


chiavetta d’oro, e con un lume in mano, con la camicia da’ notte, 
si avviò alla porta. L’aperse, e rimase stupida nel vedere un lun- 
ghissimo corridoio tutto illuminato, dove c'erano, di qua e di là, 
tante donne che lavoravano un corredo per un bambino di na- 
scita, ma cosi bello che vi erano fino de' ricami d* oro. 

Si accosta a una di codeste donne , e gli domanda : — « Per 
chi lavorate? » — «Per il figliolo del re che ha a nascere »; e 
giù a tutte le donne fece la stessa domanda, e tutte gli dissero 
la medesima cosa. 

In fondo al corridoio c’era una vecchina che filava, e a questa 
vecchina gli disse : — « E te per chi fili, bona vecchia ? jd 

La vecchia gli rispose : « Per te ingrata ! » e gli diede una 
forte spinta, che la meschina si ritrovò sola, al buio, in mezzo a un 
bosco. Dalla forte scossa gli vennero i dolori del parto , e le si 
mise a piangere e maledire il momento che aveva sentito le so- 
relle. Si mise a guardare di qua e di là , se potesse distinguere 
qualche foco acceso. Lontano, lontano, gli parve di vedere un chia- 
rore, e cammina, cammina, giunse rifinita e coi dolori che la 
tormentavano. Là giunta, vidde una bellissima villa, e c'erano sol- 
dati che la guardavano. La poverina chiese un po’ di alloggio 
per quella notte, dicendo che aveva smarrito la strada; loro passa- 
rono l'imbasciata alla regina, perchè la padrona di codesta villa 
era una regina. 

Vennero du’ damigelle di servizio, e la fecero passare in un 
quartierino tanto bellino che 'un se n’era mai visto l’eguale; man- 
darono avvertire il medico e la levatrice; e appena giunti, la po- 
verina fece un bellissimo maschio. La regina, tutta felice, volle 
andare a vederlo e si offri di farle da comare a questa donnina. 

La notte dopo la regina diede ordine che du’ damigelle gli 
facessero nottata nella stanza accanto a questa donna. A mezza- 
notte le du' donzelle se ne stavano sonnacchiose; viddero entrare 
un bellissimo giovane tenendo in mano una campana di oro , e 
diceva : 


Campana d’oro, stoppino d’argento, 

Dov’ è la mi’ bella, dov’ è il mi’ contepto ? 



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E la campana gli rispondeva : 

Passa passa, e vai in bon’ ora, 

È nel letto, e dorme ancora, 

Con il su’ bambino accanto 
Che non s’ è destato ancora. 

Entrò questo giovane, e prendendo nelle braccia il bambino, 
gli cantava la nanna : 

« Fai la nanna, gioia mia 1 
Se la nonna ti conoscesse 

In fasce d'oro te fasceria. 

Fai la nanna, gioia mia ! 

Se li galli non cantassero, 

Le campane non sonassero, % 

Che fortuna sarebbe la mia 1 
Fa’ la nanna, gioia mia 1 » 

E dopo un par d’ore, si alzava per andarsene, e ripassava 
accanto alle du* donzelle, che in quel momento 'un sapevano più 
muoversi nè parlare. 

Appena sparito, le du’ donzelle dicevano: «Ma hai veduto? 
Hai sentito?» l’una alPaltra. — «SI, risponde queiraltra. Mi par 
niiH’anni che sia giorno chiaro per raccontar tutto alla regina ». 
E la mattina lo raccontarono alla regina, ma la 'un voleva cre- 
derlo, dicendogli : — « Avrete sognati ». 

— « No, no, Maestà, non si è sognato; e poi dovevamo so- 
gnare tutte e due compagne ? » 

Questa regina decise la notte dopo di starci lei a vegliare. 
Alla solita ora comparve il giovane della campana d’oro, e alla 
regina gli pareva di trovarci somiglianza con il su’ piccolo fi- 
glio ; ma siccome ella ne aveva il ritratto , pensò bene di pas- 
sarvi anche la notte appresso portando il piccolo ritratto. 

Per tornare un passo indietro, la regina aveva la virtù d’ ’un 
poter perdere la parola; sicché quando ebbe riconosciuto che quello 
doveva essere il su’ figliolo, lo trattenne per un braccio, sino che 
non sonarono i mattutini, e al sono di questo si rompeva Y in- 
cantesimo che già era stato fatto da quella vecchia, che non gli 
avea voluto dare la limosina. 


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Sonarono le campane, e il giovane voleva fuggire, ma la 
regina lo trattenne, dicendo: — « No, tu sii mio figlio! » e lui 
rispose : — «SI, voi siete mia madre »; e gettandole le braccia al 
collo si strinsero Tuno e l’altro. Pieni di contentezza aspettarono 
che facesse giorno ed entrarono nella camera della partoriente, 
e le raccontarono che essa era moglie del re, e che la regina 
era sua socera. 

Lascio considerar la sorpresa di quella giovinetta, e la feli- 
cità. Furono latte grandi feste per il ritrovamento del figlio e del 
nipote; 


E se ne vissero e se ne godettero 
E a me nulla mi dettero. 

Siena *. 


VARIANTI E RISCONTRI 

Questa novella ci richiama a tre motivi principali, oltre vari altri , come 
Paneddoto della vecchia in principio : 

i° Il padre che va a raccogliere erbe, e nel tirare un cesto incantato, gli vien 
fuori un signore, a cui il pover uomo promette una figliuola; e questa final- 
mente è la terza. Per siffatto motivo si cfr. Capo di becco , novellina toscana 
nell' Archivio delle trad. pop., voi. I, p. 37, la Barbuta e il Macchiatolo di Pisa, 
nn. Ili e*XXXVIIi delle Novelline pop . italiane del Comparetti, La Manetta 
di morto , n. XLlV delle Sessanta nov. Montai . del Nerucci; La bbella man - 
duebe, n. I delle Nov . abr. del Finamore; La figlia di 9 . Andrea degli Usi e 
Costumi abruzzesi del De Nino, p. 248; la 39' delle Fiabe mantovane ; la No - 
veliina pop. (greca) di Roccaforte in Calabria, nella Calabria , an. Il, n. 10; 
Mdtchen und Sagen aus W dischi irol del Vicentini; Lu scava di Palermo e le 
altre novelle indicate a pp. 180-182 delle mie Fiabe , Nov. e 1 Racconti . 

2 0 La sparizione della ragazza, la quale ha disubbidito agli ordini del ma- 
rito aprendo una porta che non doveva; ond’ella si trova sola e abbandonata 
in un bosco e poi viene ospitata per carità in un palazzo reale, e vi sgrava. 
Su di che cfr. Serpentino di Pratovecchio, n. IV delle Novelline pop . tose . da 
me pubblicate in Palermo, per nozze Imbriani-Rosnati; Der Seller i y n. 30 dei 
ZhCàrchen dello Schneller; El re Bufoli, n. XVill delle Fiabe veneziane del Ber- 
noni ; Ombricn , n. IV della Novel/aja milan . dell’ Imbriani, e a p. 327 della 
Novellaja fiorentina, 2* ediz., dello stesso; Il cavolo d'oro, 11. XIII delle Fiabe abr . 

1 Raccontata da Umiltà Minucci, sarta. 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


del De Nino; U rre puorcu ; di Benevento, de’ Componimenti minori del Coraz- 
zine p. 429; Oh la viola ! della Basilicata, del Comparetti, n. XLVIIl; Il re 
Sonito, novellina pop . romana di miss R. H. Busk ne’P Archivio cit., v. IV, 
pag. 489 la novella calabrese di Cosenza della Zoologìcal Mithology del De Gu- 
bernatis, II, 286-87; Die Geschichte voti Principe Scantini , n. 43 de* Sicil. Màr- 
chea della GonzenBach e Ln re (Tati ini inulu di Salaparuta, n. XXXII delle cit. 
mie Fiabe. Per altri riscontri parziali vegga si a p. 16 delle cennate mie No* 
veliine pop. toscane , e le indicazioni ivi date. 

3® 11 motivo della lampada fatata e il dialogo. Vedi, oltre La sorti di hi 
conti di Borgetto, n. VII delle Fiabe siciliane, Donna Teppina di Catania nel 
Comparetti, n. LII; '*A rumatila d’ ’a scala *e sita di Rogiano-Gravina (prov. 
di Cosenza in Calabria) di V. Caravelle nel Giambattista Basile di Napoli, 
an. II, n. 12, pp. 93-94; La sóre de lu Còttde , n. XXXV del Finamore; Figlio 
di conte e cognato di re y n. LVIII del De Nino; El fijo de Re delle Novelline 
e Canti pop. delle Marche del Gargiolli. 

Le Fate. 

Cera una volta una mamma, che aveva du’ figlie: una bona 
e una cattiva. Questa cattiva proprio era sua: l’aveva fatto lei, e 
quella bona era figlia di un’altra madre. Un giorno a quella bona 
gli diede una libbra di canapa e gli disse: — « Tu devi andare 
a badare alle mucche nel bosco, e filare tutta questa canapa ». 

Questa bambina a piangere, poverina ! Viene una vecchflna, che 
era una fata, e : — « Bon giorno, bambina ». — « Bon giorno, 
nonnina ». — « Mi pettini? » — « No , ’un posso, perchè ci ho 
da fare questa canapa ». — « Poi te Ir. fo io ». H la pettina. 

Dopo un pezzetto dice : — « Bambina, cosa mi trovi in capo ? » 

— « Perle e oro ». — « Perle e oro avrai ». — La vecchiqa gli piglia 
questa canapa, va dalle mucche e dice : 

Mucche, con le corna filate, 

E con la bocca annaspate. 

E le vacche lo fanno. 

Questa bambina arriva alla sera, figurarsi come l’era allegra ! 
Va a casa, per la strada a cantare tutta contenta, e la mamma: 
— «Che ha fatto quella cosa!» — « Mamma, l’ho bella e finita». 

— « Brava, bambina ! Domattina devi andare dalle fate a pigliare 
lo staccio ». 


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NOVELLINE POPOLARI TOSCANE 6$ 

Questa bambina a piangere , a piangere ; ma trovò la vec- 
china, che gli dice : — « Bon giorno, bambina ! » — « Bon giorno, 
nonnina ». — « Cos’è che piangi tanto ? Che t’hai, Nina ? » — « ’Un 
so dove sono le fate ». — « Te lo insegnerò io; lo vedi quel ponte 
là ? li sotto ci sarà un uscio. Le fate ti diranno : « Bambina, ar- 
ruffa tutta la casa, rompi tutti i piatti » ; ma tu devi .rimettere 
tutto perbenino. Ti diranno : « Che vói tutte chicche , o pan 
nero e cipolla? » Tu dirai: « Io piglierò che mi danno loro; 
ma io piglierei cipolla e pan nero », e vedrai che ti daranno tutte 
chicche. Poi ti diranno: « Come vói essere tinta: nel cappo d'oro 
o dell’olio ». Tu hai a dire : « nel cappo dell’olio ». Tu vedrai, 
ti metteranno nel cappo dell’ oro; tu verrai tutta bella. T' hai a 
picchiare; ti diranno : « Bambina, metti un dito »; invece t’hai a 
mettere uno stecco; se no, ti tagliano il dito ». — « Grazie, vec- 
china ». — « Di nulla, bambina ». 

Questa bambina arriva là e picchia. — « Chi è ? » — « Son 

10 ». — « Mettete un dito ». Invece lei mette uno stecco ; se no, 
gli tagliavano il dito. 

La passa in casa : — « Bon giorno ! Dice la mamma : che glielo 
dà lo staccio per piacere ? » — « Bambina, arruffami tutta la casina, 
rompimi i piatti ». Invece lei accomoda tutto perbenino; i piatti 

11 rigoverna. — « Bambina, va’ in camera, arruffami ogni cosa », 
e lei invece accomoda tutto perbenino , rifà il letto perbene. 

— « Brava, bambina ! cosa vói : chicche o pan nero ?» — « Quel 
che vogliono loro : pan nero ». E invece gli portano un pollo, 
e chicche di tutte le specie. E poi quando n’ebbe tante mangiate, 
ne conserva alla su’ mamma e alla su’ sorella. — « Bambina, dove 
vói essere tinta : nel cappo dell’ olio , o nel cappo dell’ oro ? » 

— « Nel cappo dell’olio ». E la pigliano invece, e la mettono 
nel cappo dell’oro, e la viene tutta bene con uno stracciarne che 
bisogna vedere! E poi la va via. Gli dicono prima di andare via: — 
« Quandotu senti ragliare il ciuco ’un ti voltare; quando senti can- 
tare il gallo, voltati ». 

Cammina un pezzo, e trova il ciuco; « Canta, canta, ma io 
'un mi volto ». Poi sente cantar il gallo, lei si volta, e gli viene 
Archivio per le tradizioni popolari . — Voi X. 9 



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66 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

una bella stella in fronte, ma tanto bella ! e tutti la guardavano. 

— « Guarda quella bella signorina ! » . 

Veggono uno splendore la sii' mamma e la su’ sorella. 
— « Guarda, quella bella ragazza, entra nel nostro uscio... Guarda : 
è la mi' sorella; 1’ è la Caterina, l*è la Caterina! Vuo’ andare 
anch’io a portare lo staccio, vuo’ andare anch'io », fa la bambina 
cattiva. 

Questa bambina cattiva si chiamava Giovanna. Dice la mamma : 

— « Domani hai andare te ». E va questa bambina la mattina, 
e trova la vecchina.— <r O bambina, bon giorno! ». — « Guarda 
quella vecchiaccia; io ’un gli voglio dare il bon giorno. Basta : gli 
darò il bon giorno... » — « Bambina, dove vai ? » — « Dove mi 
pare e piace ». — « O che importa rispondere cosi?» — «Basta: 
gli dirò : vado dalle fate a riportare lo staccio. Che lo sa dove 
stanno ? » — « No. Che te l’ho a insegnare io ? » — « Si ». — * Vedi 
quel ponte là ? »— « Si, l'ho visto ».*-« Son là. Ti diranno: « bam- 
bina, mettimi tutta perbenino la casa ». Invece te l’hai a rompere 
ogni cosa, l’hai ad arruffar il letto, tutto. Poi se ti diranno : « vói 
chicche o pan nero?» — «Io voglio le chicche, V hai a dire te, 
voglio doventare bella come la mi* sorella ». Poi ti diranno : 
« Dove voi essere tinta nel cappo dell’oro o nel cappo dell’olio ? » 
T’ha’ a dire : « Io nel cappo dell'oro voglio doventare bella come 
la mi' sorella ». Gli fa tutte queste avvertenze; poi la richiama : 
« Sai, Nina! quando picchi, invece dello stecco devi mettere il dito; 
se no, ti tagliano lo stecco ». — « Arrivedella ».— « Addio », senza 
ringraziarla nè nulla ». — « Mi ringrazi ? ». — a Basta.... la rin- 
grazio.... ». 

La bambina va là a picchiare. — « Chi è ? » — « Io ». — « Bam- 
bina, metti un dito ». Mette il dito, e gli tagliano il dito. Tutta 
sanguinosa questa figliola, la entra in casa delle fate, e la prin- 
cipia a piangere: — « Guarda cosa mi hanno fatto !... Ecco: tenga 
lo staccio; la mamma gli manda a riportare lo staccio ».— « Bam- 
bina, mi metti perbenino tutta la robba ? » Invece lei gli rompe 
ogni cosa. — « Bambina vói chicche o pure pan nero ? » — « Io voglio 
chicche come le ha dato alla mi’ sorella ». — « SI », e invece gli 


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portano tutto pan nero e cipolle. Questa bambina li mangia. — 
« Dove vói essere tinta : nel cappo dell’ oro , o nel cappo del- 
l’olio ?» — « Nel cappo delPoro, voglio doventare bella come la 
mi’ sorella ». La pigliano e la mettono nel cappo dell' olio. Fi- 
gurarsi ! brutta era tutt’ unta, bisognava vederla ! Prima di andar 
via gli domandano : — « Quando senti cantare il gallo ’un ti ri- 
voltare; quando senti ragliare il ciuco, voltati ». E l’avvia. 

Cammina , cammina un pezzo , canta il gallo. « Canta , 
canta , ma io ’un mi volto. » Dopo un poco cammina un altro 
pezzo, raglia il ciuco; la si volta e gli viene sulla fronte una gran 
coda lunga lunga , da testa gli arrivava insino a' piedi. La co- 
minciò a dire questa figliola : 

Dalo dalò I 
La coda dell’asino 
Mi si attaccò. 

La va a casa questa figliola a piangere : — « Guarda che mi hanno 
fatto a me ! a lei no ! » 

La "su’ mamma piglia il coltello, taglia, taglia, ’un gli riesce 
di tagliarla quella coda ; poi gli riesce , ma gli resta ancora il 
segno , il camino. 

Un giorno il re vede quella bella ragazza, con una bella 
stella nella fronte : « La voglio io per isposa quella ragazza , la 
voglio io per isposa ». 

Fissarono che quell’ altro giorno sarebbe andato a pigliarla. 
La pensò la matrigna di riporre questa bella ; messe panni alla 
su’ brutta, gli tagliò un altro poco la coda, e vesti lei. E questa 
bella la messe in un tino. 

Eccoti il re viene a pigliarla (brutta!) e se la mette in car- 
rozza — c’èra un gallo, e avviò a cantare : 

Gnau gnaulino, 

La bella 1* è nel tino , 

La brutta 1’ è in carrozza 
Che il diavolo se la porta ! 

Cera un servitore; sente fare questo canto a questo gallo. Il ser- 
vitore lo disse al padrone : — « La bella è nel tino ». Andettero 
e cavarno la bella, e ci messere la brutta, nel tino. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Eccoti che la matrigna la scalda una caldaia di acqua bol- 
lente, e va a portarla per buttarla nel tino e così far morire la 
Caterina. La diceva la figlia: — « Mamma, ’un mi bruciate, son 
la vostra figliola ! ». 

— « La mia figliola la è a marito, 

Con cento anella in dito ! » 

La bruciò, e la mori. Quando credette che la fosse morta , an- 
dette a cavarla , e vidde che era la su* figliola , e lei per 'un 
essere scoperta la levò, la vesti. La messe a capo-scala con una 
rocca e un bel pinocchio di stoppa. 

Eccoti che torna il su' padre ; credendo che la dormisse, 
— « Così tu fili ? » fa. Gli dà un capaccione, e gli fece barellare 
tutta la scala. Scappa fori la mamma : — « Oh birbante , tu hai 
ammazzato la mi’ figliola ! ». Allora andettero per giustizia dal re; 
il re , che sapeva che ci avevano messo per tradimento quella 
bella nel tino diede la su' sentenza : e il padre fu liberato, e ca- 
stigata la mamma, che la bruciarono. E il padre si ritirò, con la 
figliola, quell’altra; 

E lì se ne stiedero, e lì se ne godiedero, 

E a me nulla mi diedero. 

Larga la foglia, stretta la via : 

Dite la vostra, che ho detto la mia. Firenze 4 . 


VARIANTI E RISCONTRI. 

A Londa, presso Pontassievc , prov. di Firenze , si chiama la novella del 
Gitilo mamone. Il gatto canta questi versi : 

Gnau gnaulino, 

La bella l’è sotto il tino; 

La brutta l’è in carrozza : 

Il cavai bianco del re che se la porta. 

In una variante della Garfagnana Estense le due bambine vanno a do- 
mandare lo staccio in casa delle Fate , e s’ affaccia alla finestra la spasola 
(granata). La bambina cattiva canta : 

Don don ! 

L.t coda dell'asino mi si .ut acci» ! 


Raccontata da una certa Teresita Ciabatti, che l’avea sentita da una 
sposa fiorentina. 


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NOVELLINE POPOLARI TOSCANE 


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Altra variante toscana di Pratovecchio è La Vecchina nella citata mia rac- 
colta di Vovelle popolari toscane , n. Vili, alla quale seguono due altre, egual- 
mente toscane: Le Fate e l Gatti , versione questa che finisce quasi con le 
medesime parole de La bella e la bruita delle 'N,ovelline di 5 . Stefano in 
Calcinaio del De Gubernatis, n. I. 

Altre versioni toscane abbiamo nella Novella ja fiorentina, nn. IX e XV : 
La bella Caterina e La bella e la bru:ta, e n. XIII : Il Luccio, al quale segue 
h} Siielin , vers. milanese. Nina la stella e Betta 7 codon , nella Vigilia di 
Pasqua di Ceppo del Gradi, è una variante anch’essa toscana, e cosi pure quella 
riassunta nella Zoological Mythology del De Gubernatis, 11, 62; Le Fate , p. 409 
del Corazzimi; The Little Conveut of Oats, di Colle di Val d’Elsa, e The Fai - 
riis ’ Sieve , di Barga nella Garfagnana, nn. I e li dei Tuscan Fairy Tales. Si 
cfr. con II Cestello, di Jesi, n. XXXI del Compare rri ; con Lu cuscinille 
o. XVIII del De Nino; con Le tre fate , III, io del Basile; con il Cuntu di 
li tftusceddi, di Maglie, del Pellizzari, p. 37, dove però la ragazza fortunata 
aiuta i micini a’ servigi di casa , e la sorellastra no ; con Li dui soru , e La 
mammadràa, nn. LXII e LXIII delle mie Fiabe. In Bologna la Coronedi-Berti 
ne raccolse una versione col titolo: La fola dèi sJa%, n. IX della seconda edi- 
zione delle sue Novelle . 11 Bernoni, n. XIX delle Fiabe , ne diede una versione 
veneziana : La putela dai qtiatro oci , ed un’altra che ha il medesimo fondo 
nelle Tradizioni pop. veneziane : I cinque bra\i de tela; una tirolese lo Scrnel- 
ler, n. 8 : T)ie Scìnvestern , che ha molti punti di rassomiglianza con Die 

Geschichte von dea z ivel Schwestern , n. 7 ; e con Le due sorelle , p. 14 delle 
Fiabe e Leggende della valle di Rendena nel Trentino del dott. N. Bolognini. 

Nel comune di Giugliano in Campania ne raccolse una var. col titolo : 
'U cunte r ’ e ggatte mcccose L. Taglialatela, e la pubblicò nel Giambat Lista 
c Basile, an. II, n. 7; Napoli, 15 luglio, 1884, p. 54; ed una albanese-calabra 
iti Palfagorio, intitolata : Le due sorelle , L. Bruzzano , che ce la fece cono- 
scere ne La Calabria , an. I, n. 3; Monteleone, 22 novembre 1888. 

Per la matrigna che perfidia a danno della figliastra cfr. 1® i Siciliani - 
sche Màrchen della Gonzenbach, nn. 2, 3 , 4 , ed a p. 45 del voi. II; 2* le 
mie Fiabe, Novelle e Racconti, nn. XLI, LVI, LVll. 

G. PlTRÈ. 



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SPIGOLATURE DI USI, CREDENZE, LEGGENDE » 


VII. — La giostra dei tori e un mago in Fano (1822). 


er aver cagione di prolungar la presente, voglio rac- 
contarti cosa che ti farà ridere. 

<( In Fano, distante dieci miglia da Pesaro, dura 
tuttavia un antico costume di celebrare, appunto di questi tempi, 
una giostra di tori, alla quale è molto il concorso dai paesi cir- 
convicini; e giorni sono ebbe luogo il primo spettacolo. 

« Fu mandato in arena un toro veramente feroce. Egli è legge 
che ognuno, che ami di accingersi con queste bestie, sia libero 
di entrare nello steccato. Niuno osò presentarsi contro quel fiero; 
e quanti cani si arrischiarono di assalirlo , tanti ne furono lan- 
ciati in aria e sventrati. Finalmente si fece innanzi un villano, 
che, con is.tupore di tutti, si mise a fronte del tremendo animale. 
Gli si accostò francamente; e il toro, fatto mansuetissimo, lasciò 
avvicinarsi e carezzarsi e palparsi ; e lambiva la mano che ló 
blandiva. A quel portento tutti restarono attoniti e muti; indi un 
batter di mani che andava alle stelle. Quand' ecco improvvisa- 
mente un uomo che s’alza, e grida : « Costui è un mago ». 

* Continuazione, vedi Archivio, v. IX, p. 518. 



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SPIGOLATURE DI USI, CREDENZE, LEGGENDE Jl 

« È mago », ripeterono con voce furibonda alcuni altri dello 
stesso colore ; e « fuoco al mago , fuoco ai mago ! » s’ intuona 
da tutte le parti. Il presidente della giostra, persuaso ancor esso 
che quel prodigio non poteva essere che mera opera dei diavolo, 
fa spiccare quattro gendarmi che intimano al mago di uscire 
dallo steccato , e te lo menan in prigione. Dimandato il perchè 
di questa sopercheria, gli vien risposto : « Perchè tu sei un mago, 
e n’andrai impiccato e bruciato ». — « Che mago mi andate voi 
contando ? » ripete il villano. « E non capisce Sua Eccellenza, e 
Sua Riverenza, che se il toro mi ha fatto carezze, egli è perchè 
ha riconosciuto in me il suo padrone ? 

<r Pareva che tal risposta, conforme alla testimonianza di molti 
che per vero padrone del toro lo riconobbero, e ne fecero giu- 
ramento , avesse dovuto far rinsavire il nobile presidente; ma il 
povero mago è ancor nelle carceri, e si disputa quid agtndnm » l . 

Vili. - La tana del Re Tiberio. 

Leggenda romagnola . 

« La leggenda intorno alla Tana del re Tiberio è popolaris- 
sima in tutta Romagna. 

« La tana del Re Tiberio è uno speco profondissimo, che s’apre 
e s’interna per molti chilometri forse, nella schiena rocciosa di 
Monte Mauro, il monte più alto della catena preappennina sor- 
gente oltre Rido verso Cascia Valsenio. 

« Quello speco non fu mai esplorato per intero da alcuno : 
solo in parte lo studiarono gli archeologi, che avendovi scoperto 
con certi loro scavi metallo battuto e utensili già usati a batter 
moneta, lo giudicarono nascondiglio o officina di falsi monetari 
nel Medio Evo. 

«r Del resto è impossibile, poiché la storia di que’ luoghi non 
dà lume alcuno in proposito, per poter chiarire come e perchè di 

1 Vincenzo Monti, Epistolario (voi. VI delle Opere). Milano Giovanni 
Resnati, 1842 — Lettera a Teresa Pikler Monti (moglie di Vincenzo). Pesaro 
12 gennaio 1822 . 




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I 1 


ARCHIVIO PER LÉ TRADIZIONE POPOLARI 


uno speco incavato à mezzo di un monte la fantasia popolare 
facesse una reggia per accogliervi un re buono e infelice, sebbene 
nelle fiabe romagnole torni sovente un tal tipo di re 1 ». 

IX. — Usi Novaresi del secolo XVI. 

A) «Furono... levate (dal Bascapè , nel 1598) certe sozze 
abusioni, che in alcune terre di montagna vi avea; cioè nella vi- 
gilia della Epifania mascherarsi alcune compagnie di giovani uo- 
mini , sotto lor capitani , scorrere con canti e con gridi per la 
terra a guisa di baccanti , ed entrare per le case , e far tributar 
ogni uomo, qualunque trovavano, che niuno aveva ardire d’op- 
porsi, chi in denari, chi in cose di mangiare e bere, ed altre; le 
quali allegramente spendendo, si godevano poi insieme fra loro 
i tre giorni seguenti nella casa propria del curato, il quale o vo- 
lesse o non volesse seco ritenevano. E il giorno di Sant’Antonio 
facevano pubblicamente ballare. Altra simile a questa era, che ne* 
primi giorni di Quaresima, ed anche le domeniche d' essa, ab- 
bruciavansi certi fantocci fatti di stracci, sotto il nome di canto - 
vaiaccio , o altro tale, compiagnendosi insieme del perduto carno- 
vale, o riempendo il tutto di stridi; e si pubblicavano in luoghi 
sacri matrimoni*! finti , e facevansi mangiamenti pubblici .... ed 
eziandio offendevansi molti per le finte pubblicazioni , onde ne 
seguivano contese e discordie. Le quali cose (Bascapè) . . . fece 
al tutto cessare ». 

B) 1604-1605. — « Visitò (C. Bascapè) l’Ossola e ne levò 

alcuni abusi, che pur v’erano rimasi in alcun luogo; come di la- 
vorarè il primo giorno dell’anno un poco d’ ogni mestiere , ag- 
giungendo per certa loro superstizione, doversi cosi fare, a ben 
cominciare e proseguir tutto l’anno .... » 2 . 

( Continua ) Alberto Em. Lumbroso. 

1 Questa, che più che fiaba è leggenda, fu versificata dal Signor Cosimo 
Virgili col titolo La Tana del %e Tiberio (Vedi Gaietta Letteraria , Torino, 
1890, anno XIV 0 , N.° 29; 19 Luglio, pag. 229). 

* Innocenzo Chiesa, Vita del venerabile Carlo Bascapè Barnabita t vescovo 
di Novara (Milano, Besozzi, 1858) pag. 85 seg. e p. 120. 


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L’ERBA PRODIGIOSA DI SAN GIOVANNI. 

I 


a piacevole lettura di quella dozzina di articoletti 
comparsi in questo Archivio 1 intorno alle supersti- 
zioni, agli usi, alle feste che vanno collegati ai San 
Giovanni Battista di giugno, mi ricondusse alla memoria uua cu- 
riosa leggenda che v’ è in un vecchio poema cavalleresco fran- 
cese, la quale ha pure con San Giovanni una relazione abbastanza 
stretta. Che qualche folklorista Y abbia scovata e illustrata , può 
darsi; ma non lo ritengo troppo facile, perchè il poema ove si 
trova non è certamente dei più famosi. 

Si tratta del Gaufrey, poema in alessandrini del XIII secolo, 
che nel periodo ciclico germogliò sul vecchio tronco deWOgier 
de Danemarche, dando saggio di quella bizzarra genealogia ascen- 
dente, per cui i figli sogliono generare i genitori nell’epica ca- 
rolingia. Gaufrey infatti non è altri che il duca Gaufrois de Da- 
nemarche, padre di Ogier e figliuolo di quel Doon de Mayence, 
che diede luogo ad un altro poema. Le principali canzoni di 
questa gesta di Doon non ancora abbastanza studiata sono di- 
sposte per ordine in un celebre codice ciclico della Biblioteca 


* Voi. IX, fase. 3. 

Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X. io 




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74 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


della Facoltà medica di Montpellier; il Ganfrey, che a noi inte- 
teressa, fu analizzato da vari 1 ed anche stampato intero 2 . 

Ora nel Gaufrey ha parte considerevole certo gigante di 
nome Robastre, il quale esercita in qualche poema della gesta di 
Garin De Monglane 8 ufficio non diverso da quello che nei poemi 
di Guglielmo dal corto naso tiene il celebre Renouart au tinel, 
colosso sterminatore dalla clava ferrata, babbo o nonno, quanto 
alla invenzione poetica , del nostro Morgante \ Robastre viene 
alle mani con un altro gigante mostruoso e terribile, Nasier. Egli 
lo vince e lo uccide, ma ne rimane così malconcio, che sta per 
trapassare. Una donna , Fauquettc , non dimenticando come sia 
caratteristico privilegio del suo sesso quello di esercitare ogni 
specie di medicina pratica a sollievo dei guerrieri sofferenti B , gli 
viene in aiuto. Essa trae da certo suo scrigno un’ erba meravi- 
gliosa, la pesta in un mortaio, la stempera in un beveraggio e 
Robastre, appena ne ha inghiottito qualche sorso, è sano come 
un pomo , dice il vecchio troverò , o , diremmo noi , come un 
pesce 6 . Bella e pronta guarigione davvero, da esserne ben lieti. 


1 Da P. Paris nell’ Histoire lilUr . de la France, XXVI, 192-21 1 ; da L. 
Gautier, Les épopèes frangaiscs , 2. ediz., IV, 130 e seg.; dal Nyrop, Storia 
deir epopea francese nel medio evo, trad. Gorra, Firenze, 18S6, p. 161-162. 

2 Gaufrey , chanson de geste , pubi, par F. Guessard et P. Chabaille, 
Paris, 1859. 

3 Specialmente nel Garin de Monglane e nell' Hernaut de Beaulande, ro- 
manzo tardo di quella gesta. 

4 Le imprese fanciullesche di Renouart sono narrate nelle Enfances Vi - 
vien, quelle della virilità particolarmente nell’ Aliscatts . 

5 Come le donne medievali sentissero questo pietoso e gentile dovere si 

può vedere in A. Schultz , Das hòfische Lebm %ur Zeit der Minnesinger , 
Leipzig, 1879, 157 e seg. e d anche in K. Weinhold, Die deutscben Frauen 

in dem Mittelalter , 2. ediz., Wien , 1882, I, 170 e seg. ed in Gautier, La 
chevalerie , Paris, 1884, p. 367. Nei romanzi brettoni i cavalieri sogliono avere 
le ferite medicate dalle donzelle che essi proteggono. Celebrità grande s'ebbero 
come conoscitrici delle erbe e come medichesse le due Isotte. Nei nostri poemi 
d'arte, ne\V Innamorato e nel Furioso , passò anche questo costume delle donne 
del ciclo d’Artù. Cfr. Rajna, Le fonti delV Orlando furioso , Firenze, 1876, p. 341. 

• Ediz. cit. del Gaufrey , p. 119. 


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l’erba PRODIGIOSA DI SAN GIOVANNI 


75 


Ma per contro vi ha una persona che n’ha dispetto grandissimo, 
il marito di Fauquette , Grifon d’ Hautefeuille , che deve essere 
necessariamente un fior di briccone, perchè è padre di quel Gano 
che tradi la santa gesta 1 a Roncisvalle. Costui si reca corrucciato 
dalla moglie e le intima di consegnargli quell’ erba prodigiosa. 
Fauquette si rassegna a dargliela, con lo scrigno ov’è racchiusa: 

Et Grifon si la prist, qui grant mautalent a, 

Et vint à la fenestre qui sus la mer està, 

Et regardg la mer qui forment ondoia. 

Par moult grant mautalent P escrin dedens gota; 

La digneté de 1 * erbe ens u fons la porta. 

Or est u fons de 1 * eve, si coni 1 ' en dit piecha, 

Et le jour saint Jehén, ne le mescréés ja, 

Vient tous jours dessus P eve, toute coie estera 2 . 

L’ erba adunque sta in fondo al inare sempre , tranne il giorno 
di San Giovanni, in cui suol venire a galla. Perchè proprio il 
giorno di San Giovanni ? Il poeta non ce lo dice , ma la tradi- 
zione sicuramente aveva i suoi buoni motivi. 

L’ episodio peraltro non finisce qui. La buona Fauquette 
sente il bisogno di dirci d’onde quell’erba provenisse e chi dap- 
prima l’abbia colta, riconoscendone la meravigliosa efficacia: 

En paradis terrestre dont Adam fut getés, 

Là en est la rachine, ne plus n en est trouvés. 

.1. oisel la porti qui fu bien apensés. 

En sarrazinois est Durginas apeléz, 

Et si est en francheis aussi Grifon nommés. 

11 avoit faonné en P isle Josués, 

A mon pere le dist . 1 . paien, Malatrés. 

Mes perez i ala, qui moult fu redoutés; 

L’ oisel il’ i estoit pas, en pourcas iert alés. 

Mon pere quemanda, qui tant fu alosés, 

Que li .VII. grifonniaus fussent mort et tués * 

Dont chascun n’ ot d’ aage fors que .V. jors passés. 

A chascun des grifons fu lors le chief coupé/, 

Puis fist garder le lieu mon pere le senés 


i Dante, Inf. t XXXI, 17. 
* Gaufrey, p. 1 19-120, 


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76 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Tant que li grifon fust arriere retournés. 

Et quant vit ses oisiaus qui estoient tués, 

S'ala querre chele herbe où tant avoit bontés, 

S’en donna sez grifons qui estoient tués, 

Et leur bouta es cors; tant bien fu avisés 
Par la forche de V erbe revindrent en santés. 

Che est la premiere herbe, chen dient li letrés, 

Que Damedieu pianta quant il fu devalés, 

Quant li angre se furent contre li revelés, 

Dont furent en enfer leidement devalés 4 . 

• 

Con tali spiegazioni chi non capisce il motivo della prodi- 
giosità di quell’ erba ? Essa fu la prima piantata da Dio nei pa- 
radiso terrestre, dopo la caduta degli angeli ribelli. Da quell’an- 
tica e veneranda campagna santa , che d'ogni sementa è piena 2 , da 
quel misterioso paradiso terrestre, a cui con tanta curiosità si ri- 
volse la scienza del medioevo e intorno a cui si sbizzarrì la leg- 
genda, popolandolo di animali, di piante, di fontane mirabili, fa- 
voleggiando di viaggiatori diversi e straordinari che vi trovarono 
la loro ultima meta 3 , aveva trasportato l’erba salutifera un gri- 
fone, che con essa aveva risuscitato i suoi sette grifoncini morti. 
Per tal modo giunse il padre di Fauquette a conoscere la miraco- 
losa proprietà di quell’ erba, che non valeva solo a medicar le 
ferite, si bene anche a richiamare da morte a vita. 

Ma torniamo a S. Giovanni. La leggenda riferita nel Gaufrcy 
trovasi sott’altra forma in un poema ben altrimenti noto e divul- 
gato. In quel poemetto recentemente scoperto, che venne intito- 
lato La Destruction de %ome , e che è una specie di prologo, o 
una prima rama, dal celebre Fkrabras , si narra come il gigante 
di questo nome si facesse consegnare da un canonico timoroso 
le preziose reliquie di Cristo che trovavansi in Roma. Eranvi tra 
quefte due bariletti di fino oro. Chiede il gigante al canonico 
che cosa essi contengano e questi risponde: 


4 Gaufrey , p. 120-121. 

* Dante, Purg XXVIU, 118-119. 

8 Cfr. Graf, La leggenda del paradiso teruslre ) Torino, 1878. 


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l’erba PRODIGIOSA DI SAN GIOVANNI 


77 


Il sont tuit plain du basine dont Des fu enbasmés 

Et scs plaies enointes, quant del crois fu ostés : 

Plaie que cn est ointe, jamais n’ i poet rancler; 

Maintenant serra saine, ja n’ estoet en douter. 

Fierabras, lieto di ciò, si fa accomodare i barili sulla sella 1 . Nè 
tarda l 1 occasione in cui può valersene, giacché quando giunge 
sotto Roma l’esercito di Carlo, e Fierabras ha quel grande duello 
con Òlivieri, che insieme allibro di Orlando con Ferraguto passa 
fra i più famosi che abbiano combattuto gli eroi carolingi , il 
balsamo santo e risanatore vien molto a proposito. Con quella 
gran bontà dei cavalieri antiqui che messer Ludovico ammirava, 
Fierabras offre replicate volte al paladino ferito che gli sta contro 
quel suo balsamo, acciò si unga o ne beva 2 ; ma Olivieri rifiuta 
sempre perchè dice di volerlo conquistare con la forza. Ferito a 
sua volta Fierabras, beve il balsamo e incontanente risana 8 . Ma 
poco appresso Olivieri taglia le correggie con cui i barili sono 
attaccati airarcione, s’impossessa di essi, beve del balsamo, n’ha 
ristoro, e poi getta quei preziosi vaselli nell’acqua : 

Près fu du far de Rome, ses a dedens jetés; 

Li ors ki fu dedens fu moult tost affondrés. 

Or n’ iert jamais li feste saint Jehan en csté 

K’ il ne dote sur 1 ’ yawe, c* est fine verités 4 . 

Dunque anche qui v’è un sol giorno privilegiato, nel quale quel 
balsamo viene a galla, il giorno di S. Giovanni. 

Qùale delle due tradizioni sarà la più antica, quella del bal- 
samo o quella dell’erba, quella del Fierabras o quella del Gaufrey ? 

1 La Destruction de ‘Home, ediz. Groeber, in Hpmania, II, 42, vv. 1292 
e seg. 

2 Fierabras , chansons de geste , pubi, par A. Kroeber et G. Servois , Pa- 
ris, 1860, pp. 17, 23, 31. Nella Destruction , come s’è veduto, dicesi che quel 
balsamo deve essere adoperato per ungere le piaghe. Nel Fierabras solo al 
primo dei luoghi citati si parla ancora di unzione; in seguito sempre lo si beve . 
Qjaesto tratto, molto meno proprio e verosimile, sembra provenire da rifaci- 
mento posteriore. 

3 Fierabras , p. 32. 

4 Fierabras , p. 32-33. È Olivieri stesso che getta in acqua i barili, non i 
F raccesi, come dice inesattamente il Gàutier, Èpopées , III, 393. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Simili questioni di priorità sono ardue e pericolose. Il Fie - 
rabras non è certo un poema molto antico, nella forma in cui ci 
è pervenuto \ Filippo Mousket, nella sua cronaca rimata, scritta 
poco dopo il 1243, mostrò conoscerne una redazione anteriore, 
e disse: 

Dont se combati Oliviers 
A Fierabras ki taut fu fiers; 

D’ armes 1* outra, si reconquist 
Les II barius qu* à Rome prist. 

Si les gieta enmi la Toivrc 
Pour 90U que plus n* en péus boire. 

Quar c' est bausmes ki fu remés 
Dont Jhésu-Cris fu embausmés 2 . 

Ad ogni modo la redazione francese che possediamo dal Fierabras 
sembra rimonti al principio del XIII secolo 8 , ed è quindi anteriore 
alla compilazione pel Gaufrey. Se non che questa anteriorità del- 
l’intero componimento non ha valore assoluto per rispetto agli 
episodi dell' erba e del balsamo di S. Giovanni. Vi sono infatti 
ragioni abbastanza forti per ritenere che il Gaufrey sia fondato 
(come del resto succedeva spesso in questi nuovi edifici poe- 
tici) sui ruderi di qualche poema antico perduto. Non a torto il 
Birch-Hirschfeld * , osservando i frequenti accenni a Berart de 
Montdidier che sono nei trovatori provenzali del XII secolo, con- 
cluse che sin d’allora dovette esistere una canzone di Berart, alla 
quale il Gaufrey avrebbe tolto tutta la sua seconda parte, molto 
simile alla seconda parte del Fierabras . Anche l’episodio dell’erba 
prodigiosa mi sembra abbia i tratti di una notevole antichità. 
Alle erbe si attribuiscono sin da tempi remotissimi qualità me- 
dicinali e tutta la leggenda del ritrovamento dell’erba nostra nel 
paradiso terrestre è abbastanza complessa e richiama un genere 
di tradizioni che tutto il medio evo ebbe carissimo. 

4 Cfr. G. Paris, Hist. poétique de Charlemagne , Paris, 1865, p. 251-52. 

2 Chron . rimie de Philippe Mouskes, ed. Reiffenberg, voi. I, v. 4702-4709. 

8 Nyrop, op. cil., p. 89. 

4 Utber die den provenxaliscben Troubadours bekannten epischen Stoffe , 
Halle, 1878, p. 71-72. 



l'erba PRODIGIOSA DI SAN GIOVANNI 79 

Per contro la potenza mirabile del balsamo, che occorre nel 
Fierabras, ha tutta l’aria di una appiccicatura. Le famose reliquie 
cristiane, di cui il primo antichissimo accenno è jyel curioso Pé- 
lerinage Cbarlemagne, non contavano in origine fra le loro mera- 
viglie il balsamo con cui Cristo fu unto *. Questo è introdotto 
posteriormente , e si può anche determinare che cosa abbia in- 
fluito in tale introduzione. V’ha infatti un poema del XII secolo, 
la Chevalerie Ogier, in cui il balsamo salutare ha già la sua parte, 
in cui anzi può già vantare la provenienza sacra del Fierabras. 
Esso è posseduto da un gigante pagano, Braihier 3 : 

Un onguement ot en la bocle assis, 

Par grant maistrie seelé et confit. 

De T onguement fu cnoins Jhésu-Crist 
Q.uant de la crtis fu el sépulcre mis 3 . 

Dex ne fist home, tant fust el cors malmis, 

1 Si confronti Karls des grossen 7 \eise nach lerusaìtm und Constant ino pel, 
ediz. Koschwitz, Heilbronn. 1883, p. 51 con la prima laisse del Fierabras. ' 

2 È questa la vera forma dal nome, non Brehus, come si chiamò quel gi- 
gante per influsso brettone. Vedi Rajna , Le origini delt epopea francese , Fi- 
renze, 1884, p. 265. 

3 Nel romanzo prosaico di Ogier le ‘Dannoys (ediz. principe di Parigi, An- 
tonie Vérard, s. data, ma del 1498 circa) cosi spiega Bruhier ad Ogier l’ori- 
gine del balsamo: <• Cest du propre basme de quoy le prophete Jesucrist fut 
« oingt quant il fut mis au sepulcre, car les iuifs le gardoyent richement en 
• tresor et en garissoient gens de toutes maladies. Or vint Vaspasien devant 
« Jerusalem et Titus son fils, qui mirent le siege devant : la quelle fut pour 
« abreger prinse d’ assault, si furent tous les iuifs prins et occis et entre les 
« autres y estoit Joseph d’Abarismatie qui scavoit la verite de l’oignement et 
a le donna a Titus pour garir aucutis de ses ohevalliers, lequel garda le dit 
r oignement sept ans en son tresor. Mais ung iour advint que le souldan de 
<r Babiloine voullut aller en Hierusalem pour la reconquester, si la print d’as- 
r^sault, dont lui demoura le dit tresor la ou estoit le dit oignement: qui fut 
« aporte en Babiloine. Et a tant este la que par sucession de temps il est venu 
« en ma main: et n’est point au monde tresor plus grant qu' il est. Car il n’y 
«r a royaume pour qui je le donnasse. » Il passo è nel capit. 30*. Le mede- 
sime cose si dicono, molto arruffatamente, nella redazione in alessandrini del 
sec. XIV, su cui il romanzo prosaico è condotto. Vedi il ms. 2985 della bibl. 
dell’Arsenale di Parigi, a p. 368. 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Tant fust navrcs et lueus deust morir, 

S’ il s’ en puet oindre et l’ouguement tenir, 
due il ne soit et sanés et garis: 

Tels onguement vaut tot V or d’ un pais 4 . 

Nel formidabile duello che Braihier ha con Ogier, quell’unguenco 
gli vien molto opportuno. Ferito a più riprese dall’ avversario, 
egli si unge e risana d* un tratto 2 , finché il Danese non riesce 
a impossessarsi di quel talismano, caduto in terra nella mischia 3 . 
Come si vede, sono i tratti medesimi che riscontriamo nel Fie- 
rabras , 4 e i romanzi brettoni non mancheranno di sfruttarli 5 . 
Solamente nell’ Ogier il balsamo non viene gettato nell’acqua, per 
ricomparire solo il giorno di S. Giovanni. Questo particolare era 
probabilmente dapprima solo nella fonte a cui attinse l’autore del 
Gaufrey 6 . 

1 La chavalerie Ogier de Danemarche , cdiz. Barrois, Paris, 1842, voi. II, 
vv. 11288-11296. 

* Cfr. vv. 11415-17, 11494-98, 11557-61. 

3 Cfr. vv. 11769-71. 

4 L* avvicinamento dei due combattimenti fu già praticato dal Gautier, 
Épopèes , III, 256, il quale pure riconosce V anteriorità di quello dell’ Ogier . 
II Ràjna invece (‘Romania, III, 58) ed il Castets nella ediz. di Turpino, 
Montpellier, 1880, p. 89 ritengono che l’autore dell’ Ogier attingesse al Fic- 
rabras , anche per questo particolare. L’ unguento trovasi adoperato eziandio 
nella Storia di messer Trodesaggio, come apprendo dal Rajna, Fonti , p. 491. 
L’Ariosto vi accenna nella st. 191 del canto XLIII del Furioso. 

5 II massimo poeta del ciclo brettone, Cristiano di Troyes , fa che Artù 
adoperi per sanare le ferite di Erec un balsamo fornitogli dalla sorella sua Mor- 
gana, il quale guarisce entro una settimana (v. Erec und Enide , cdiz. Foerster, 
Halle, 1890, p. 151). Lo stesso balsamo di Morgana è usato da tre donzelle 
nel Chevalier au lyon per ridonare la ragione ad Yvain impazzito (v. Der 
Lòwenritter , ediz. Foerster, Halle, 1887, p. 124-126,). 11 ViHemarqué volle ri- 
chiamare il nome di Morgana a quello del medico Morgan Hud. Cfr. Dun- 
lop-Liebrecht, Geschichte der Prosadichtungen , Berlin, 1851, p. 470 ed anche 
Sàn-Marte, ‘Die Arthur-Sage , Quedlinburg, 1842, p. 267, n. 18. 

0 Anche il gigante Loquifer nella Batailìe Loquifer , che, appartiene alla 
gesta di Guglielmo d’Aquitania, ha un balsanie miracoloso , che mette a di- 
sposizione del suo avversario Rainouard, nel duello che ha con lui. Cfr. Hist. 
liti, de ìa France , XXII, 533. 




l’erba PRODIGIOSA DI SAN GIOVANNI 8l 

Pauiin Paris accenna ad un motto proverbiale allusivo al- 
1’ erba di San Giovanni, che soprav.vive in Francia, e di cui ri- 
chiama l’origine al Gaufrey *. I paremiologi francesi saranno in 
grado di constatare se, come ritengo , tale tradizione fatta pro- 
verbio non rimonti ad età molto più antica. Io noto qui sola- 
mente che virtù medicinali sogliono essere attribuite ai fiori ed 
alle erbe colti il giorno di San Giovanni, o nella notte che lo 
precede, in varie parti d’Europa, dall’ Abruzzo alla lontaua Fin- 
landia 2 . 

Rodolfo Renier. 

1 Vedi Hist. liti . de la Frati et , XXVI, 202. 

*" Cfr. questo Archivio, IX, 312-14, 323-24, 327, 344, 355 , 3 6o > 3 6 5 - 


- 4 = 






Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 


I! 


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FIABE POPOLARI DALMATE. 


Avvertenza. 


la prima volta che in Dalmazia si vanno raccogliendo 
e ricercando fiabe e novelline popolari dopo 1’ utile 
esempio di Paolo Villanis, che pubblicò un bel saggio 
di canti popolari dalmati, e alla ricca e geniale messe delle tra- 
dizioni popolari italiane aggiungasi ora anche modestamente la 
Dalmazia. Le lezioni di Zara furono raccolte da me da vecchie 
illetterate, dalla viva voce del popolo senza tor loro l'ingenua 
ruvidezza e concisione o ia spigliata felicità dell’ eloquio, le ar- 
bensi dall'operoso e intelligente amico Antonio Galzigna , a cui 
m’è caro d’esprimere la mia gratitudine per il pronto e affettuoso 
aiuto dato alla povera opera mia. Il lettore, se non m’inganno, 
vi troverà pure alcuni tratti caratteristici e originali, e se nè sempre 
nè tutte le parole sono schiettamente popolari, la colpa è della 
grande influenza della lingua letteraria che fra lo scomparire di 
istituzioni vecchie e il comparire delle nuove e nello scompiglio di 
tante vicende politiche varie e fortunose a cui il nostro paese fu 
soggetto, s’infiltrò "anche nelle masse meno colte e anche fra l’in- 
fima plebe, che pure ancora con nobile e salda tenacia resiste e 
conserva le tradizioni di tempi migliori. Valga questo piccolo 



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FIABE POPOLARI DALMATE 


83 

manipolato ad affermare resistenza e l’italianità dei prodotti in- 
tellettuali del nostro popolo , o misconosciuti o malignamente e 
gratuitamente negati. I riscontri non sono nè copiosi nè minuti 
come avrei desiderato, perchè molte raccolte mi vennero a man- 
care; utilizzai il meno male possibile i libri che erano a mia di- 
sposizione. Non facciano il viso dell’arme i lettori italiani a questo 
piccolo saggio , che fa parte d'una raccolta abbastanza ampia di 
fiabe e novelline popolari dalmate, e sia lecito esprimere il desi- 
derio che anche alle tradizioni popolari della Dalmazia venga data 
benevola attenzione come lo meritano , come pure si meritano 
illustratori più dotti e geniali di me ; ma tanto a far nulla non 
ci si guadagna lo stesso. 

Zara, Luglio 1890. 

Riccardo Forster. 



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8 4 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


I. — E1 Re Porco. 

Ghe iera ’na volta un re e una regina, che gaveva 'una gran 
voja d’ aver fioi. Dopo tante preghiere un bel giorno la xe re- 
stada gravia e co’ xe sta’ el tempo la gà partorio invece d' una 
cratura un porco; imaginéve el dolor de sta povera dona, pur la 
se gà fato coragio e istesso la ghe voleva ben a suo fio e la lo 
gà alevado e tirado su pulito. Co' sto porco xe deventà grando, 
ghe xe venù la voja de sposarse e sempre el secava la madre de 
dàrghe una molgie; el ghe diseva : — « Grudi, grudi siora mare, ma- 
ridéme ! » la povera dona ghe rispondeva : — « Ti xe cussi bruto 
chi ti voi che te toga su ? » Poco lontan del palazzo de 'l re, stava 
un sartor, con tre fie, che iera tre bele tose, e el re Porco s’à ’na- 
morà dela fia più vecia de ’l sartor, e in tutte le maniere el vo- 
leva sposarla. El re gà mandà da sto sartor i servi della corte 
per farlo zò con promesse e con bezzi, a darghe la fia più vecia 
per el re Porco. Da prima el sartor no* l voleva , ma pò pen- 
sandogli sù , E à dito de sì e ala svelta i à tutto combinado e 
in pochi giorni tutto iera pronto per le nozze. Xe venù anca quel 
giorno e i gà frajado e i gà bevudo, come ve podè ben imaginar; 
co* xe sta l'ora d’andar a dormir, el re Porco xe andà fora e 
el s' à tuto rodolà nel fango , e cussi sporco eh’ el iera , el xe 
andà nela camara dela sposa; co' sta qua 1’ à visto, gà fato sto- 
mego e la gà dito : — « Va via da mi bruto porco ! » Ala matina 
adrio i gà trovado la sposa morta nel leto, perchè el re Porco de 
note l’aveva sofegada. E cussi xe stado per qualche tempo; ma dopo 
de novo al re Porco ghe xe capità la voja de sposarse e adesso 
el voleva la fia mezzana de'l sartor, el xe andà dala madre e el 
gà dito: — « Grudi, grudi siora mare, maridéme!» El sartor stavolta 
proprio no ’l voleva saverghene, perchè el gaveva paura che ghe 
morisse anca la seconda fia; pur el re tanto gà fato e tanti bezzi 
el gà dado, che sto povero diavolo gà dito de si. Al giorno delle 
nozze xe stà la stessa funzion de la volta passada; dopo aver ben 
magnà, el re Porco s’à rodolà nel fango prima d’andar a dormir 


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FIABE POPOLARI DALMATE 8$ 

cola sposa; co’ sta qua lo gà visto venir davanti cussi belo, con 
tuto el fià che la gaveva, la s’ i messo a zigar : — « Va via da mi, 
bruto porco ! » El giorno adrio anca la seconda fia de’l sartor iera 
morta, perchè el re Porco , per vendicarse, de note 1’ aveva so- 
fegada. Xe passado qualche mese , quando un bel giorno al re 
Porco de novo ghe xe venù voja de sposarse, e sta volta el voleva 
che i ghe dassi la fia più giovane de’l sartor; iera una roba di- 
fille, ma anca stavolta con ciacole e con bezzi i gà fino zò el 
sartor. A sta fia più giovane, prima d’andar via de casa la madre 
gà dito prima de lassarla : — « Guarda ben, che co’ ti va dormir col 
re Porco non dismentegarte de brusarghe la pele. » Sta tosa xe 
andà ale nozze e co ’l re Porco xe venù in camara per andar 
a dormir, la gà brusà la pele, ma lu iera spario. Sta povera dia- 
vola s’à messo a pianzer e a disperarse e la gà pregado la madre 
de farghe tre péra de scarpe e un tabaron de griso, chè la vo- 
leva andar per el mondo a cercar el re Porco. La s’à messo in 
camin; e camina, camina , dopo che la gaveva fato un bel toco 
de strada, Y incontra un bel vecieto e la ghe dise : — « Ti saveressi 
dirme, mio bel vecieto, dove che xe ’l palazzo del re Porco; ma 

sto vedo no ’l saveva dirghe gnente e ’l l’à mandada avanti di- 

sendoghe che poco lontan de qua la trovarà un altro vecio; an- 
cora el gà dà ’na nosa e ’l Y à saludada. Dopo d’ aver camini 
per un bel toco de strada, la trova 1* altro vecio e la ghe dise : 
— «Mio bel vecieto, ti savèressi ti dirme dove che xe ’l palazzo 
del re Porco? » Ma gnanca lu no ’l saveva gnente e el gà dito che 
la: trovarà un terzo vecio, che ghe savarà dir qualchecossa e prima 
che la vada via el gà dà ’na nosela. Sta povera diavola iera stanca 

e stufa, ma co’ Dio gà volesto , la gà trovi el terzo vecieto , e 

questo saveva qualchecossa de più de stì altri e ’l gà conti che 
'1 re Porco se iera sposado e che ’l stava in un grando palazzo, 
e anca lu gà volesto farghe un regalo e ’l gà donado ’na man- 
dola. Tornemo ala nostra dona che consumava le sete péra de 
scarpe, e che gaveva fato tanta strada; un bel giorno la gà visto 
un bel palazzo, e no so come la gà savudo che suo mario stava 
là dentro, La xe rjndada a bater sule porte e a pregar che i la 


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86 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

volesse tòr come serva; dopo tante preghiere i V à tolta su. La 
iera stufa de aspetar cussi come una stupida, e ghe xe venù voja 
d'averzer la nosa , e xe sordo fora un belissimo abito. Ala pa- 
rona gà fato tanto gola sto vestito che la io voleva aver in tutti 
modi, ma la serva ghe diseva che no la lo vendaria per nessuna 
moneda ai mondo, che la ghe lo daria solo se la la lassassi una 
note andar a dormir co ’1 re Porco. La parona iera contenta, e 
la gà dà al re Porco, prima che 'l vada in leto, qualchecossa da 
bever , per ben indormenzarse. La serva xe alidada in leto e la 
s'à messo a pianzer e zigar e dirghe al suo mario : 

— • Gò fruà tre péra de scarpe 
E un tabaran de griso 

Per ritrovane a ti mio caro viso. • 

Ma lu dormiva come un porco e no ’1 sentiva gnente e la 
povera molgie che tocàva tornar indrio cole pive in saco. Xe 
passà qualche tempo da quela volta co' finalmente la serva g'averto 
la nosela e xe sortio fora un vestito color del mar. La parona 
anca sta volta gà fato gola e la lo voleva aver per forza , e la 
gà lassado che la serva vada per la seconda volta a dormir co 
el re Porco, ma prima la gà dà da bever qualche cossa, che per 
caso no *1 se svejasse. E xe stà proprio come la prima volta, e 
la serva xe tornada indrio pianzendo perchè iu no ’1 sentiva 
gnanca i canoni. Disperada come che la iera la gà roto la man- 
dola e xe venù fora un vestito color del $ielo, ve podè ben ima- 
ginar la gola che ’1 gà fato ala parona, e no la dava pase finché 
no- la l'à avudo. El re Porco, furbo, stavolta el gaveva usmado 
qualchecossa, e co ’1 xe andà a dormir no ’1 voleva bever gnente. 
De note xe venù la sua vecia sposa e la s’à messo a pianzer più 
forte che mai e la ghe diseva : 

— « Gò fruà tre péra de scarpe 
E un tabaron de griso 

Per ritrovane a ti mio caro viso.» 

El re Porco s’à volta , el g' averto i oci e eia gà contà tuta la 
storia, e co* xe venuda la regina el l’à mandada via disendoghe : 
— « Va via da mi, ti m’à vendudo per tre abiti e no ti meriti d’esser 


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FIABE POPOLARI DALMATE 87 

mia molgie. » E1 gà vissudo in pase e alegria cola sua prima sposa 
e i gà fato le nozze cole rave composte , coi sorzi pelai e coi 
gati scortegai. 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Per le varianti di questa diffusissima fiaba vedi le note del Pitrè, apposte 
alla versione toscana del Re Porco ( Archivio per lo studio delle tradizioni po- 
polari I, 539) e alla versione piemontese del «Re Crin» ( Arch . delle tr ad. pop. 
I, 424). Inoltre una redazione edita da R. H. Busk ( Arcbiv . t rad. pop. II, 403); 
la variante veneziana pubblicata dal Pasqualigo, che appare col titolo: Le tre 
Montagne Sorele che baia ( Arcbiv . trad. pop. II, 352). Qualche analogia offre 
la VII delle Fiabe Mantóvane del Visentini , Torino, Lòscher, 1879; la va- 
riante abruzzese presso il Finamore ( Tradii . popolari abruzzesi n. II). 11 conto 
del Ragno, Arcbiv. trad. pop . Ili, 362 e la prima della stessa raccolta III, 360. 

L’eroe è per lo più un porco o un serpente, ma alle volte anche un altro 
animale. È un porco in: Gianandrea ( Novelline e Fiabe popolari marchigiana: 
Er fijo del re Tuorco); nella quarta delle fiabe beneventane edite dal Corazzini 
(J componimenti minori della letteratura popolare italiana , Benevento , Fr. de 
Gennaro, 1877, 429) e nella raccolta della Gonzenbach al numero 42 (Sici- 
li ani sche D^àrchen. Aus dem Volksmur.de gesammelt. Mit Anmerkungen R. 
Kòhler’s und einer Einleitung von Otto Hartwig; Leipzig, Engelmann, 1870); 
appo Comparetti (Novelline popolari italiane. Torino, Lòscher, 1875) n. IX : 
Il figliuolo del Re Maiale: nella I delle Novelle pop. bolognesi della Coronedi- 
Berti. Nella grande raccolta siciliana di Giuseppe Pitrè, nella variante di Mon- 
tevago della fiaba LXI ( Fiabe t Novelle , Racconti popolari siciliani. Palermo, Pe- 
done-Lauriel, 1875 v. I). È un serpente in St. Prato (Quattro novelline popolari 
livornesi ) n. IV; in Siciì. Màrchen , n.° 48 : die Gescbichte vom Principe Se tir - 
suni ; nella raccolta del Pitrè al numero LVI, Lu Re Sirpenli. È un mostro 
nella LI del pop. ital. del Comparetti ; un principe stregato al numero 

LXVI della stessa raccolta. Nella variante milanese delPImbriani, El Corbattin f 
ù un corvo; in Grimm: *Altdeutscbe Wàlder ì Cassel, 1813, si parla d’una pelle 
d'asino invece che di porco come nella maggior parte delle versioni ; nella 
variante abruzzese citata sopra è un ragno. Per i riscontri in tutta Europa cfr. 
Kòhler (Jahrbuch fùr romani sche und engliscfje Tirilo logie VII, 249), la dottissima 
nota a piede della versione veneziana : Der Koni$ mit der Scinoci nbaut. 

Somiglianza di particolari colla fiaba da noi raccolta ne offre la variante 
fiorentina della Ciabattina d’oro, pubblicato dal Pitrè (Arch. trad. pop. I, 198). 
Di comune colla nostra ha la novella V, serie terza delle tradiz. popolari del 
Finamore (Are/;, trad. popol. V, 197) l’episodio con cui un re travestito da 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


contadino con un diamante finto , riesce ad accendere in una imperatrice la 
voglia di possedere il diamante; egli impone il patto di poter dormire con lei, 
e rifa il giuoco per nove volte: è lo stesso rfiezzo col quale la sposa del re 
Porco riesce coi tre vestiti a coricarsi vicino il marito. Cfr. ancora la « Bella 
dai capelli d’oro » novellina popolare di Lugo nel Bolognese (oirclj, trad VI, 
196), dove un principe va errando dal Vento alla Saetta e al Tuono; nel suo 
pellegrinaggio riceve tre doni, come la nostra sposa del re Porco : una noce, 
una nocciuola e una castagna, che gli servono a tempo opportuno per trarsi 
d’ impaccio. Questo episodio dei doni ritorna in molte fiabe. Nella 29 delle 
Sic . Mdrchen un giovane riceve una noce, una castagna e una mandorla per 
andar a rintracciare la bella Cardia, ottenendo degli effetti molto dissimili dai 
nostri; nella 42 della stessa raccolta si tratta d una nocciuola, d’una castagna, 
e d* una noce, cosi pure in una novellina marchigiana , e nella novellina VI 
della Novellaja Milanese dell’Imbriaui (Tropugnatore, voi, III, parte li). In altre 
ò una ciliegia o una mandorla ; in ciò quasi tutte le fiabe sono uniformi ; la 
differenza consiste negli oggetti differenti che da questi doni escono al mo- 
mento del bisogno. Ci sbrigheremo con pochi esempi per non prolungare fino 
alla noia queste note. 

Nella marchigiana un contadino cava al momento opportuno dalla noc- 
ciuola, dalla noce e dalla castagna monili, uno più bello deiraltro ; nella to- 
scana una donna estrae tre corredi: due di bimbi e il terzo per una partoriente; 
nell’abruzzese dalla nocciuola vien fuori una chioccia coi pulcini d’oro, dalla ca- 
stagna un arcolaio d’oro e dal Portogallo un telaio con una fanciulla che tes- 
seva tutto d’oro. Continuando a studiare i diversi elementi della nostra fiaba, 
osserveremo che il particolare delle sette paia di scarpe che la nostra donna 
ha da logorare per via, è frequentissimo in molte altre fiabe e novelline. Ri- 
corre nella variante toscana ( Nov . pop. tose ., in Ardi. trad. pop . I, 559; in Fina- 
more, %Arclnv. III., 361 c Archiv. Ili, 360; Gonzenbach, 11. 42; nella storia del 
Re Crin, %Archiv. I, 424); Corazzini, Comp. minor, u. 1 e in moltissime altre. 
Per le parole dette dalla sposa, quando si trova nel letto del re Porco, dopo 
averlo ritrovato e tenta di svegliarlo lamentandosi, cfr. le seguenti parole: 

L’ho empiti sette fiaschi di lagrime, 

Li ho consumati sette paia # di scarpe di ferro 
Un bordone e>i un cappello 
Per trovarti te, amor mio bello, 

della variante toscana; e queste della milanese : « O corbatt, o corbattin, V è 
trii anni che viaggio per mare e per terra; ho stracciato tre paia di scarpe 
di ferro, per venirti a trovà te. » Notisi che nella fiaba veneziana pubblicata 
dal Pasqualigo la donna si mette in viaggio con un solo paio di scarpe. Molta 
analogia colla nostra redazione presenta Lu T{e-Cavaddii in Pitrè, Fiabe , Nov. 
i Race, n. 12, specialmente nella sparizione del cavallo divenuto un bel gio- 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


89 

vane, e nel viaggio della reginotta e nei doni che riceve. Differisce invece di 
molto nella seconda metà. Cfr. anche la variante palermitana riassunta in nota : 
Russu-ccmu-satigu nella sua prima parte , colle solite paia di scarpe di ferro, 
da consumare per via. Per la chiusa cfr. Bernoni , Fiabe popolari veneziane , 
Venezia, tipografia Fontana-Ottolini, 1873, pag. io, precisa alla nostra: « I gà 
rinovà le nozze dei ravani in composto, sorzi pelai e gati scortegai. a 

IL — E1 becher. 

Ghe iera ’na volta un becher, che vendeva agnei. Una volta 
no *1 podeva vender la curadela de un agnelo finché la xe de- 
ventada tuta marza; e rabioso che nissun la voleva tor, el ghe 
dà 'na gran sberla e ’l copa centocinquanta mosche co una sola 
man. Tuto stupio el pensa: co sta roba andando per el mondo 
se podaria far fortuna; subito el se fa far do grandi carteioni c 
’l ghe scrive sora: « Eco un omo che copa centocinquarta mosche 
co una man.» E ’l se mete in camin senza gnente, perchè *1 iera 
un povero diavolo, coi carteioni, e via lu per el mondo. El iera 
zà stanco da la gran strada e no ’l podeva più star su le gambe, 
co’ da lontan el vede un gran palazzo con un gran pergolo. El 
re sora ’l pergolo vede passar sto omo , el leze i carteioni e ’l 
dise fra lu: El xe tanto forte da copar centocinquanta mosche co 
una man, cossa deve esser po’ co tute dò. Senza perder tempo 
’l fa ciamar su el nostro becher, che iera più confuso che per- 
suaso. El re, dopo aver lodà la sua forza, ghe conta come in 
quel logo ghe iera un gran gigante e che lu dovaria andarse a 
provar con lu e mazzarlo, se fosse possibile, prometendoghe de 
darghc tanti e tanti bezzi e per molgie la fia. El gaveva un fu- 
foto de ’l diavolo in corpo; pur el va, e co ’l vede da lontan el 
gigante, el lo saluda e "1 ghe dise che anca lu no iera una sellila 
e che ’l gaveva voja de misurarse con un gigante. Sto qua iera 
contento e i gà stabilio per la matina adrio de far la prima prova 
e i resta intesi fra de loro. Co' iera giorno i se sveja e i se 
trova insieme : là arente ghe iera dó grandi alberi e ’l gigante 
per comitiziar dise : Vedaremo chi che li dispiantarà mejo, mi o 
ti. El becher dise de sì e el voleva che il gigante cominziasse lu 
Archivio per le tradizioni popoiari — Voi. X. 12 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


per el primo. El gigante senza tante ciacole spianta l’albero come 
’una rava: adesso ghe tocava al becher. Sto qua domanda de la 
corda e po’ cl se mete a ligar tuti i alberi che i iera intorno co 
la casa del gigante che iera in mezzo . — « Cossatifa?» ghe dise 
’l gigante, tuto stupio. — « Per no perder tempo volevo in una volta 
dispiantar tuti sti alberi insieme co la casa »; alora el gigante dise 
che no ghe comoda sta roba e che no ’1 voi perder la sua casa, 
e per el giorno adrio i se combina de far un* altra prova. El 
becher e ’1 gigante, i dormiva de note in una camara vicina, che 
se podeva tuto sentir. La molgie de ’l gigante diseva: — « Mazzè- 
molo stanote sto fiol d’un can de becher, perchè el xe forte dasseno, 
e da qua un’ ora co ’l dormirà ghe butaremo zò dal teto de le 
grande piere e lu farà la morte de ’l sorzo. » El becher sente tutto, 
e ’l va fora a respirar un poco de aria , e co’ 1’ à visto che le 
piere iera zà in camera el s’ à messo de novo a dormir come 
gnente fosse. El giorno adrio el gigante credeva de trovar morto 
el becher, e co’ ’l lo vede ’l resta de stuco, ma istesso el ghe 
domanda come che ’l gaveva passà la notte. — « Ben, risponde quela 
zanfa de becher, solo le mosche me secava un poco. » E el gi- 
gante sempre più iera persuaso de la forza de sto omo co ’l to- 
leva piere per mosche. I xe sorridi fora per far la seconda prova; 
el gigante teniva in man una gran mazzoca , e adesso i doveva 
provar chi la butarà più lontan; el gigante la buta lontan lontan 
e pò ’l core a torla dove che la iera cascada e el ghe la dà in man 
a ’l becher disendoghe: — « Adesso te toca a ti.» El becher cava 
prima fora un fazzoleto e el cominzia a sventolarlo e far de moto. 
— « Cossa ti fa con quel fazzoleto? » E el becher risponde tuto 
quieto e serio: — «Ti vedi, là in fondo passa un bastimento con 
dentro de la gente e mi ghe fazzo de moto de farse in là, per no 
mazzarli co la mazzoca. » El gigante no voleva perder in acqua la 
sua mazzoca e anca sta volta i xe tornadi indrio. El gigante a la 
matina, el va in un logo arente per far guzzar i cortei , perchè 
’l iera stufo e ’l voleva copar sto becher. E el iera zà andà via 
de casa. El becher aprofita de l’ocasion e ’l va trovar la molgie 
de ’l gigante e la imbriaga e po’ ’l la copa e ’l scampa via. Per 


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Fiabe popolaci dalmate 


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strada el compra da un contadin un agnelo, el cava fora la tripa 
de sta bestia e ’1 se la mete su la panza. Poco dopo rincontra 
un altro contadin e el ghe dise : — « Còpime ne la panza. » Sto qua 
gaveva paura e no voleva saverghene; ma po’, dopo tante pre- 
ghiere, el gà dà ’na cortelada ne la panza. — El becher sera i oci, 
casca per tera e presto se sconde adrio un albero, e el contadin 
iera sicuro che ’i xe svolà drito in paradiso. Poco dopo capita 
el gigante e ’1 trova sto stesso contadin e el ghe domanda se ’1 
gavessi visto un omo con dó grandi carteioni. El contadin dise 
de si, e el ghe conta come che ’l iera svolado in paradiso. Alora 
el gigante gà pensà de corerghe adrio per poderlo aguantar e el 
ghe dise al contadin:— « Còpime anca mi », e '1 ghe dà ’l cortelo. 
El contadin no se fa pregar e ’1 lo distira in un colpo. El becher 
tuto aiegro xe sortio de adrio l’albero, dove che ’l iera sconto, 
el xe corso da ’1 re,. el gà avudo tanti bezzi e ’1 gà fato le nozze 
co la fia, e la fiaba xe finia, contemene un’altra o vado via. 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Una variante abbastanza fedele nell’ orditura e nella fine è la seconda 
delle Venetianische fXCàrchen di Widtcr-Wolf coll’importante nota di R. Kòhler 
( Jabrb . fur rom. u. engl. Phiì, VII , n. 2 : Massafadiga ). La versione terza del 
numero VII: Favoletta dell ’ occhio-in-f ronte del Finamore (Arci), trad.pop., Ili, 
533) ha comune colla nostra le prove di forza , la prima delle quali corri- 
sponde alla nostra del getto del martello ; T altra consiste nel portare dei 
pesi. Comune ancora l’insidia con cui Torco tenta di liberarsi dell’astuto av- 
versario. Varianti tirolesi sono i numeri 53 e 54 dello Schneller (Mdr cheti u. 
Sagen aus IVàhchtiroT ) , nella prima delle quali incontriamo anche P episodio 
delTagnelio sgozzato, che manca nella seconda. Vedi ancora in Zingerle, Kinder 
u. Haustnàrchen aus Tirol. Sera, Amthor, 1870, i numeri XVIII e XXIX: Der 
Hans* l e Riese und Hirt ; la prima di queste due fiabe contiene il particolare 
del getto dei martello colla differenza che qui Hans adduce per scusa d’aver 
paura di colpire una stella e di farla cadere sulle loro teste ; la seconda il 
principio identico alla nostra. Per la seconda parte della nostra lezione cfr. il 
numero 2 delle Italicnischen Màrcben di R. Kòhler coi relativi riscontri (Jahrb. 
fur rom. u. engl. Phiìologie , Vili, 246). Circostanze simili nella 41 delle Sicil. 
Màrchen della Gonzenbach: Vom lapferem Schuster t LXXXIII : Lu Malacannutla 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


della bella raccolta di Giuseppe Pitrè colla relativa nota; in una novellina lap- 
ponese ( Novelline pop . lappouesi , n. 3, Arch. trad . pop, VI, 399) ove Stalo 
minaccia di gettar tanto alto un bastone ferrato da farlo restar fra le nuvole. 
Interessante è la variante milanese della nov. V, Sciavattin , riassunta in nota 
dall’ editore , perchè riproduce quasi tutti i particolari della nostra fiaba. In 
Francia vedi l' Vili dei Conlcs Lorranis di E. Cosquin ( Romania , V, 350) privo 
però dei tratti piu caratteristici della lezione da noi raccolta. Qualche cosa di 
analogo all’astuzia con cui il nostro macellajo si fa uccidere dal contadino e 
si libera così dal gigante che vuole imitarlo si trova in fine della fiaba XIII 
delle mantovane del Visentini e nella LXX delle Sicil. fXCàrchen della Gon- 
zcnbach. Cfr. ancora: Imbriani, Novellaja Fior., n. XLV : L* Ammazza sette % e 
Gianandrca', Nov. e fiabe pop, marchigiane, n. VII: Giuanm Ben forte , che a 
cinquecento diede la morte . 

III. — I Cazzadori. 

Ghe iera dò omini nudi e uno senza camisa e i xe andai 
ala cazza senza can e col sciopo svodo senza cana e senza pol- 
vere; i gà incontri un levro, che no ghe iera e col sciopo svodo 
i Pà copi, e el can che n.o ghe iera Pà porta in boca. Dopo de 
aver camini per un bel toco de strada i xe arivai vi^in una casa 
de paia co la porta de fero e col batidor de vero; i gà fato un 
bordelo del diavolo pestando col batidor de vero su la porta de 
fero. Xe venu sul balcon pn omo che no ghe iera per doman- 
darghe cossa de i voleva. Lori ghe risponde che i voria cusinàr 
un levro che no ghe iera, lu alora subito Paverze la porta e T 
cava fora per darghe a lori ’na secia senza fondo e drento i mete 
cusinàr el levro che no ghe iera. Per strada uno de quei omini 
se gareva scavezzi un brazzo e per guarirlo i manda ciamar un 
dotor senza brazzi e un cirurgo orbo. El dotor senza brazzi xe 
andà subito tastarghe ’l polso e T cirurgo orbo a guardar la piaga 
e P ordina de far ’na manteca e pestarla ben in un morter de 
fero col peston de vero, e bati e bati ben sta manteca iera fata 
de fii de morto o de ombra de campanil e co la iera finida el 
cirurgo gà dito : « Aplichòla no so dove e guarirò no so quando. » 

VARIANTI E RISCONTRI 

Cfr. Ive, I tre fardai — Fiabe pop. rov ., n. IV, ad eccezione della chiusa 
identica alla nostra. — Bernoni, Tradizioni pop. veneziane, p. 18: I tre fi radei . 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


« 


IV. — La Rana. 


’Na macina un giovane xe andà passegiar e passando arente 
’na casa 1’ à visto un vecio che pianzeva e el gà domandi per- 
cossa che ’l pianze. El vecio gà cominzià subito a contarghe la 
sua storia e a dirghe che sua molgie invece de partorirghe ’na 
creatura gaveva fato una rana , e questa iera la sua disperazion 
e per questo el pianzeva. El giovane voleva veder sta rana e su- 
bito la gà piasso e l’à domandada al padre per molgie e poco 
tempo dopo 1’ à sposada. Sto giovane gaveva dó fradei che iera 
sposadi e un padre e ognuno dei fioi voleva andar star co la 
molgie da ’i padre. I lo tormentava tanto sto vecio chè un giorno 
stufo de sentir cantarse sempre la stessa solfa i’à dito ai fioi : quela 
dele vostre done che me farà la più bela bereta per testa venirà 
a sta con mi. I dó fradei più veci xe andai a casa e el pi£ gio- 
vane che se damava Carleto xe andà anca lu dala molgie e pian- 
zendp el ghe diseva : <r Rana, mia bela rana », e el gà contà la storia 
dela bereta, e ancora el diseva : « Rispondi a chi te ciamarà », e la 
rana gà dito: « Carleto, bel Carleto, se no ti me ami ti me amaerà » 
e la lo prega de darghe un maron ; el gà dà, e la lo g' averto 
e xe venudo fora ’na bela bereta. Tuti tre fradei xe andai da '1 
padre per veder quala bereta che iera la più bela e quela de la 
rana iera la più bela de tute e ’l padre gà dito che vegna el 
Carleto cola molgie ma i dó altri fradei xe saltai su e i gà dito : 
« Cossa ti voi andar star co la rana, no la savarà far gnente. » Sto 
vecio no saveva gnanca lu cossa far, e dopo averghe pensà’ su 
un toco el dise : « Che le vostre done me fazza un tapeo e quela 
che gavarà fato el più belo venirà a star co mi.» 

La rana gà dito al sposo che ’l ghe daga ’na nosa , e co’ 
la l’avuda, la cava fora un belissimo tapeo, e de novo quelo de 
la gaiandra iera ’l più belo de tuti , ma i fradei no iera ancora 
contenti e ’l padre gà fato l’ultima prova disendo : « Mende qua 
le vostre done e la più bela, restarà da mi. » I xe andai a levar le 
loro done , e ’l più giovane gà tolto un cavalo bianco e 1’ à 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


messo la gaiandra sora un gaio e Pà menada co lu. Per strada 
i la burlava, ma i gà incontri una vecia striga che da tanti ani 
no podeva rider; co’ la gà vista sta rana montada su ’1 gaio ghe xe 
venù un sbrufon de rider e la iera guaria; per gratitudine la ghe 
dise a la rana : « Domanda da mi quelo che ti voi, e mi te farò 
contenta. » La rana gà volsudo deventar ’na bela giovane e cussi 
xe stado. I xe andadi tuti da '1 padre , che subito gà piasso la 
molgie de Carleto e Pà dito: a Ti tì xe la più bela e ti restarà con 
mi », e i altri xe tornai a casa lessi lessi e rabiosi. La rana s’ à 
sposi co ’1 giovane e i xe stai contenti e beati. E la fiaba xe 
finia. 

(i Continua ). 



i 


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FOLK-LORE DELL’AGRICOLTURA \ 


Notizie dei comuni di Offrida e Rotella e dintorni. 

(Prov. di lAscoli Piceno). 

4. 0 La domenica delle Palme collocano in mezzo ai campi 
di grano una croce di canna con due ramoscelli d’ olivo , uno 
benedetto il di di S. Pietro martire (29 Aprile) e l’altro il giorno 
delle Palme. Ci mettono pure un pezzettino di candela benedetta 
il di della Candelora. 

Il giorno che segue il dì dei morti non è favorevole per la 
semina. 

La luna ha influenza in tutte le semine, in tutte le piantagioni, 
in tutte le raccolte, credo persino sui bucato; ma non ho mai in- 
teso dire che abbia influenza sulla semina dei grano e sulla 
mietitura. 

Il santo portato in processione perchè protegga la semina 
è S. Vincenzo. 

Alla semina si mischia la calce viva e ciò è sana pratica agri- 
cola e quando il paniere e riempito il seminatore ci fa sopra il 
segno della croce. 

Il lino si semina a luna crescente. 

5. 0 Nessun pregiudizio, che io sappia, esiste contro le bestie 
nocive ai campi. — Si chiama il prete a farle maledire. 

1 Vedi nota alla fine, 


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9 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

7. 0 Finita la mietitura si fa un mazzo in cui ci sono tante 
spighe di grano quanti sono i covoni del campo e si portano al 
padrone. 

Bellissima festa è in certi siti la festa delle fraglie (tregge) 
due domeniche prima della Madonna di Mezzagosto. Si porta in 
omaggio a Maria tregge cariche di spighe e canestri ripieni di 
grano. — Venuta l’epoca, andrò ad osservarla e la descriverò. È 
la festa delle messi di cui ai N. 13 e 14. 

8.° C’è lu spavitnte , fantoccio pressoché informe messo per 
spaventare gli uccelli chè non scendano a beccare sul seminato. 

Si beve il vino pepato , che è vin cotto, fatto ribollire ancora 
insieme a pepe e garofano. Serve a dar energia ai mietitori op- 
pressi dal caldo. 

19. 0 Il grano quand’ondeggia si dice: Il gratto va via . 

20. 0 Ai bimbi si dice appunto: IV’ ce /, che ce sta lu lupe . 

2 1.° Se le spighe sono pesanti ed il frumento è alto, si dice 
che c’è passata la Madonna. 

22. 0 La massaia lascia sempre in fondo alla madia un pizzico 
di farina, ed anche nei magazzini è cattivo augurio non lasciar 
qualche acino di frumento. 

28. 0 Le nuvole disposte come a fiocchi di bambagia o di 
lana si chiamano a pecorella e si dice : lu iièmpe a pequerèlle, lu piove a 
pesciarllle, oppure a frecarèlle . Il sole quando tramonta dietro un 
grosso cumolo di nubi, s'insacca ed è segno di pioggia. — Quando 
grandina si sparano i fucili, si accendono in casa le candele della 
Candelora e si buttano sul fuoco le foglie di oliva benedetta. 

30. 0 Alla mietitura ed alla trebbiatura si mangiano il capo 
gallo ed il capo tacchino , cioè il gallo ed il tacchino che hanno 
servito per la fecondazione. 

Notizie dell’Alta Maurienne (Savoie). 

( Cantone di Modani ). 

3. 0 e 4. 0 Gli uomini mietono, le donne legano i fasci. Niente 
croce nei campi. Nel Sabato Santo si seminano gli orti. Per la 


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FOLK-LORE DELL*AGRlCOLTURA 


97 

segala non ci si guarda ma per gli orti e le patate la semina si 
fa col plenilunio. 

13. 0 e 14. 0 A Villarudin per S. Caterina le ragazze portavano 
il grano alla santa. 

20. 0 e 21. 0 Si fa paura ai ragazzi Testate in montagna di- 
cendo : il lupo è nei prati, o più spesso : la Kroquemitèn (la Korn- 
rnutter) è nel prato. Della Kroquerflfcèn si parla anche ai bambini 
in cuna per farli star cheti. 

27. 0 S. Giovanni è giorno di semine, dell’insalata sopratutto : 
nella sera si fanno dei falò nelle cime delle rocce. — La notte 
di Natale i vecchi andavano a contare le stelle, ma i giovani non 
ne sanno il perchè. — A S. Agata fanno benedire il sale e pane 
e si preserva con ciò la casa dall’incendio. 

Michele Angelini. 


NOTA. 

Nel voi. Vili, p. 193 dell’ ^Archivio fu pubblicata una « Enquète sur le 
Folk-lore de TAgricoltuie » già stata scritta alcuni anni sono del dotto mito- 
logo tedesco W. Mannhardt. Siffatta a Enquéte » risultava di 34 quesiti. — Vari 
studiosi hanno risposto a quelle domande: e noi cominciamo fin da ora a pub- 
blicare le risposte , lieti che il nostro appello abbia trovato eco presso i no- 
stri amici e collaboratori. A queste del sig. Angelini seguiranno le risposte 
di una egregia donna , la signora Maria Ferrante Mazzucchi , del prof. Giu- 
seppe Ferraro e di altri. 

I numeri corrispondono alle domande. G. Pitrè. 



o Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 


13 


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FOLK-LORE DELL’AGRICOLTURA. 


Notizie del Polesine. 


resente da lungo tempo agli usi agricoli del popolo 
tra cui passai tanti anni della mia vita, mi studierò di 
rispondere fedelmente , e colla dovuta concisione , a 
tutto l’interrogatorio dell’illustre e compianto D. r Mannhardt, fa- 
cendo precedere alle varie risposte il numero d’ordine corrispon- 
dente alle domande stesse da me prese in esame. 

i. Riguardo alla coltura del terreno, si osserva che vengono 
ora adottati sistemi di aratri di gran lunga migliori degli antichi; 
che, in generale, trattandosi del grano , si ara molto superficial- 
mente, e che la semente viene ancora per la maggior parte sparsa 
a mano, cioè alla volata , essendosi da poco tempo introdotte le 
seminatrici. Venti o trent’anni addietro, si battevano le biade col 
vecchio coreggiato : ora , si sgranano ovunque colle trebbiatrici 
a vapore, tranne in quelle piccolissime possessioni, ove l’utile non 
compenserebbe la spesa. In questo caso, ripeto, si fa ricorso al tra- 
dizionale coreggiato, o ad una piccola trebbiatrice mossa a forza 
di braccia. — La coltura del lino è poco estesa. 

2. Vengono le biade tagliate colla falciuola, senza differenza 
alle varie specie. I manipoli si lasciano in file paralelle sul campo, 



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FOLtt-I.ORF. DELL’ AGRICOLTURA 


99 


in attesa di legarli in covoni, appena si crede secca la paglia. Le 
macchine mietitrici e i legami di sala o d’altro sono introdotti da 
poco tempo nelle vaste possessioni. Per legare , si usava prima, 
e si usa ancora dai piccoli possidenti, la paglia del grano stesso. 

3. Per tagliare le cereali e legarle in covoni sono sempre 
gl» stessi uomini. 

4. Gli agricoltori piu attempati, cioè della stampa antica, e 
tanti altri che non hanno un certo grado di coltura, principiano a 
spargere sui campi il grano quel giorno della settimana, che porta 
il nome del giorno, nel quale ricorre il S. Natale; ed usano pian- 
tare più tardi, sui seminati, croci di legno benedette in chiesa il 
giorno di santa Croce, per preservare dalla grandine la raccolta. 
Soltanto riguardo al grano turco, si cerca dagli stessi di dar mano 
alla semina in un giorno il cui nome non contenga la lettera erre . 
Le processioni si fanno esclusivamente dai preti , nei così detti 
giorni di Rogazionc. Nessuna pratica riguardo all’ aratro e alla 
prima semente, e nessuna superstizione riguardo al seminatore. 

j. Per preservare i campi di biade dai danni prodotti da 
topi, da talpe, ecc., si usa farli benedire una o più volte da un 
sacerdote particolare (perchè, secondo il volgo, non tutti ne hanno 
il potere) al quale il contadino o l’agricoltore riconoscente porta 
in compenso qualche regaluccio, come peli, formaggio, od altro. 

6. Nessun uso particolare relativo al taglio delle prime spiche, 
e nessuna cerimonia. 

7. Al padrone nè covoni, nè spiche. 

8. Niente di particolare riguardo al taglio delle ultime spiche, 
e nessuna forma particolare all’ultimo covone. Soltanto si dà il 
nome di gaio al covone posto ultimo sulla bica *, anzi a ognuno 
dei covoni sovrastanti alle numerose biche del campo; e ciò, forse, 
in riguardo al gallinaceo, che ama*salire in alto, per mandare il suo 
canto. Questo covone , prima di assumere il nome di gaio sulla 
bica, chiamasi pignato , finché trovasi sul campo; e spesso avviene 

1 D’ ordinario là bica si compone di nove o di tredici covoni ammontati 
a quattro a quattro gli uni su gli altri. Por conseguenza il nono o il tredi- 
cesimo li sovrasta tutti. 


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IOO 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


che si dà la baia al lavoratore che deve trasportarlo e posarlo 
ai suo luogo, come ad uomo tardo nell’operare, perchè nel lavoro 
è preceduto dai compagni. 

9. Nè per monaci, nè per poveri, non si serba nessun co- 
vone, e nessuna parte di campo da mietere; non si usa neppure 
lo spruzzo di vino o d’altro. 

10. Non si conosce nessuno degli usi citati sotto questo 
numero. 

11. Come ai numero io. 

12. Come i due precedenti. 

13. Prima di dar mano alla mietitura, usano i più credenti 
tra* contadini di recarsi alla chiesa del villaggio, per assistere alla 
messa , e pregare il Cielo che li preservi da ferite di falciuola. 
Tutti i giorni poi di lavoro , i contadini stessi , anziché recarsi 
alle case loro, si fanno portare dalle loro donne sui campi gli 
alimenti indispensabili alla vita, non usando i proprietari sommi- 
nistrare ai lavoranti altro che qualche misura di vino per fare 
un po’ di galloria , alla fine di lavoro : il che dicesi in dialetto 
gan^ega. 

14. Tranne la messa ascoltata, per cosi esprimermi, in pri- 
vato, le processioni delle Rogazioni e la benedizione delle croci 
da piantarsi sui campi, delle quali cose toccai nei numeri prece- 
denti, nessun'altra festa religiosa si celebra per la mietitura. 

15. Dai mietitori stessi nemmeno un grano si offre alla Di- 
vinità. Molte volte invece usano le spigolatrici far mazzetti di 
spighe adorni di fiori e di fettucce rosse od azzurre per regalarli 
alla Madonna nella chiesa del villaggio. In questo caso al loro 
arrivo si permette ad esse l’ingresso al campanile , per sonare a 
distesa le campane, in segno di gioia, o di rimprovero alle com- 
pagne ingenerose. 

16. Non si salutano con parole speciali; ma usano talora 
berteggiarsi, recitando una filastrocca lunga, a domanda e risposte, 
che io riporterò qui per intero e nel dialetto del paese. 

Accintisi i mietitori a trasportare sulle spalle, ad uno ad uno, 
i covoni già legati, per abbicarli in fila nel campo già mietuto, 


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FOLK-LORE DELL’AGRICOLTURA 


101 


uno d’essi, un burlone qualunque, postosi in animo di canzonare 
un compagno, o, più di frequente, una spigolatrice che attende 
dalla capitala , si mette a domandare, urlando a squarciagola : 

— Portarne la manara 1 

Un compare dello stesso calibro gli tien subito bordone, ri- 
spondendo sul medesimo tono : 

— Da cossa Lire de chela manara ? 

A cui il primo risponde : 

— Da tagiare ’na roara, 

E l’altro da capo : 

— Da cossa fare de chela roara ? 

— Da fare de le asse. 

— Da cossa fare de chele asse ? 

— Da farme un batelo. 

— Da cossa fare de chel batelo ? 

— D’andare a Venenzia. 

— Da cossa fare de chela Venenzia ? 

— Da comprarne un 

Qui bisogna trovare una parola qualunque che faccia rima 
con un altra già pensata e indispensabile alla canzonatura. Per 
esempio : 

— Da comprar me un sar pente 

— Da cossa fare de chel sar pente ? 

— Da mandare a Tinferno tutti quei ca me sente . 

« Eeeh ! Uuuh ! » fischi ed urli tutti in massa: un vero pan- 
demonio da restarne assordati. Cessato un poco lo schiamazzo, 
ridomanda l’un dei due: 

— E a chi rémogia vendù ? 1 

E l’altro immediatamente : 

— Al diaolo ca lo porta in su. 

I fischi e le grida si ripetono assordanti , prolungati come 
prima; finché si perdono a poco a poco in risa sgangherate. 

Cosi ha fine lo scherzo, durante il quale, si capisce, non viene 
minimamente interrotto il lavoro. 

1 E a chi l’abbiamo venduto } 



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102 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


17 e 31 inclusive, Nò fuochi di gioia, nè opinioni super- 
stiziose, nè espressioni particolari, nè leggende, nè cerimonie 

insomma, nessuna delle tante cose indicata in questi articoli si 
usano praticare da noi. 

32. Terminata la mietitura, quando si trasportano i carri alla 
corte , cioè all’ aia , i covoni già abbicati sui campi , per ammon- 
tarli in una o più barche (vulgo frasi, cavegioni) pronti alla treb- 
biatura, si scherza alle volte con un povero babbeo, di solito un 
giovinotto che ha cominciato , quell* anno stesso , a mietiere in 
compagnia degli altri , seriamente mandandolo da un possidente 
poco lontano , per chiedergli a prestito la Slregia-pagiari 1 , che 
i burloni vorrebbero far credere uno strumento atto a strigliare, 
cioè a pulire la massa di covoni allora allora condotta a fine. Il 
babbeo, se crede, va al luogo indicato, domanda lo strumento con 
tutta la franchezza che l’ingenuità gli suggerisce, viene accolto con 
apparente gentilezza , e caricato poi di un pesante macigno , in- 
volto in un sacco che il poveretto si mette a stento sulle spalle, 
per portarlo ai compagni. Da questi, naturalmente, è ricevuto con 
grida canzonatorie e risa sgangherate. La vergogna imporpora le 
guance del novizio, il macigno vieti gettato in un canto ; ma la 
lezione non gli esce dal capo, e non resta senza effetto. 

33. Tutti i vecchi ricordano che invitavansi i mietitori al la- 
voro col suono monotono d’uri corno; e tranne gli usi comuni 
introdotti da pochi anni colle macchine mietitrici e colle trebbia- 
trici a vapore, non saprei quali altri indicare de' tempi scorsi. 

34. In vigore nel Polesine; ma non molto dissimili nelle più 
vicine campagne delle provincie limitrofe di Padova , Verona e 
Ferrara. 

In queste ultime si osserva che nel lavoro di tagliare le biade 
prendono molta parte anche le donne. 

Castclguglielmo 1890. 

Maria Ferranti: Mazzocchi. 

1 Striglia da pagliai. 



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CONTES DE MARINS 

RECUEILLIS EN HAUTE-BRETAGNE \ 


VII. — Le Mousse jeté à la Mer. 


l était une fois un petit gar^on qui voulait étre ma- 
rin. Il s’engngea cornine mousse, et son capitaine Pai- 
mait bien. Un jour que le navire abordait à un port, 
le capitaine lui dir : 

— Viens me conduire à terre; pour ta peine, je te donne une 
des caisses d'oranges dont le navire est chargé, tu la vendras, et 
Largent sera pour toi. 

Le mousse ne savait comment faire; il avisa une petite bonne 
femme a qui il demanda de se charger de vendre ses oranges 
en attendai! t son retour, il se coucha le long d’une maison. 

Bientót il vit venir trois jeunes hommes qui lui dirent: — Si 
tu veux venir voler trois bagues en or qui sont aux doigts d’un 
évéque,nous allons te conduire. — Le mousse répondit qu' il le vou- 
lait bien. Ils le conduisirent à un souterrain, et Py descendirent 
par une corde, et ils lui dirent : — Il dort peut-étre, prends garde 
de Pcveiller. 

1 Suite. Voyez, t. IX, p. 509. 



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104 Alleili Vio PER LE TRADIZIONI EOPOLAIU 

Le mousse aper^ut un lit, et y alla tout doucement; or l’évéque 
était mort, mais les jeunes gar^ons ne le savaient pas. Le mousse 
ne pouvant avoir les anneaux coupa les doigts de Tévéque, et, 
comme il voulait garder une bague pour lui , il dit aux jeunes 
gens qu’il n’y avait que deux bagues; et qu’il allait les leur donner 
s’ils voulaient le remonter. Mais les jeunes gens Lappellèrent voleur^ 
et l’enfermèrent dans le souterain. Le mousse alla prendre le ca- 
davre de l’évéque, et en se servant de lui, parvint A ouvrir la 
porte du souterrain. 

Il retrouva la petite bonne femme qui lui remit Largent de 
ses oranges, et il retourna A bord de son navire. 

Quand le bàtiment fut en mer, il s’éleva un grand ouragan, 
et trois bonnes soeurs, qui étaient à bord comme passagères, dé- 
clarèrent que quelqu’un de Téquipage avait fait un mauvais coup; 
et elles demandèrent que tous les hommes fussent se confesser 
à elles. Ils obéirent et le capitaine comme les autres. Il n’y avait 
plus qua le mousse; quand la bonne sceur l*eut entendu, elle vint 
trouver le capitaine, et lui dit qu’ii avait volé trois bagues à un 
évéque mort, et que la tempéte ne s’apaiserait que s’il était jeté 
A la mer. 

Le capitaine mit le mousse dans une barrique, et lui donna 
une vrille et de petits morceaux de bois arrondis; il lui remit aussi 
quelques vivres et attacha la barrique A la remorque du navire. 
Quand le mousse voulait voir où il était, il per^ait avec sa vrille 
les douves du tonneau , puis , pour cmpècher Y eau d’ entrer, 
il bouchait bien vite Y ouverture avec un de ses morceaux de 
bois. 

Une nuit l’une des bonnes soeurs alla couper la remorque 
qui attachait la barrique, qui se mit A errcr au gré des vents, 
et finit par venir s* échouer sur une grève. Le mousse nc la 
sentant plus bouger, fu sauter la bonde de la barrique, et vit qu^il 
était A terre. Comme un boeuf qui errait sur la grève passait au- 
près, le mousse attira son bras par la bonde qui était fort large, 
et prit le boeuf par la queue. Le boeuf se mit A courir comme 
s’il avait eu le diable après lui; le mousse avait beau crier, les 


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CONTES DE MARINS IO5 

gens avaient peur et personne ne venait le tirer de sa barrique et 
je ne sais s’il y est resté. 

Conte pnr Eugène Goujet, de St. Cast, ;\gé de 15 ans. 

Vili. — Le Matelot qui épousa la fille du roi d'Angleterre. 

Il y avait une fois un Parisien, qui arriva au service; il était 
bleu , c' est-à-dire maladroit dans les choses de la mer , et il ne 
savait pas bien se débrouiller. 

Le pére la Chique 1 lui dit: 

— As-tu de Targent? 

— Oui. 

— Tant mieux, si tu veux me payer h boire, je t’aiderai, et 
te mettrai au courant du service. 

Il descendit à terre avec le pére la Chique ; tous les deux 
tirèrent une bordée, et quand ils revinrent à bord, on les mit à 
la boite (en prison ). Le Parisien n’avait plus d’argent, et il en était 
bien marri. Le pére la Chique lui dit : 

— Si tu écrivais i tes parents que tu es passé quartier-maitre, 
ils t’envefraient de 1’ argent pour tes galons, et nous pourrions 
encore nous amuser quand nous descendrons à terre. 

Le Parisien écrivit à ses parents qu'on venait de le notnmer 
quartier-maitre; et ils lui envoyèrent cinquante francs; et le pére 
la Chique et lui restèrent quarante huit heures en bordée, et ne 
s’ en revinrent que lorsqu* ils n’ curent plus le sou. On les mit 
encore à la boite, et le pére la Chique dit à son camarade: 

— Tes parents t* ont donné cinquante francs quand tu leur 
as dit que tu étais quartier-maitre; si tu leur écrivais que tu es 
passé deuxième maitre, ils t’enverraient encore quelque chose, et 
nous pourrions nous amuser. 

Les parents du Parisien lui envoyèrent cette fois cent francs, 
et les deux matelots tirèrent une bordée, et ne revinrent à leur 


1 Les vieux matelots sont désignés sous le nom de Pére La Chique, parce 
qu'ils màchent constamment du tabac. 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 14 



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IO 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARt 

navire que quanti ils eurent tout dépensé. Les voik\ cncore à la 
boite, et sans argenti 

— Ecris à tes parcnts, dit le pere la Chique, que tu es passe 
enseigne. 

Les parents envoyèrent deux cents francs, et le Parisien fit 
avec le pére la Chique une noce qui dura trente jours. Quand ils 
rembarquèrent, on les mit encore à la boite. 

— Ecris maintenant que tu es passe lieutenrint de vaisseau, 
dit le pére la Chique. 

Le Parisien re^ut cette fois deux cents francs qui furent encore 
mangés joyeusement , et quand il fut de nouveau à la boite , il 
écrivit à ses parents qu’il était passe capitaine de fregate, et ils 
lui envoyèrent aussi deux cents francs. 

Quand le pére du Parisien vit que son fils avait un avan- 
cement si rapide, il dit à sa femme: 

— Puisqu 1 Auguste est maintenant capitaine de fregate, il faut 
aller le voir. 

Les deux bonnes gens arrivèrent à bord et demandèrent le 
capitaine Auguste ; le, commandant du navire se nommait juste- 
tnent ainsi, mais quand ils le virent, ils ne le reconnaissaient pas 
pour leur* fils, et ils demandèrent s’il n'y avait pas i bord quelque 
autre personne du nom d’Auguste. 

— Sì, lui dit-on; il y a a la boite un matelot noccur qui 
s’appelle Auguste. 

— C’est mon fils, dit le bonhomme. 

On alla \ la boite dire au matelot que son pére le demandait: 

— A ta place, dit le pére la Chique, je tacherais de m’esquiver. 

Auguste y parvint, il trouva moyen de débarquer et de s’em- 
barquer sur un navire anglais. 

Le voilà en Anglcterre , et cornine il n’avait pas le sou , il 
s’enróla dans le régiment des habits rouges. 

Dans ce tetnps-là, la fille du roi d' Angleterre était cornine 
morte dans une église; et toutes les nuits, il fallait qu’on envoye 
un soldat pour monter la garde auprés d'elle, et toutes les nuits, 
il était mangé. On désigna Auguste pour aller en faction dans 
’église. 


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CONTES DE MARINS IO7 

— Je nai pas peur, dit-il , mais pourtant je voudrais bien 
ne pas me laisser m anger. 

Sur sa route, il rcncotitra une vieille mendiante, qui lui de- 
manda la chirité: 

— Volontiers, lui répondit Auguste en lui donnant la moitié 
de son argent; quand il y cn a pour un , il y en a pour deux. 

— Garde ta bourse, dit la vieille, je voulais seulement savoir 
si tu avais bon cceur. Tu vas monter la garde dans V église où 
est le tombeau de la fille du roi; à minuit il s’ou vrira et la prin- 
cesse c riera: « Soldat de moti pere, où es-tu? » Tu te cacheras 
derrière une statue de saint, et, si tu ne réponds pas, tu n’auras 
aucun mal. 

Auguste alla à Péglise prendre sa faction: au premier coup 
de minuit, la fille du roi sorti: de son tombeau et s’écria : 

— Soldat de mon pére, où es-tu ? • 

Ne recevant pas de réponse, elle se mit li chercher partout, 
et à chavirer les chaises et Ics bancs: au dertiier coup de minuit, 
elle rentra dans sa tombe qui se referma aussitót. 

Quand le roi apprit que le soldat n’avait pas été dévoré, il 
fut bien content, car il savait que si le mème soldat pouvait passer 
trois nuits de suite dans Péglise, sa fille serait délivrée, et il promit 
i Auguste de la lui donner en mariage s’il réussissait. 

Comme le soldat se rendait à sa faction, il rcncontra la vieille 
mendiante, qui lui dit: 

— Cette nuit la princesse sera plus mediante que dliabitude, 
cache-toi derrière le saint Sacrement, ne réponds rien et ne bouge 
pas. 

A minuit sonnant la fille du roi sortit de son tombeau, et 
s’écria : a Soldat de mon pére, où es-tu que je te mange ! » Et 
elle se mit demolir les saints , i déchircr l’autel; mais quand 
sonna le douzième coup de minuit, elle rentra dans son tombeau. 

La troisième nuit, comme il se rendait à Péglise, il rencontra 
la vieille, qui lui dit : 

— Voici la dernière nuit; tu te placeras à coté de sa tombe, 
et juste au moment où elle sortirà, tu la saisiras dans tes bras, 


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108 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

et tu la serreras de toute ta force ; si tu ne la làches pas , elle 
sera sauvée. 

Auguste fit ce que la vieille lui avait dit: quand la princesse . 
se leva de son tombeau, il la saisit, et Pétreignit dans ses bras, 
jusqu'au moment où sonna le dernier coup de minuit; alors elle 
s’écria : 

— C est toi qui m’ as délivrée ! 

Il se maria avec la fille du roi d’Angleterre, on P habilla en 
prince, et ils firent de belles noces. 

Quelque temps après son mariage, il dit: 

— Il faut que j’aille en France voir mes parènts. 

Il partit avec une escorte de cinquantc soldats , mais une 
nuit qu’ il cpuchait dans un hotel isole, des voleurs tuèrent ses 
soldats, et lui seul parvint à s'échapper. Quand il revint chez son 
pére, il fut mal re$u, et il eut beau lui dire qu'il était prince; le 
bonhomme ne voulut pas le croire, et il le mit à coucher avec 
les cochons, en lui donnant une musique pour les faire danser. 

Il avait dit à sa femme qu'il ne serait resté absent que quinze 
jours. Quand elle vit qu* il ne revenait pas, elle prit trois cents 
soldats pour se mettre à sa recherche; elle arriva à Phótel, mais 
s’étant doutée que les soldats avaient été surpris là, elle se mit 
sur ses gardes, et les voleurs furent tués. Elle continua sa route 
et arriva à Marseille, où demeuraient les parents du Parisien. Elle 
vit son mari qui faisait danser les petits cochons dans une cour, 
Elle entra chez son beau-père et lui dit: 

— Pourquoi traitez-vous ainsi le gendre du roi d’Angleterre? 

— Lui, c’est un polisson qui m’a déjà attrapé, en me faisant 
croire qu’il était capitaine de frégate, et c'cst pour le punir que 
je Pai mis à faire danser les cochons. 

— C’est bien le gendre du roi d’Angleterre, dit la princesse, 
et je suis sa femme. 

Quand son pére vit que cela était vrai, il fut bien content, 
et Auguste retourna en Angleterre avec sa femme, où ils vécurent 
heureux. 

Conté en 1880 par Auguste Macé, de Saint* Cast, nulelot. àgé de 18 ans. 


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CONTES DE MARINS 


IO9 


IX. — Tribord Amures. 

Il y avait une fois un matelot qui s'appelait Tribord Amures; 
il s’embarqua sur un navire, et convint avec le capitaine qu’ au 
bout d’un an et un jour, ou le débarquerait, quel que fut l’ en- 
droit ou se trouverait le navire. 

* — C’est bien, dit le capitaine. 

Quand Tannée et le jour furetit écoulés, le navire était éloigué 
de toute terre; Tribord Amures vint rappeler à son capitaine la 
promesse qu’il lui avait faite; mais le capitaine ne voulait paf le 
débarquer dans la mèr, et il lui donna une baleinière qu’il remplit 
de vin, de biscuit et de viandes. Tribord Amures s’y installa, bissa 
sa voile et partit Tribord Amures. 

Il arriva à une ile, et sur le quai, il vit un homme qui lui dit: 

— Ah! te voilà, Tribord Amures, comment te portes-tu? 

— Tu me connais donc! demandas le matelot étonné. 

— Mais oui; est-ce que tu ne rappelles plus que nous avons 
fait notre Service ensemble? 

Tribord Amures ne s’en souvenait pas, mais pour renouveler 
connaissance, il donna à son nouvel ami du tabac à chiquer. 

— Tu vas venir chez moi, lui dit y l’homme; tu mangeras et 
tu vivras cornine tu voudras. 

— Cela me va, repondit Tribord Amures. 

Il alla au chàteau de son matelot, qui lui remit toutes les 
clés de ses appartements; elles étaient toutes brillantes et luisantes, 
excepté une qui était couverte de rouille. 

— Je vais m'absenter, dit— il à Tribord Amures, tu pourras 
ouvrir toutes les chambres , excepté celle dont la vieille clé est 
rouillée. 

Le matelot s'amusa à visiter les appartements, puis quand il 
les eut tous vus, il lui prit envie de savoir où conduisait la clé 
rouillée. Il ouvrit la porte, et vit une belle demoiselle enfermée 
derrière des grilles de fer. 

— Que faites-vous là ? lui demanda-t-il, 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


— Ah! mon pauvre homme,répondit-elle, qui vous amène ici ? 

— O est riiomme à qui est le chàteau; il m* avait bien re- 
commandé de ne pas ouvrir cette porte; mais je Pai fait tout de 
ménte. 

— Vous é r es chez le diable, dit la demoisclle. 

— Ma foi, répartit Tribord Amures, il s'est conduit conve - 
nablement jusqu’ici et Pon est bien chez lui. 

— Si vous voulez me délivrer, voici ce qu’ il faut faire : la 
première fois que vous mangerez ensemble, il mettra devant vous 
trois bouteilles, et trois aussi devant lui; les siennes seront pleines 
de vth, et les vótres remplies de poison ; il vous provoquera à 
boire, et si vous buvez vous étes mort; il voudra aussi jouer aux 
cartes, et il laissera tomber une carte par terre; il vous- dira de 
la ramasser; mais vous lui répondrcz: « Non, je ne suis pas ici 
pour vous servir. » 

Quand le diable revint au chàteau, il dit: 

— Tu as été dans la chambre à la clé rouillée? 

— Non, répondit-il. 

— Si, mais viens jouer avec moi; voici six bouteilles de vin, 
trois pour chacun; nous allons bien nous amuser. 

En jouant, le diable laissa choir par terre une de ses cartes 
et il dit à Tribord Amures: 

— Ramasse cette cartes. 

— Non, je ne suis pas ici pour te servir. 

Pendant que le diable se baissait, il changea les bouteilles de 
place. Le diable lui dit: 

— Maintenant nous allons boire du vin et jouer à qui aura 
le premier absorbé ses bouteilles. 

Le diable se depècha de boire, mais il tomba tout endormi 
et à moitié mort. Aussitót Tribord Amures courut à la chambre 
où était la princesse , arracha les grilles , et la conduisit à sa 
baleinière. 

Comme il poussait avec un aviron pour quitter le rivage, 
le diable arriva et mit la main sur Y aviron; mais, la princesse 
P aspergea d’ eau bénite , et le diable qui était brulé s 1 enfuit en 
hurlant. 


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CONTES DE MARINÒ 


! f I 


Les voili partis tous les Jeux, toujours Tribord Amures, et 
chncun était de quart i son tour, car le matelot avait appris la 
manceuvre i la princesse. Tout d’ un coup, le navire sur lequel 
il étai\ embarqué passa auprès d’eux. 

— Tiens, s’écria Tliomme de quart, voili Tribord Amures. 

Ils laissèrent arriver sur lui et 1* embarquèrent; mais le ca- 
pitarne fu enfermer le matelot dans une chambre et la princesse 
dans une cabine; à chaque instant elle disait : 

— Où est Tribord Amures, mon Iibérateur? 

Le capitaine lui répondait: 

— Si tu ne dis pas que c’est moi qui t’ai délivrée, je te fais 
jeter par dessus bord. 

Et il donna des gratifications i ses matelots pour qu’ils décla- 
rent que c’ était lui le sauveur de la princesse. Gomme Tribord 
Amures le gènait, il le mit sur une palliasse et le jeta i la mer. 

Mais la palliasse surnageait et allait au gré des flots; elle fut 
rencontrée par un navire et Thomme de quart cria: 

— Tiens, untr’paillasse qui flotte! il y a dessus un homme 
qui ne parait pas encore mort. 

— Laisse arriver, cominnnda le capitaine. 

Ils embarquèrent Tribord Amures, lui donnèrent i manger, 
et il raconta au commandant du navire comment son capitaine 
l'avait jeté à l’eau pour s’emparer de la princesse qu'il avait sauvée. 
Le navire allait justement dans le pays de la princesse, et il ar- 
riva au port en méme temps que le capitaine qui se vantait faus- 
sement de Eavoir delivrée. Tribord Amures fit arréter par les 
gendarmes le capitaine, qui fut mis \ mort ; la princesse le re- 
connut, elle se maria avec lui, et ils vécurent heureux. 

Conte en 1880 par Francois Marquer, de St. Cast, mousse Agé de 13 ans. 

X. — Gaiette de Biscuit et Quart de Vin. 

Il y avait une fois deux Père-la-Chique, qui étaient camara- 
des: l’un s* appelait Gaiette de Biscuit et T autre Quart de' Vin; 
ils étaient aussi cornine les deux doigts de la main et on les 
voyait toujours ensemble. 





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112 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Un jour Gaiette de Biscuit eut envie de descendre A terre; 
il alla trouver son capitaine et lui dit: 

— Y aurait-il moyen, commandant , d’ aller chercher deux 
sous de tabac A chiquer ? il y a plus de deux mois que je n’en 
n’ai eu de bon. 

— Oui, répondit le capitaine; emmène avec toi Quart de Vin, 
et ne reste pas trop longtemps. 

Ils allèrent tous deux à terre, et quand vint Pheure de rentrer, 
Quart de Vin dit A Gaiette de Biscuit: 

— Retournc A bord et va te présenter au capitaine. 

Quand le capitaine vit revenir le matelot tout seul, il lui dit : 

— Où est voire carnarade? 

— Il est reste A prendre sa chique. 

— Hé bien, jusqu’A ce qu’il soit de retour, vous allez rester 
aux fers. 

— Me voilA bien pris , se dit le matelot en descendant A 
la cale. 

Quart de Vin avait oui dire que celui qui aurait pu dire à 
la fille du roi trois mots qui ne se trouvaient pas dans le dic- 
tionnaire se serait marié avec elle. 

Il se prósenta au palais et dit A la Fille du Roi : 

— Epissant, Epissé, Epissoire. 

Comme ces mots ne se trouvaient pas dans le dictionnaire, 
il se maria avec elle, et le lendemain, comme il avait fait la noce, 
il ne se rappela plus ce qui s’était passé, et il revint A bord. 

— D’où viens-tu, Quart de Vin? lui demanda son capilaine. 

— De chercher du tabac. • 

— Tu es resté trop longtemps, et tu vas aller aux fers. 

Cependant la fille du roi ne voyant plus Quart de Vin, 
pensa qu’il était retourné A son bord. Elle prit les habits de son 
pére et se fit conduire au vaisscau. Elle commanda au capitaine 
de faire manoeuvrer tous les hommes sur le pont. 

Elle passa devant eux, et dit:* 

— Sont-ils tous 1A? 

— Oui. 


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CONTES DE MARiNS 


”3 


— Non, il en manque un : où est Quart de Vin ? 

— Il est aux fers. 

— Détachez-le bien vite, et dites-lui de venir ici. 

Quand il vint arriva sur le pont, la princesse lui dit: 

— Tu vas t'en venir avec moi, j’ai besoin de te parler. 

La fille dii roi emmena Quart de Vin au palais , et quand 
ils furent seuls, elle lui dit: • 

— Tu ne te rappelles donc plus que nous sommes mariés? 

— Depuis quand ? répondit Quart de Vin. 

Elle lui raconta ce qui s’était passe, et Quart de Vin fut bien 
coment d’ètre le gendre du Roi. 

Il s’habilla en prince, et vint à bord où personne ne le re- 
connaissait, tant ses habits l’avaient changé. 

Il passa la revue des hommes et commanda la manoeuvre si 
fort que tout l’équipage suait à grosses gouttes. 

— Tout le monde est-il sur le pont? demanda-t-il. 

— Oui, prince, répondit le capitaine. 

— Où est Gaiette de Biscuit? 

— Aux fers. 

Le prince descendit i la cale, et dit à Gaiette de Biscuit: 

— Ah! te voilà , mon vieux camarade, je suis content de 
te voir. 

— Au lieu de vous moquer de moi , dit le matelot, vous 
feriez mieux de me donner une chique. 

— Comment, Gaiette de Biscuit, tu ne reconnais pas ton ami 
Quart de Vin, avec qui tu as tirò de si joyeuses bordées? 

— Ah! c’ est toi, je suis bien aise que tu aies eu de i’avan- 
cement. 

Quart de Vin monta sur le pont avec son camarade, il or- 
donna au capitaine de lui donner ses habits, et Gaiette de Biscuit 
fut capitaine, et le commandant simple matelot. 

Gaiette de Biscuit commanda alors la manoeuvre, et comme 
l’ancien capitaine n’allait pas assez vite, il le fit mettre aux fers. 

Ils descendirent ensuite à terre, et ils se promenaient à chevai. 

Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 15 


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H4 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Un jour que Gaiette de Biscuit était seul dans la forét , il 
rencontra un Géant, qui lui dit : 

— Où vas-tu ? 

— Qu'est-ce que cela te fait? répondit-il. 

Le Géant mit après Gaiette de Biscuit un volier de mouches; 
mais Gaiette de Biscuit prit une aiguille et en enfila sept d* un 
coup, et les autres ^’enfuirent. Alors il se crut Phomme le plus 
fort de la terre. Il dit au roi: 

— Quand vous aurez la guerre, vous n’aurez qu’à me dire; 
je vous débarrasserai de vos ennemis. • 

— Hé bien, dit le roi, Licorne est dans la forét , tàche de 
le tuer. 

Gaiette de Biscuit alla i Pendroit où Pon voyait Licorne, et 
il Pattendit i coté d’un arbre. Quand Licorne Paper^ut il se pré- 
cipita sur lui, sa grande come en avant; mais Gaiette de Biscuit 
fit un saut de coté, et Licorne enfonca sa come dans le tronc de 
Parbre, et il ne put s’cn dépétrer. 

Gaiette de Biscuit frappait dessus en riant , et quand il eut 
tué Licorne, il revint annoncer au roi la bonne nouvelle. Le roi 
le fit aulirai; peu après Quart de Vin mourut; Gaiette de Biscuit 
épousa la princesse, puis il devint roi, et vécut heureux. 

Conte en 1880 par Francois Marqucr, de St. Cast, mousse, àgé de 14 ans. 


XI. — Le Guitan et le Maquereau. 

Un jour il y avait plusieurs maquereaux qui nageaient le 
long d’unc basse i guitans l , et ils dirent aux guitans: 

— Pourquoi restez-vous donc toujours sur les bas-fonds , au 
lieu de voyager comme nous ? Nous autres, nous connaissons le 
pays et nous savons où nous réfugier, tandisque vous c'est peine 
si vous connaissez votre basse. 

Les guitans furent piqués de ces reproches; il s’ engagea une 
dispute entre eux et les maquereaux et les guitans finirent par 

* Endroit où il y a peu d’eau; le guitan est un petit poissou de mer. 


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— __ irnr 1 


COXTES DE MAR1NS 


“5 


mettre les maquereaux en déroute. Ceux-ci s’eloignèrent; mais sur- 
pris par le mauvais temps, et ne saehant où se réfugier , ils ré- 
solurent de retourner à la basse aux guitans et de leur demander 
un asile. Quand ils furent à quelque distance, ils envoyèrent un 
des leurs à la basse aux guitans. Hn y arrivant il aper^ut un gros 
guitan qui était de quart, et un régiment de brèmes qui venaient 
aussi demander Phospitalité. On la leur accorda, et ils entrèrent 
sur la basse. Mais quand le maquereau eut fait sa demande , le 
gros guitan lui répondit: 

— Puisque vous connaissez si bien le pays , vons ne devez 
pas ètre embarrassé pour vous réfugier quand vient le gros temps; 
allez ailleurs quc sur nos bas-fonds. 

Les pauvres maquereaux luttòrent de leur mieux contro la 
tempète; mais ils périrent prèsque tous et ceux qui échappòrent 
au désastre se promirent bien de ne plus se moquer des autres 
poissons. 

Conte en 1883 par Francois Marquer. 

XII. — Pourquoi on emploie le Ciment pour lester les 

bateaux. 

Il y avait une fois un pécheur de Saint-Cast , qui revenait 
dans son bateau avec un chargement de ciment qu’ il avait ctc 
chercher à Saint-Malo. 

En passant près des Bourdineaux, basses qui, comme on sait, 
sont très poissonneuses, il s’avisa qu’il lui restait un peu d’appàt, 
et il eut envie d’ essayer de pécher quelques poissons pour son 
souper. Il mouilla son ancre, amorfa ses lignes, et pour attirer le 
poisson, se mit à jeter de l'appàt autour du bateau. Mais le poisson 
ne mordant pas, le pécheur se mit, pour se distraire, à regarder 
la terre qui n’était pas très éloignée. Mais voilà qu’il s’aper^ut que 
son bateau était en dérive. Il mit la main sur son aussière (, cable ), 
et vit que son ancre ne mordait plus le fond : un gros poisson, 
qui nageait entre deux eaux, la tcnait dans sa bouche^ et s’amu- 
sait avec elle comme les chats qui jouent avec une pelote de fil. 


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II 6 


Le pécheur reconnut Nicole, qui a joué tant de tour aux 
pécheurs, et il lui dit : 

— Maudit Nicole, il y a bien longtemps, que tu te plais à 
faire jurer les marins; si je t’attrape, tu paieras tout le mal que 
tu leur as fait. 

Il saisit sa gaffe et s’apprétait à en percer Nicole, quand il 
s’aper^ut que le maudit poisson en s’amusant avec P anere s’était 
pris à l’un des bouts comme à un hame^on. Le pécheur s’empressa 
de hisser Nicole à bord ; dès que celui-ci fut dans le bateau, il 
se mit à regarder le pécheur d’un air étonné. 

— Ah! s’écria le pécheur, tu es en mon pouvoir; je ne sais 
ce que je vais te faire, si je t’étriperai ou si je te rejetterai à la 
mer; je vais toujours te faire góuter unj)eu à mon chargement. 

Il lui rempiit la bouche de cirnent, et, après lui avoir arraché 
les yeux, il les rempla^a par deux boules de ciment, lui coupa 
trois nageoires et le rejeta à la mer en disant : 

— Va t'en, maudit Nicole, et ne reviens plus, sinon il n* y 
aura que la mort pour toi! 

Nicole n’était guère mieux que s’il avait été mort pour tout 
de bon, et sans 1’ aide des autres poissons qui le soutinrent sur 
l’eau et lui enlèverent le ciment qui Pétouffait, il aurait prompte- 
ment expiré. Mais il guérit promptement, ses nageoires repoussè- 
rent, et il se mit à parcourir les raers, et à raconter aux autres 
poissons l’accident qui lui était arrivé. 

Depuis, jamais Nicole ni les autres poissons qui se plaisent 
à jour des tours aux matelots ne s’ approchent des bateaux, qui 
ont à bord du ciment. C’est depuis cette époque que les pécheurs 
Pemploient pour lester leurs bateaux, et ils disent en le pla^ant 
au fond: 

Tant que ciment à bord sera 
Jamais Nicole n’approchera. 

Conté en 1886 par Francois Marquer, de Saint-Cast. 

(J suivre ) Paul Sébillot. 


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DUE RACCONTI SICILIANI. 


I.— Li tri duonni, chi mali cci abbinai K 


T\ lu Castieddu a tiempi antichi cci stava un gran si- 
gnuri; stu gran signuri aviva tri suoru bieddi quantu 
Diu li puotti fari. Ora ’na vota c’ avid’ a gghiri a la 
guerra, piglii' li suoru e li ’nchiui ’nti la cammara scura * e cci 
lassi’ la mancia pri tri anni : frummientu, pani, farina, vinu, gad- 
dini, ’nzumma ’nzoccu sapianu addumannari. Cci muri’ li puorti, 
e parti’ pri la guerra. La guerra duri’ cchiu di tri anni; dduoppu 
s’arricarapà’ tuttu cuntienti a lu Castieddu , e smurati li puorti, 
trovi’ li suruzzi jittati pri terra, abbrazzatieddi, cu li gatti muorti 
’nti la falla, e li taccuna di li scarpi ’mmucca. 

D’allura ’n pua, dda cammara si chiami’: la cammara di li tri 
duonni, chi mali cci abbinai . ( Mussomcli ) 3 . 



1 È una nuova versione della leggenda raccolta da G. Pitrè sotto questo 
stesso titolo nelle Fiabe , Novelle e Racconti pop. sicil. , v. IV, n. CCXCV e 
nelle Fiabe e Leggende , n. XCIX. 

* Chiamano cosi la parte più interna del Castello. 

3 Raccontata da Salvatore Armanno, 


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Il8 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

II. — Chiddu di lu grecu minchioni. 

’Nca si cunta e si raccunta ca ’na vota cc’ era 'n Palermu 
’n Tignanti; stu Tignanti avia un pappaaddu ca era ’na maravig- 
ghia; parrava propriu comu ’n cristianu, e tutti chiddi di lu pa- 
lazzu lu vulianu beni quantu l'occhi soi. 

Ora ’n viaggiu, comu fu, comu nun fu, stu pappaaddu si nni 
vulau. Fijurativi comu s'accuminciaru a pilari tutti ! Lu re, 'ncu- 
luratu, jetta un bannu : ca cu' cci purtava stu pappaaddu avia 
cent'unzi. A stu bannu chi vulistivu vidiri, frati meu ! ’mmenzu 
li jardina, cci fu un parapigghia. Cerca di ccà, cerca di ddà, tutti 
li rami e li crafocchi, ma nun lu putia truvari nuddu, ’u sap’ iddu 
unn’era ’mpirtusatu. 

’Nta di P àutri cala, e cala ’n grecu; stu grecu 1 era lu pa- 
iarca di li minchiuna, e tampasiannu tampasiannu arriva ’nta 
’n vaddottu, unni cc’era ’n bellu pedi di ficu carricatu. Vidennu 
ddi ficu cu lu meli chi cci sculava, e la cammisedda sfardata, cci 
fici la gula nicchi-nicchi, e ’ncugna. 

Comu jiu pri cògghiri la prima, l’occhi cci eru ’nta li rami 
e vitti un aciddazzu tantu curiusu , chi si pizzuliava ’na ficuzza 
’mpassuluta. Iddu scricchia l’occhi tanti e dici : « Ccà è », e tuttu 
cuntenti accumencia a 'echi mari adaciu adaciu. Lu pappaaddu 
senti annaculiari li rami, si vota, e comu vidi a chistu cu la manu 
jisata pri acchiappallu, cci dici : « Chi vói ? » Lu tuttu lampa, a 
dda vuci stunau, si fici nicu nicu, si livò la birritta e dissi : « Vo- 
scienza m’havi a scusari, mi paria ca era pappaaddu ». 

Scinni cótu cótu e l’ accumencia a circari pri la campla. 
(Parco) 3 . 

Emanuele Armaforte. 


4 Grecu qui è un albanese di Piana nella prov. di Palermo. Il racconto 
vuol mettere in ridicolo come gente di grosso cervello gli Albanesi di Sicilia. 
* Raccontato dal contadino Pasquale Ciullo, 


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TRADigÒES PORTUGUEZAS. 


Conceito popular de Sereia. 

Pelo canto da sereia 
Se perdem os navegantes, 
Choram os paes pelas fichas, 

As secias pelos amantes. 

Ouvi cantar a sereia 
No meio d’ aquelle mar, 

Muitos navios se perdem 
Ao som d' aquelle cantar. 

Rei dos bichos o leao, 

Dos peixes è a baleia, 

Das aves o gaviào, 

Para cantar a sereia. 

No cantar sou a sereia 
Na formosura o pavào; 

Tens abaixo das estrellas 
Urna flor com perfeigao. 

Tenho combatido guerras 
No carne com as sereias, 

Tenho corrido mil terras 
Cidades, villas, aldeias. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI PóPOtAftl 


Olivi cantar a sereia 
La no meio do mar sagrado, 

’Sta presa c’ urna cadeia 
E fechada a cadeado. 

Està noite a meia noute 
Ouvi um lindo cantar, 

Cuidava que eram os anjos, 

Era a sereia no mar. 

Là no mar anda a sereia 
Correndo corno a perdiz; 

Nào te gabes que me deixas, 

Fui eu a que te nào quiz. 

A sereia anda no mar, 

Anda à roda, torce, torce; 

Ainda està para nascer 
Quem de mim tomarà posse. 

A sereia anda no mar 
Anda a roda do vapor; 

Ainda està para nascer 
Quem sera o meu amor. 

A sereia quando canta 
Canta no meio do mar, 

Quantos navios se pcrdein 
Pela sereia cantar. 

( Elvas ) A. Thomaz Pirks. 




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MISCELLANEA. 



’U ciùccia e 'u porca. 
Favola calabrese . 


vìa ’nu massaru (parrandu jeu cu bui cu dovutu rispettu) ’nu porcu 
e ’nu ciùcciu. ’U ciùcciu jera assai mortificatu. Iju vidla , c’ ’o 
patruni attendi sulu c’ ’u porcu, e no ccud’ iju. « No nsù puru jeu ani- 
mali com’ ’u porcu ? E ’ntantu jeu mai mi viju vivu fatigandu, 
e appena aju ’nu mlsaru filu di pagja pe mangiari. ’U porcu mo, chi ssi stanci 
friscu riposata, no nc’ è cosa bona, che no rici vi ! » 

*Na sira senti parrari ’u massaru, chi nc’ ’ici à mugjeri : — « No nei dari 
’i mangiari, ca domani vogju, mu l’ammazzu ». 

— « ’U vi’ ? dissi ’u ciùcciu nt’ ’o sensu soi , ’u vi’ ? puru a chissu arri- 
varnmu ? Va bonu , ca domani, ’raparu ti abbicini , ti minu slmili càuci ’nta 
l’arcu d’ ’u pettu, e tti fazzu, ’u ti ndi vai prima ’i mia a echi j’ atru mundu 1 » 
’A matina ti vidi trasiri ’nt’ ’a staja ’u patruni cu ttanti gucceri, chi por- 
tàvanu e’ mani sparaturi e cuteja picciòtti. Cunsiderati vui, corau putla stari a 
cchiju mumentu lu pòvaru ciùcciu. Nei parìa, ca chiji cuteja li senti tutti ’nta 
li carni, e ssi movla, ligatu com'era à mangiatura, mo di ccà mo di jà. Qnandu 
poi vidi, ca, ’mbeci d’iju, pìgjanu e scànnanu ’u porcu, resta tuttu stuputu, e 
ò patruni , chi bèni , ’u nei pòrta pagja , nc’ ’ici : — « Patruni , càcciami ’na 
cùntrasceusa. Tu, chi ò porcu nei volivi tantu beni, e nei facivi ’nu mundu di 
carizzi, ’a 'ramazzasti; puru accussl fai a minia ? » 

— « Eh I ànnu raggiùni ’a genti — nei rispundi iju — ànnu raggiuni, mu 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 16 





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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


ti chiamami ciucciti; ca tu mai arrivi , mu capisci nenti. Lu porcu je carni di 
cristiani , e ssi ammazza c ssi stipa ; la toa je carni di cani , e ssi la mangia 
’a terra ». 

A ’ssi palori ’u ciùcciu di alligrizza si vòta e dici : — «Giovi, ti ringràziu 
ca mi facisti megju ciùcciu affamatu, nno majali sàzziu, mu sugnu scannatu 1 » 
( Raccolta in OConiehone). 

Luigi De Pasquale. 


U modo popolare di dire « un nuovo nato ». 

Una sera, mentre il maestro Ratti e il segretario comunale stavano man- 
giando senza parlare, ruppe il silenzio una grossa voce che veniva dal buco 
della serratura : 

— « C’è un morto ! » 

Il maestro si scosse, credendo a un omicidio commesso sull’uscio. Il se- 
gretario rispose tranquillamente : 

— « Ora vengo ». ^ 

E spiegò al maestro xne quando moriva qualcuno nel paese, se non tro- 
vavan lui al municipio, gli venivano ad annunziar la morte a domicilio , per 
non aver da fare doppia corsa. 

Un’ altra volta a colezione furono interrotti da una voce di donna che 
gridò per il buco della chiave : 

— « Signor segretario ! C’è un’innocenza ». 

Innocenza , nel linguaggio del paese , era un modo gentile di dire un 
nuovo nato. - 

Ma questo accadeva di rado l . 


La Processione del Venerdì Santo in Metcovich nella Dalmazia. 

Fa parte della processione , seguendo il Santissimo , un uomo tutto rav- 
volto in una cappa nera e circondato da quattro orribili giudei con lancia, 
duello sventurato porta, o, meglio trascina una pesantissima croce, attraverso 
tutto il paese fino alla chiesa, che sorge in cima ad una collina. Per colmo 
di sua sventura, egli deve andar scalzo su ciottoli pungenti e taglienti. Quando 
arriva alla chiesa, è più morto che vivo. 

Nessuno sa, nè deve sapere chi è quell’infelice. È un segreto del parroco 
del paese. Si sa soltanto che, ogni anno, il portatore della croce è«il più grande 
peccatore del paese. Le congetture sono sempre infinite , ma sempre vaghe. 
Quest’anno, per esempio, si vuole sia stato una persona rispettabile del paese, 
perchè ‘aveva i piedi puliti, delicati e piccoli. 


1 E omo mao D« Amicis, n Romando un maestro (capitolo 2 Murano) pag. 168. 



MISCELLANEA 


I2 3 


Sabato santo mi recai in chiesa ad assistere alla funzione, che precede 
il gloria. In mezzo alla chiesa , fermato ad una lunga funicella , pendeva un 
uovo. Al momento del gloria , i giudei che fino allora custodivano il sepolcro, 
caddero a terra, come fulminati, dimenandosi in ispasimi convulsivi. Poscia, 
uno di loro spezza con la sua lancia il sudetto uovo misterioso e tutto il buon 
gregge, raccolto in chiesa, emise un sospiro di gaudio 


Canzonetta fanciullesca nel Trentino. 

^o Schneller, che, come ispettore alla sede provinciale di Innsbruck, ha 
l’alta sorveglianza anche sulle scuole del Trentino, pretese anni or sono che le 
vecchierelle del Roveretano novellassero a veglia e cantassero la ninna-ninna 
ai bimbi in lingua tedesca, e pubblicò appunto in tedesco, iu un testo che di- 
ceva raccolto dalia viva voce delle narratrici, una serie di novelle roveretane 

Ora, delle novelle stesse esiste una raccolta , manoscritta ancora , secondo il 
dettato dialettale fedelmente stenografato. Quando la fortuna vorrà che la rac- 
colta venga data alle stampe , lo Schneller ci troverà punizione condegna al 
suo peccato O che la pigliereste per tedesca o slava questa strofa che i ra- 

gazzi di Val di Gardena ( Grèrdeina in ladino, Gròdnerthal in tedesco) cantano 
al babbo ed alla mamme la mattina del primo deiranno : 

— Bon dì, bon an 
Bi lieghri e san 
Cun grazia e fortuna 
Dut 1 temp del’ an 
Cun grazia c sanità 
E cun mancu pietà. 

La bella c bona man a mi ? — *. 


Pregiudizi Savojardi nell* XI . 0 secolo. 

« C’ est moi », disait le chatalain de Fesson, «comme étant le meilleur ami 
de Tarchevéque, qui veux porter sur le préau du monastère le fagot de paille 
où son Amo doit se reposer dans son voyage de vie à trépas ». 

Lorsque une personne meurt en Tarantaiese, on porte un fagot de paille 
dans le champ le plus voisin, parce qu’ on suppose que Fame du dófunt vient 
s’ y reposer \ 


* Dal Renna, Giornale politico quotidiano, anno XXX, n. 97. Napoli, 8 Aprile 1891, 

* Cfr. Gabella Piente 1890,0. 203, a.» pag., articolo: « Il Trentino». 

* Cfr. J. Keplat, Equine du Coniti de Savoie au XJ* site Ir, (Paris Leyraud, 1836, in-8°. 


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124 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Il nome popolare di un carnefice nella Riviera Francese. 

« Il y avait loia de la Conciergerie au faubourg Saint-Antoine, choisi en 
dernier lieu pour ètre le théàtre des exécutions. 

Un des aides da bourreau, que le peuple appelait Jacot, faisait, en avant 
des carrettes chargée de vittime, des singeries, des gambades et des culbutes, 
afin d’égayer le trajet et de divertir la populace. 

Apparemment que Jacot était bien plaisant au moment où il condusait les 
religieuses à la guillottine, car la plus jeune.... disait sur la charrette en con- 
doyant sa voisine pour qu’ elle fìt attention à Jacot : * Oh ! qu' il est dróle ! 
mais , ma mère , voye\ dotte , qu ' il est dróle 1 » *. 


Gridata dei venditori di pomi in Normandia. 

a Airaez-vous les vielles chansons populaires, aux interminables couplets, 
à la musique trainante , aux paroles nalves ? C est au débardeur de pommes 
qu* il faut en demander.... Le pommeux à la tète libre , les poumons à T aise, 
et accompagne naturellement de sa voix la basse rythmée que susurre la rone 
de sa brouette. Il est Normand et chante souvent dans son patois, où les 
voyelles fermées se prononcent ouvertes, où les finales nasillardes ont une 
sonorité d 1 instrument à auche. 

Voici un de ces refrains, noté au voi: 

La bell*, si j’ étiommes 
Dedans stu haut booais. 

Bell*, j’ y mangeriommes 
Des pommes et des noaaiz; 

Bell', j' y mangeriommes 
A notre loisè, 

Nique nac, nomuze ! 

Belle, ?oas m’ rrtz 
T* embarlifi, t* embarlifìcotè 
Par votre biaati •. 


I « Goélands » in Brettagna. 

.... « C* est un goéland. 

Sur le cótes de Bretagne, on les appelle des mauves- 

Les pècheurs croient qu* ils annoncent la tempète. Quand elles ent^dent 


1 Lombard di Laugres, Mimoires etc., T. I er , p. 216-237. 

• Jbab Rxchemm, La rat en JailUt; Paris, £* Lutare* 1890, p. ;n. 


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MISCELLANEA I2J 

leur cri court et strident, les femmes murmurent le refrain d’une vieille com- 
plainte brctonne: 

« Goélands, goélands 

« Rendez-nous nos maris, rcndez-nous nos amants » \ 


Appunti sulla idrofobia nel Belgio. 

Importa sapere che la privativa di guarire le vittime di cani arrabbiati, 
nel Belgio cattolico era da secoli riservata a sant' Uberto, il gran cacciatore; 
come di quà dall' Alpi (prima del 48) ad un chiavone toccasana di un altro 
santo assai più oscuro. 

I clericali del Consiglio Provinciale d'Anversa (tutti quanti i rurali) non 
poteano dimenticare il loro taumaturgo, ed uno di loro, on. Smolderen, ch'è 
anche deputato al Parlamento, nella tornata del 15 luglio 1890, all’articolo Igiene, 
ha pronunziato testualmente il dircorsetto che segue : 

« Pasteur è un grande scienziato, che ha fatte delle cure maravigliose, ma 
un altro gran dottore, un altro grande scienziato ha fatto ben altri prodigi 1... 
Voglio parlare di Sant’Uberto !... 

« È dunque ben giusto, continua l’oratore, che a lato del sig. Pasteur sia 
pure sussidiato Sant'Uberto, vale a dire sien fatte uguali spese ai morsicati che 
le preferiscono ». 

Janssens (di Ghcel) attesta i miracoli di Sant’ Uberto e appoggia la mo- 
zione-Smolderen *. 

Alb. E. Lumbroso. 


1 G. Duruy, André*; Paris, Hachette, 1884, in-i6°, pag. 33-54. 

* Cfr. G«4 del Fop., Torino, anno XXXI II, n. aoo, 20 Luglio 9 a 



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RIVISTA BIBLIOGRAFICA. 


Canti popolari in dialetto logudorese, raccolti per cura di Giuseppe Fer- 
raro. Parte prima. Torino, E. Loescher, 1891. In-i6°, pp. XII-399. L. 8. 


K un articolo pubblicato nella Psiche (an. VI, n. 2 6) scrissi che 
nell’interesse degli studi demologici era nato un certo risveglio 
per le ricerche concernenti la Sardegna; ma, come notava il bi- 
bliografo della N. Antologia , (an. XV, serie 3% fase. 25, pagg. 
379-81), pur dopo i nostri studi, quelli del Guarnerio e del Gian, la Sardegna 
attende il suo Pitrè al pari dell’ isola sorella. Il risveglio si rileva da varie 
pubblicazioni. Dopo la copiosa raccolta di canti sardi fatta dallo Spano , che 
confuse la poesia dialettale aulica con la tradizionale popolare , V Amati nel 
’66 nel Corriere di Sardegna notò il grave errore. Nel '67 e nel *71 il Pitrè 
privatamente e pubblicamente alzò alta la voce cosi che lo Spano mise in luce 
qualcosa schiettamente popolare o quasi. Nell’87 in questo Archivio (voi. VI, 
pag. 485-96) pubblicai una raccolta di canti popolari compidanesi, la massima 
parte de’ quali erano mutetus, che io per primo ebbi la fortuna di scoprire dopo 
insistenti c faticose ricerche; e dopo nello stesso Archivio con uno studio, Della 
poesia sarda dialettale f rapidamente illustrai la storia, i caratteri e la metrica 
di quei canti. Poco di poi il Cian nella Vita Nuova pubblicò alcuni articoli, 
Ter la poesia popolare sarda , e nell’89 un Mastio di ninne-n amie logudoresi . 
Nel suo ^Archivio il Pitrè in un articolo , Ter la storia della poesia popolare 
sarda , fece notare a* folkloristi della Sardegna il dovere di non trasandare 
l’antefatto. Nel *90 il Cian per nozze pubblicò un Saggio di canti popolari lo- 
gudoresi; e nello stesso anno è venuto fuori il volume IX delle Curiosità po- 
polari contenente Novelline popolari sarde da noi raccolte e annotate. Dunque 
qualcosa s’incomincia a fare per il folklore sardo. 



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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


I2 7 


E ora con infinito piacere vediamo messo in luce il volume IX della col- 
lezione del Comparetti e del D’ Ancona } il quale contiene una raccolta di 
Canti logudoresi di pagg. XII-399. La notabile raccolta del prof. Ferraro viene 
ad accrescere i documenti del folklore sardo, e noi lietissimi le diamo il ben- 
venuto. La raccolta de’ canti lugudoresi è assai ricca, perchè il Ferraro, regio 
provveditore agli studi, nel suo non breve soggiorno in Sassari per mezzo di 
insegnanti elementari ha potuto raccogliere molto dalla bocca del popolo , e 
avrebbe ancor altro da pubblicare; anzi noi lo esortiamo a dare alla luce la 
seconda parte de 1 canti lugudoresi e tutta la ricca messe da lui raccolta con 
intelletto d’amore. Il Ferraro distingue i canti lugudoresi in storici, religiosi, 
funebri, indovinelli e proverbi. Mi piace che già anch’io ordinai parimente la 
mia raccoltina, perchè cosi si hanno tutti gli elementi della poesia popolare 
sarda, salvo i canti di amore, de* quali egli non dà saggio, perchè il Cian e 
un suo scolare in un volume delle Curiosità popolari raccoglieranno i mutos 
amorosi. Non s’intende perchè dopo i canti religiosi (pagg. 11-74) siano in- 
seriti canti funebri e ninne-nanne, e poi a pag. 283 vengano poste altre pre- 
ghiere che forse avrebbero potuto collocarsi nella serie de’ canti religiosi; ma 
del resto è questione di distribuzione che non importa molto. 

Il volume è preceduto da una breve prefazione, nella quale il raccogli- 
tore mette in rilievo i suoi intendimenti. In primo luogo egli accenna alla 
metrica de’ mutos , ma non indica la loro origine nè la loro storia , che io 
notai nello studio citato , dove è indicata la origine spagnuola de’ mutos 
(dialetto lugudorese,) o mutetus (dialetto campidanese); e se non di quello 
studio, certamente il Ferraro avrebbe potuto tener conto de’ molti studi del • 

dott. Edoardo Toda y Guell, il quale durante e dopo la sua residenza fatta in 
Cagliari qual console di Spagna , ha pubblicato, come tutti sanno , Un polle 
rotala d'Italia , Bibliografia espanola de Cerdena > La poesia catalana in Sardegna , 
alcune conferenze su la Liga de Cataluna e altri lavori di letteratura sardo- 
spagnuola. (Cfr. Gaietta Letteraria , an. XV, n. 11). Il Ferraro nel distinguere 
le parlate del dialetto lugudorese segue giustamente i criteri glossografici e- 
sposti dallo Spano nella sua Ortografia sarda. 

Per diminuire le difficoltà nell’ intendere i dialetti e i subdialetti del Lu- 
gudoro, il Ferraro ha corredato i canti di frequenti note; ma io seguo il con- 
siglio del Pitrè, il quale per dialetti e parlate di tanto difficile intelligenza, quali 
sono quelli della Sardegna, nel pubblicare le nostre Novelline sarde , a un lessico 
esplicativo delle forme e locuzioni, che più si allontanano dalla lingua italiana, 
mi ha fatto preferire una traduzione letterale; e in vero col lessico ovvero con 
le note chi, non essendo sardo, può senza traduzione intendere appieno alcuni 
linguaggi della Sardegna? Non consento perciò col Menghini che nella Cul- 
tura consiglia il solo glossario. Quanti parlano di cose sarde senza intenderne 
una parola ! 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


I canti raccolti dal Ferraro mancano di riscontri, forse perchè egli non è 
preceduto da altre copiose raccolte di canti sardi, o perchè i suoi canti non si 
riscontrano in quelli dello Spano, essendo questi di origine letteraria o quasi. 

A ogni modo la raccolta del Ferraro è pregevole per molti rispetti , e 
dopo qualche altra di canti amorosi possederemo un’abbondante materia del 
folklore sardo; e cosi resterà infirmata al tutto la ipotesi di qualche dotto te- 
desco il quale stimava non esistesse in Sardegna poesia veramente popolare. 
In fine non possiamo astenerci dal lodare la diligenza e l’esattezza della grafia 
dei canti, nonché la cura e la eleganza tipografica del volume che lascia il 
desiderio di quello che sarà per venire. 

F. Mango. 


Esthétique de la Tradition par Emile Blémont, J. Maisonneuve. Paris, 

MDCCCXC. (Voi, VII della « Cóllection Internationale de la Tradition . 

Directeurs: MM. Emile Blémont et Henry Camoy •). In-16% pp. VIII- 

124. Fr. 3. 

Lo scopo di questo lavoretto è chiaramente e succintamente esposto dal 
Camoy nella sua sugosa prefazioncina, e può enunciarsi in poche parole. 

Uno degli studi più importanti della demopsicologia, lo studio del suo 
elemento estetico e filosofico, non era stato finoggi tentato. Or il Blémont, 
favorevolmente noto agli studiosi di tradizioni per altri suoi importanti lavori 
del genere, ha voluto con questo saggio colmare in parte la deplorata lacuna. 
E noi crediamo francamente eh’ egli vi sia ben riuscito. 

Ci spiace non poter dimostrare particolareggiatamente la nostra afferma- 
zione, essendo impossibile seguire passo per passo l’autore, il quale ha voluto 
concentrare in poche pagine il risultato dei suoi lunghi e pazienti studi : ci 
contenteremo d’accennare alla meglio, per sommi capi. 

Comincia il Blémont dal ricercare le origini e i caratteri della facoltà e- 
stetica, per venire alla conchiusione che il Bello è d’ origine essenzialmente 
popolare. Due infatti sono i suoi caratteri : il sentimento inconsciente o Y i- 
stinto affettivo, ed il disinteresse , e queste due condizioni risiedono appunto 
nel popolo. 

Gli è per queste ragioni che la Poesia e 1 ’ Arte, per mantenersi sempre 
floride e verdi, devono ritemprarsi nella letteratura del popolo. Nel popolo 
sono l'eroismo e 1 ’ epopea, a Là réside la force magique qui renouvelle r idéal 
et chance la face du monde ». E non credasi che la facoltà estetica presso le 
nazioni civili declini o si spenga nel cuore delle classi popolari , perocché : 
« toute poésie vieut du peuple et retourne au peuple». Pregio della letteratura 
popolare è l’essere spontanea ed accessibile a tutti; la letteratura cosiddetta 
nobile, all' incontro, eh’ è artificiale tutte le volte che si allontana dalle fonti 
popolari, porta seco un altro grave difetto : è venale. Ora in letteratura, come 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA II9 

in galanteria, ciò che si paga è raramente stimabile : la venalità sarà sempre 
sospetta. 

Fatte cosi le lodi della facoltà estetica popolare, passa FA. a combattere 
i detrattori degli studi demopsicologici, e scrive un importante articoletto per 
giustificare la tradizione francese anteriore alla rivoluzione, che Edgar Quinet 
accusò di corruzione. E difende altresì i nostri studi dagli attacchi di coloro 
i quali vedono in essi il germe della dissoluzione del principio di nazionalità. 
Scusate se vi par poco ! 

Rimasto cosi affermato il grande valore estetico della tradizione, volgesi 
FA. a discorrere dei rapporti della tradizione con la democrazia e finisce, af- 
fermando, che il regime democratico non è il più propizio alla tradizione; che 
però esso, a preferenza d’ogni altro regime, ha bisogno, per vivere, della tra- 
dizione; che , quindi , la democrazia deve favorire la coltura e 1 ’ esplicazione 
della tradizione. La deve favorire, perchè la democrazia non ^Uò vivere na- 
turalmente senza principi, senza consuetudini, senza credenze religiose, e non 
si hanno principi, consuetudini, religione, senza tradizioni. 

Chiude il volumetto un ‘Programma per una Rivista di tradizioni , nel 
quale il Blémont dà larga parte allo studio filosofico e all‘interpretazione ar- 
tistica o scientifica dei documenti demopsicologici, lamentando che la maggior 
parte delle attuali riviste si limiti alla semplice raccolta di essi. 

Da questa rapida e qua e là monca esposizione avran ‘potuto i lettori 
giudicare deli’ importanza dell* intero lavoro, il quale, scritto anche con uno 
stile vivace ed inspirato, torna veramente a onore dell’egregio A. 

Solo ci domandiamo : perchè il Blémont ha voluto intitolarlo estetica e 
non già filosofia della tradizione? 

M. La Via-Bonelli. 


Les vilains dans les ceuvres des trouvères par Alcius Ledieu. J. Mai- 

sonneuve. Paris, MDCCCXC. (Voi. Vili della Colleciion Internationale 

de la Tradition , ccc.) t ln-16 0 , pp. V II- 1 14. Fr. 3. 

In questo grazioso volumetto , arricchito qua e là anche di qualche vi- 
gnetta, 1 ’ egregio- A. s’ è ingegnato di ritrarre la vita che menavano i conta- 
dini in Francia nel Medio-Evo, ricavandone g’i elementi dalle opere dei tro- 
vatori di quell’età. 

Non può sfuggire 1 * importanza del lavoro, perocché si riconoscerà ben 
di leggieri l’utilità del confronto che ognuno potrà fare da sè della vita d’un 
tempo con quella di oggi. 

Vedremo intanto come FA. abbia raggiunto il suo scopo. 

In un primo capitolo egli discorre delle fonti onde trasse i materiali di 
questo lavoro, le opere , cioè , dei trovatori , e s’ intrattiene quindi a parlare 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 17 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


dei trovatori, dei menestrelli, dei giullari (dei quali dà perfino alcune vignette 
tratte dai manoscritti della Biblioteca d’Alteville) e dei loro fabìiaux . Ciò pre- 
messo, entra il Ledieu in argomento, esaminando successivamente in parecchi 
capitoletti i vari aspetti della vita contadinesca durante il Medio -Evo. E cosi 
ci passano mano mano sott’occhio: le condizioni sociali, il carattere malizioso, 
la credulità, i cattivi costumi, i sentimenti grossolani , la ghiottoneria , V avi- 
dità, la malafede e l’ingratitudine dei contadini. 

La classe contadinesca insomma è fedelmente ritratta in queste pagine, 
con tutti i suoi vizi e con tutte le sue virtù. E 1 ' A. documenta la sua espo- 
sizione con sempre graziosi fatterelli tratti dalle opere dei trovatori e degli 
scrittori contemporanei. 

Ecco un lavoro veramente grazioso e ben riuscito, che noi abbiamo letto 
col massimo piacere e con non minore profitto. Lo raccomandiamo adunque 
di preferenza ai nostri lettori > che nel leggerlo trovernn da fare utili confronti 
tra la vita contadinesca descrittaci dall’ Autore e la vita dei nostri attuali con- 
tadini. 

M. La Via-Bonelli. 


Études romanes dediécs à Gaston Paris par ses élèves francate et ses élèves, 

étrangers des pays de langue fran^aise. Émile Bouillon. Paris, 1891. In-8 # , 

PP- 5 5 ?. 

Questo bel volume, con gentil pensiero dedicato all’illustre Gaston Paris 
dagli allievi, il 29 dicembre 1890, ventesimoquinto anniversario del suo dot- 
torato, contiene vari scritti degli stessi oblatori intorno ad importanti soggetti 
di letteratura e di filologia, alcuni dei quali non estranei agli studi demopsi- 
cologici. 

J 1 Sig. Joseph Bcdier espone alcune sue osservazioni critiche sul T{icheut 9 
antico poemetto che i lettori potranno vedere nel Nouvcau recueil de fabìiaux 
et coti tes p. p. Meati. Tom. 1 , pp. 38-79. 

Alcuni canti della Bassa -Normandia sono pubblicati da Joseph Couraye 
Du Pare. 

Un grazioso lavoretto è lo studio del Sig. Charles Joret sulla leggenda 
della rosa nel Medio-Evo, presso le nazioni neo-latine e germaniche. 

Alfred Morel-Fatio, illustrando il ben noto motto Ducìos y quehanlos , 
che trovasi nel Don Quichotte a designare il nutrimento che il Cavaliere della 
Mancia era consueto prendere nei sabati ordinari deH’anno, torna a discorrere 
con ampiezza dell’ uso spagnuolo di mangiare il sabato le estremità e le in- 
teriora degli animali. 

Amédée Pagés apporta un novello contributo alla storia della leggenda 
cosiddetta De V enfant sage , pubblicandone una versione catalana , tratta da 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA I 3 I 

un manoscritto che si conserva nella Biblioteca dell* Accademia di Storia a 
Madrid. 

Della comune leggenda europea della cavalcata internale, detta anche nel 
Medio-Evo Mesnie Hellequin , si occupa Gaston Raynaud. Dopo avere seguito 
passo passo 1* esplicazione di questa leggenda in varie opere di scrittori me- 
dioevali, volgesi 1 ’ A. a ricercare chi sia Hellequin, questo personaggio che 
finisce per identificarsi col demonio. Enunciate semplicemente le varie opinioni 
dei precedenti scrittori, dimostra come Hellequin altro non sia che la corru- 
zione popolare del nome proprio di Hernequin, Conte di Boulogne. L’A. in- 
fine dedica alcune pagine all'ultima incarnazione di questo strano e fantastico 
personaggio, divenuto Arlecchino iti Italia, nella Commedia dell'Arte. 

Àmédée Salmon pubblica alcuni rimedi popolari del Medio -Evo, tratti da 
un antico ricettario che si conserva monoscritto nella Biblioteca Comunale di 
Cambrai. 

Antoine Thomas infine discorre della leggenda di S. Vidiano, protettore 
della piccola città di Martres-Tolosanes , situata ai piedi dei Pirinei presso 
la riva sinistra della Garonna , notando come la leggenda di questo Santo 
sconosciuto al Calendario , abbia stretta parentela con la leggenda epica di 
Vivien d’Aliscans. Dal confronto delle due leggende l’A. viene a questa con- 
chiusione: la leggenda di S Vidiano non rimonta al di là dei 1764 ed in 
questo torno di tempo appunto si sarà adattata al patrono di Martres-Tolosanes 
— il quale non aveva avuto ancora storia — la storia leggendaria delle gesta 
di Vivien, nipote di Guglielmo d’Orange, tratta delle canzoni di gesta francesi. 

11 volume , come dissi in principio , contiene altri importanti scritti e ri- 
cerche di critica letteraria e di glottologia , ma noi non ce ne occuperemo, 
per non varcare i limiti del nostro programma. 

M. La Via-Bonellk 


Les Contea populaìres du Poitou par Leon Pineau. Paris, Ernest Leroux, 

Éditeur, 1891. In-18 0 , pp. V-316. Fr. 5. 

Ecco un nuovo volume della Colleclion de contei et chansons populaìres 
del sig. Leroux, la quale oramai attinge al XVII I tomo. Ne è autore il sig. 
Piueau, professore al Liceo Descartes di Tours, e racchiude quarantotto rac- 
conti popolari raccolti in Lussac-les-Chàteaux ilei Poitou, e cosi distribuiti: un- 
dici di avventure meravigliose; cinque di fate; otto di santi, di demoni e di 
streghe; sette di animali, cioè favole; otto di facezie e di motti di spirito; 
sette diversi; due di filastrocche come per esercizio mnemonico dei fanciulli. 

Non è già che tutti i principali tipi di fiabe sieno rappresentati in questo 
numero; ma molti dei principali vi sono, e con varianti non prive d’un certo 
interesse. Se, p. e., nella rubrica: Lu Vier°e-Les Saints-Le diable et les sorciers 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


non si trovano numerose le leggende di S. Pietro , due di esse ricordano il 
gioviale apostolo col carattere che a lui dà la tradizione orale. Se di féerie s 
non v’ è profusione, bastano La belle blonde , la Grenvuille , Le bouc blatte , e 
soprattutto la Cendrouse ad accennarcene lo splendore con un soprannaturale 
che attrae e rapisce. E tutto questo scritto in una forma semplicissima e con 
una intonazione, a conseguire la quale la lingua francese pare creata a posta. 

Fin dalla prima pagina il sig. Pineau si dà a divedere per 1 ’ intelligente 
raccoglitore che è scrivendo del suo volume : 

« Les contes dont il se compose ont été recueillis de la bouche niènte 
du peuple; je les rends exactement cornine il me les a donnés: j’ ai fait oeu- 
vre de coilectionneur , non de critique. Plus tard , quand la moisson sera 
terminée, nous verrons, s’ il y a lieu, à vanner le grain. Aujourd’ hui, j’ offre 
au public ma gerbe telle quelle: herbes et fleurs. Q.ue si dans le nombre il s’ en 
trouve dont le parfum soit un peu trop pénétrant : ce sont gauloises plantes 
des champs et des bois; il leur faut le grand air ! » 

E più in là aggiunge : 

« Le fond de cette littérature semble commun à la plupart des peuples: 
mais c* est une fleur dont les nuances varient selon les pays. J' ai voulu la 
montrer telle qu’ elle s’ est épanouie en Poitou. Et c’ est toute mon excuse 
d’ avoir pensé à publier ce recueil après tant d* autres du mème genre , plus 
complets, et de raaitres qui, par leurs commentaires, ont su ajouter 1* intérèt 
de la Science aux charmes de la fiction populaire ». 

E però il sig. Pineau ha reso un buon servizio agli studi di novellistica. 

G. Pitré. 


Moeurs et coutumes bourgeoises; Liège sous le régime hollandais 1820 

à 1830 par Auguste Hock , avec une préface par A. Micha. Tome Vi. 

H. Vaillant-Carmanne. Liège. 1891. In-8°, pp. XIII- 187. 

È questo il sesto volume che l’infaticabile e venerando Hock dà alla luce 
intorno ai suoi prediletti usi e costumi borghesi, ch’egli sa descrivere con tanta 
fedeltà e disinvoltura. 

In una sua prefazioncina il Micha ha voluto ritrarci, a mo’ d’esordio , le 
condizioni morali e politiche del Belgio in quel periodo di tempo che ab- 
braccia la descrizione dell' Hock : periodo importantissimo per la giovine na- 
zione del Belgio, la quale, l’ indomani della caduta di Napoleone, ebbe a tro- 
varsi tutta sola e derelitta, e benché unita all’Olanda dovette nel 1830 stac- 
carsene, per la forza di quegli avvenimenti storici, che niuno ignora e che noti 
è del caso rammentare. 

Il metodo dell’Hock, nel ritrarre gli usi e i costumi di Liegi sotto il re- 
gime olandese, è un metodo tutto speciale. 

Egli ci presenta la famiglia Mathot e, fattaci far gradita conoscenza con 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 133 

ciascuno dei suoi membri e perfino con gli amici di essa , ci fa passo passo 
assistere al modo onde si svolge la vita di tutti questi borghesi. 

Sembra di leggere un grazioso romanzo pieno d’ingenuità e d'innocenza, 
seminato qua e là di ben azzeccati motti e frasi proprie della lingua viva. Così 
mentre la famiglia Mathot attende alle sue occupazioni giornaliere o siede a 
tavola con dei convitati, ragionando del più o dei meno, noi vediamo passarci 
sotto gli occhi tutti gli usi e le credenze, i pregiudizi, le ubbie, le gioie c i dolori 
di quella gente, le ammonizioni fatte ai fanciulli, i disegni dei genitori intorno 
alla loro educazione e via dicendo. 

E l’A. non solo ci fa conoscere la vita intima, familiare di quei borghesi, 
ma ci mette eziandio al caso di potere apprezzare V ambiente nel quale essi si 
agitano e vivono, e perciò si giova di qualche semplice accenno, per fare delle 
digressioni e condurci al Mercato , alla ‘Pia^a San Lamberto , agli Uffici del 
Giornale della Provincia di Liegi. 

L’A. insomma trova modo di dir tutto, e tutto farci vedere, senza venir 
mai meno al metodo di far parlare tra loro i suoi personaggi, raggiungendo 
cosi il doppio intento di dire cose utili e serie assai con non lieve diletto del 
lettore. 

E metto punto, dolente di non aver saputo presentare in quella più bella 
luce che si merita questo volume del venerando Hock , pel quale il già detto 
è troppo poco. 

M. La Via-Bonelli. 


Botànica popular ab gran nombre de confrontacions per D. Cels Gomis. 
Barcelona, Llibrerfa de D. Àlvar, Verdaguer, 1891. In-i6 # , pp. 157. Pr. 8 
rais. 

Il sig. Gomis prosegue con operosità feconda le sue ricerche sulla scienza 
del popolo catalano, frutto delle quali sono stati i due volumetti del Folk-lorc 
Calali intitolati : Lo Llatnp y *ls temperai s e Meteorologia y Agricnltura po- 
pular , ed ora questo di Botànica popular . È un bel pensiero quello del sig. 
Gomis : e noi nc facciamo a lui plauso. 

Dopo alcune pagine di generalità intorno alle erbe , agli alberi , ai fiori, 
ai (rutti, 1 ’ A. passa a rassegna per ordine alfabetico alberi e piante contem- 
plati dalla tradizione e dagli usi popolari della Catalogna. Q.uest’ ordine , si 
comprende bene , esclude qualunque classificazione scientifica ; e noi , che la 
seguimmo nel III voi. de’ nostri Usi e Costumi appunto per la botanica, non 
sappiamo poi escludere la possibilità che l'alfabetico rtesca, nella ricerca d’una 
pianta, utile. Se non che dovrebbe aversi sott’ occhio, in una rubrica o in un 
indice a parte, o la nomenclatura officinale o, meglio, per chi non abbia di- 
mestichezza col catalano, la spagnuola generale. Ora col nuovo soffio di vita 
nazionale letteraria che da molti anni spira in Catalogna non pure per la 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


letteratura ma altresì e più per la lingua di quella importante regione, V uso 
del castigliano per le tradizioni catalane non è neppure sognato: e noi dob- 
biamo accontentarci di quello che ci offre la fierezza dei catalanisti , indocili 
d’una lingua che non sia la propria. 

I 143 nomi di alberi, piante, fiori, frutta che FA. passa a rassegna non 
hanno tutti materia tradizionale. Questo nome è importante per pratiche do- 
mestiche , proverbi , modi di dire , canzonette , indovinelli , novelline ; quello 
non lo è, perchè consacrato solo per un motto insignificante. In generale ab- 
biam potuto rilevare che la celebrità che un albero ha nelle altre letterature 
popolari d'Europa l’ha egualmente nella Catalogna; ciò, s’intende, non senza 
le debite eccezioni e con le inevitabili varianti. V All (aglio), V Albina (quer- 
cia), il Blat (frumento), la Cebo, (cipolla), la Cep (vite), la Faba (fava), la Fi- 
guera (il fico), la Llacsó (sonco) , il Llittrl (lino), la Olivcra (olivo), il Fi 
(pipo), il Taronger (arancio) sono i più ricchi di tradizioni. Curiosa nelle leg- 
gende sul fico quella sul perchè esso fruttifichi due volte V anno (p. 90) ; e 
quella sulla menta , che fece scoprire la madre di Dio in fuga per 1 * Egitto 
(p. 1 14); onde questa pianta venne maledetta: leggenda che mutatis mutandis , 
in Italia è attribuita al lupino. La credenza che entro il pinocchio sia rappre- 
sentata la mano di N. S. (p. 135) non ha la leggenda che ha presso vari al- 
tri volghi latini, ma forse non manca, e non sarà impossibile il trovarla. 

La mediciua popolare avrà da avvantaggiarsi non poco da questa bota- 
nica, che illustra i rimedi del volgo per varie tra le malattie più comuni. 

G. PlTRÉ. 


The Science of Fairy Tales. An inquiry into Fairy Mythology. By Edwin 

Sidney Hartland, Fellow of thè Society of Antiquaries. London, Walter 

Scott, 24, Warwick Lane, Paternoster Row. 1891. 

Sir Sidney Hartland ha avuto un gentile pensiero pel bene degli studiosi : 
quello di raccogliere in un volume i suoi dotti studi sulla mitologia delle 
Fate, dei quali avea stampato molti saggi nel « Folk-Lore » e nell’ « Ar- 
chaeological Review ». 

Il fine di questo suo lavoro è di mettere sotto gli occhi dei lettori, non 
dediti a questi studi speciali, in una forma chiara e popohre, i metodi e l’ap- 
plicazione dei principi nella ricerca di storie di Fate nelle tradizioni dei po- 
poli di razza celtica e teutonica. 

Molte delle quistioni che tratta FA. sono state svolte da altri illustri mi- 
tologi, e se egli vi ritorna su è per avvalorarle con nuovi esempi che ha tro- 
vati nelle raccolte folkloriche. 

Il volume raccoglie otto studi. Nel i°, <r sul modo di raccontar le no- 
velline », T A. raccoglie molte acute osservazioni sui vari modi di presentare 
queste storie di fate, le quali variano da popolo a popolo ; di queste storie. 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


135 


nelle quali il soprannaturale è il cardine su cui gira il contenuto della favola. 
Passa indi in rassegna i vari novellatori che presso i vari popoli raccontano 
le novelline e come essi, ovunque si rassomigliano, non tralasciando d’intrat- 
tenersi del metodo pratico della trascrizione. 

Il 2* studio esamina le novelline che hanno a soggetto uomini selvaggi. 
Esse sono divise in due serie: alla prima appartengono le novelline che nar- 
rano di essere soprannaturali, ritenuti come esistenti, e le cui prodezze si fanno 
comunemente esercitare in certi luoghi determinati (Sagas) ; alla seconda 
quelle che raccontano piacevolezze (Màrchen). L* esame di queste novelline, 
svariate nella forma e nella sostanza , dà occasione all* A. di esporre le sue 
teorie sulla scienza degli spiriti e della trasformazione, sul Totemismo (la su- 
perstizione di adorare come santi i progenitori favolosi) , sulla morte , sulla 
malia, sulla preponderanza deirinimaginazione, sulla ragione nei selvaggi e fi- 
nalmente sul metodo da tenere nell’investigare questa specie di tradizioni. 

Nel 3° studio, « sulle nascite delle fate e le levatrici umane » è dato un 
larghissimo campo alle esposizioni delle novelline di levatrici che sono occu- 
pate nella nascita delle fate, e poi ai visitatori umani dei palazzi incantati, ove 
essi non devono mangiare e se ne dice il motivo. Indi espone gli atti grati 
delle fate e le condizioni con le quali le fate fanno i loro doni. Di grande 
importanza sono le dotte ricerche sull’unguento magico, su gli uomini curiosi 
puniti dalle fate e da altri esseri soprannaturali, riscontrate in molte novelline 
europee e di oriente. Molto istruttive sono le notizie sulle Cerimonie religiose 
eseguite solamente da donne. 

« I parti supposti » sono il soggetto del 4 0 studio. La credenza supersti- 
ziosa che le fate rubino i bambini sostituendoli o con qualcuno dei loro o con 
qualche ceppo d’albero, a cui, con loro incanto, dànno forme umane in ap- 
parenza somiglianti al bambino rubato , è dall’ À. in questo luogo , minuta- 
mente esposta e riscontrata non solo nelle novelline de i volghi dell’ Europa 
occidentale e settentrionale, ma anche in Cina e in America. Le precauzioni 
varie che si pigliano per impedire questa sostituzione, le cause a cui s’ attri- 
buiscono questi rapimenti, i tentativi di sostituzioni riusciti infruttuosi, i modi 
per conoscerli, gli stratagemmi praticati per svelare le fate, e il loro trattamento, 
i viaggi fatti per andar in cerca , nelle residenze delle fate , dei bambini veri , 
sono diligentemente esposti -nelle forme molteplici che assumono nella cre- 
denza dei diversi popoli e comparati fra loro. 

« 1 danni che ricevono quelli che rubano nelle residenze incantate » sono 
enumerati nel quinto studio. Un minuto raffronto comparativo mette in evi- 
denza i varj trattamenti con cui nelle novelline celtiche e teutoniche è punito 
chi ruba qualche oggetto dagli orti incantati. I successi felici e infelici che 
questi ladri spesso haqno per gli oggetti incantati avuti dalle fate , sono mi- 
rabilmente mostrati con una sintesi dotta e breve. I modi con cui le fate trat- 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


I36 

tano le persone che esse hanno rubato, e quelli ond’esse le rimandino a casa 
dopo avere raggiunto il fine per cui le avean trattenute, fanno fare all' A. 
alcuni richiami mitologici ben a proposito enumerati e discussi. Ma come passa 
il tempo soprannaturale in queste residenze incantate ? L’A. se ne occupa nel 
6° e 7° studio spigolando in tutte le raccolte a stampa e studiando i vari miti 
presso i varj popoli, distinguendo, per il tempo passato in quei luoghi, tra le 
persone che vanno a trovare le fate o per necessità o per diletto. E qui le 
varietà non mancano, e 1 ’ A. le aggruppa , le classifica, le compara e trova 
il fonte comune tradizionale per tutte. 

Le donne-ciqno sono studiate nell’ ultimo scritto, ove V A. discute T opi- 
nione del Liebrecht in proposito. Come tipi mitici , esamina il racconto di 
<r Hasan of Bassorah », del « Marquis of thè Yun » *• Taboo (Polinesia), « The 
Ytar’s Daughter », « Melusina », « The Lady of thè Vati Pool », e la « Night 
mare », dei quali trova riscontri e varianti, diverse nella forma ma uguali nella 
sostanza, presso i volghi celtici e teutonici. 

Questa la tela su cui PA. tesse i suoi dotti studi; nei quali se in qualche 
luogo c^ è troppo ardimento nelle conclusioni e troppa sicurtà d’afferma- 
zioni, pure c’è molto da ammirare c da apprendere nella erudizione mitologica 
di cui l’Hartland è cultore passionato e dotto. Questo suo libro segna un pro- 
gresso delle scienze del folklore, in nome della quale l’A. merita le migliori 
grazie. 

M. Di Martino. 


Beside thè Fire. A collection of Irish Gaelig Folk-Stories. Edited, 
translated, and annotated by Douglas Hyde, H. D. M. R. I. A., Mcmber 
of thè Council of thè Gaelig Union; Member of thè Pan-celtic Society etc. 
With additional notes by Alfred Nutt. London, David Nutt, 1890. 

Il sig Hyde, sotto il titolo « Accanto al fuoco », stampa 15 novelline irlan- 
desi premettendovi una prefazione e facendole seguire da alcune note del si- 
gnor David Nutt. 

Lo scopo, importante per i folkloristi , che il raccoglitore si prefigge in 
questa raccolta è di mostrare le relazioni ch’egli trova tra il moderno folk- 
lore fra le popolazioni dell’ Irlanda e della Scozia che parlano il « Gaelig » e 
la letteratura irlandese mitica , eroica e romantica che si conserva in un vec- 
chio manoscritto dell’ undicesimo secolo. In Irlanda, più che altrove, è diffi- 
cile segnare il limite fra le novelline la cui origine si conosce c quelle d’ori- 
gine ignota. All’uopo il dott. Hyde distingue fra uno « strato vecchio di novel- 
line » (le vecchie tradizioni ariane) e il nuovo « d’ invenzioni poetiche *, delle 
quali egli stabilisce una classe più moderna: le romanze di « professional story - 
tellers » del 18 0 secolo. Egli, intanto, ritiene che un gran numero di queste 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


137 


novelline e ballate, che si trovano in bocca alle persone che parlano il <r Gac- 
lig », indubitatamente, conservino ora la forma che aveano, in qualche luogo, 
fra i secoli duodecimo e sedicesimo,* che gli autori di questa forma furono u- 
gualmente senza dubbio i trovatori e i novellatori attaccati alla corte di cia- 
scuno capo di tribù <* Gaelig », e che il metodo di questa trasmissione era 
orale, essendo costume di questi novellatori di comunicare le novelline ai 
ragazzi andando da paese in paese. A provar ciò, egli compara le novelline 
di varie epoche ; ma lo stile di queste novelline ci abilita a stabilire la data 
di esse. Intorno alle allusioni storiche che l'A. crede trovare in alcune di esse, 
non possiamo sottoscriverci parendoci molto dubbie. 

Maggior interesse pel folk-lore irlandese ci pare che abbiano le bardic 
storie s (le storie dei trovatori). Sulle cui origini T A., come osserva bene il 
Nutt, pare che dia molto valore alla materia secondaria di esse, cioè al nome 
degli eroi e ai ricordi storici ; e difatti egli mette avanti 1* opinione , giusta, 
che le storie dei trovatori irlandesi, dalle quali derivano le scozzesi, non siano 
invenzioni di scrittori , ma una nuova forma popolare propria. Questa teoria 
troverà, crediamo, molti avversarj, ma non ci pare il luogo qui di discuterla; 
piuttosto prendiamo atto dalle obiezioni che le muove il Nutt e che trala- 
sciamo di riassumere temendo di guastarle. E ciò intorno alla prefazione. 

Intorno alle novelline raccolte notiamo che sono quasi la metà di quelle 
pubblicate dall’ A. nel Leabbar t Ygeuluigheacta , che sono stampate in. carat- 
teri speciali e tradotte in inglese. Non mancano le dotte note filologiche per 
avvalorare la fedeltà della versione, come pure i raffronti con le altre novelline 
irlandesi e scozzesi. 

Il Hyde è un dotto filologo e un folklorista eminente, e questo suo la- 
voro è di un gran pregio non solo per il folk-lore britannico, ma per la ri- 
cerca dei fattori mitici che diedero in un lontano passato origine alle novel- 
line siano esse storiche, siano fantastiche, comuni a tutti i popoli. 

Al Nutt, sempre infaticabile e geniale pe 1 nostri studj, le migliori grazie 
per le cure spese a questa edizione, arricchita di note opportune. 

M. Di Martino. 


The Esempla, or Illustrative Stories from thè Sermones vulgares of 
Jaques de Vitry. Edited , with Introduction, Analysis , and Notes , by 
Thomas Frederik Orane, M. A., Professor of thè Romance Languages 
in Cornell University. London : Published for thè Folk-lore Society by 
David Nutt, 1890. In-8°, pp. CXVI-303. 

Questi « Exempla u (facezie) del de Vitry, spigolate qua e là dai suoi « Ser- 
mones vulgares » e pubblicati con riscontri ed illustrazioni dal Orane, non 
sono senza importanza per gli studi demografici. Accanto alla ricerca dei <, 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 18 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


I 3 8 

fonti primitivi delle novelline, è a porre quella dei varj modi della diffusione 
di esse ; e questa, fatta a mezzo delle omelie , sin da tempi anteriori al Cri- 
stianesimo, è una delle più importanti, come quella che piu rafferma il con- 
tinuo c progressivo cammino della tradizione presso i varj volghi. 

I dotti e minuti riscontri che il Crane ha diligentemente trovati per 
ogni facezia, provano ciò; tanto che agli inesperti in questi studi dovrà cer- 
tamente recare non poca sorpresa , il vedere alcuna di quelle facezie trovare 
un riscontro p. es. nella novella toscana del « Medico Grillo » (Pitrè: Novelle 
pop . toscane ) : prova evidente questa, che il constatare il fonte primitivo d’una 
novellina e le sue varie trasformazioni nel passare fra le tradizioni scritte ed 
orali dei varj volghi , non è tinto facile e non bisogna affrettarsi a pronun- 
ziarsi. Lo provano questi riscontri; e se fino a jeri s’ è ritenuto che una no- 
vellina sia originata da un fonte comune, ora, trovato un riscontro più antico, 
è invece da ritenersi di gran lunga anteriore. 

Questi « Exempla », adunque, aprono un filone sinora ignoto del tesor o 
novellistica, il quale sarà ricco di nuovi riscontri; onde la fatica dotta del Crane 
torna utile e gradita. 

Siffatti « Exempla » non vedono ora per la prima volta la luce. Un piccol 
numero ne stampò Lecoy de la Marche in « Etienne de Bourbon , Tractatus 
de diversis materiis praedicabilibus »; talune altre Mr. T. Wright, e finalmente 
un buon numero il Cardinal Pitra nei suoi % « Analecta Novissima Spicilegii 
Solesmensis » traendoli da un manoscritto Vaticano. 

II Crane, però, ce ne offre una buona quantità c in una lezione più cor- 
retta e completa secondo un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi, 
Lat. 17, 509. Preceduti da una dotta introduzione e seguiti da minuti riscontri, 
testimoniano la profonda conoscenza dell’A. nella letteratura medievale, di che 
aveva egli già fatto bella mostra nei suoi « Medioeval Sermon-Books and 
Stories » (1883). 

L* introduzione consta di cinque parti. Nella prima tratta dell* uso degli 
« Exempla » nei sermoni anteriori a quelli di Jaques de Vitry ; nella seconda 
della vifa di costui, ch’egli rifà su documenti del tempo; dai quali risulta che il 
Vitry fu creato cardinale e vescovo di Tusculo e poi Patriarca di Gerusalemme 
e che si morì a Roma probabilmente fra gli anni 1240 a 1260; e poi dei suoi 
scritti storici ( Vita Beatae Mariae Digniacensis, Hi storia orientalis , tìistoria occi- 
dentali s e Letters ) e oratorii ( Sermones dominicales, Sermones de sanclis , Sermones 
vulgares e Sermones communes vel quotidiani) non tralasciando di farne una espo- 
sizione minuta e critica e un raffronto con gli altri scritti ascetici contempora- 
nei, soffermandosi sui « Sermones vulgares », dai quali sono tratti questi « Exem- 
pla », e sui varj manoscritti che si conservano di essi. Quello di cui s’è servito 
il Crane è del secolo tredicesimo. Nella terza parte sono esaminati un* innu- 
merevole quantità di oratori sacri che usarono degli « Exempla » nei loro ser- 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


139 


moni in una epoca posteriore a quella del Vitry ; nella quarta , corredati da 
una erudizione bibliografica non comune , sono esposte le varie raccolte me- 
dievali di « Exempla » per uso dei predicatori, distinté in raccolte di soli « Exem- 
pla », raccolte di storie morali, ed «Exempla» contenuti in omelie. L’ultima 
parte enumera le varie raccolte di « Exempla », non in lingua latina, ma tratte 
da scritti latini e volgarizzati o in spagnuolo, o in portoghese, o in italiano. 
{Gii Assempri di fra Girolamo da Siena, Corona dei Monaci , Specchio della 
vera penitenza del Passavano, Fiore di Virtù , ecc.), o in francese, o in inglese. 
Nel suo insieme lo scopo, come ben si vede, di questa prefazione dottissima 
è di tracciare la storia dell’ uso di illustrare i sermoni con istorielle , di mo- 
strare l’influenza esercitata in questo uso nelle varie forme letterarie e la grande 
importanza che ha nella storia della cultura medievale e specialmente nella 
diffusione delle novelline popolari. Duole intanto che il Orane siasi fermato 
nelle sue ricerche per la storia degli « Exempla » al medio evo, tralasciando 
di spigolare nelle grandi raccolte di facezie dei secoli XVI e XVII; ma fac- 
ciamo voti eh* egli voglia continuare il suo lavoro nell’ interesse degli studi. 

I riscontri e le note che illustrano questi « Exempla » mostrano la erudi- 
zione straordinaria del Orane. Essi seguono ad ogni facezia e ne indicano le 
varie forme ond’ è usata nelle raccolte del tempo, le quali all'uopo sono state 
dall’ A. diligentemente lette e tralette , apprestando un materiale erudito agli 
studiosi dei fonti delle novelline nella letteratura medievale. Il Orane tiene 
conto di tutto, e non tralascia niente che possa giovare ad illustrare il testo, 
che è reso chiaro per la sua importanza nell’ immenso profluvio ascetico del 
medio evo: un lavoro che ha dovuto costargli molta fatica e molto tempo. Ma 
egli può esser lieto di averli speso utilmente in prò degli studj medievali, 
dei quali è dotto maestro, e noi , come modesti discepoli, gliene siamo rico- 
noscenti. 

M. Di Martino. 


The Handbook of Folklore. Edited by George Laurence Gomme, Director 
of thè Folklore Society. London: Published for thè Folklore Society 1890. 
In-16 0 . pp. VII-193. 

La «Folklore Society»» di Londra, fondata nel 1878, aggiunge questo 
nuovo volume ai molti finora pubblicati e lo dà come pubblicazione del 1887, 
in cui esso avrebbe dovuto esser fuori. Gli Exempla di J. de Vitry , editi or 
ora dal nostro egregio amico prof. Orane, formano il voi. XXVI della imporr 
tante collezione, mentre questo è il XX 0 . 

Una deliberazione di quella Società^n data del 12 gennaio 1887, affidava 
la compilazione del presente Manuale al sig. Gomme, con facoltà di giovarsi 
della materia che, parte ms. e parte stampata, la Società medesima aveva a 


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140 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


sua disposizione: materia anche raccolta in China per via di circolari e stampe 
tradotte in lingua chinese e sparse tra quegli indigeni. 

Il Manuale del benemerito Direttore della « Folklore Society » è il primo 
nel genere e costituisce un libro nel pieno significato della parola. Fin qui si 
avevano buoni saggi parziali in Germania, in Francia, in Ispagna; e tra essi, 
degni di considerazione quelli del sig. Sébillot, che è uno specialista nel genere; 
ma un interrogatorio così largo, particolareggiato, completo non s'aveva an- 
cora: e da esso appunto bisogna partire da ora innanzi quando si voglia ini- 
ziare con frutto ricerche di tradizioni e di usi con persone poco pratiche. 

È difficile dare un’idea del libro senza riferirne la classificazione; ma an- 
che questa non fa supporre il gran numero di domande che vi sono ammas- 
, sate dentro, a rispondere alle quali chi sa quanti volumi verrebbero fuori ! La 
cooperazione di cultori speciali di scienze o del folklore quali per la magia 
e le divinazioni 1 * Abercromby , per le usanze e le credenze sulla vita futura 
il Clodd, per gli usi locali il Brabrook, per la novellistica Sidney Hartland e 
pei tipi delle novelle il Jacobs, ha molto giovato alla minutezza e sottigliezza 
dei quesiti; giacché — il tacerlo è inutile — mal potrebbe un solo particolareg- 
giare di dubbi in vari rami di una disciplina con la medesima esperienza di 
molti. Il signor Gomme, del resto, è di una competenza che pochi possono 
vantar la eguale : e la Società folklorica londinese sapeva quel che facea 
quando confidava a lui il difficile e delicato incarico. 

Quattro grandi classi stabilisce di tutto il folklore il sig. Gomme: 1. Usi 
e pratiche superstiziose; 2. Costumi tradizionali; 3. Racconti tradizionali; 4. 
Motti popolari. Queste classi . poi si compartiscono per i seguenti capitoli : 
classe prima : I. Superstizioni connesse ai grandi oggetti naturali ; IL Super- 
stizioni di alberi e di piante; III. Fantasmi; IV. Malie; V. Medicina; VI. Magia 
e Divinazione; VII. Usi relativi alla vita futura; Vili. Superstizioni generali. 
— Classe seconda: T. Feste; II. Cerimonie; III. Giuochi; IV. Usi locali. — Classe 
terza: I. Novelline di balie, o fiabe; novelle di eroi; facezie, favole ed apolo- 
ghi; II. Creazione, diluvio, miti sul fuoco; III. Canti e ballate; IV. Leggende 
e tradizioni. — Classe quarta : I. Suoni imitativi (non saprei meglio tradurre 
qui Jingles del testo), Cantilene infantili; indovinelli ecc.; II. Proverbi; III. For- 
mole, dettati in rima, ecc. 

Ciascun capitolo ha una breve istruzione del genere in esso contemplato, 
ed esempi di quel che si cerca, ed osservazioni sul loro senso recondito. E 
poi quesiti in così gran numero che per i soli usi sommano a 784. 

I meno esperti in questi studi avranno da trarre molto profitto dal I cap: 
What Folk-lare is. t e dal XXII: The way lo collcct Folklore, l’uno che delinea 
i caratteri del folklore; l’altro che insegna la ^maniera di raccogliere i materiali. 
Nel capitolo Library Work sono notati i tipi, k formole , i motivi, gli inci- 
denti delle fiabe per chi abbia intenzione di cooperare alla classificazione di 
quelle già stampate. G. Pitré. 


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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 


Novelline popolari sarde raccolte e an- 
notate dal Dott. Francesco Mango. 
Palermo, Clausen MDCCCXC. In- 
i6°, pp. VI- 144. L. 4. (Curiosità po- 
polari tradizionali , v. IX. Tiratura 
di soli 200 esemplari numerati). 

Le Curiosità da noi fondate e dirette 
si sono arricchite di questo nuovo vo- 
lume, del quale, perchè pubblicazione 
sotto certo aspetto nostra , in quanto 
fa parte della collezione da noi fon- 
data e diretta, non facciamo cenno per 
altro se non per dirne il contenuto. 

Le novello son ventisei, quasi tutte 
di tipi differenti: raccolte dalla bocca 
del popolo sardo. A risparmio di note, 
raramente sufficienti per chi non sia 
un sardo o un glottologo, il Mango 
aggiunge ai testi dialettali una ver- 
sione letterale italiana , dalla quale c 
agevole raccogliere il senso ed il mo- 
vimento della novella. Qualche note- 
rella non manca per ispiegare i sar- 
dismi o gli idiotismi ricorrenti qua e 
là nella versione. 

Delle novelline popol. satde discorre 
il Mango nella introduzione al volume, 
tenendo conto di ciò che s’è fatto in 
proposito, di ciò che s è proposto lui, 
il raccoglitore , e di ciò che conver- 
rebbe fare. Parlando della trascrizione 
da lui seguita, il Mango mostra la dif- 
ficoltà ed incertezza della grafìa e dà 


ragione di quella che gli è parsa più 
esatta o meglio rispondente alla fo- 
nica. P. 

LI Contrasto de Carnesciale et de Qua- 
resima . In Napoli, coi tipi di Gen- 
naro Priore. M.DCCC.XC. In-4 0 , 
pp. VIII-20. 

Questo importantissimo Contrasto, 
in ottave italiane con qualche verso 
in latino macaronico, tratto da un co- 
dice della fine del sec. XV o princi- 
pio del XVI, è messo in luce in edi- 
zione non venale di 120 esemplari dal- 
l’egregio nostro amico e collaboratore 
Gaetano Amalfi, per pietoso ricordo 
del terzo anniversario della morte della 
sposa e del figlioletto. A chiarire la 
natura del componimento, l’Amalfi fa 
precedere quattro paginette, nelle quali 
con acconcia erudizione e diligenza in- 
dica numerosi riscontri, letterari e po- 
polari, di esso, dal sec. XV ai dì no- 
stri. Il testo è dato scrupolosamente 
conforme al codice, quantunque non 
sempre corretta ne sia la lezione, ma 
non s’è rabberciata, questa, che là ove 
l’errore appariva evidentissimo. 

NeH’annunziare la notevole pubbli- 
cazione del caro amico nostro, amiamo 
di ricordargli un altro confronto al 
componimento, sconosciuto a tutti per 
)a rarità del libro in cui si trova. Ne 


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142 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


La Cuccagna conquistata, poema heroicu 
in ter\a rima siciliana di Gio. Bat- 
tista Basili palermitano (In Palermo, 
per Alfonso dell 1 Isola, 1640), ossia di 
Giuseppe de Montagna, giureconsulto 
e poeta che morì al 1650, nei canti 
VI e Vili si legge la guerra tra lTm- 
peratore Marzo e il Re Carnevale, la 
quale è informata al concetto mede- 
simo del Contrasto fra Carnevale e 
Quaresima, cosi diffuso c famoso nel 
medio evo : V Imperatore Marzo , in 
fatti , non rappresenta altro che la 
Quaresima , che sempre nel mese di 
Marzo interviene, ed essa vince e regna 
dopo Carnevale, che resta pcciso. Ma 
vittoria e regno non durano che poche 
settimane, perchè un figlio del vinto 
Re caccia 1 * usurpatore del soglio pa- 
terno; poi giunge, nel successivo feb- 
brajo , all’ apice del suo splendore e 
potere, ma subito dopo anche lui vien 
combattuto e vinto da Marzo; e cosi, 
a vicenda , accade nel seguito degli 
anni. Oltre a questo, in Sicilia rimane 
vestigio del Contrasto in parola, in due 
mascherate carnevalesche che si face- 
vano in passato , cioè : L' armata del 
Carnevale e L'armata della Quaresima , 
le quali però, che io sappia, non ve- 
nivano a contesa tra loro, ma spesso 
marciavano di conserva al diverti- 
mento. S. S.-M. 

Dieci cannoni popolari romanesche , rac- 
colte e pubblicate a cura di Luigi 
Zanazzo e Francesco Sabatini, in 
occasione delle fauste nozze dell’Av- 
vocato Dottor Alfredo Baccelli colla 
Signorina Ninetta Bracci. Roma , 
Forzani e C. tipografi del Senato, 
1890. In 12% pp. 31. 

Importante lezione romanesca di otto 
Storie , importate del nord d’ Italia le 
più, e diffuse per quasi tutta la Peni- 
sola italiana. Sono: Mampresa , Il Ca- 
valiere , Bella Mantella, Er Sor Carlo , 
Sàbbito Santo, Li Sor dati , Er Marito 
vecchio , La Skonichella, La Pastorella , 
La Pastora , e vengono opportuna- 
mente e sobriamente illustrate. La IV 
e la VII hanno probabile origine semi- 
letterata , ma sono oggi in bocca al 
popolo, ed evidentemente appariscono 
indigene romanesche. Pe riscontri ita- 
liani e stranieri delle Canzoni, gli e- 


gregi Autori si rimettono al magistrale 
volume del Nigra, dove peraltro (lo 
notiamo di passaggio) qualche piccola 
lacuna c* è. Per quella di num. VI, 
Li Sordati, gli Autori non hanno tro- 
vato riscontri e l’han ritenuta proba- 
bilmente de’ tempi napoleonici: a me 
parrebbe più antica, e lezioni a stampa 
ne esistono presso il Volf, Volkslie.der 
aus Venetien , pag. 24, e presso il Fer- 
raro, Canti monferrini, pag. 72, e Canti 
popol. di Ferrara, Cento e Tontelago- 
scuro, pag. 62. 

Il volumetto è stampato con ele- 
ganza e diligenza e, come tutti i con- 
simili nuziali, non è in commercio. 

S. S.-M. 

M. Menghini. ^Antichi Proverbi in 
rima . Bologna, Fava e Garagnani 
1891. In-8°, pp. 15. 

Sono presi da due codici : Riccar- 
diano 2 924 e Vaticano Regina 1603, 
l’uno di materia più antica e più com- 
pleta di quella del secondo, c quindi 
preferibile. Il genere loro è il morale 
a quartine monorime con versi ales- 
sandrini quale i Proverbia quae di - 
cantar de natura foeminarum , i poe- 
metti di Bonvesin da Riva, di Giaco- 
mino, ecc. In 228 di questi versi, che 
è quanto dire in 57 quartine, possono 
riscontrarsi ora veri e genuini pro- 
verbi, ora perifrasi e quasi saremmo 
per dire sinonimi di proverbi, con frasi 
e parole nelle quali senti tutto il sa- 
pore del dettato proverbiale, dell’ a- 
dagio, dell’aforisma, della sentenza: e 
basta dire che la poesia si apre cosi: 

Chi lava el capo a l’asino, perde il ranno e il 
sapone;— Chi predica in deserto, vi perde el ser- 
mone Soffia due c tre volte quando è caldo il 
boccone; — Non tc fidare in homo che aggia rotto 
el groppone. 

Le varianti notate a piè di pagina 
fanno testimonianza della cura messa 
dall’editore in questo cimelio di pare- 
miografia. P. 

Ninne-nanne , Cantilene , Cannoni di 
Giuochi e Filastrocche che si dicono in 
Valdelsa pubblicate per cura di Ora- 
zio Bacci. Firenze (Castelfiorentino) 
Loescher e Seeber 1891. In-8°, pp. 
95. L. 1,50. 

Questi graziosi canti e giuochi in- 


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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO* 


M3 


fantili e fanciulleschi furono nel 1890 
pubblicati per nozze Niccoli-Niccoli- 
Pecchio a soli 50 esemplari , offerti 
agli sposi. Ora ricompariscono in un 
volume offerto al D’Ancona «con re- 
verenza come di scolare ». Son 24 
ninne-nanne, 33 cantilene, 3 canzoni 
di giuochi, 2 filastrocche : materia in 
buona parte edita per la Toscana dal 
Nerucci (Archivio), da G. e Alfr. Gian- 
nini, dallo Straccali e dal Ferrari, dal 
Corazzini , dal Mazzoni e da qualche 
altro che non ricordiamo. Un terzo 
però’della raccoltina è inedito : e questo 
è uno degli argomenti per i quali il 
nuovo libro del prof. Bacci debba en- 
trare nella Biblioteca d’ uno studioso. 

I canti sono stampati con un certo 
lusso : perchè una pagina in~8° non 
ne accoglie più d’uno, sia pure di quat- 
tro versi o di tre, senza note e senza 
riscontri : della quale mancanza il prof. 
Baccr dà le ragioni in una lunga *Av- 
vtrUn\a, dove praticamente discorre di 
ciò che ha fatto e di ciò che avrebbe 
potuto fare se avesse avuto libri ed 
opuscoli all’uopo. 

Benché edite , vogliamo notare le 
due filastrocche finali, che i Francesi 
chiamano randonnées : Luna è la storiella 
mnemonica della « donnina piccina- 
piccina picciò » ; P altra la novellina di 
« Petuzzo » : V una e l’altra, esempio 
d’un genere che in un medesimo mese, 
in Toscana, in Piemonte, in Francia 
abbiam visto opportunamente curato, 
nelle loro recenti raccolte, dal Bacci, 
dal Seves e dal sig. Pineau. 

P. 

Maria Savi Lopez. Il medioevo in re- 
lazione coi maggiori Poemi Italiani . 
Conferenze per le classi superiori 
delle scuole normali e degli Educa- 
torii. Milano, Trevisani 1891. In-i6 # , 
pp. 119. L. 1. 

Ingegno veramente versatile questo 
della signora Savi Lopez ! Oggi ci dà 
un romanzo , domani una conferenza 
storica o letteraria; domani l’altro un 
mazzetto di poesie, e poco appresso 
una raccolta di leggende e di credenze 
popolari : lavori scritti con forza tutt'al- 
tro che femminile. Sentiamo parlare di 
un volume dal titolo Fra le Alpi , mezzo 
tra il folklore e la letteratura ; sap- 


piamo d’ un volume di Leggende del 
mare di prossima pubblicazione : ed 
abbiamo intanto sott’ occhio questo 
volumetto di Conferenze , dove la terza: 
Le credenze popolari del medioevo nella 
Divina Commedia , interessa &\\'%Ar rin- 
vio. L’Autrice osserva l’influsso delle 
credenze volgari di quel tempo sul- 
l’animo di Dante, e lo segue a grandi 
passi partendo dalla mitologia pagana. 
In Dante certi tipi classici son unto tras- 
formati da potersi appena riconosce- 
re. L’ allegoria stessa offre remini- 
scenze del tempo in che fu scritta e 
di tempi molto anteriori. I Fantasmi 
delle attuali ubbie del popolo hanno 
poi delle analogie con le anime dei 
dannati delie prime due Cantiche della 
Commedia : e cosi parecchie supersti- 
zioni, che in Dante sarebbero incon- 
cepibili se non fossero state tratte dalla 
tradizione orale di quell’ età che ac- 
colse, fecondò e parte sformò , parte 
lasciò intatte le credenze di popoli an- 
tichissimi. P. 

Giovanni Giannini. Le dodici parole 
della Verità in un codice padovano 
del sec. XV. Padova, Tip. dell’Uni- 
versità dei Fratelli Gallina, 1891. In- 
8°, pp. 14. 

L’antica e difusissima leggenda delle 
« Dodici parole della Verità» ben nota 
ai lettori del nostro Archivio , trova 
in quest’opuscolo dell’egregio Giannini 
una nota illustrativa ben fatta, ed un 
documento nuovo importantissimo. Il 
testo delle « Dodici parole » eh’ egli 
pubblica, raffrontandolo co’ testi po- 
polari editi dalle varie parti d’Italia, è 
tratto da un codice del 1468, e dimo- 
stra chiaro come già la trasformazione 
in cristiana della vecchia leggenda a- 
vesse in Italia fin dal secolo XV as- 
sunta quella forma che oggidì nel com- 
plesso conserva. I nuovi documenti, 
che mano a mano vengono fuori, non 
fanno che confermare la stabilità, at- 
traverso i secoli, delle popolari tradi- 
zioni. S. S.-M. 

Ninne-nanne , Filastrocche e Sorteggi 
raccolti nella valle di Pinerolo da 
Filippo Seves. Pinerolo 1890. In- 
16% pp. 107. 



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144 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


L’anno scorso noi sollecitammo la 
preparazione di questa raccoltina , e 
noi siam lieti di segnalarne ora la pub- 
blicazione. Una raccoltina fatta con co- 
noscenza della materia e dei libri che 
la riguardano, con noterelle scarse sì 
ma acconce, e con illustrazioni prece- 
denti o susseguenti ai testi dialettali. 11 
numero dei canti e dei giuochi è ve- 
ramente alto: censettantasei ; specie 
.se si guardi alle altre raccolte d’Ita- 
lia, delle quali solo due o tre la su- 
perano e poche la agguagliano. Fra 
le trentasette ninne-nanne qualcuna 
soltanto ha riscontri nella poesia ma- 
terna popolare d’ Italia: questo costi- 
tuisce secondo noi un argomento di 
ricerche per gli studiosi che volessero 
occuparsene. Nè maggiori sono i punti 
di contatto fra le centodieci filastroc- 
che che seguono e le filastrocche della 
penisola, salvo che non si voglia ri- 
salire e fermarsi nella regione setten- 
trionale di essa, dove l’aura d’un’altra 
lingua fa sentire anche l’aura di una 
letteratura sorella. In oueste filastroc- 
che, le quali sono per oltre metà giuo- 
chi fanciulleschi d’ ambo i sessi , tro- 
viamo ricordi ed accenni assolutamente 
nuovi nella poesia fanciullesca fin qui 
conosciuta, e ci confermano che gran- 
de davvero è il distacco tra la poesia 
popolare dell’Italia settentrionale e la 
poesia popolare dell’ Italia centrale e 
meridionale: differenza non di metrica 
e di genere, come da pari suo dimo- 
strò per la lirica amorosa di Sicilia e 
per la canzone epica del Piemonte il 
Nigra;ma anche di contenuto, di remini- 
scenze, di allusioni. Ultime, ventinove 
formole di sorteggi con a capo alcune 
norme generali per contarsi, chiudono 
il volumetto , che raccomaudiamo ai 
lettori. 

A sgravio di coscienza per le con- 
seguenze avvenire, sentiamo il debito 
di dichiarare che la Racolta amplissima 
di canti popolari siciliani , che il Seves 
attribuisce a noi (p. 27), non ci ap- 
partiene; essa è di un siciliano morto 
da alcuni anni. P. 

None Stringherà Canali. Regia tipo-li- 
tografia di A. Minelli. Rovigo, 
MDCCCXCr. In-4 0 . 

Bisogna vedere questa pubblicazio- 


ne per formarsi una idea dello splen- 
dore della edizione e della natura del- 
l’offerta nuziale fatta dall’on. deputato 
Tullio Minelli, e dal signor Vittorio 
Turri, amici dello sposo. Diremo non- 
dimeno, poiché un esemplare dell’opu- 
scolo ci è stato gentilmente favorito, 
che esso contiene 6 tenerissimi canti 
popolari siciliani, editi tutti, ma tutti 
con qualche variante , stati raccolti 
nella provincia di Messina, in Oliveri, 
Rodi, Gastroreale, Mistretta, Falcone, 
Bafia : tutti e sei seguiti da una ver- 
sione letterale italiana fedelissima.*CLa- 
scun canto occupa una pagina, e cia- 
scuna pagina è chiusa da una sottile 
cornice verdemare, colore diverso dal 
marrone del testo. Il frontespizio, che 
fa pure da antiporto, è rosso e mar- 
rone. 

Precede una dedicatoria dei due e- 
gregi uomini: coi quali ci rallegriamo 
dell’offerta bella e gentile. P. 

Umberto Bozza. La a Pasqueta » Eu- 
ganea. Poesia e Costumi popolari. 
Padova, Tip. Gallina 1891. In-8°, 
pp. io. 

Per Ja Epifania nel Padovano si can- 
tano certe canzoni di questua che ri- 
cordano quelle di S. Martino in Ve- 
nezia , di Capodanno in Sorrento , di 
carnevale in Palermo : senza essere 
però nessuna di esse. Le grosse com- 
pagnie questuanti di sonatori e can- 
tatori son chiamate Stele, e vanno in- 
torno per i villaggi fermandosi a can- 
tare di porta in porta precedute d'una 
grande stella di carta illuminata e gi- 
rante. Le canzoni son cantate per tre 
sere di seguito: varie e diverse le une 
dalle altre, ma tutte, quale più quale 
meno, non prive d’una certa arte let- 
teraria, che le rende ibride e non in- 
discutibili per la loro origine. 

Di quest’uso e di questi canti si oc- 
cupa amorosamente nel citato opuscolo 
il sig. Bozza, nuovo soldato nel campo 
del folklore. P. 

Paul Sébillot. Ètudes maritimes.V an- 
nes , Imprimerle E. Lafolye 1890. 
In-8°, pp. 20. 

— lconographie fantaslique ; Les Lutins. 
Ivi , 1890. In-8°, pp. 15. 

— Les Pendus . Ivi , 1890. In-8°, pp. 19. 


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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 


In questi tre opuscoli il sig. Sébil- 
lot tratta argomenti nuovi e curiosi 
desumendone la materia dalla tradi- 
zione orale e da libri d’ ogni genere 
e d* ogni paese. Nei primo illustra le 
conchiglie marine, i zoofiti , i mollu- 
schi , i crostacei , aggiungendo nuovi 
appunti ai moltissimi da lui raccolti 
in una monografia sul medesimo ar- 
gomento pubblicata nelle Revue d’Eth - 
nographie del 1886; monografia che fu 
il punto di partenza alle Notas sobre 
a Malacologia popular del portoghese 
Roche Peixoto, ed al Folk-ìore del mar 
del sig. Braulio Vigon, inserito nel- 
V Archivio, Vili. 

Nel secondo opuscolo fa una rapida 
corsa pel campo della iconografia dei 
vari popoli tracciando le linee carat- 
teristiche dei folletti e fermandosi là 
soltanto dove libri e stampe popolari 
offrono all* A. disegni di folletti e di 
altri spiriti congeneri. Il folletto ita- 
liano vi manca assolutamente, perchè, 
se ne togli le belle illustrazioni del 
Chessa alle Leggende delle Alpi della 
Savi Lopez, la iconografia moderna 
offre ben poco in proposito. Le tavole 
intercalate nel testo, tutte più o meno 
graziose, son tredici. 

Les Pcndtis sono una penosa curio- 
sità, specialmente se guardi agli aspetti 
sotto i quali l’A. la espone, come p. 
es. le qualificazioni d’ impiccati che i 
vari popoli o provinciali si palleggiano 
tra loro; le credenze intorno al desti- 
no avvenire degli impiccati, gli usi e 
le pratiche intorno alla forca, aila fune, 
le interpretazioni ed i pronostici che 
si traggono dai sogni di impiccati. Qui 
la materia è abbastanza ricca e, disgra- 
ziatamente, universale: e non per nulla 
fu formato il proverbio, che potrà en- 
trare in una ristampa di quest* opu- 
scolo : Tutti abbiamo il nostro impic- 
cato alV uscio . P. 

P. Ristelhuber. Contei Ahaciens. Troi- 

sième sèrie. Paris, M.DCCC.XCI, 

In-8 # , pp. 16. 

Estratti dalla Tradilton, questi rac- 
conti sono delle leggende sacre e pro- 
fane, altre storiche , altre fantastiche, 
raccolte in vari comuni dell’ Alsazia. 
Sommano in tutto dieci : e qualcuno 
ha riscontri nella Legenda aurea , do- 

tArchmo per le tradizioni popolari . 


*45 

cumeuto da non trascurarsi quando si 
tratti di pie e devote leggende popo- 
lari. Ecco i titoli di questi racconti, 
che raccomandiamo ai cultori della 
novdlistica: I. De la fileuse qui ne peut 
mourir . — IL La T/te de mori parlan- 
te . — III. Saint Gangolf . — IV. L* ertiti- 
tage de IVidensdìlen. — V. Le poni de 
H rbit{htim. — VI. B/le et plus bète. — 
VII. Le compagnon tailleur en uoy.ige. 
— Vili. La demoiselle de Morimont . — ■ 
IX. Jean la Mdte—X. Le vin de Pi - 
stoht . P. 

COMTE DE PUYMÀIGRE. LeS VÌ€UX Au- 
teurs Qistil/ans. Histoire de Vandeane 
lillèrature e spagnole . Nouvelle éii- 
tion. Deuxième sèrie. Paris, A. Sa- 
via éd. , 1890. Un voi. in i6°, pp. 
IV-323. 

Abbiamo altra volta segnalata, in 
questo Periodico, la importanza della 
presente opera dell’illustre nostro Col- 
laboratore, tanto per il valore generale 
storico-letterario quanto per lo speciale 
folk-lorico; ora annunziamo con pia- 
cere questa nuova edizione, nella quale 
V A. ha introdotto notevolissimi mi- 
glioramenti , e giunte e osservazioni 
tali, che l’opera si può considerare in 
gran parte rifatta , ed è stato neces- 
sario di rimandare ad un prossimo vo- 
lume tutta quasi l’ ultima parte che 
svolgea la materia, nella prima edizione, 
dei ìloeados de Oro , Datila de la mucrte, 
Rimado de Palacio , Cronica di Lopez 
de Aynla, romanzo di c Amadis ecc. I 
miglioramenti e le giunte, nel volume 
ora messo fuori , riferisconsi special- 
mente alle opere di Don Alfonso X 
e dell’ infante Don Juan Manuel, alla 
Gran Conquista de Ultramar , al Livre 
de Calila et Dim ma. 

Siamo sicuri che il meritato favore 
che toccò alla prima edizione di questo 
utile libro, non mancherà e sarà anzi 
maggiore per la edizione presente. 

S. S.-M. 

Achille Millien. Cbants populaires 
de la Grèce , de la Serbie et du Monté- 
negro . Paris, Leinerre M.DCCC.XCL 
In-i6 w , pp. 183. Fr. 3. 

Canti di popoli diversi, questi che 
il sig. Millien ci dà tradotti in un vo- 

Vol. X. 19 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


I46 

lume della casa Lcraerre sono d* in- 
dole svariata : leggendari , domestici, 
amorosi e soprattutto guerreschi. Que- 
sti ultimi offrono particolarità in Gre- 
cia ed in Serbia; perchè, mentre i clefti 
greci sentono e cantano come gli hai- 
duk serbi, i canti eroici dei primi pro- 
cedono rapidi e concisi , e quelli dei 
secondi hanno maggiore sviluppo e- 
pico ed una regolarità tutta propria. 

La traduzione del sig. Millien è me- 
trica: e primo lui, 1 *A., non si illude 
sulla convenienza di siffatta traduzione 
e sulle difficoltà di riuscire fedele. Noi, 
che pure abbiamo tra mano le rac- 
colte del Faunel, Marcellus, Legrand 
er la Grecia e di Dozon per la Ser- 
ia, dalle quali, salvo qualche compo- 
nimento inedito, il sig. Millien trasse 
i testi, non osiamo istituire confronti. 
La prudenza del sig. Millien nel te- 
nersi lontano d ii voli di fantasia, e la 
sua abilità come poeta e come lingui- 
sta ci sono di guarentigia della piena 
corrispondenza tra P originale de’ 43 
canti neo-ellenici e dei 27 serbi e mon- 
tenegrini e la versione poetica del folk- 
lorista nivernese. Agli amanti della 
musa letteraria poi sarà gradito leggere 
i due componimenti che egli premette 
ai canti di quelle due nazioni , come 
per significare i sentimenti che in lui 
suscitano le gagliarde loro canzoni. 

. P. 

Griechische Volkslicder in deulscher 
Nachbildung von Gustav Meyer. 
Stuttgart 1890. J. G. Cotta* sche 
Buchnandlung Nachlblger. In-i6* 
picc., 103. 


Dei caratteri dalla poesia popolare 
neo-greca ragionò maestrevolmente il 
prof. Meyer nei suoi Essays uttd Siu - 
dien pubblicati in Berlino Pan. 188$ 
sotto il titolo: Neugriechishe Volks poesie 
( pp . 309-331); e quello studio sarebbe 
ora una eccellente introduzione al pre- 
sente volumetto , che dà tradotte in 
tedesco ventitré canzoni, cinquantatrè 
quartine e ventinove canti greci del- 
Tltalia meridionale. Le 23 canzoni sono 
state tradotte sui testi del Passow : 
Popularia Carmina Gr acciai recenlioris 
(Lipsia 1860); di Jannarakis: v Avopaxa 
xpY*cix 4 (Leipzig 1876); di Lelekos : 
AYpoxtxrì dvfioXoYt* (Atene 1868); di 
Aravandinos : SoXXoy*) ccc. 

(Atene 1886) e di altri. Le quartine 
son tutte scelte dalle raccolte dei so- 
radetti raccoglitori oltre che da $a- 
ellarios, che ora conta tra* più ripu- 
tati. I canti greci meridionali d'Italia 
provengono dalle raccolte del Morosi: 
Studi sui dialetti greci della Terra d'O - 
franto e del Pellegrini: Il dialetto 
gre co- caldbro di Bova. 

La nota dominante è l’amorosa, cd 
il Meyer ha saputo farla prevalere alle 
altre con una scelta quanto giudiziosa 
altrettanto delicata. 

Ad un conoscitore del greco mo- 
derno e dell’albanese come il D. r Me- 
yer, non va domandato com’egli abbia 
tradotto gli originali. Chi, come lui, 
comprende intimamente quelle lingue, 
sa immedesimarsi nell’ignoto poeta e 
significarne i pensieri e gli affetti nella 
patria lingua con quella squisitezza che 
dev'esser pregio precipuo dei testi neo- 
ellenici. 

P. 


Recenti Pubblicazioni. 


Baragiola (A.). Il canto popolare 
a Bosco o Gurin, colonia tedesca nel 
Cantone Ticino. Cividale, Fulvio, 1891. 
In-8* fig., pp. 175. L. 3. 

Basile e Croce. Lo Cunto de li 
Cunti. (Il Pentameronc) di Giambat- 
tista Basile, testo conforme alla prima 
stampa del MDCXXXIV-VI con in- 
troduzione e note di Benedetto Croce. 
Voi. I. Napoli MDCCCXCI. In-4 0 , pp. 
CCIII-296. L. 5. (Biblioteca Napoletana 


di Storia e Letteratura edita da Bene- 
detto Croce, v. il). 

Bazzi (Dott. T.). Da un processo 
di streghe, [fatto in Cassano d’Adda 
nel gennaio del 1520}. Milano, tipogr. 
Bortolotti di G. Prato 1890. In-8°, pp. 
17. (Dall* sArchivio stor. lombardo an. 
XVII, fase. 4.). 

Cesari (A.). Come pervenne e ri- 
mase in Italia la matrona di Efeso: stu- 
dio, Bologna, 1890. In-i6°j pp. 57, L- !, 


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RECENTI PUBBLICAZIONI 


H 7 


Di Gangi (V.). Lu cuntrastu di la 
soggira cu la nora. Storia nova e ri- 
diculusa bella d’iptendiri. Palermo, Gi- 
libcrti, 1891. Ìn-i6°, pp. 8. Cent. 25. 

Frosina-Cannella (G.), Un maz- 
zetto di Canti popolari siciliani. [Ro- 
ma 1890}. In-4\ 

Gattinoni (G.). Grammatica giap- 
ponese della lingua parlata, corredata 
d’un dialogarlo, raccontini e di alcuni 
proverbi popolari giapponesi illustrati. 
Venezia, 1891. In-8°, pp. Vili- 1 68. 
L. 8. 

Hailù Mikàel. L’ Etiopia descritta 
da un Etiope: usi natalizi dell’Asma ra. 
Napoli, tip. F. Cosmi 1890. In-i6 # , 
pp. 14. 

La Via-Bonelli (M.). Motteggi po- 
polari nicosiani e sperlinghesi. Paler- 
mo, Vena 1891. In-8°, pp. 11. 

Mariani (L.). La cavalcata dell’As- 
sunta in Fermo. Roma, Forzani 1890. 
In-8°, pp. 4L 

Mereine Coen (R.). Costumi degli 
Israeliti di Russia e Polonia. Parma, 
tip. Ferrari e Pellegrini edit. 1890. In- 
pp. 44. Cent. 70. 

Ninni. Voci bambinesche della lin- 
guaveneziana. Venezia, Longhi e Mon- 
tanari 1890. Jn-16 0 , pp. 11. 

— Ribruscolando (Saggio di una 
raccoltina d’indovinelli, proverbi ecc.). 
Ivi , 1890. In-i6*, pp. 190. 

— Araldica pescatoria. Ivi , 1890. 
In-16 0 , pp. 8. 

— Materiali per un vocabolario della 
lingua rusticana del Contado di Tre- 
viso, con un’aggiunta sopra le super- 
stizioni, le credenze ed i proverbi ru- 
sticani. Serie l a . Ivi , 1891. In-16 0 , 
pp. 124. 

— Nozioni del popolo veneziano 
sulla Somatomanzia. Ivi y 1891. In-16 0 , 
pp. 16 . 

Pitrè (G.). Due Novelline popolari 
toscane. Palermo , Tip. del Giornale 
di Sicilia MDCCCXC. In-8°, pp. 24. 
Nozze Orlando-Castellano. Tiratura di 
soli 50 esemplari. 

Riccardi (P.). Pregiudizi e Super- 
stizioni del Popolo Modenese. Contri- 
buzione. In Firenze, Landi 1891. In- 
8°, pp. 75 . 

Rua (G.). Intorno alle « Piacevoli 
Notti » dello Straparola. Studio. To- 
rino, Loeschcr 1890. In-8 # , pp. 108. 

Saggio di usi e costumi, o la festa 


dai Banderesi altrimenti detta della 
Ciammaichella ecc. Verona, Marchiori 
1890. In-8°, pp. 5$. 

Salomone-Marino (S.). Come si 
prepari la sposa; uso nuziale dei con- 
tadini di Sicilia. In Palermo , Vena, 

1890. In-8°, pp. 12. Nozze Orlando- 
Castellano. 

Savi Lopez (Maria). Fra la neve ed 
i fiori. Passeggiate sulle Alpi. Seconda 
edizione riveduta e riccamente illu- 
strata. Torino, Paravia e C. 1891. In- 
8° fig. L. 4. 

•Simoneschi (L.). Il giuoco in Pisa 
e nel contado nei sec. XIII e XIV. 
Pisa, Mariotti. 

Targioni-Tozzetti (G.). In Ciò- 
ciarla : ricordi di usanze popolari. In 
Livorno, Giusti, 1891. In-16 0 , pp. 62. 

Basset (R.). Les dictons satiriques 
attribués à Sidi Ah’med Ben Yousof. 
Paris, Leroux 1890. In-8°, pp. 96. 

Doncieux (G.). La Pernette, origi- 
ne, histoire et restitution critique d'une 
chanson populaire romane. Paris 1891, 
In-8\ pp. 52. 

Goblet d’ Alviella (Cte). La Mi- 
gration des symboles. Paris , Leroux 

1891. In-8°, pp. 343. 

Guéneau (L.). La Légende de saint 
Gengoux. Ncvers, Bellanger 1890. 
In-8 # . 

Luzei. (F.-M.). Soniou Breiz-Izel. 
Chansons populaires de la Basse-Bre- 
tagne. Soniou (Poèsies lyriques). T. I. 
In-8°, pp. XLIV-536. 

Letourneau (Ch.). L’évolution ju- 
ridique dans les divers races humaines. 
Paris 1890. In-8°. 

Orain (A.). Curiosités , croyances 
et superstitions de 1* Ule-et- Vilaine. 
Rennes, Oberthur. In- 18, pp. 16. 

Petitot (E.). Accord des mytho- 
logies dans la cosmogonie des Dani- 
tes arctiques. Paris, Leroux 1890. In- 1 2°. 

Tiersot (J.). Mélodies populaires 
des provinces de France, récueillies et 
harmonisées. Deuxième sèrie. Paris, 
Hengel 1890. 

Andree (R.). Die Flutsagen. Ethno- 
grafisch betrachtet. Mit einer Tafel. 
Braunschweig , Vieweg 1891. In-16, 
pp. 152. 

Dirksen (C.). Ostfriesische Sprich- 
wòrter und sprichwòrtliche Redensar- 


iaì * 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


I48 


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Schlossar (A.). Deutsche Volkschau- 
spiele. In Steiermark gesammelt ecc. 
Halle, Nienieyer 1891. I Bd. pp. V 1 1 1 - 
347; li, III-404. M. io. 

Schiepeck (J.). Bemcrkungen zur 
psychologischen Grundlage desSprich- 
òrtez. Progranim Saaz. In-8°, pp. 16. 

Schwakz (P.). Reste des Wodankul- 
tus iu der Gegenwart. Leipzig. Lu- 
cas 1891. 

Sepp. Die Religion der alter Deut- 
schen und ihr Fortb^stand in Volks- 
sagen, Aufzugen und Festbràuchen bis 
zur Gegenwart. Munchen , Lindauer, 
1890. In-8 0 , pp. XX-415. M. 6. 

Wucke (Ch. L.). Sagen der mittle- 
ren Wcrra, der angrezenden Abhànge 


des Thùringer Waldes , ecc. Zweite 
Auflage etc. herausgegeben von Dr. 
H. Ullrich. 1891. Verlag Kahle in Ei- 
senach. 

Murko (M.). Die Geschichte der 
sieben Weisen bei den Slaven. Wien 
1890. In-4*, pp. 138. 

Zmigrodzki (M. von). Zur Geschichte 
der Suastika. 1890. In-4 0 . 

Campbell (J. F.). Popular Tales of 
thè West Highlands. Paisley Gard- 
ner 1891. 

Garnett (Lucy M. T.). The Wo- 
men of Turkev and their Folk-Lore. 
London: David Nutt 1890. In-8°, pp. 
LXXVIII-382. 

Jacobs (J.). English Fairy Tales. 
London: David Nutt. 1890. In-8°, pp. 
XIV-253. 

Koyalevsky (M.). Modem Customs 
and Ancient Laws of Russia , being 
thè llchester Lectures for 1889-90. 
London, Nutt, 1890. In-8°, pp. X-260. 

Lang (A.). The Red Fairy Book. 
London, Longmans 1890. 

Leland (Ch. G.). Gypsy Sorcery 
and Fortune telling. London , Fisher 
Unvin. In-4 0 , pp. XVI-271. ( 

Babcock (W. H.). The Two Lost 
Centuries of British History Philadel- 
phia: J. B. Lippincott a. Co. 1890. In- 
i6°, pp. 239. 

Child (Fr. J.). The English and 
Scottish Popular Ballads. Part VII. 
Boston, Houghton, Mifllm a. C. ln-4% 
np. 254. 


Sommario dei Giornali. 


Archivio storico italiano. Firen- 
ze, serie V, t. VI, disp. 6, p. 459 e 
seg. 1890. C. Cipolla: Per la leggenda 
di re Teodorico . 

Archivio storico lombardo. Mi- 
lano, an. XVII, fase. IV, pp. 879-893, 
31 Die. 1890. T. Bazzi : 'Da un pro- 
cesso di streghe, fatto in Cassano d’Adda 
nel genn. -del 1520. 

Ateneo veneto. Venezia, ser. XIV, 
v-. Il, fase. 1-2, pp. 464-499, Luglio- 
Agosto 1890. E. Callegari : Verone 
nella leggenda e nell' arte. 


Corriere di Napoli. An. XIX, n. 
334. s-6 Die. dpi, mosconi e ve- 
spe: 11 talismano contro il malocchio, 
la jettatura ecc. 

Corriere di Palermo. An. I, n. 86, 

25 Die. 1890. E. Arma forte : Mango, 
Novelline pop. sarde , recensione. 

Fanfulla. Roma, ann. XXII, n. 83. 

26 Marzo 1891. Conte dj Luna: La 
leggenda del Venerdì santo , quale corse 
nel medio evo. 

Fanfulla della Domenica. Roma, 


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SOMMARIO DEI GIORNALI I49 


an. XII, n. 52. 28 Die. 1890. L. Mo- 
ra ndi : Ancóra per ‘Pasquino. 

Gazzetta del popolo. Torino, an. 
Vili, n. 51. 21 Die. 1890. A. Stella: 
Vigilia di Ceppo, in Laguna. — G. Balbi: 
La data del Natale. — A. F. Bona: Na- 
tale romano in VI sonetti. — F. Ga- 
betto : Gesù ‘Bambino. — O. Fedele 
Bianco: Primo Natale. — Neemia: Due 
Natali,— B. Giacchi: Il Natale di Pie- 
rino. — R. Bonghi: Benvenuto Natale. 

An* XIII , n. 7. Emma Perodi : I 
matrimoni slavi , spigolature dal libro 
di Fr. von Hellwald: « Il mondo degli 
Slavi ». 

N. io. L. Cretella: Gli animali sotto 
processo. 

Giornale di Sicilia. Palermo, an. 
XXX, n. 321. 15 Nov. 1890. Maurus: 
(L. Natoli) : S. Martino , origine di 
questa festa. 

N. 341. 7 Die. Appelius: La festa 
della Immacolata (8 Dicembre). Ripor- 
tato dal voi. di Spettacoli e Feste di 
G. Pitrè. 

N. 344. 15 Nov. Rapsodo: (L. Na- 
toli): Ritagli e brandelli. Combatte vi- 
gorosamente gli sprezzatoti delle vec- 
chie tradizioni ed usanze per malinteso 
amore di progresso, e rileva lietamente 
il risveglio a favore delle antiche u- 
sanze paesane e municipali. 

N. 348. 1 3 Die. H. de Moreno (G. 
Pitrè): Pel festino di S. Rosalia. Prende 
argomento dal precedente ait. per ri- 
chiamare l’attenzione del Municipio di 
Palermo suirantico carro trionfale in 
onore di S. Rosalia , del quale pro- 
pone la solita annuale costruzione. 

N. 355. 20 Die. M. Di Martino: Usi 
e superstizioni siciliane raccolte in Ca - 
nicatlì. 

N. 361. 27 Die. H. de Moreno : 
Pietro Fullone e le sfide popolari sici- 
liane, comincia la ristampa del 1° cap. 
dello studio di G. Pitrè con questo ti- 
tolo negli Studi di poesia popolare. 

N. 363. 28 Die. lobi (I. Bencivenni): 
Su purebeddu , costumi sardi. 

An. XXXI, n. 1. 1 Genn. 1891. S. 
S[a!omone] M [arino]: Buon capo d'an- 
no l Uso contadinesco siciliano, ripro- 
duzione d’ una parte dell’ articolo col 
medesimo titolo inserito in questo voi. 

No. 4, 11, 17*24; 3 > io* l 7 f 24 Genn. 


H. de Moreno (G. Pitrè)': Pietro Ful- 
lone e le sfide pop. .sic. 

N. 7. 6 Genn. D. Panciera: La fe- 
sta dei Magi in Venezia , ossia la ve- 
nula della Marantega. 

Nn. 32 e 46. 31 Gènn. e 14 Febbr. 
S. S[alomone] Mfarino]: Aneddoti sul 
Viceré Duca d' Ossuna . Alcuni di essi 
sono tradizionali , e vennero raccolti 
da Marc’Antonio Valena romano, au- 
tore d’ un Diario dal 1576 al 1649, 
rimasto fin qui inedito. 11 S.-M. ne ri- 
ferisce parecchi come avvenuti, secondo 
il diarista, in Sicilia.’ 

Giornale ligustico. Genova, an. 
XVII, fase. V-VI, p. 16 e seg. Mag- 
gio-Giugno 1890. G. Rezasco: Segno 
delle meretrici. 

Giornale storico della Lettera- 
tura italiana. Torino, 1 890. An . Vili, 
voi. XVI, Carlo Errerà: Ancora sili- 
cati tare del a Pecorone ». 11 D. r E. Gorra 
avea dimostrato ( Giornale , XV, 216 
e seg.) essere un messer Giovanni di 
di ser Fruorino giudice P A. del Pe- 
corone. <t La tesi che egli ha con tanto 
valore sostenuta è , meno ancora di 
quanto egli creda, vicina alla realtà: 
dolenti noi alla nostra volta che que- 
ste pagine ci abbiano condotto solo 
a questo risultato negativo.» (Ma dun- 
que?!). — Pp. 430-43 1. fachino. Varietà 
tradizionali. — 4^5-456. L. Di Gio- 
vanni , Di un giuoco popolare nel se- 
colo XIII. — 465. ^Amalfi , Tradizioni 
ed usi nella penisola sorrentina. Re- 
censioni favorevoli. — 434-436. V. Cre- 
scini : Su, su , chi vuol la gatta. Una 
testimonianza di quest'uso è in un con- 
trasto del trovatore Raimon Escriva, 

An. IX, voi. XVII, fase. 49. Lud. 
Frati: Tradizioni storiche del Purgato- 
rio di San ‘Patrizio. Narrata la leg- 
genda irlandese illustra cronologica- 
mente e con molta minutezza non po- 
che tradizioni che hanno un carattere 
storico e che più contribuirono alla 
popolarità della leggenda medesima 
fino ai dì nostri, nei quali vede reliquie 
e reminiscenze popolari. Tenta una 
classificazione delle principali versioni 
fin qui conosciute della leggenda di 
S. Patrizio: in latino, francese, proven- 
zale, inglese, spagnuolo, italiano, sve- 
dese. Seguono alcuni testi. — G. R[ua]: 



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15 ° 


ARCHIVIO PF.R LE TRADIZIONI POPOLARI 


Fr. Mango, Novelline pop, aarde ; e St. 
Frato, Quelques contea liltéraires dans 
la tradii, populaire , brevi recensioni 
favorevoli con indicazioni parallele. 

Il Secolo. Milano , an. XXV , n. 
8881. 24-2$ Die. 1890. L* albero di 
Natale, — Il Natale in Sicilia. 

La Calabria. Monteleone. 15 Die. 
1890, an. Ili, n. 4. A. Julia: Contra- 
sti, È il famoso Tuppi-ttippi siciliano, 
m calabrese. — G. B. Moscato : Canti 
di S. Lucido . 

. 14. — G. B. Marrano : Usi e Co- 
stumi ecc. di Lau renna di Borrello, Con- 
tinua la medicina popolare. — L. Bruz- 
zano: Cannone albanese di Vena — Ab. 
O. Ortona: S. Frane, di Taola nella 
trad, della Calabria. Continua l’esor- 
dio; ed al 

N. 5. 5 Genn. 1891. A. Julia: Con- 
trasti, Altri due. — Luisa Coppola : 
Canti pop. di Malvito. — V. Catenacci: 
Canti e Giuochetti infantili. Dall’VIIl 
al XV. Continua. — G. B. M[oscato]: 
Indovinaglie di S. Lucido. — 11 Fale- 
gname: Novellina pop. di IMantineo. 

N. 6. Febb. G. B. Marzano : Usi e 
Costumi ecc. di Laureano di Borrello ì 
Medicina popol. — V. Tacconi: Canti 
della Sila. — D. Gala ti: Farsa popolare 
di Acquar 0 . — E. Capialbi: Novellina 
greca di Roccaforte^-[G . B. Moscato]: 
Giuochi di S. Lucido. Continua al 

N. 7. Marzo. — C[apialbi] e B[ruz- 
zano]: Racconto greco di Roccaforte, — 
Maria De Giacomo: Canti di Malvito , 
dal n. XV al XXIX. — V. Catenacci: 
Canti e Giuochetti infantili , dal XVI 
al XXIII. 

Le cento cittA italiane. Supple- 
mento al Secolo. Milano , an. XXVI,* 
n. 8970. 25 marzo 1891. F. Seves: 
I soursiers , leggenda delle Alpi Cozie. 

L’Elleboro. Caltanissetta , an. II, 
n. 2. 20 Gennajo 1891. M. Alesso: 
Superstizioni ed ubbie: la strega. La 
strega è la donna volgare, che la gente 
ignorante chiama per la cura di certe 
malattie. 

L’Illustrazione popolare. Milano, 
voi. XXVII, n. 51. 21 Die. 1890. Un 
mistero di < N J atale.,.. sparito. — Yorik: 


I bambini della plebe a Napoli. — La 
vita inglese a Natale. 

L'Unione sarda. Cagliari» an. Il, 
n. 282. 26 Nov. 1890. F. Vivanet: 
Mango , < NjOvelline pop. sarde, recen- 
sione. 

Pagine Friulane. Udine, an. IH, 
1890, n. 9. 15 Nov. G. F. del Torre: 
L'ombre nere fùr dal pozz dirocàd de' 
Qhase del Bosch , leggenda. 

N. io. 7 Dicent. D. Barnaba: Co- 
stumanze nuziali nel comune di S. Vito 
di Tagliamento. — V. 0 [stermann] : 
L’ori gin da’ Siicele. 

Psiche. Palermo , an. VI , n. 26. 

1 Die. 1890. F. Mango: Cian, Saggio 
di canti pop. logudoresi , recensione. 

Journal des Savants. Paris, Ott. 
1890. H. Weil: Culte des ameschezles 
Grecs. 

La Tradition. Paris, an. IV, n. XII, 
Die. 1890. M. de Zentigrodzki: Le Folk- 
lore polonais , IIL Cosmografia , geo- 
grafia, scienze naturali, pregiudizi do- 
mestici. — Hadji — Démétrius: Saint- 
Gerasimus et le lion , leggenda dell’isola 
di Samo. — J. Plantadìs: Des usages 
de prélibation et des coulumes de ma- 
rine en France , III. — J. Brunet: L'dne 
dans les proveibes provencaux , III, l’a- 
sino del mugnaio. — E. B. : Les villes , 
chansons pop. — Fr. Ortoli: Moyen de 
retrouver le corps d’un noyé. — V. Bru- 
net: Contes pop. dti Bocage normand , 
V. — Chansons de Briolage. — V. u de 
Colleville: Proverbes nifois. — Le mou- 
vement traditionniste . 

An. V, n. 1. Genn. 1891. Th. Da- 
vidson: Éléments de tradilionnisme ou 
Folklore: I. La teoria moderna del- 
l’animismo. — A. Millien: La bergère 
nux champs. — A. Desrousseaux: Mon - 
stres et Géants: IX. I giganti di Bruxel- 
les. — J. Lemoine: Le tirage au sort 
en Belgique. — P. Ristelhuber : Contes 
alsaciens . Vedi Ballettino , p. 145. — 
H. C[arnoy]: Folklore et histoire des 
religions. — Froment de Beaurepaire: 
Chansons pop. du Quercy. Continuano 
al n. III. Marzo.— H. Carnoy et J. Ni- 
colaides: Le Folklore de Costantinople : 
Superstizioni e credenze dei Turchi. 



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SOMMARIO DEI GIORNALI 


Continua. — Th. Davidson : Èlèments 
ecc . III. Il culto degli animali. — C. 
de W[arloy]: Saint Barnabé , patron 
des amoureux . — M. de Zmigrodzki : 
Le Folklore polonais, Cracovie et ses 
environs , IV. Medicina, — H. C. : Le 
rnois de mai , XIV. Le trimazos [tre 
ragazze vestite di bianco] in Lorena. 
— Béranger Féraud: Contes proven- 
feaux , I. — Fr. Ortoli : Les Saints cha - 
tiés % VII: I marabutti e la pioggia. — 
P. Ristelhuber: Les Vosenottes en At- 
roce- Lorr aine: I. In Boulay; II. Nella 
Lorena. — Bibliographie . 

Le Petit Journal. Supplement II- 
lustré , 11 , n. 9. 24 Genn. 1891. G. 
Sand: Les demoiselles . 

N. 11. 7 Febb. G. Sand: Les trois 
hommes de pierre. 

Le vrai Francais. Lyon, 7 Febbr. 
1891. A. Vingtrinier: ‘Ponce- { Pilate. 

Revue Celtique. Paris, t. XII. 1. H. 
de la Villemar<jué: Anciens Noèls bre- 
tons . — D. Arbois de Jubainville: Saint 
Denis portant sa téte sur sa poitrine. 

Revue de l' Histoire des Reli- 
gions. Paris, v. XXII, n. 1. Luglio* 
Agosto 1890. H. D’Arbois de Jubain- 
vifie : La religion celtique d' après M. 
Hbys. — T. Halevy: La religion man - 
deenne A' après £\C. Brandt . — J. A. De- 
courdemanche: La légende d* Abraham 
tTaprès les Mussulmans . 

Revue des deux mondes. Paris, 1 
Die. Barine: Les contes de Perrault. 

Reuve des provinces de l’Ouest. 
I, 8, J. Louail: Le mené et sa légende. 

Revue des traditions populaires. 
Paris, 5 anno, t. V, n. 11. 15 Nov. 
1890. A. L. Jarchy : La médicine su- 
per stitieuse en Russie : il malocchio, la 
gatta. — J. Tiersot: Le portrait de la 
maitresse , III, vers. di Morvan. — M.* 
Destriche: La stessa, vers. della Sarthe. 
— Ch. Hercouet: Superstitions de Quii- 
Umane nel Mozambico. — P. Sébillot: 
Super stitions des civilisés, II. — L. Sich- 
ler: Moeurs et coututnes de mariage en 
Russie , continuazione. — P. M. Lavenet: 
4 pfvinettes de la Basse-Bretagne. — L. 


ISI 

Bonnemère: Les superstitions du canton 
de Gannes. — L. Pineau : Les danseurs 
maudits , III, leggenda di Poitou.— P. 
Sébillot: Pensées sur les traditions pop. 
extraitesde divers auteurs . — A. Certeux: 
Lei calendriers des illettrés, V, un ca- 
lendario del XV 1 ° secolo; VI, calen- 
dario orologio dell’ XI 0 secolo. — A. 
Harou: Bitje de Dood, fiaba fiammin- 
ga. — A. Harou: Bourquoi Polichinelle 
a deux bosses, leggenda liegina. — D. A. 
Zevacq: Le lac de la fée t leggenda corsa. 
— Saint-Blaise . — Bibliographie. — Pè- 
riodiques et Journaux . — Notes et En - 
qutles. 

N. 12, i') Die. Ch. Hardouin: Tra- 
ditions et superstitions siamoises : IV, 
fiabe e leggende; V, storielle di risu- 
scitati e di streghe. — J. Tiersot : La 
jille déguisée en dragon : I , vers. del 
Morvan. — D. Bourchenin : Contumes 
de mariage , VII, in Béarn. — P. Sébil- 
lot: Les traditions pop. et les écrivains 
frangati, VII, Voiture , scrittore della 
prima metà del sec. XVII. — R. Basset: 
La légende de Didon . — G. M. Allivier 
Beauregard : Proverbes et dictons may 
lays , III. — L. Moria: Contes troyens % 
n. 3. — L. Sichler: %an et les filles des 
ftots . — R. Blanchard: Traditions et su- 
perstitions de la Touranie. - A. Certeux: 
Facèlies suisses. — P. Sébillot: Seconde 
vue: inter signes. — Notes et Enquéles . — 
Tables des metières . — Tabi e analylique 
et alphabètique. 

An. VI, n. 1. Genn. 1891. P. Sé- 
billot : Traditions et superstitions des 
ponts et chaussées : I. Le strade; lì. Le 
ferrovie.— Lo stesso: Questivnnaire des 
traditions des ponts et chaussées . — Mad. 
Barhet: Omnsons du renouvellement de 
Vannée , I. — A. Harou: Miettes de Folk - 
Lore parisien , XIV. — D. Danjon : La 
fète des Bjois, XV : Canzone dei Tre 
Re in Caen. — L. Brueyre : Le petit 
homme rouge et Napoléon.— R. Basset: 
xAllusions à des contes popul. Supersti- 
tions et coulumes des meriniers : A. De- 
scubes: IH. I piloti egiziani. — P. S., 
IV. L’invenzione della fluttuazione; V. 
Spiaggia frequentata. — G. de Rialle: 
VI. Il barcajuolo avaro. — M. de Zmidg- 
rodzki: La mère et Venfant. — A. Cer- 
teux: Rites et Usages f intéra ire s , IX. In 
Cuba. — L. Desaivre : La légende de 
Théophile de Viau. — Raoul Rosièrcs: 
La légende de pidpn, — F. Fouju: U- 


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152 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


gendes et snperstitions préhistoriqnes , III. 
La pietra di S. Martino d’Assevillers. 
— A. Harou : Coutums scolaires, IV. 
nel Belgio. — Bibìiographi r. 

N. 2. Febb. R. Basse! ; Contes arabe s 
et orientaux , V. Il Depositario infede- 
le . — Le vieux mari.— A. Bernard e Mad. 
P. Sébillot: Cinto di Corax e dell’Alta 
Brettagna. — P. Sébillot: TraJ. et 5 «- 
perst. dei ponts et chaussées , III. I fari; 
IV. I canali; V. Rive e lavori di porti; 
VI. Argini e dighe. — R. Basset: Rup- 
ttire de la digue de Mareb. — P. Sébil- 
lot: xs 4 dditions aux roules et aux che - 
rnins de fer . — N. Ney: Une locomotive 
fatale . — Le diable et V enfcr dans l'i- 
conographie. — R. Rayon : Les tableaux 
de %(. Le Nobleti. — E. Montet : La 
chanson de bricoit . — D. Bourchcnin : 
Contribution ati folklore du Bearti. — 
M. de Zmigrodzki: Les Clochcs. — A. 
Callon: S.t Pierre et le Veuf, leggenda. 
— A Certeux: Pensées sur les traditions 
pop. cxtraites de divers auteurs. II. — 

R. Basset: Les météores , I. Fuoco di 

S. Elmo. — D. Pommerol: Le roi (TAn- 
gleterre , III. — Bibìiographie tee. 

N. 3. Marzo. P. Sébillot: Tradii . et 
superst. ecc. VII. 1 ponti: riti di co- 
struzione — Chanson des livrées , L. 
Ruffié : I. — Les poissons fantastiques . 
1 . P. Chardin : Le poisson Nicole. — 
R. M. Lncuve : Les cent éthius , fiaba 
di Poitou. — C. de Castelnau: Les mi - 
nes et les mineurs , Vili. — R. Basset: 
Solaiman ( Salomon ) dans les légendes 
musulmanes. VI. Gli oggetti maravi- 
gliosi. — J. Tiersot: Postiches de chan- 
sons pop., II. — A. Ferrand : Tradii, et 
superst. du Dauphinè. — A. Certeux : 
La gaiette de pain , leggenda araba. — 
H. Pellisson: Superst itions béantaises . — 
D. Bellet: Voyageurs frane. A ètran * 
gers , I. Thevenard. — Mad. Harriet, 
G. M. Murray-Aynsley : line legende 
de sorcellerie m Inghilterra. — G. Fouju : 
Légendes et superst. préhist Vili. — 
P. M. Lavenot : La légende du diable , 
presso i Bretoni di quel di Vannes. — 
P. S.: Livres popuìaires , II. Riproduce 
una « Chanson en forme de complainte 
faite par dialogue , par Jehan Debus 
estant en son lict de la Mort. A Rouen, 
chez Henry Le Mareschal, rue de Lor- 
loge, devant le Pelican. » — A. Bon : La 
danse des fées , leggenda d’Auvergne. — 
Extraits et Lectures. — Bibìiographie . 


Romania. Paris, Gennaio J891.N.77, 
t. XX. Th. Batiouchkof : Le Débat 
du corps et de Vdme. Studia: i° l’ori- 
gine della leggenda, nella quale 1 ’ A- 
nitiu parla sola. — G. Doncieux : La 
Pernette: origine, storia e restituzione 
critica d’una canzone popolare roman- 
za, secondo le versioni che se ne co- 
noscono in Francia, Italia, Catalogna. 

SOCIÉTÉ ARCHÉOLOGIQUE DU FlNIS- 

tére. XVII, 8-9. Le Bourdellés: La 
légende du Toul-ar-serpdnt. 

Annales de la Société d’émula- 

TION POUR L’ÉTUDE DE L’HISTOIRE ET 
DES ANTIQUI TÉS DE LA FLANDRE. V. J, 
1-4. Witteryck: Contes popuìaires. 

A Sentinella da Fronteira. Elvas, 
an. X, nn. 560, 570, 57}. 574 , 577 * 
581,2 Nov. 1889; 11 Migg., 1 5 Sett., 
2 Ott., 13 e 28 Die. 1890; 25 Genn., 
23 Febb., 14 Marzo 1891. A. T. Pires: 
Cani os populares do Alemtejo recolhidos 
da tradifào orai. Dal 11. 2777 a 302 S. 

O Elvense. Elvas, 1890. An. XI, 
nn. 1018-1023 e 1026-1038; 9, 13, 16, 
20, 23, 27 Nov.; 7, 1 1, 14, 1 8 , 21, 25, 
28 Die. 1890; 1 Genn., 29 Marzo 1891. 
A. T. Pires: Cantos populares alemte- 
janos : remates ou rrquebros. Dal n. CVI 
al n. CL. Sono 285 canti che escono 
col sopra riferito titolo, del Minho,del- 
l’Estremadura, deH’Andalusia e d'altri 
luoghi; indovinelli di Soeiro de Brito; 
proverbi, rime infantili, balli, giuochi, 
etimologie e frasi popolari; canti car- 
nevaleschi e molti altri documenti di 
Folklore. 11 sig. Pires li dà fuori in 
un modesto giornale “di provincia , e 
potrebbe farli conoscere in un perio- 
dico che esca dall’ Alemtejo a quanti 
si occupano di tradizioni popolari. 

Revista de Sciencias Naturaes e 
Sociaes. Porto, v. II, n. 5. 1891. Th. 
Braga: O mytho chaldeo-babylonico dos 
amores de Istar na tradifào Occidental • 
Studio sul ciclo romanesco di « Ju- 
liana e Jarge ». 

Am Ur-Qjjell. Lunden. Ili, II. 1891. 
H. Handelmann: Zur norvegischen Sa - 
genforschnng. — H. von Wlislocki : Ma - 
gyaris$her Lirbes^auber, — H.F. Feilberg: 


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SOMMARIO DEI GIORNALI 


153 


«r Wetter macheti a. — H. Frieschbier: Die Armenier in Untarti . — A. E. Ma- 

Der Eid im Volksleben. — G. Kupczan- rienescu: Baba Dokia . — S. Czimbel : 

ko : Volksnudi\in , credenze e pratiche Zur Kritik der Editionen slovakischer 

sulle malattie presso i contadini russi V olksdichtungen . — A. Strausz : Fremd 

della Bucovina. — J. Sembrzycki: Ost - m Hause. 

preussische Sprichwòrter eco. — F. S. 

Krauss: Geheime Sprachweisen . — K. Zeitschrift fOr die òsterr. Gym- 
Knauthe: Der Tod ah l{eisebegleUer, nasien. 41,8-9. Detter: Bugge, Ueber 

leggenda del mezzogiorno della Silésia. die Enlstehnn g der nordischcn Gòlter- 

— KB ine Mittheil unteti . — Vom Su- u. Htldensage. 

che rii sche. 

IV. A. H. Post: Das Volksleben als 

wissenscha ftl iches Problem. — K. Knau- Anzeiger zur fOr schweiz. Ge- 
the: Das *Alpdrùcken in Preti ss isch- schichte, 4. L. Tobler: Machlrdge\u 
Schlesien. — O. Schell: Si. Martinstag im àen sclnuà^erischen Volksliedcrn. 
Bergischen . — G. Kupczanko: Krankheits - - — 

beschwòrungen bei russi sch. n Batterti in Deutsche Literaturzeitung, n. 44, 
der Bukoiuina. — J. Sembrzycki: Osi - Tobler: Migra, Canti pop. del Pie - 

preussische Sprichwòrter ecc. — F. S. monte. Recensione. 

Krauss: Geheime Sprachweisen. — Kleine 

Mittheil angeli. — Vom Bùcher lische . — Die Nation. 1891. n. 1 3. G. El- 

F. S. Krauss: Wilhelm Krauss, mono linger: Das VolkslUd in Tirol . 
il 27 nov. 1890, padre dell’autore, al 

quale V Archivio manda vive condo- Germania. N. R. XXII (XXXV), 
glianze. pp. 201-217, e 346-534. F. Liebrecht: 

V. J. Mooney: Die Kosmogonie der Zur Volkskunde. Appendice al volume 

Cberokec . — M. Landau : « c bLon olet ». delPA. con questo titolo. Gli appunti 

— M. Hoefler: Das Shrl\ n in Ober - paralleli sono per le leggende, le fiabe, 

bayern. — A. Hexenleiter oder Vogel - le novelle, i carni, i miti italici, le an- 

scheucbe ? — H. Sundermann: Ostfrie - tichità di diritto e la storia generale 

sisches Volkstmu. — H. Volksmnnn: della letteratura. Segue un notamento 

Volksmediyn. — J. Sembrzycki: Ost - delle cose principali cennate negli ap- 

preussische Sprichwòrter ecc. — Krauss: punti; i quali sono usciti dopo la morte 

Geheime Sprachweisen. Eine Enquéle . — dell’illustre autore. 

Vom Bùchertisch. 

Globus. 1891. n. 4. G. Meyer: Zur 
Anzeiger der Gesellschaft fOr Volkskunde der . Alpettldnder . 

die Vólkerkunde Ungarns. Buda- 
pest, an. 1 , fase. 1 . Gennaio 1891. Gòttingische gelehrte Anzeigen. 

teilungen der Hcdaction . I protf. A. 29. Minor: Faligan, Histoire de la li - 

Herrmann e L. Katona, fondatori della gende de Faust ; Tille , Die deutseben 

Società per lo studio delle tradizioni Volkslieder vom D. T Faust. Recensione, 

popolari in Ungheria, dirigono questo 

periodico, che ne è, come si suol dire, Jahrbuch fur Geschichte, Spra- 
rorgano; mentre condirigono da oltre che u. Litteratur Elsass-Lothrin- 

un annoia Ethnographia , scritta in mi- gens. VI. Bergmann: Elsdssische Kin- 

giaro sulla letteratura popolare ma- der-und Wiegenlieder , Kinderreime. — 

giara. Le due pubblicazioni si coni- J. Rathgeber: Elsdssische Sprichwòrter 

pletano Luna con l'altra, e fanno se- und sprichwòrtlicbe Redensarten. — J. 

guito alle cessate Ethnologische Miltei - Spieser : Mùnsterthdler , Spracbproben , 

Ittngeu aus Ungarn , fondate dal Dott. sprichwòrter. — B, Stehle: Volksthùm- 

Herrmann con la efficace cooperazione liche Feste , Siiteli und Gebrduche ini 

del D. r Katona di Funfkirchen. — Ch. Elsass . 

G. Leland : Aus detti Begrnssungsscbrei- 

ben an die Gesellschaft . — L. Kdlminy: Leipziger Zeitung. 1891. n. 294. 

Kosmogonische Spuren in der magvari - V. Einenkel : Der Hase im Volksliede. 
schen Volkslieder lieferung . — L. Réthy: N. 298. G. Oertel : Deutsche Vo/ks- 

Ar elùvio per le tradizioni popolari. — Voi. X. 20 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


ìieder aus Bòbnien . — G. Lehnert: fVeib- 
nacht smi stei . 


Folk-Lore. London , voi. I , n. 3. 
Setr. 1 890. A. Lang : English a. Scotch 
Fairy Tales y in n. di sette. — Ch. S. 
Burne : The collection of enclisi) Folk- 
lore. — J. Abercromby : Magic songs 
of thè. Pinns , II. Dal n. XI li al n. 
XXIV. Origine di vari animali. — S. 
Schechtcr : The Riddles of Solomon in 
Rabbi nic Lileralure , con un passo, testo 
e traduzione inglese, del Yemeu Mi- 
drash. — J. H. Stewart Lockhart: Chi - 
tiese Folk-Lore.— A. Nutt : The Camp- 
bell of Islay tnss. at thè Advocates' Li- 
brary , Edinburgh. — J. Jacobs : Recent 
Research in Compai a live Religion a 
proposito di lavori W. R. Smith , J. 
G. Frazer, O. Schrader, I. Tylor. — 
Proceedings at thè annual meeting of 
thè Folk- Lare Society. Relazione del 
segretario Poster. — Correspondence. — 
Notes and Nei.vs. — Miscellanea.— Folk- 
Lore Bibliogr aphy . 

N. 4. Die. J. Abercromby : Marriage 
Customs of thè Mardvins. Per questi 
usi nuziali l'A. s'è valso dell’opera di 
W. Mainotìf: Mordvankansan hààta 'oja 
(Helsmgfors, 1 88 3 ). — M. Kowalevv diy : 
Marriage among thè early Slavs, let- 
tura all’Università di Oxford. — J. H. 
Stewart Lockhart : The marriage Ce- 
remonies of thè Mancbus.— W. A. Clou- 
ston : The Story of « thè Frog Trine e », 
versione brettone con note compara- 
tive. — Folk-Lore Congress , 1891. — 
‘NjOt.s and News. — Correspondence . — 
Miscellanea. — Folk-Lore ‘Bibliograpby. 

N. 1. Marzo 1891. G. L. Gomme: 
Opening ^ iddress to thè Folk-Lore So- 
ciety for thè Session 1890-91. — J. Aber- 
cromby: Magic Songs of thè Fmns , III. 
— M. Gaster: The h’gcnd of thè Grail. 
Continua. — Gr. Maxwel : Slava. — 
W. Gregor: The Scotch Fisher Chili. 

— A. Nutt : c An early Irish version 
of thè Jealous Stepmother a. exposed 
Chili. — R. S. St. Andrew St. Jonh: 
Bhuridatta. — E. S. Hartland : Rrport 
on Folk-tale Research 1890. (Vi si parla 
pure del nuovo voi. del Mango: No- 
velline pop. sarde).— Notes a. Queries. 

— T{eview . — Correspondence. — Mi- 
scellanea. — Folk-Lore Bibliograplìy. 


Maryport News. 13 Die. 1891. 
Lecture of Folk-lore . 

Popular Science Monthly. Voi. 
XXXVUl n. 2. Die. 1890. W. Chur- 
chill : The Duk-duk Ceremonies. 

. Proceedings of thè Society of 
Biblical Archaeology. XIII, 1. Nóv. 
1890. P. le Page Renouf: e bLile My- 
thology. 

Febbr. 1891. F. L. Griffith: The Pro - 
verbs of Ptah-Hotrp. 

Saturday Review. London , io 
Gemi. 1891. The Science of Folk-Tales , 
recensione del libro di E. S. Hartland. 

The A ntiq.ua ry. London. Nuova 
serie, n. 14 Febbr. 1890. R. C. Hope: 
Holy Wels : their Legends a. Supersti- 
tions. Continuazione. 

The Journal of thè Royal àsia- 
tic Society of Great Britain and 
Ireland. London, v. XX, n. 2. Nov. 
1890. Mac Donald: Manners , Customs, 
Superslilions , and TjUgions of South 
^Africa n T ribes . — A. L. Lewis : On 
thè hthnographical Basis of Language t 
with Special Reference to thè Customs 
and Language of Hunxji. 

West Cumberland Times. 13 Die. 

1890. Repor t vf Lecture on Cumberland 
Folk-lore. 

Dania. Tidsskrift for Folkemai og 
Folketninder udgiv.t for Universitets- 
Jubilaeets Danske Sawfund’ af O. Je- 
spersen og Kr. Nyrop. Robenhavn 1890. 
I, 1. Kr. Nyrop: Kludetraeet . En Sam- 
menlignenie. — O. Jespersen: ‘ Danias 
Lydskrift. 

Questa Rivista delle tradizioni e dei 
dialetti danesi, diretta, specialmente per 
le prime, dall’ illustre mitologo prof. 
Nyrop, esce in Copenaghen , e costa 
3 corone annuali. 

Wisla. Warszawa (Varsavia), t. IV. 

1891. Fase. I-IV. 

Riferiamo dall’ indice dell' annata i 
titoli, tradotti in francese, degli arti- 
coli originali polacchi : Eliza Orzesz- 
kowa : Les hommes et les planles des 
bords d i Nièmen. — Br. Grabowski : 
Traditions et légendes racontèes par 


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SOMMARIO DEI GIORNALI 


*55 


■d'ancuns e’crivains poìonais, — Karo- 
lina Smolencówna : Contes et devinettes 
enfantins. — Kazimira Skrzynska : Le 
village de Krinice. — F. S. Krauss: Les 
tour se s nuptalics che\ ìes Sì ave s du 
Sud. — 2 . Gloger : Sur ìes cndes du 
Bug. — J. Kfarlowicz] : À propcs du 
<r Bo ufi au de Gry\ytta ». — A. Storon- 
zenko : Lettre au Directeur d propos 
du a Qui ». — J. S. Ztemba : Sobn'quets 
popuìaires . — R. Lubicz : La legende 
de la a viriti d' Ogjek », et le prwerbe : 
Le serrurhr est coupabìe , mais on pettd 
le forgeron. — J. Kopernicki : Les bus - 
series à ornamenti des montagnards ru- 
thlues . — F. S. Ziemba : Materiaux patir 
la Uxicographie de l’argot, tt échantillons 
de la pcésie des voLurs atix environs 
de Dabrowa Gó micia . — J. Karlowicz: 
Analyse des ebani s du peti pi e poìonais. 

— S. Adalberg : Provabes juifs. — J. 
Karlovicz : Cornemuse et violón . — T^e- 
cberches et Euquéles: Medicine populaire. 

— Notee territoire ethnographique. — 
La chattmière poìonais — Usages jtiri- 
diques. — Vécrilure figurte. — Les ap- 
pels des bétes. — Les tumuli. — Feti par 
friction. — Les ceufs prinls. — Que Ut 
le peupìe ? — Al. P. : Labourage de reati. 
— Wl. Weryho : Gìs^tyn daits ìes Contes 
popuìaires. — M. Dowojna-Sylwestro- 
wicz : Cunteau du pavsan. — R. Zawi- 
linki : Le mylhe de ‘ Fantale et de Sisvpbe 
datis ìes contes du peupìe des environs 
de M) sleni ce et de Lido. — Stefanja 
Ulanowska : Le sage eludi ani et le sei - 
gneur stupide. — Alb. P. : Quatte lè- 
gendes de la création de la terre. — 
R. T. : A propos des superslitious con - 
cernant Ics vicìlles fenunes. — Al. P. : 
Comparaisoti du conte poìonais uvee des 
récìts des Tcbéremisses et des Velia - 
ques. — Z. Wolski : Cbanl de tnen - 
diants sur la bataille de Vienne en 168 }. 
— M. Sumcow : Anciens procède* patir 
fréparer le pain . — F. S. Krauss : Re- 
tour des rnorls sur la terre . — St. Zie- 
linski : Le peupìe du villane de f Ba- 
siówka , ses cbanls , ses usages et ses 
croyances. — T. Dowgird : Les oeufs 
peinls. 

Nella parte critica sono delle re- 
censioni di recenti pubblicazioni di 
Borsari , Besso ( Roma nei proverbi e 
nei modi di dii e ) , Graf ( 1 / Diavolo), 
e di altri italiani. 


American Notes and Queries. 
New-York, V, 1 6. Curiosities of Ani- 
mai puuisbment. 

VI, 5. Siiceli it?. 

8 . Proverbiai phrases from thè duvnas 
of Ben Johnson . 

The Journal of American Folk- 
lore. Boston, voi. Ili, n. XI. Otto- 
bre-Dic. 1890. F. Walter Fewkes: A 
Contribuitoti to Passamaquoddy Folk - 
Lare. — Concerti ing Negro Sorcery in 
thè United States . — M. Ólmsted Clarke: 
Sang-Games of Negro Children in Vir- 
ginia» — G. Lyman Kittredge a S. 
Hayward: Englisb Folk-Taìes in %A- 
merica. — J. MacLean: Bìackfoot Indiati 
Legends. — Alice C. Fletcher: A Pito- 
ne tic Aìpbabet used by lìti ÌVinnebago 
Tribc of Indiani. — A. F. Chamber- 
lain : Negro Création Legetul. — W. 
Cumming Wilde : N otes on Thief 
Talk— Waste- Basket of IVords.—Folk- 
Lore Scrap-Book. — Notes and Qiuries. 
— Bibliographical Notes. Vi si parla 
con lode dei voli. VI e VII delle Cu- 
riosità popolari t autori G. Ferraro e 
G. Finamore. 

Voi. IV, n. XII. Genn. -Marzo 1891. 
Second Annua 1 Meeting of thè American 
Folk- Loie Society. — F. Boas : Disse- 
rti inai ion of Tales among thè Satives 
Nortb America . — H. Carringto.i Bolton: 
Some Hawaiian Pastimes. — Fr. Starr: 
Folk-Lore of Stane Jocls.—G. F. Kunz : 
Exbibition of Gcttis used as ^ dmulets 
etc. — J. Deans : The Daugtber of thè 
Sun. — J. Deans: A Création Mytb of 
thè Tsimsbians of Northwest Beili sì t Cc 
lumina.— E. A. P. de Guerrero : Garnes 
and Popuìar Superslitious of Nica- 
ragua , — W. M. Beauchamp: Iroquois 
Notes . — Ch. L. Edwards : Some Tales 
From Bahama Folk-Lore . — Fr. Starr: 
A Page of Child-Lore . — Alice C. Flet- 
cher : The Indiati Messiah. — G. B. 
Grinnell : Account of thè Northern Che - 
yennes concerning thè Messiah Super - 
stition. — lVaste- c fìaskel of Words. — 
Notes and Queries. — Record of Folk- 
Lore and Mvtbology. — Locai Meeting s 
and otiter Notices. — Bibliographical 
Notes. 


American Anticluarian and O- 
riental Journal. Mendon. Voi. XII, 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Ij6 

n. 6. Nov. 1890. Pballic ÌVorsbip and 
Fi re ÌVorsbip. 

XIII, 1. 1890. S. T. Rand: A Giani 
Story . — A. W. Williamson : The Da - 
botai and tbeir Traditions. 

The Canadian Indian. Owen 
Sound, voi. 1 , 11. 2. Nov. 1890. Indian 
Notes and Customs. 

N. 3. Die. Indian Folk-Lore. — 0 - 
rigin of thè Indian . 


Journal of thè Anthropological 
Society of Bombay, II, 3. G. da 
Cunha : Notes on thè Fa nani of Sou- 
thern India. — J. Jamsliedjà Modi : Su - . 


persi itions eommons to Europe and 
India. 

The Calcutta Review. n. 183, 
Gemi. 1891. J. N. M. The Pian t din , 
its Customs and Folk-Lore. 

The Indian Antiquary. Bombay, 
v. XIX, Sett. 1890. Natesa Sastri; 
Folk-Lore in South India. — G. F. 
D’ Penha : Folk-Lore in Sol set te. . 

Nov. D. H. Wadia : Pansa and Gu- 
J arate N^ubtial Songs. 

Die. J. F. Flett : A Seìection of Ka • 
nartse Palladi. — Tau Seinko : Folk- 
Lore in Burma . 

G. PitrL. 


Notizie Varie. 


Nel prossimo maggio uscirà in li- 
dine uo volume di Villotte friulane 
raccolte e pubblicate da V. Ostermann. 

— Lo stesso autore viene prepa- 
rando altro lavoro sopra le supersti- 
zioni friulane nei secoli scorsi e spe- 
cialmente durante il medio evo e il 
periodo della Inquisizione. Egli ha 
trovato documenti importanti intorno 
a processi per stregoneria , massime 
nella Biblioteca arcivescovile di quella 
città. 

— I fogli 3-6 del Questionnaire de 
Folklore della Società del Folklore val- 
lonico di Liegi vanno dal n. 617 al 
1387: credenze diverse sul corpo u- 
mano ; usi e costumi, fiabe e favole; 
astronomia e meteorologia popolare, 
canzoni; stregheria, magia, divinazione; 
giuochi , formole e passatempi dei 
fanciulli. 

— \}v\ Autobìbliog rapine sig. Paul 
Sébillot è stata pubblicata non è guari 
a Parigi presso la Librairie de l’Art 
indépendant. V’ è un catalogo ragio- 
nato degli scritti e delle opere folk- 
loriche di lui, diviso: I, in Fiabe e leg- 
gende; II, Canzoni; III, Proverbi, for- 
mulette, indovinelli ; IV , Eroi popo- 


lari; V, Questione e Bibliografia; VI, 
Mitologia e Folklore; VII, Origini; 
Vili, Iconografia; IX, Tradizioni e su- 
perstizioni ; X, Il mare; XI, Parigi; 
XII. Folk-lore militare; XIII, Costumi; 
XIV,Gli scrittori francesi e le tradizioni. 

La lista è minuta e crediamo anche 
esattissima. 

— Il sig. Paul Sébillot ha iniziato 
una serie di ricerche sui ponti, le mine, 
i minatori, le strade, le ferrovie, i ca- 
nali, i fari ecc., ed a tafuopo ha messo 
fuori un <r Questionnaire », che pubbli- 
cheremo al prossimo fase., e che fin da 
ora raccomandiamo ai nostri lettori 
per le rispo ste che essi avessero modo 
di inviarci. 

• — La seconda adunanza generale 
della Società americana del Folk-Lore 
fu tenuta in New-York nei giorni 28 
e 29 Novembre 1890. 

— 11 7 Febbr. 1891 cessava di vi- 
vere nel Castel del Mas in Catalogna 
il valente folklorista e nostro colla- 
boratore D. Pau Bertran y Brós. Di 
lui abbiamo un bel volume di Cansons 
et follias populars (Barcelona 1885) 
e varie pubblicazioncelle congeneri. 


I Direttori : 

Giuseppe Pitrè. 

Salvatore Salomone-Mari no. 


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PROVERBI BOLOGNESI. 


Agricoltura, economìa rurale 

A Summaer in ti mad 9 n, 

As fa di gran panton. 

A zappaer la vègna d’Agàst, 

As rimpess la cantenna d’ màst. 

Al dé d’ San Bendatt (21 Mar^p), 

As cgnos al vaird dal sacc. 

Al dé d’ San Simàn (28 Ottobre), 

Caeva i bu d’ in-t* al tiinàn, 

E mett la vanga in-t’ al bastàn. 

Chi amàca 
Insàca. 

Chi dorum d’Agàst, 

Dorum a so càst. 

Chi ha al càr e i bu 
Fa praest i fàt su. 

Chi n’a i bu su, an pó araer in lonedé 

4 Cfr. Archivio, I, 116. 

Archivio per le tradizioni popolari — VoJ. X. 



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ij8 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Madrigale del otidi . 

Quel Villan ch’en n* ha i bu su 
En po arar in Lunedi 
E puvrett bso, eh' al s’adatta 
Tra la stmana a un d’ qui alter dò. 

Dal mi là (ala mò patta; 

L’ è intravgnu l' istess a mò, 

Chè d’ mi farina en prend far gnucch. 

Se dal Bregnell a i ho vlù far 
A i ho tolt imprest i zucch 
Per n’ cm far dal tutt smattar. 

Scusam donca vù, eh’ lizzi 
Pardunam e cumpatij; 

Ch’ s da una banda a ssi seccà, 

Arò gust da quii’ alter là. 

Chi pianta la paelma, an vad al frùt. 

Perchè si crede che la palma fruttifichi dopo cent’anni. 

Chi voi dal màst, 

Zàpa d'Agàst. 

Chi voi faer dal pan, 

Meda balzan - e 

Chi voi faer dia farenna, 

Mèda quand al s’aranzenna. 

Chi samna pr’ al sott. 

Al coj tott. 

D’ furmaint marzulen, 

Sàc an ven pen (Baricellà). 

Fàm póvra, eh’ at farò recc. 

Dice la vigna. 

L* àqua n* ha os. 

Cosi il colono negligente che vuol risparmiare la fatica di esca vare i fossi, 
le scolini etc. 

L* è inotil stufilaer quand i bù n* han said. 

Adoperato figuratamente. Dall’antichissimo uso, esistente fra i coloni, di fi- 


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PROVERBI BOLOGNESI 


*59 


schiare per allettare i cavalli ed i buoi al bere, già consigliato da Columella 
ai Romani: Cibum cum absumpurit ( boves ) ad aquam duci oportet , sibiloqui 
allectari quo ìibetitius bibant i . 

L J è mej un baecafìg eh’ una curnàcia. 

Alludendo alla compra delle bestie magre. 

L ? oc' dal padràn ingrasa al cavai. 

La bona groppia fa la bona bistia. 

Loda al mànt e tent al pian. 

Pan, furmài e ven, 

Magnaer da cuntaden. 

Qual eh’ è in t’ i camp 
L* è di Dio e di Sant. 

Quali eh’ è peae, an nàs piò. 

Par V àn nov 

Totti al galenn fan Y ov. 

Par San Maerc (2/ Apr.) 

O pàus, o naed (il baco) 

Santa Cràus (j Maggio). 

Furmaint spigàus. 

Par Sant Urban (25 Maggio) 

Al furmaint- è gran. 

San Barnaba (11 Giugno) 

La spiga perd al pa - 1 
San Barnaba 
La faelz al prà. 

(Con pron. rustica). 

San Dunen (9 Ott.) 

Maez sminten. 

San Locca (18 Ott.) 

Chi n* ha sumnae, splocca. 

Riferibile all’usanza inveterata fra noi di mangiare le succiole ( baltis ) per 
S. Lucca. 


1 De re rustica, 2, 3. 


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l6o ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

San Simàn (2# Ott .) 

O l’oca o al capàn. 

Par San Marten (/i Nov.) 

Al màst è ven. 

Sàulc storta sac drett. 

Quando nell’ arare il solco viene storto, per raddrizzarlo il bifolco deve 
fare maggior sforzo; onde il ferro si pianta più profondamente nel terreno, e 
quello viene così meglio lavorato. 

Taera naigra ban pan maina. 

Vanga quant t’ pù 
E sammna cun i bu. 

A. Ungarelli. 



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COME SI GIUOCA COI BAMBINI 

A NASO. 


uando i bambini hanno raggiunto l’età di diciotto o 
venti mesi , in cui cominciano a balbettare qualche 
parola e cominciano a sentire il divertimento, le no- 
stre buone mamme e, in generale, tutti i parenti affezionati si 
studiano di farli ridere spesso e di tenerli allegri , perchè riten- 
gono — e forse non a torto — che, col ridere e coir allegria, i 
bambini sviluppino più. presto e crescano più vigorosi e più buoni. 

A tal uopo hanno una quantità di giuochi, che a differenza 
di tanti altri , i quali vanno modificandosi di giorno in giorno, 
si mantengono sempre gli stessi , e si tramanderanno ai posteri 
tali e quali li abbiamo ricevuti da gli avi nostri. 

Un tal D. Giuseppe Vitale, che mori pochi giorni or sono 
nella invidiabile età di cento anni e tre mesi, ed ebbe la fortuna 
di conservare sino agli ultimi momenti la lucidezza delle facoltà 
intellettuali, mi assicurava, sulla sua parola d’onore, che suo nonno 
giuocava con lui e co* suoi fratelli coi medesimi giuochi, onde 
egli faceva divertire i suoi pronipoti. L’assicurazione di quel buon 
vecchio mi ha confortato a raccogliere qualcuno di quei gioche- 
*Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 21 




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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


162 

relli, e P ho fatto colla speranza di far cosa grata agli studiosi 
delle nostre tradizioni. 

Comincerò dal Mani-manu^i. 

Si pone il bambino a sedere sulle ginocchia, quindi si pren- 
dono le sue braccia e gli si fanno battere le manine palma con- 
tro palma, dicendo questi versi: * 

Mani, manuzzi. 

Pani e fi cu zzi. 

Veni lu tata 
Porta la mmumma 
'Nta la cannata 
E (. . . . ft ) si ’mbriaca. 

Nel pronunziare P ultimo verso, le manine si fanno battere più 
forte, e il bambino, che aspetta quel momento, ride che fa pia- 
cere a vederlo. 

Un altro di questi giuochi si chiama Mani-moria e si fa a 
questo modo: 

Si prende il braccio del bambino, coll’ aiuto di lui si don- 
dola in maniera che la mano sembri paralizzata , e si ripetono 
questi versi : 

Mani morta, mani morta, 

’U Signuri ti cunforta, 

Cu’ lu pani e cu’ lu vinu. 

Viva viva San Martinu! 

A1P ultimo verso il braccio del bambino si fa dondolare piu le- 
stamente, ed egli non fa che ridere. 

Questo giuoco riesce ancora più divertito, quando si fa coi 
versi che seguono : 

Mani morta, mani morta. 

Veni ’u tata portala ricotta 
’A mittemu ’nta ’a cannizza, 

Vadi ’a jatta e si ’ngaddizza. 

Cliissi, ellissi, ellissi.... 

Nel far chissi , chissi si titilla il bambino , il quale perciò ride 
convulsamente. 

1 Si ripete il nome del bambino. 


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COME SI GIUOCA COI BAMBINI A NASO 1 63 

Un altro giuoco che diverte moltissimo i bambini è questo : 

Si mette il bambino aH’impiedi sulle ginocchia, e poi, faccia 
a faccia, gli si rivolgono le seguenti domande: 

— Jistì a mari ? 

— Si. 

— Nni pigghiasti pisci-cani ? 

— Si. 

— Ti scantasti ? 

- No. 

— Ti fazzu scantari io; 

e subito gli si getta un soffio sul viso. Il bambino, a quel soffio, 
si riscuote e fa un movimento di sorpresa , come se gli venisse 
meno la respirazione; ma poi ride sgangheratamente a non fi- 
nirla più. 

Ancora qualche altro. 

Si pone il bambino come nel giuoco precedente, ma in ma- 
niera che le punte de’ due nasi si tocchino. Quindi si muove la 
testa a destra e a sinistra, dicendo : 

Nasca pa tasca, 

Parenti di musca, 

Veni la musca, 

Ti caca la nasca. 

Oppure : 

Nascaredda di tabutu 
Quantu pani t’ ha* manciatu, 

E to’ mamma non V havi saputu, 

Nascaredda di tabutu. 

Più divertente di tutti poi è quest’ altro , che si fa cosi. 
Mentre il bambino sta coricato sulle ginocchia o sul letto, gli si 
infila la mano sotto la vesticina e, co’ polpastrelli delle dita, si 
fa camminare leggermente sulle gambucce ignude, dicendo : pe - 
curuy aranciu, pecuni, aranciu. Quando poi si arriva al petto, si 
fa un po’ di titillamento, si dice: ti manciù , ti manciù , e il bam- 
bino sciala e si diverte. 

Vi sono dei giuochi che consistono nel dare ai diti della 
mano un nome diverso di quello che hanncn 


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I$4 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

i°. Si prende fra il pollice e 1’ indice il dito mignolo del 
bambino e si dice: ldileddu — si passa all’anulare : duri d' attediti 

— al medio : longu viddanu — all’ indice : addicca murtaru — al 
pollice: scaccia palici ó fucularu. 

2°. Nello stesso modo, si fanno passare ad uno ad uno, fra 
il pollice e l’ indice, i cinque diti del bambino. Al pollice si ri- 
pete: Chistu dici voli pani. — All’indice : Chistu dici non ci ttn 9 è. 

— Al medio: Chistu dici vattinni a rubati. — All’anulare: Chistu 
dici non sacciu la ve (via). — Al mignolo : Chistu dici cantina cu ’ 
me, camina cu' me; — e si stringe e si agita fortemente. 

3°. Si piglia la mano del bambino, si mette colla palma in 
su e vi si fa girare sopra l’indice, ripetendo : 

Cca sutta ci su* li funtaneddi 
Veninu a biviri i palummeddi. 

Quindi si afferra il pollice del bambino e si dice: Chistu pigghia 

— l’ indice : Chistu spinna — il medio : Chistu coci — 1’ anulare : 
Chistu mancia — il mignolo: Chistu quannu veni 'u papà ci *u dicu 
e si stringe e si agita, come sopra. 

Oltre di questi giuochi, le nostre mamme, per dare spasso 
ai loro figliuoli, si servono di certi raccontini ad hoc, che sono 
la vera consolazione dei bambini. Specialmente quelli dai tre ai 
quattro anni non fanno altro che pregare la mamma perchè rac- 
conti, e quando essa può farlo, stanno li a sentirla con tanto di 
orecchi , che paiono delle statuette. Ma non sempre le mamme 
hanno tempo da perdere , e allora se ne escono , come si dice, 
pel rotto della cuffia, con dei racconti piccoli piccoli, che paiono 
fatti apposta per ingannare i bambini. 

Ne riporterò un paio dell’una e un paio dell’altra specie. 

i. *U tammurinaru. 

*Na vota c’era un tammurinaru, chi si chiamava mastru Juseppi , e ijeva 
a un paisi luntanu pi fari ’na festa. Passò ’ntra un voscu ; ’u vistiru i lupa e 
si ’u vulevanu manciari. Lu poviru mastru Juseppi si nni acchianò supra un 
pedi d’ arburu. I lupa si misiru a sca vari , e scava scava , stavanu scippannu 
l’arburu cu tutti ’i radichi. Mastru Juseppi, tuttu scantatu, si jttò supra ’a cima 


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COME SI GIUCCA COI BAMBINI A NASO 


165 

di V autru arburu , e mentri faceva stu passaggiu , ’u tammuru ’ntruzzò cu* 
*na rama e fici: ’Mpra. I lupa, a corpu, lassaru di scavari e spinceru ’a testa. 
Allura mastru Juseppi capiu chi i lupa si scantavanu, scinniu di l’arburu e si 
misi a sunari : ’Mprampiti, ’mprampiti, ’mprampiti, ’mpra ! 

L'imitazione del suono del tamburo si accompagna alle bat- 
tute delle mani sulle natiche del bambino. 

2. *U cuntu di *u vecchiareddu. 

’Na vota c’ era un vecchiareddu chi scupava a chiesioledda. Truvò un 
granimi : ’u pigghiò, e si misi a diri : Chi nni fazzu cu’ stu ’ranu ? — Si ac- 
catto mennuli fazzu scorci, si accattu pani fazzu muddichi, si accatto càlia mi 
nni cadi un coccittu. ’Ntra stu mentri, Nnau, nnau , nnau : passò *a pecuredda. 
’U vecchiareddu si accattò un granu ’i latti e cci munuzzò dda intra un beddu 
pezzu di pani. Quannu si ’u stava manciannu, nniu, nniu, nttiu , sunò ’a missa. 
’U vecchiareddu pigghiò ’a scutedda, ’a misi nto ’u furnu, ci situò a cchiappa 
davanti , ma si scurdò di stuppari ’u purtusu , e si nni iju ’a missa. Quannu 
turnò visti un surici chi si addiccava ’a scutedda. Ci lassò curriri ’a burritta 
e ’u ’ccappò pi ’a cuda. Tira di ca e tira di dda , ’a cuda ci arristò ’ntra i 
mani d’ ’u vecchiareddu. 

’U surici ci dissi : Vecchiu, dammi a cuda. 

• — E tu, surici, dammi ’u latti. 

— E ’u latti unni ’u pigghiu ? 

— Unni ’a pecuredda. 

’U surici iju unni ’a pecuredda : Pecuredda, dammi ’u latti , ’u latti ci ’u 
porto ó vecchiu, ’u vecchiu mi duna ’a cuda, m’ ’a ’mpiccicu ò culu chi l’haju 
a nudu. 

— E tu, surici, dammi 1’ erba. 

— E l’erba unni ’a pigghiu? 

— O munti. 

’U surici iju ó munti : Munti, dammi 1’ erba , 1’ erba ci ’a portu a pecu- 
redda, ’a pecuredda mi duna ’u latti, ’u latti ci ’u portu ó vecchiu, ’u vecchiu 
mi duna ’a cuda, m’ ’a ’mpiccicu ò culu chi 1' aju a nuda. 

— E tu, surici, dammi l’acqua. 

— E 1’ acqua unni ’a pigghiu ? 

— ’A fumana. 

’U surici iju à fumana: Fumana dammi l’acqua, l’acqua ci ’a portu ò 
munti, ’u munti mi duna l’erba, l’erba ci ’a portu à pecuredda, ’a pecuredda 
mi duna ’u latti, ’u latti ci ’u portu ò vecchiu, ’u vecchiu mi duna ’a cuda, 
m’ ’a ’mpiccicu ò culu chi V haju à nuda, 

— E tu, surici, porta ’a quartara. 


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l66 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

y 

— E ’a quartara unni 'a pigghiu? 

— Unni ’u stazzunaru. 

’U surici iju unni ’u stazzunaru : Stazzunaru, dammi ’a quartara, ’a quar- 
tara ci ’a portu à funtana, ’a funtana mi duna 1* acqua, l’ acqua ci ’a portu ó 
munti, ’u munti mi duna l’erba, l’erba ci ’a portu à pecuredda, ’a pecuredda 
mi duna ’u latti , ’u latti ci ’u portu ó vecchiu , ’u vccchiu mi duna ’a cuda, 
m’ ’a ’mpiccicu ó culu chi I’ haju a nuda. 

— E tu, surici, dammi ’a crita, 

— E ’a crita unni ’a pigghiu ? 

— A Sagnàpicu L 

’U surici iju a Sagnàpicu e si masi a scavari ; ma quann’ era ’nt’ ò 
meggiu ci cadiu ’a timpa ’ncoddu e ’u poviru surfci muriu cu’ ’u culu à nuda. 

1. ’Na vota c era c’ era 
Sutta un pedi di fichera... 

’A fichera cadiu 

C* era c’ era muriu. 

2 . ’Na vota c’ era un mau 
Fici tuppiti e cadiu, 

Cadiu e si struppiau, 

Tuttu lu culu si punciu. 

E qui faccio punto, non senza avvertire che tanto questi rac- 
contini infantili quanto i giuochi sopradescritti sono varianti di altri 
pubblicati da G. Pitrè nei suoi Giuochi fanciulleschi (Palermo, 1883) 
e nel voi. Ili delle sue Fiabe, Novella e Racconti pop. siciliani (Pa- 
lermo, 1875). 

G. Crimi Lo Giudice. 

1 È una collina dove ci sono cave di bellissima creta. 



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TRE LEGGENDE CALABRESI. 


I. — Fratta. 


ratIa fu un uomo , che per i suoi modi bizzarri si 
rese assai popolare. Si coma, che, morto in un giorno 
di carnevale il re, la corte emanò un editto, con cui 
proibiva, sotto pena di morte, la maschera per quelFanno. 

Mentre in tutto il regno si osservava scrupolosamente il 
lutto , in omaggio al defunto re , il nostro Fratìa ne pensò una 
delle sue. Vestitosi da mascherato, si fece vedere, mezzo la per- 
sona, da una finestra a tetto a una folla di gente, che traeva da 
ogni parte a vederlo. Ognuno non poteva a meno di prendere 
un tal fatto come un segno di vera insolenza , di trasgressione 
alla legge, come un attentato di lesa maestà; onde tutti si affan- 
navano a gridare a quel pazzo di volere smettere e di entrarsene, 
rimostrandogli il certo pericolo, in cui incorrerebbe. Tutte baje ! 
Fratta, come sicuro di sè, facetamente rispondeva a quegl'impor- 
tuni : — « leu no nsu nè intra e nnè fora. » Ne restò il modo 
proverbiale : — « No n’ essari nè intra e nnè fora comu Fratta » 
per indicare un affare ancora sospeso = « Tenere appiccato un 
filo. » 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


II. — Marcu. 

Fra i molti discepoli di Cristo la tradizione popolare ricorda 
anco un altro Marco, uomo della stessa indole di Giuda. Costui 
un giorno, non si sa il perchè, diede uno schiaffo al Nazzareno, 
che lo condannò a girare di e notte in una camera sotterra. 
Pentitosene poi, domandò perdono; ma gli fu risposto:— « Quandu 
Pasca veni di maju ! » 

Tutt’altro intese il misero Marco, che seguita ancora a gi- 
rare, forte battendo colla mano le pareti, e gridando : — « Quandu 
Pasca veni di maju ! Quandu Pasca veni di maju !....» 

III. — S. Stefanu. 

Venuto alla luce il bambinello Gesù in una grotta poco 
lungi da Betlemme, una stella di meraviglioso splendore ne diede 
T annunzio alle genti di buona volontà. Grande fu la gioja , e 
ognuno traeva da ogni parte a vederlo , portando a gara ricchi 
doni. 

Vi era, una giovinetta di animo buono e semplice, la quale, 
al veder muovere tanta gente, si fece sulla soglia della porta, c 
ne domandò ai vicini. Le risposero , esser nato il Messia , e la 
invitarono ad andare seco loro. Non avendo la poverina che re- 
cargli in dono, le fu suggerito di fare come un bambola di cenci, 
chè pure sarebbe gradita. 

Come giungevano alla grotta, lutti si prostravano riverenti 
a terra, per adorare il bambinello, presentandolo chi di una cosa, 
chi di un’altra. Fra tanta folla la Madonna si avvide di una gio- 
vinetta , che tutta peritosa se ne stava da un lato, tenendo un 
involto sotto il grembiale. Sorrise, e, accostatasi a lei, battè dol - 
cernente colla mano su quell’involto, dicendo : — « Stefanu Ste- 
fanati, nescisti ’nu jornu dopu natali.» All’istante si udirono dei 
vagiti, e quell* involto di cenci diventò un caro bambino, a cui 
rimase il nome, statogli dato dalla Madonna. 

( Raccolte in SConteleone). 

Luigi De Pasquale. 


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CONTES DE MARINS 

RECUEILLIS EN HAUTE-BRETAGNE l . 


XIII.— Le Prince Marin. 


l était une fois un roi qui avait dcux fils. L’aìné servait 
dans l’armée, mais le plus jeune ne bougeait pas du 
palais. Un jour son pére lui dit: 

— Mon fils , voilà ton frère qui commande mon armée et 
qui est devcnu un habile guerrier; il vient eticore de remporter 
une victoire. Ne veux-tu pas faire comme lui, et devenir, toi 
aussi, un habile général ? 

— Un général ! non pas, répondit le jeune prince , mais un 
amirai , si vous voulez ; car c 1 est dans la marine que je désire 
servir. 

— Puisque tu veux étre marin, je t’enverrai à Fècole de ma- 
rine, et quand tu seras bien au courant , tu t’ embarqueras sur 
mon plus beau vaisseau de guerre. 

— Mon pére, répondit le prince, vous savez que ceux qui 
sont formés dans les écoles ne deviennent jamais aussi bons marins 

1 Suite et fin. Voyez p. 103. 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 22 





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170 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

que ceux qui ont appris leur mctier à bord des vaisseaux; je vou- 
drais m’embarquer de suite, et non aller à Fècole. 

— C’est bien, dit le roi, demain je te conduirai à bord du 
Navarin . 

Le lendemain, le jeune prince, vètu de beaux habits de satin 
fut conduit à bord du vaisseau qui partait pour l’Inde. Il fit si 
bien attention à la manoeuvre qu’au bout de sept ans, après avoir 
passé par tous les grades, il fut promu capitarne de frégate. 

Quand il s’ en revint, son pére fut si content de le revoir 
et de le revoir capitarne, qu’ il lui acheta de belles montres et 
de belles chaines d'or. Le prince servit encore sept ans sur un 
grand vaisseau , et , quand il revint au chàteau de son pére , il 
était amirai, et il avàit déjà gagné six batailles. Son pére était 
déjà vieux, et il lui dit en Fembrassant : 

— Mon fils, tu es courageux et habile, et si tu continues, 
tu me feras de rhonneur. 

— Mon pére, répondit le prince, j’ai envie d’entreprendre un 
grand voyage autour du monde. Je désire que vous me fassiez 
construire un beau vaisseau par vos plus habiles constructeurs; 
quand il sera fini, je partirai. 

Le vieux roi donna carte bianche à son fils, qui fit publier 
dans tous les ports de France un avis engageant tous les con- 
structeurs à se rendre à Brest afin< de construire un vaisseau pour 
le jeune fils du roi. Il en vint de tous cótés qui proposèrent leurs 
plans : le prince choisit celui qui lui semblait le meilleur , et le 
navire fut mis en construction. Lorsqu’ il fut achevé, on mit à 
bord trois rangées de canon, le prince choisit trois cents mate- 
lots, les meiileurs qu" il put trouver , et ils quittèrent le port de 
Brest. 

Ils allèrent bien loin, bien loin, sans trouver ni terre ni na- 
vire, et les matelots commengaient à s’ennuyer, bien qu’ ils eussent 
à manger et à boire tout leur content. 

Un jour enfin rhomme de vigie cria : Terre! et Famiral donna 
Fordre d’en approcher; ils virent un port et Famiral fit hisser à 
la téte du màt le pavillon pour appeler le pilote; aussitót onj/it 


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CONTES DE MÀRINS 


171 

un petit canot le long du grand vaisseau, et un homme noir qui 
était à bord monta sur le pont. Il était si vilain, si vilain , que 
les matelots et mème le prince en avaient peur. Mais ils se rassu- 
rèrent en Tentendant parler. 

— N’ayez aucune crainte, leur dit-il, je ne vous ferai pas de 
mal, et je conduirai votre navire en sureté dans le port. 

Quand ils furent au mouillage, ils armèrent les canots et 
débarquerent à terre. Ils ne virent qu’un beau chàteau et au pied 
une petite cabane; mais rien ne manquait dans File; on y voyait 
du pain, de la viande, toutes sortes de fruits, de l’or et de l’argent. 

— Ah ! pilote, dit le prince, nous voici bien tombés ; mais 
étes-vous seul sur cette ile ? 

— Oui, amirai, et je demeure dans cette petite cabane. 

— Et ce beau chàteau, est-ce qu’ il ny* a personne dedans ? 

— Si, prince, il y a une demoiselle qui ne sort jamais. 

— Je voudrais bien la voir, dit le prince. 

Le vieux loup de mer — c’était ainsi que les matelots ap- 
pelaient le pilote, ouvrit la porte du chàteau. Dès que Famiral y 
fut entré il vit venir une belle princesse qui lui plut tellement , 
qu’il commenda aussitót à lui faire la cour, et il voulait l’emmener 
avec lui. 

— Je veux bien, répondit le vieux pilote, mais à une con- 
dition, c'est que j’aurai le commandement sur vo us, et qu’une fois 
en France, jc vous emporterai. 

— Non, je ne veu pas vous appartenir, à présent plus tard je 
ne dis pas. 

— Soit, dit le vieux pilote, dans cent ans d’ici je vous em- 
porterai. 

Le lendemain, les matelots chargèrent le navire d’or, et la 
princesse monta ì bord, ainsi que le vieux noir qui prit la barre, 
et voilà le vaisseau parti vent arrière. Au bout de quinze jours 
ils eurent du mauvais temps, et 1* homme de barre aper^ut un 
grand vaisseau qui venait sur eux. C’était un forban qui voulait les 
piller. Les Francis se disposaient à faire feu dessus , quand le 
vieux loup de mer lan^a à 1’ eau une petite boite ; dès qu’ elle 


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y fut tombée, elle se transforma en un petit navire bien armé qui 
se dirigea à toute vitesse vers le forban, mais le petit navire s’en- 
fon^a dans la mer, puis il reparut et de pcrits hommes noirs s’é- 
lancèrent à l’abordage du vaisseau forban; ils écorchèrent les ma- 
telots, coulèrent le navire, puis revinrent auprès du vaisseau fran- 
cate. Le petit navire redevint une boite que le vieux loup de mer 
remit dans sa poche. 

La navigation continua avec vent arrière et mer belle, et le 
navire entra dans le port de Paris. Il salua la ville de vingt-et un 
coups de canon, et le mème salut fut rendu par les batterics de 
terre. Le prince débarqua et arriva au palais , où il demanda à 
voir son pére; le vieux roi était mort, son frère avait été tué trois 
mois auparavant dans une bataille , et le tróne était occupé par 
un nouveau prince. 

L’ amirai demanda au vieux loup de mer de lui aider à le 
chasser. Tous deux arrivèrent au cabinet du nouveau roi, et lui 
expliquèrent comment l’amiral étant Théritier légitime, c’ était à 
lui que devait revouir la couronne. Le roi, au lieu de se rendre 
à ces raisons , appela ses troupes. Quand les soldats voulurent 
entrer dans le palais, le vieux pilote frappa du pied sur le pavé; 
et les soldats eurent tellement peur qu'ils jetèrent leurs armes et 
s’enfuirent à toutes jambes. Le vieux pilote monta à la chambre 
du roi, et lui ordonna de passer la porte et de ne jamais revenir. 
Le roi ent tellement peur qu'il en mourut. 

Alors l’amiral passa roi et se maria avec la princesse qu’il 
avait délivrée. Il appela auprès de lui ses matelots et en fit de 
puissants seigneurs. 

Pour lui, bien qu’il fùt roi, il était bien triste en pensant 
qu’il était pour le diable. Il alla trouver P archevèque de Paris, 
qui vint au palais pour voir le vieux loup de mer. A sa place, 
il vit un gros chat noir qui alla se cacher sons le lit. L* arche- 
vèque fit fermer toutes les portes, puis il passa une étole au cou 
du chat. Celui-ci se mit à jeter des cris, comme si on Pécorchait 
vif, et tous ceux qui étaient là eurent grand’ peur. L’archevèque 
lui dit: 


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CONTES DE MAR1NS 


173 


— Je veux bien te làcher, mais il faut que tu signes de ton 
sang un billet par lequel tu t’engages a renoncer a l'àme du roi. 

— Non, non, jamais, s’écria le vieux diable, jamais je ne signerai. 

L’archevéque se mit à lui jeter de l’eau bènite dans les yeux, 
et le for$a à signer. Le vieux diable s'en alla en jetant des cris 
à faire frémir les murailles. 

Le prince débarrassé du diable, récompensa l'archevéque, puis 
il vécut heureux avec la princesse, et, s’il n’est par mort, il vit 
encore. 

Conté en 1883 par Francois Marquer, de Saint Cast, mousse, àgé de 16 ans. 

XIV. — Le Marin Georges, le Diable, et les Lutins. 

Il y avait une fois des gens riches qui n’avaient qu’un enfant. 
Ils le mirent au collège, et quand il eut dix-huit ans, ils lui dirent 
de choisir Tétat qu'il voudfait. 

Georges réfléchit un moment, et dit : 

— Puisque vous me donnez à choisir, je prends i’état de marin. 

— Si tu veux étre marin , lui dit son pére, embarque toi 
pendant quelque temps, et, à ton retour, si le métier te plait je 
te ferai recevoir capitaine. 

Georges se mit en route: il marcha pendant trois jours, sans 
rencontrer personne : le troisième jour il croisa un monsieur, 
auquel il souhaita le bonjour. 

— Bonjour, mon enfant, répondit le monsieur; d’où viens-tu ? 

— Mes parents m'avaient dit de choisir un état; j’ai pris celili 
de marin, et je cherche à m’embarquer; mais je mai pas trouvé 
de capitaine. 

— C’est que tu ifas pas bien cherché ! Veux-tu t’embarquer 
avec moi ? 

Georges se mit à regarder le monsieur, et il vit qu’il avait 
des pieds de chevai. Il lui dit pourtant : 

— Vous ètes capitaine, bien vrai ! 

— Oui, mon gar^on, capitaine au long-cours, et, cornine j’ai 
besoin d’un novice si tu veux venir avec moi, je te donnerai cin- 
quant francs par mois. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Georges suivit le monsieur, et trois jours après, ils étaient 
tous les deux seuls à bord d’un navire. 

— Capitarne, demanda Georges, où sont les matelots? 

— Ne t’en inquiète pas, c’est assez de nous deux. 

Le lendemain ils partirent; ils avaient bon vent, et le navire 
qui était neuf, marchait vite. Tout à coup il s'éleva une grande 
tempète, et le vaisseau qui avait trop de toile était violemment 
secoué. L’eau passait par dessus la lissc, il y en avait sur le pont 
à hauteur de bottes et le vent soufflait de plus en plus fort. 

— Comment allons-nous faire à nous deux par carguer les 
voiles ? demanda Georges. 

— Ne crains rien, répondit le diable, et il s’écria: « Halez 
bas le clin-foc et serrez les perroquets ! » 

Aussitót plus de cent petits hommes tout noirs s’attirèrent 
de dessous le pont , et en moins d* une minute le clin foc était 
amené et les perroquets serrés. 

Georges n’était pas trop rassuré; il dit au diable: 

— Capitaine, je suis malade, et si voudrais bien relàcher dans 
un port pour me faire soigner à Thopital. 

— C'est bien; dans deux jours tu seras dans un hopital, où 
Ton te soignera bien. 

Deux jours après, le navire entra dans un port, où il y avait 
une belle ile sur laquelle était bàtie une grande ville. Au com- 
mandement du capitaine, les petits hommes noirs vinrent mouiller 
Lancre, serrer les voiles et mettre tout en ordre, puis ils dispa- 
rurent cornine l’éclair. Alors, on vit arriver le long du bord une 
petite embarcation; elle était montée par trois hommes qui étaient 
bien vilains, si vilains, que rien qu’ à les voir ils faisaient peur. 
Ils avaient des ribères (fucus) sur le dos, et ils paraissaient àgés 
de plus de mille ans. 

Le capitaine et Georges montèrent dans la barque et en 
moins de deux minutes ils abordèrent à File dont tous les habi- 
tants étaient sujets du diable. Il y avait dans la ville de l’or et 
de T argent à volonté : tous les habitants , hommes et femmes, 
ressemblaient cornine deux gouttes d’ eau aux trois marins qui 


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CORTES DE MARINS 


*75 


étaient venus prendre à bord Georges et le capitaine. Dès que 
celui-ci eut mis pied à terre, il devint vieux tout d’un coup, si 
bien que sans la forme de ses pieds, Georges ne l’aurait pas reconnu. 

— Où sommes-nous? demanda-t-il. 

— Dans ma ville natale : elle m’appartient; il y a deux mille 
ans que j’en suis parti, et j’ai encore à y rester deux mille ans, 
puisque tu m’as dit qu’il fallait y relàcher. 

— Deux mille ans! s’écria Georges; et moi! 

— Tu resteras avec moi, et nous serons heureux ici tous Ics 
deux. 

— Oui, mais j'aimerais mieux ètre dans un port fran$ais qu’ici. 

— Je veux bien t’y mener, répondit le diable, mais à la con- 
dition que tu me donnes ton àme et qu’elle m’appartienne après 
ta mort. 

— Marché fait, répondit Georges; menez-moi à Sa int-Malo, 
où je suis né! 

— Tout de suite, mais auparavant il faut signer. 

' — Non, non, quand je serai rendu; je ne signe rien à l'avance. 

Au bout de trois jours, ils arrivèrent sur la rade de Saint- 
Malo, et le capitaine voulut faire signer Georges. 

— Pas encore, répondit-il, quand je serai débarqué. 

Georges alla voir ses parents, et leur apporta beaucoup d’or 
et d’argent qu’ il avait pris dans Pile, puis il alla voir l’evèque de 
Saint-Malo, auquel il raconta tout. Le soir l’evèque vint à bord 
avec toutes ses étoles et beaucoup d’eau bénite, mais ils eurent 
beau chercher, ils ne virent personne. L’evèque prit son goupillon 
et se mit à asperger d’eau bénite; mais dès qu’elle eut touché le 
bateau, il disparut , et ils tombèrent à la porte de 1’ Enfer. Elle 
s’ouvrit aussitót et le portier cria : 

— Qui est là ? 

— C’est moi, répondit le diable, et j’apporte un marin et un 
evéque. 

— Comme ils vont bien rótir, répliqua Chabert, jette-les dans 
le milieu du four. 

L’évéque auquel il restait encore de l’eau bénite en prit un 


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I76 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

peu et en jeta dans les yeux du portier qui ferma la porte en 
poussant des cris épouvantables, puis il lui dit: 

— Va t’en toi et ton marin, vieux maudit; jamais tu ne ren- 
treras ici. 

L’evèque se tourna vers le diable, et lui dit: 

— Si tu ne nous rapportes pas à Saint-Malo, je vais te faire 
souffrir; et il lui jeta de Peau bénite aux yeux. 

— Jamais! s’écria le Diable. 

— - C'est bien, répondit Pévèque, au premier lassé. Il lui passa 
d’une main une étole au cou, tandisque de P autre, il P arrosait 
d’eau bénite: le diable jetait des cris à faire frémir un tas de ro- 
chers, et il finit par dire à Pevèque: 

— Cesse de me tourmenter, je vais te ramener. 

Et aussitót tous les trois se trouvèrent à la porte de Pévèché. 

Le pére de Georges fut bien content de le revoir , car il 
Pavait cru perdu. Il Penvoya à Pécole, et peu après, il le fit re- 
cevoir capitaine. Quand il fut re$u , son pére lui dit d’ aller au 
Hàvre trouver son parrain qui était armateur et se nommait aussi 
Monsieur Georges. Son parrain lui donna un navire à commander, 
et il partit pour Londres. 

Mais le navire n’avait pas été bèni, et le diable, qui voulait 
se venger, alla les attendre à Londres. Quand ils y furent arrivés, 
il alla se cacher à bord. Quand le navire quitta le port de Londres, 
voili le vent debout qui se met à souffler , pas moyen de faire 
route, et pour comble de malheur, le navire disparut sous les flots, 
et jamais on n’en a entendu parler. 

Conté en 1881, par Isidore Poulain. 

PETITES LÉGENDES. 

XV. — Le Bar et le Maquereau. 

Un jour un Bar et un Maquereau voyageaient de compagnie. 
Ils rencontrèrent d’autres maquereaux avec lesquels ils s’allièrent, 
et ils firent route tous ensemble. 


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CONTES DE MARlNS 


177 

Ils arrivèrent à un endroit où était mouillé un bateau, et 
les pècheurs qui le montaient lan^aient à l’eau tout autour d’eux 
des poignées d’affare, pour attirer le poisson. Les Maquereaux vou- 
lurent en gouter , et ils se jetèrent dessus ; mais le Bar qui les 
avait imités fut pris à l’hame^on par les pècheurs. 

Or ce poisson était le Roi des Bars; quand ses sujets appri- 
rent la cause de sa mort, ils résolurent de ne plus jamais s* ar- 
rèter dans aucune affare. Depuis ce temps ils passent auprès de 
Tappàt san s le regarder, et c’est pour cela qu’on dit en proverbe: 
« Fier comme un bar. » 

Conté en 1882 par Francois Marquer. 

XVI.— Le Homard et le Congre. 

Il était une fois un Homard et un Congre qui faisaient route 
ensemble. Le Congre qui parlait en ce temps là, disait au Homard 

— Tu sais ce qui t’attend, Homard; si je ne trouve pas de 
quoi manger, c’est toi qui feras mon diner. 

Le Homard qui n’a jamais rien dit, parcequ’il est muet de 
naissance, faisait au Congre des signaux qui voulaient dire: 

— Si tu me manges, tu commettras un crime; si tu ne me 
manges pas, tu m’auras toujours pour compagnon. 

Il continua sa route avec le Congre; ils allèrent loin, bien 
loin ensemble, et ils ne trouvaient aucune nourriture. Le Congre 
qui avait faim, voulut manger le Homard et le prit dans sa gueule; 
mais celui-ci lui prit la iangue avec une de ses pinces et la lui 
serra si dur qu’il la lui coupa. 

Il s’ enfuit ensuite , et depuis les Homards qui auparavant 
étaient grands amis des Congres, sont aujourd’ hui leurs véritables 
ennemis. C est aussi depuis cette époque que les Congres qui 
auparavant faisaient entendre une plainte comme le grondin, ne 
disent plus rien. 

Coaté en 1882 per Francois Marquer. 

Paul Sébillot. 

Archivio per le t radili otti popolari — Voi. X. 23 


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DUE MACCHIETTE CARNEVALESCHE. 


on sono due maschere, nello stretto senso della parola. 

Venti o trentanni addietro, ne’ giorni di carne- 
vale , erano frequentissime nel Polesine : più tardi si 
incontrarono di rado: ora si possono considerare scom parse. Fa- 
cevano il giro dei piccoli villaggi e delle case di campagna, col 
pretesto di dare un trattenimento,': in effetto, era un genere d’ac- 
cattonaggio come tanti altri. Per V attuale popolazione , la loro 
origine si perde nella notte dei tempi. 



I. — V Orso. 


Non v* aspettate la descrizione dell’ animale dal sanguinario 
appetito. Non è un orso in carne ed ossa, eh’ io vi voglia pre- 
sentare : è un semplice apparato di legno , che il più tondo dei 
contadini può costruire da sè: un qualche cosa che, almeno nella 
testa del costruttore, arieggia alla figura dell’orso. 

Immaginate due pezzi d’ assicella Y uno sull’ altro, della lun- 
ghezza poco più d’una spanna, cincischiati barbaramente colf ac- 
cetta , e, su per giù , della forma di due ganasce. Ciò dovrebbe 
costituire il muso dell’ animale : e a rendere meno imperfetta la 
somiglianza, vengono infissi in ambedue da quindici a venti piuoli 


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DUE MACCHIETTE CARNEVALESCHE 


179 


che significano zanne, disposti press’a poco come le zanne della 
fiera. La ganascia superiore , posteriormente fissata in direzione 
perpendicolare a un manico di legno della lunghezza d’un metro, 
è immobile; mentre l’inferiore può abbassarsi e sollevarsi dalla 
parte dei denti, e vi si trova obbligata, per cosi dire, a cerniera. 
Il manico, è facile a comprendere, fa le veci della colonna ver- 
tebrale. Abbiamo in tal guisa una specie di scheletro, che viene 
poi infilato in una lunga sottana bianca, vecchia e talvolta sdru- 
cita, che dovrebb’ essere la pelle dell’ animale , e che gli scende 
giù dalla nuca, lasciando scoperto soltanto il grifo. Questo edi- 
fizio, sollevato verticalmente sul capo dell’ uomo che lo regge e 
che si cela il più possibile nelle pieghe della sottana stessa, viene 
alla sommità infranzolato di fettucce rosse (il rosso è il colore 
prediletto del contadino), sospese a piccoli cavicchi mobili, e or- 
nato di bubboli o di campanini. Il portatore, traendo a sè ripe- 
tutamente una cordicella nascosta e che scende dall’alto, fa bat- 
tere a suo talento , in atto minaccioso , la mandibola del feroce 
plantigrado: in pari tempo, i cavicchi, sospinti o abbandonati, si 
alzano o si abbassano, i cenci rossi svolazzano , i campanini ri- 
suonano, e il quadrupede tutto quanto, o, meglio, il bipede che 
lo rappresenta, ballanzola grottescamente , si curva , fingendo di 
mordere, e si rileva, si volta a destra e a sinistra, accompagnato 
ne’ suoi lazzi ridicoli e ne’ suoi gesti minacciosi, dai colpi stram- 
palati della musica barbara e incomprensibile d’ un suonatore di 
cembalo, che finge di guidarlo con pazienza, e che lo frena con 
ma! simulata energia, traendo a strappi una corda che gli cinge 
i fianchi. 

Quando percorre i piccoli centri abitati, l’Orso è sempre at- 
torniato da una torma di ragazzi in festa , che si divertono im- 
mensamente alla vista di quello strano animale , di quel battere 
feroce di mandibole che par vogliano inghiottire delle persone 
intere, e che non fan male a nessuno. Solo le madri minacciano 
di far mangiare da lui i. figliolini cattivi; ma i più grandicelli, i 
più svegli, battono allegri le mani, e gridano, c ridono sganghe- 
rati, volteggiandogli attorno per meglio ammirarlo in ogni parte. 


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l80 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

e seguendolo spesso nelle sue peregrinazioni dall'una all’altra abi- 
tazione, dall’ una all’ altra porta , ove rinnova le sue gesta grot- 
tesche, attendendo dalla massaia la ricompensa delle proprie fa- 
tiche. 


II. — Il Torototeta. 

Una specie di trovatore. 

Non ha maschera e non è camuffato in nessuna maniera. Ve- 
ste come tutti gli uomini; soltanto porta due profonde bisacce 
che gli scendono dalle spalle , e tiene in mano uno strumento 
musicale da corda: il torotoUla : uno strumento rozzo, primitivo, 
che, a vederlo, vi fa comporre le labbra al sorriso. È una zucca 
vinaria secca, una zucca semitarlata, annerita, che ricorda l’epoca 
dei nostri nonni , e dal cui ventre s’ è levato un pezzo quadro 
di corteccia, che vi lascia vedere il vuoto. Dalla parte più sot- 
tile, quella del gambo, viene applicato ad essa un manico gros- 
solano di legno, della lunghezza poco più d’una spanna : dall’e- 
stremità del manico a quella opposta della zucca, corrono tre o 
quattro corde armoniche (spaghi impeciati), ben tese, passando, 
s’intende, sul vano suddescritto, ed appoggiandosi talvolta ad uno, 
e tal altra a due sgabelletti in forma di stecche. « Una specie di 
mandolino » direte voi. À prima vista, sì; ma il nostro strumento 
viene suonato come il violino , con un archetto di crini, a cui, 
spessissimo, per mancanza del necessario, si sostituisce del refe, 
impeciato anch’esso come le corde. 

Con codesto bizzarro apparato, il povero suonatore si pre- 
senta baldo alla porta di casa : si pianta su’ due piedi , come 
quello che è convinto di non far dispetto a nessuno, e di essere 
accolto, anzi, con piacere; innalza ed appoggia alla spalla la zucca, 
cioè il suo strumento, che non ha mai bisogno di venire accor- 
dato (tanto, nel costruirlo, s’ è raggiunta la perfezione !); bran- 
disce l’archetto, e soffrega forte con esso le corde, traendone in 
tal guisa certi suoni scomposti, confusi, sibilanti o scroscianti che 
vi graffiano maledettamente l’udito, e vi fanno sbellicate dalie risa. 


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DUE MACCHIETTE CARNEVALESCHE 


181 

In pari tempo , emettendo una vociaccia sgangherata , comincia 
cantare, con aria d’ ispirato , e sempre nello stesso motivo , una 
lunga filza di stanze in dialetto, che voi, per la prima volta, state 
Il ad udire a bocca aperta , e che egli non vuole interrompere, 
per nessuna cosa al mondo, se prima non sarà giunto alla fine. 


Col so promesso *, mi vegno avanti 
Parchè a me tuogo ’na libarti: 

Son qua a canta rghe el Torototela, 
Che in ’sto momento l'è capità. 

Torototela, torototà. 
Sia benedeto ’sto frabicato, 

E anca el mistro ca 1* à pianti; 

E ’sti signuri ca ghe sta drento 
De bon cuore g’ è sempre sta. 

Torototela, torototà. 
Me son partito da Vizenza, 

E son vegnuto in fino a qua, 

Par agurarghe bona fortuna 
E ’na parfeta sanità. 

Torototela, torototà. 
E dal viagio, che mi go fato, 

Le scarpe nuove a go sbregà; 

E se me palpo in te le scarsele, 

No cato un beze de sparagni. 

Torototela, torototà, 
A gheva alora du arlogi nuovi; 

Ma chel pi belo a Y ò impegni ; 

E da la fame ca me sentea, 

A pena a pena son rivi qua. 

Torototela, torototà. 
Mi vuoi contarghe ’na noveleta 
Ca fa da ridare e da crepar. 

De una zerta ragaza bela 
E granda e grossa e bon formi. 

Torototela, torototà. 
Una marina, co la se lieva, 

La vien a basso tuta ingropà, 

Con gran dolore da una banda, 

Ca no podea pi avere el fià. 

Torototela, torototà. 

* Permesso* 


So marna alora, o poarina, 

Dal sior dotore la se nin va : 

« O el vegna, el vegna da la Rosina, 
Che T è là a casa, in leto mali. » 

Torototela, torototà. 
El sior dotore, con gran premura. 
Parte e la visita el ghe fa : 

El tasta el polso, el guarda la lengua; 
Ma nessun male lu el ga catà. 

Torototela, torototà. 
« Gavio, Rosina, el mal de panza, 
O el mal de testa, o el mal del fru ? » 
E adasio, adasio, con manierina, 

El se la tira arente a lu.... 

Torototela, torototà. 
« O benedeta sia sempre Y ora, 

Che ’l sior dotore 1’ è vegnù chi : 

El m’ à dà subito la medezina 
Che de ogni male la m’ à guarì..,. » 
Torototela, torototà. 
La paronzina, mi za la vedo, 

La va girando de qua e de là : 

O sia salami, o sia parsuti, 

’Na qualche cossa la portarà. 

Torototele, torototà. 
Se la me porta de la farina, 

La sachitina 1’ è prepari; 

Se la me porta un toco de grasso, 

La pignatina se cunzarà. 

Torototela, torototà. 
Siora parona, sia benedeta, 

La me poi fare la carità : 

Se qualche cossa no la me porta, 

Me vedo mezo parzipità. 

Torototela, torototà. 


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j 82 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


E la farina o il lardo cascano, infatti, nelle bisaccie del no- 
stro personaggio che, tutto contento, ne ringrazia di cuore , sa- 
luta e va. Ma se l’elemosina tarda, egli pazientemente dà segno 
della sua presenza , ripetendo T ultima stanzetta, o qualch’ altra 
cosa dello stesso significato, talora un distico soltanto, strimpel- 
lando sempre col suo bislacco strumento, convinto in pari tempo 
di farvi cosa gradita. 

Benché indigeni , i Torototela cantavan tutti d'esser partiti 
da Vicenza, e tutti usavano, con leggere varianti, con versi più 
o meno zoppi, la stessa canzone. Alcuni, per altro, no certo per 
non offendere il senso morale di schizzinose uditrici, ma solo per 
economia di tempo, omettevano addirittura la piccante storiella 
della bella Rosina, che, a quanto mi venne assicurato dai più at- 
tempati , sarebbe di data relativamente recente , interpolata nel 
testo all’epoca della decadenza — chiamiamola cosi — dell'arte ru- 
sticana dei nostri cantori, impeciati essi pure della generale cor- 
ruzione. 

La diversità di alcune rime , infatti , potrebbe offrircene la 
prova. 

Castelgugliclmo, 1890. 

Pio Mazzucchi. 



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CANTI POPOLARI ROMANI l . 


i. Il ritorno 2 . 

Schema metrico. 

w J. w Jw || ww-'ww.'w-' 

a Lo mi* amore è annato in guèra ellissi quanno aritornerà (bis). 
O ttoma o nu’ ritorna lo mi’ amore sempre sarà (bis). 

Se sapessi la strada lo vorrei anni’ a ttrovà’ » (bis). 

Quanno fu a mmèzza strada lo ’ncontrò ’n bèr giuvenò* (bis). 

« Diinme, bèr giuvenotto da che pparte ne viènghi tu ? » (bis). 

« Ne vièngo da quéla parte ’ndove er zole nun llèva ppiù » (bis). 
« Dimme, bèr giuvenotto, hai tu vvisto lo mio amò' ? » (bis). 
« Si, ssi, che ll’ho vveduto, c nun m’h^ riconoscili’ » (bis). 

« Dimme, bèr giuvenotto, che ccolore annava vesti* ? » (bis). 

« Er corpetto de scarlatto e li carzoni da 'mperató* » (bis). 

« Dimme, bèr giuvenotto, che ccolore anndva vesti ? » (bis). 

« Vestiario tutto de nero lo portavano a sseppelli* » (bis). 

1 Continuazione. Vedi Archivio, v. IX, p. 560. 

2 Benché stampato nel v. IX, questo canto vien qui ripubblicato a cagione 

dell’ aggiunta dello schema metrico e dei nuovi pentimenti del Raccoglitore 
nella grafia. (I Direttori). 


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184 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

A la cchiesa de sani Marco lo portavano a sseppelh” » (bis). 

« Dimme, bèr giuvenotto, si ccbe onore j’ hai fatto tu?» (bis). 
« Quattro cannéle accese otto tòrce pé’ ffije onó’ » (bis). 
Lisetta dar dolore cascò in tera e se stramortì (bis). 

« Su ssu, Lisetta mia, che ssò* io el tu’ primo amò’ (bis). 

Lisetta s’arzò in piede tanti bbaci a Uui donò (bis) *. 

2. L'abate che rimane senza camicia. 

Schema metrico. 

v»/ JL jL JL || vy J. JL sm* •s^' 

L’abbàte che vva a Ttivoli, dicendo : « bbèlla, aspettami ». 

« Cosa vorrà ’st’ abbate, per amore Aspetterò ». 

L’abbate se lèva er cappello, per amore je lo donò. 

Povero abbate scappellato. 

Su e ggiù pe’ la lennièra la bbella cantando va : 

« Chi bbella nun è, fortuna nun ha; io bbella nun só’, fortuna nun ho ». 
L’abbate che vva a Ttivoli dicendo : « bella, aspettami ». 

« Cosa vorrà ’st’ abbate, per amore l’aspetteró». 

L’abbàte se lèva er bberretto per amore je lo donò. 

Povero abbate scappellato, 

Sberrettato. 

Su e ggiù pe’ la lennièra. la bbella cantando va : 

« Chi bbella nun è, fortuna nun ha; io bbella nun sò’, fortuna nun ho ». 
L’abbate che vva a Ttivoli dicendo : « bbella, aspettami », 


1 11 ritorno. — Cfr. Giannini, p. 154; Wolf, 71; Briz, II, 31-33 e V, 
67-70 e 1 1 9 (in fine); Depping, II, 195; Milà y Fontanals, 153, 154; Mar- 
coaldi, 15 1; Caselli, 199; Bkrnoni, V, 15 e IX, 1; Ferraro, 60; Gianan- 
drea, 270; Ferraro, G di Ferrara, ecc. , 16 , 105 ; Ferraro, G del Basso 
Monferrato , 51; Finamore, *Arch. trad . pop . I, 91; Bolza, 674; Ricordi-Pullè, 
n.° 5; Widter-Wolf, 71; Puymaigre, Ch . pop . du p . SCessin, I, 47; Braga, III, 
1, 4, IV, 298; Wolf-Hoffmann, II, 88; Nigra, 314; Villanis, 18. 


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CANTI POPOLARI ROMANI 


185 


« Cosa vorrà ’st’ abbate, per amore l’aspetterò». 

L’abbate se leva er corpetto per amore je lo donò. 

Povero abbate scappellato, 

Sberrettato, 

Scorpettato. 

Su e ggiù pé’ la lennièra la bbella cantando va : 

« Chi bbella nun è, fortuna nun ha; io bbella nun sò’, fortuna nun ho ». 

L’abbate che vva a Ttivoli dicendo : « bbella, aspettami ». 

« Cosa vorrà ’st’ abbate, per amore 1’ aspetterò ». 

L’abbate se leva i carzoni per amore je li donò. 

Povero abbate scappellato, 

Sberrettato, 

Scorpettato, 

Scarzonato, 

Su e ggiù pé’ la lennièra la bbella cantando va : 

« Chi bbellanun è, fortuna nun ha; io bbella nun sò’, fortuna nun ho ». 

L’abbate che vva a Tuvoli dicendo : « bbella, aspettami ». 

« Cosa vorrà ’st’ abbate, per amore l’aspetterò ». 

L’abbate se leva le mutanne per amore je le donò.- 
Povero abbate scappellato, 

Sberrettato, 

Scorpettato, 

Scarzonato, 

Smutannato. 

Su e ggiù pé’ la lennièra la bbella cantando va : 

a Chi bbella nun è, fortuna nun ha; io bbella nun sò’, fortuna nun ho », 

L’abbate che vva a Tivoli, dicendo : « bbella, aspettami ». 

« Cosa vorrà ’st’ abbate, per amore l’aspetterò ». 

L’abbate se leva le scarpe per amore je le donò. 

Povero abbate scappellato, 

Sberrettato, 

Scorpettato, 

Scarzonato, 

Smutannato, 

Scarpettato. 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 24 


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l86 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Su e ggiu pé’ la lennièra la bbella cantando va: 

« Chi bbellanun è, fortuna nun ha; io bbella nun sò’, fortuna nun ho». 
L’abbate che vva a Ttivoli dicendo : « bbella aspettami ». 

« Cosa vorrà 'st’ abbate, per amore l’aspetterò ». 

L’abbate se leva la camiscia per amore je la donò. 

Povero abbate scappellato. 

Sberrettato, 

Scorpettato, 

Scarzonato, 

Smutannato, 

Scarpettato, 

Scamisciato. 

Su e ggiu pé’ la lennièra la bbella cantando va: 

« Chi bbella nun è, fortuna nun ha; io bbella nun sò’, fortuna nun ho » *. 

3. L’anello caduto nel mare. 

Schema metrico. 

% 

^ ^ Jf ^ y i W j j W V J , S w ' JL 

Ereno tre zzitelle e tutt’ ò ttre dd’amor; 

(fDiro ndondella). 

1 L'abate che rimane sen^a camicia. — Il Giannini nella sua raccolta di Canti 
popolari della montagna lucchese (raccolta sotto tutti i rapporti pregevolissima), 
a questa canzona, che, alfinfuori di poche varianti, è identica alla lucchese, an- 
nota: « Cfr. gli ultimi sei versi del fratino gabbato in Ive, 342. Qpesta e la se- 
guente ( La cena della sposa), più che canzoni, son giuochi di memoria, come 
diversi canti e fiabe popolari, ad es. : la Crcbo di Montel et Lambert, 535; 
Le dodici parole della verità nelle innumerevoli varianti pubblicate nel V Archivio 
per lo studio delle trad. pop., ecc.; Madonna Salcicciotta e Torretta del Pitrè 
(Nov. pop. Toscane , 249 e 252); il Topo delPlMBRiANi ( Novellaja fiorentina , 53); 
ecc. ecc. » Si confronti altresì Madama Piccinina (Volgo di %otna, Roma, Loe- 
scher, 1890, pgg. 141-159), e Villanis, Saggio di C. pop. dalmati, Zara. 1890 
pg. 33. Le dodici parole della verità , tratte da un cod. padovano del sec . XV, 
furono recentemente pubblicate con buone illustrazioni dal Giannini nella 
Rassegna Padovana , voi. I, f. 2, pp. 48-57. 


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O’o^'W 


CANTI POPOLARI ROMANI 


I8 7 


Ninetta è la ppiu bbella se mise a nnavigi’. 

Al navigi’ che ffece Panello glie cascò ; 

(j Dirondondellà). 

Al navigi’ che ffece Panello cadde in mar. 

« O pescator dell’onde, vieni a ppesci’ più in qua, 
( Dirondondellà ). 

E ppéscami Panello che mm’ è ccaduto in mar ». 
a Doppo che lPho ppescato che ccosa me vói dà’ ? 
( Dirondondellà ). 

Doppo che lPho ppescato che ccosa me vói dà’ ? ». 
« Cento zecchini d’oro ’na bborza ricami’; 

(Dirondoridetta). 

Cento zecchini d’oro ’na bborza ricami’ ». 

« Nun vòjo né zzecchini, né bborza ricami’. 

( Dirondondellà ). 

Nun vòjo né zzecchini, né bborza ricami’ » ; 

« Solo un bacin d’amore se ttu me lo vói di’. 

(' Dirondondellà ). 

Solo un bacin d’amore se ttu me lo vói di’ ». 

« Cosa diri la ggente che cce vedri bbacii’. 

( Dirondondellà ). 

« Cosa dirà la ggente che cce vedri bbacii’ ». 

« Diri che è l’amore che ce lo fa di’. 

(Dirondondellà). 

Diri che è l’amore che ce lo fa ffi\ 

Cosa diri mio padre che cce vedri bbacii’ ; 

(‘ Dirondondellà ). 

Cosa diri mio padre che cce vedri bbacii’. 
Andremo in quel boschetto dietro que’ fiori li; 

( Dirondondellà ). 

Andremo in quel boschetto nessuno ce vedri. 

Sta zitta e nun ddi’ gnente che ppoi te sposerò; 

(* Dirondondellà ). 

Sta zitta e nun ddf gnente che ppoi te sposerò; 

Te vojo fi’ ’n bell’ibbito de trentatré colò’. 

( Dirondondellà ). 


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i88 


ARCHIVIO TER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Tc lo farò cucine da trentatré sartò’. 

Te vojo fi’ ’na casa de trentatré mattò’. 

( Dirondondella ). 

Te la farò dipinge’ da trentatré pittò’ ». 

Chi bbussa a la mi’ porta, chi bbussa al mi’ portò* ; 

( Dirondondella ). 

Chi bbussa a la mi’ porta chi bbussa al mi* portò*. 
La bbella in camicetta sùbbito andette a apri* ; 

( Dirondondella ). 

La bbella in camicetta sùbbito andette a aprf. 

« Indov’ è ttu’ marito ». « Ito è a zappi’ la ter. 

( c Dirondondella ). 

Ito è a zappi’ la terra nun possi ritorni’ ». 

« Perdonarne, o mmio padre, che nu’ lo farò ppiu ». 

( ‘Dirondondella ). 

« Io nun perdono a ddonne né a ffije tradirò’ ». 

(‘ Dirondondella ). 

« Io nun perdono a ddonne, né a ffije traditó’ ». 
Fiore de margherita, dov* è zompi’ la test; 

(‘ Dirondondella ). 

Fiore de margherita, dov’ è zompi’ la test. 

Sopra quer monticello ce nasceri ’n ber fió’ ; 

(‘ Dirondondella ). 

Sopra quer monticello ce nasceri ’n ber fió’ L 


1 L'anello caduto nel mare. — Cfr. Nerucci, * Archivio, II, 519; Giannini, 
164; Wolf, 53; Bujeaud, ioo; Beaurepaire, 54; Puymaigre, 62, 63; Haupt, 
98; Tausserat, ( Romania , XI, 588); Bernoni, V, 5; Ferraro, 49; Casetti-Im- 
briani, II, 1 1 6 e sgg; Righi, 27; Caselli, 131 e 132; Gianaxdrea, 261; Ive, 
330;Gahlato, 506-10; Ferraro, C. di Ferrara , 60 e 95; Corazzine 250-52; 
Finamore ( Arch . trad. pop., 11, 306 e 519); Julia ( Arch . trad. pop., VI, 245); 
Ferraro, C. del basso Mònferr ., 18; Imbriani {Propugnatore, VII, 393); Nigra, 
351 (il quale riporta sei varianti piemontesi): Mazzatinti , 288; Bladé, 42; 
delusine , II, nn. 5, 6. 8, 19, 21; III, 3, 8, 19; Villanis, 18. 

È noto che I’Ullrich, Die Tauchersage , Leipzg, Teubner, 1885, vuol f$r 


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CANTI POPOLARI ROMANI 


189 


4. Il Confessore. 

Schema metrico. 


JL Vw/ JL v»/ JL 'w' v»/ — v — 



O Ddio me s'è ammalata la bbèlla mia 
E ccome ho da fà’ io 

(Cerulin fa la violetta ). 

P* annalla a trovi’. 

Me vestirò da frate cappuccino 
Co’ ddu’ bbisacc’ in collo 

(Cerulin fa la violetta). 

La cantane. 

Trovai ’na donna a sséde’ sur portone 
E me je messi a chiède’ 

(Cerulin fa la violetta). 

La caritane. 

O padre, nun me state a ddisturbane 
Che cciò ’na figliolina 

( Cerulin fa la violetta). 

Che mme sta mmale. 

Si vve sta mmale fitela confessane 
Che io farò da padre 

( Cerulin Ja la violetta). 
Confessore. 


derivare questa canzone dalla leggenda di Nicola-Pesct : la Mèlusine ha aperto 
nelle sue colonne una campagna in questo senso. V. anche il mediocrissimo 
art. di B. Croce, La leggenda di e K>iccoIò Pesce , Napoli, 1885, e i recenti saggi 
del Pitré in questo stessq periodico, 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Chiudete porte e cchiudete portoni 
Ciocché gnisun ce senti 

(Cerulin fa la violetta). 

La confessione. 

Chiudete porte e cchiudete fenestre 
Ciocché gnisun ce senti 

( Cerulin fa la violetta). 

Ragazze oneste. 

La mamma stav’ in ccucina che ppiagneva 
La fja cor cappuccino 

( Cerulin fa la violetta). 

Se ne rideva. 

La madre sta in cucina à lava’ i piatti 
La fja cor cappuccino 

( Cerulin fa la violetta). 

Faceva li fatti. 

La mamma sta ’n cucina a sturi* le bbótte 
Er frate co* la fija 

( Cerulin fa la violetta). 

A fasse f.... 

La mamma sta 'n cucina a frigge’ er pesce 
E a la fija la panza 

( Cerulin fa la violetta). 

Che je cresce. 

A ccapo a nnove mesi un fanciullino 
Era chiamato er fijo 

( Cerulin fa la violetta). 

Der cappuccino. 

A ccapo a nnove mesi annav* a scola 
Era. chiamato er fijo 

(fCerulin fa la violetta). 

De fra Nnicola l . 

i II confessore, — Bru, II, 77; Marcoaldi, 158; Ferraro, 98; Id. C. pop. 


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CANTI POPOLARI ROMANI 


191 


5. La fanciulla che vuole marito. 

Schema metrico . 



Mamma mia, vòjo marito (bis). 
Vòjo quello 

( Lari Ieri). 

Vòjo quello 

é (Lari Ieri). 

Vòjo quello che sta là. 

Vojo fabbricà’ ’na casa (bis). 

Che cce càpeno 

(Lari ler(). 

Che cce càpeno 

(Lari Ieri). 

Che cce càpeno tre ppersò’. 

Questa marina me sò’ alzata (bis). 
L’ho vvedu’ 

(Lari Ieri). 

L’ho vvedu’ 

(Lari Ieri). 

L’ho vveduto el mio amò’. 


di Ferrara , 99; Dalmedico, 41 ; Vigo, 625 ; Bernoni, VII, 16 e XI, 9; Pi- 
tré, II, 100; Casetti-Imbriani, II, 243; Corazzini, 286; Ive, 322; Nigra, 452; 
Giannini, 173; Villànis, 28. 

Cosi nella Veneziana del Bernoni e nell' Emiliana del Ferraro , come 
nella nostra, si ha per finale la nascita d'un bambino. Nelle altre no. 


i. . 


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192 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Stava al fianco de ’na regazza (bis). 
O cche smà’ 

( Lari Ieri). 

O celie snià’ 

(Lari Ieri). 

O cche smania o cche ddoló\ 


Mamma mia, pòrteme in chiesa (bis). 
A li piè* 

(Lari Ieri). 

A li piè’ 


(Lari Ieri). 
A li piedi del confessò’. 


Co’ la bbocca dirò li peccati (bis). 
Co’ Tocchiti’ 

(Lari Ieri). 

Co* Tocchié’ 

(Lari Ieri). 

Co’ Tocchietti farò Pamó\ 


Mamma mia, chiudi le porte (bis). 
A cciò non 

(Lari Ieri). 

A cciò non 

(Lari Ieri). 

A cciò non entri più nessu*. 


Farò ffinta d’esse’ morta (bis). 
Farò ppian 


(Lari Ieri). 


Farò ppian 

(Lari Ieri). 

Farò ppiangere el mi’ amò’ 


1 La ragana che vuole marito— dv. Nigra, 129; Bolza, 689; Dalmedico, 
218; Giannini, 224; Villanis, 16; Wolf, 52; Ferraro, C. pop. di Ferrara, 24, 100; 
Ive, 332; Cor azzini, 257. Il Nigra, nel suo preziosissimo Commento, riporta ben 


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Canti popolari romani 


195 


6. Il mal d* amore. 

Schema metrico . 



« Mamma mia, me mòro, me mòro, per una cosa che all'orto c’è ». 
« Fija mia, c'è la lattuga, se la vói te la darò », 

« Mamma si. 

Mamma no, 

Questa n'è bbona pel male che ho ». 

« Mamma mia, me mòro; me mòro, per una cosa che all'orto c’è ». 
o Fija mia, c’è l’invidiola, se la vói te la darò ». 

« Mamma si, 

Mamma no, 

Questa n’è bbona pel male che ho ». 

« Mamma mia, me mòro, me mòro, per una cosa che all'orto c’è ». 
« Fifa mia, c’ è l’ortolano se lo vói te lo darò ». 


undici varianti della canzona, tra le quali una romana, trasmessagli nel 1855 da 
H. Kestner. La nostra lezione è evidentemente prodotta dalle infiltrazioni di pa- 
recchie canzoni; noi però la riportiamo riferendoci al Nigra , che scrive: 

« Questo tema è talmente popolare presso di noi, che in molti casi s’aggiunge, 
come finale, ad altre canzoni, che non ci han nulla chetare. Eppure, malgrado 
tanta popolarità, e forse appunto per cagione di questa popolarità, la canzone 
della 'Rosina aspetta ancora una pubblicazione nella sua più o meno genuina 
redazione». È bene però notare che in questi ultimi tempi, specialmente per 
opera del Ferrari e del Rossi, qualche nuovo contributo a uno studio di 
questo grazioso ciclo di canzoni è stato portato. Aggiungeremo allo indica- 
zioni già date le nostre Cannoni antiche del popolo italiano, fase. I, e Jeanfroy, 
Les origines de la poesie lyiique en Fra n ce au moyen dge, Paris, Hachette, 1888 
ecc., pgg. 412-25. 

Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 25 


A- . * 


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194 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


« Mamma si, 

Mamma si, 

Questo è bbono pel male che ho V » l . 

( Continua ) Mario Menghini. 


1 11 mal d'amore. — Pitrè, II, 98; Corazzici, 232 e sgg.; Giannini, 225, 
Wolf, 109; Gianandrea; 263; Ferraro, C. di Feri ara, tee., 103; Kopisch, 210; 
Giambattista ‘Basile, I, 93; Ferraro, C. pop. monf., 109; E. Rolland, Kecueil, 
lì, 194; Fulgence, Cent ebani s pop . d. divers nalions, Paris, 1830, n.° 57; Cot- 
trau, Mélodies de Naplcs, Paris, s. d; Nigra, 430. Il quale afferma che «r in 
Francia, sin dal 1703, era pubblicata una canzone, che è evidentemenie con- 
nessa colle Italiane 0. La lezione napoletana, che fu prima a stamparsi, inse- 
rita nella raccolta de’ cento canti del Fulgence, è quella che più s’avvicina 
alla lezione romana. Ma una canzone sullo stesso soggetto era stata scritta 
sin dal sec. XV. V. Casini, Un repertorio giullaresco , (estratto dal Preludio , 
1880, p. 19, n.) e Saviotti, Di un codice musicale del sec. XVI, Giorn. Stor. 
d. lett. ital., XIV, 246. Per quanto si riferisce al metro di questa canzone ci 
sia lecito avvertire eh' esso rassomiglia grandemente a quello di una serie di' 
canzoni venete e specialmente padovane conosciute col nome di Siciliane, per 
le quali si confrontino le Lettere di M . Andrea Calmo (ediz. V. Rossi). To- 
rino, Loescher 1888. * 



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BLASONE POPOLARE SICILIANO 


Alcamo (prov. di Trapani). 

Alcamu vinnigna e Partinicu cogghi còccia. ( *Alcamo ). 

«In Alcamo — mi avverte il Salomone — si pratica, nella pota delle 
vigne , di lasciar molti tralci , onde si ottiene un prodotto spettacoloso 
d’uva quanto all’abbondanza; ma di qualità scadente. Partinico, in parago- 
ne , raccoglie poca uva dalle sue viti ma ottima c però dà un vino ec- 
cellente e poderoso. » 

Batia Gratini, 

Genti ’n granni; 

Batia Nova, 

Genti a prova; 


1 Questi motteggi inediti, avanzo d’un passato di gare e di dispetti, sono 
da aggiungere a quelli del cap. LX dei miei Proverbi siciliani raccolti e con - 
frontali con quelli degli altri dialetti d’ Italia (voi. Ili, Palermo, 1880). Essi 
entreranno a far parte di un’opera, non priva di curiosità per la etnografia e la 
storia tradizionale del popolo, il Blasone popolare (T Italia , dove saranno rac- 
colti proverbi, adagi, modi di dire nei quali vorrebbe darsi la caratteristica, vera 
secondo il popolino, spesso dolorosa pel buon patriota , argomento di studio 
pel folklorista, di questo o di quel comune. Cosi potessero molte di siffatte 
tradizioni orali considerarsi come archeologia ! 

Alcuni di questi motti mi vennero favoriti dal Salontone-Marino, altri dal 
Guastella, molti li raccolsi io stesso. 


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196 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Santa Chiara 
Curtigghiara. (^Alcamo). 

Si riferisce a tre monasteri di Alcamo: la Badia Grande *, che acco- 
glie monache di famiglie nobili e perbene; la Badia Nuova, monache ri- 
putate per costumi esemplari; Santa Chiara , la quale è in voce di ospitare 
pettegole ( curtigghiari o curtigghiara , plur. di curtigghiara , persona da 
curtigghiu , cortile). 

Avola (Siracusa). 

Voli tràsiri tisu tisu corau la zita d’Àula. ( Modica ). 

Questo modo proverbiale di paragone ritrae da un racconto tradi- 
zionale, del quale è argomento ora uno, ora un altro comune dell’ isola. 
Esso fu raccolto e pubblicato nel voi. Ili, n. CXLVIII delle mie Fiabe \ 
Novelle e Racconti popolari siciliani. Palermo, 1 87 5. 

Barrafranca (Caltanissetta). 

Barrafranchisi, panzuti. ( Pielraper^ia ). 

Per le febbri da malaria. 

Belmonte (Messina). 

Cu’ si marita e non si penti, 

Pigghia ’a truvatura ’i Beddumunti. (S. a Lucia di Mela). 

Proverbio che celebra un tesoro incantato nella montagna di Belmonte ; 
il qual tesoro può disincantarsi filando, tessendo, bollendo, imbianchendo 
una salvietta , recandosi e desinando sul posto in uno stesso giorno , e 
sotto il sole: cosa impossibile. Vedi il mio studio sui Tesori incantati , n. 59, 
p. 427 degli Usi e Costumi. Palermo, 1 889. 

Bivona (Girgenti). 

Bivona, bis bona. (Bivona). 

Questo proverbio, di origine letteraria, fu pubblicato nel voi. IV dei 
miei Proverbi siciliani , p. 248; ma giova attenuarne la popolarità fin dal 
sec. XVI, in cui Filoteo degli Omodei lo illustrava 'con la seguente nota : 

« Bivona , quasi Bibona , cioè bis bona, per la perfezione dell’aria, es- 
sendo posta sopra altissime rupi e per l’abbondanza dell i salutiferi arbori 
dei quali sommamente abbonda, luogo veramente piu che buono ed ame- 
nissimo ». G. F. degli Omodei, Descriiione della Sicilia nel sec. XVI , lib. Ili, 
p. 264. Nel voi. XXIV della e Bibl. stor. c lelt. di Sicilia. Palermo, L. Pe- 
done Lauriel MDCCCLXXVI. 

Burgio (Girgenti). 

Burgitani, cantarara. ( Villafranca Sic.). 


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BLASONE POPOLARE SICILIANO I97 

Dicesi degli abitanti del Burgio, i quali lavorano molto nella fabbrica 
delle « sprezzate crete » del Parini. 

Calabria e S. Piero (Messina). 

Cavaddi, Calavrisi e Sampiroti 

Spàracci, chi cunsumanu casati. (Messina). 

Sampiroti qui è detto delle donne di San Piero sopra Patti. 

A lu capu di Calava, 

O cala o àutu va. (Tatti). 

11 promontorio di questo nome, non lontano da Patti, è il caput Ca- 

• bava di Fazello. 

« Il capo di Galavà è pericolosissimo alli naviganti, donde ne prese 
il nome Calava , quasi abbassa le vele e va ; donde è derivato il volgar 
proverbio tra’ marinari, che sin ora (sec. XVI) si dice: %Al Capo di Ca - 
ìavà 0 cala 0 ad alto va ». G. F. degli Omodei, op. cit. p. 107. 

Caltanissetta. 

Taurinu, tauna; 

Mamianu, senza un granu; 

Capudarsu, capu d’oru. (Caltanissetta). 

Si parla di tre centrade solfifere nella prov. di Caltanissetta. A Teu- 
ritto si trova dello zolfo ora sì, ora no. OvCamiani è un fondo che non 
dà nulla, poiché non ha zolfo; Capodarso non è capo d’arso, ma capo 
d’oro per la quantità dello zolfo che contiene. 

Carini (Palermo). 

Carini caput-munni , 

Munnu giucunnu. (Carini). 

È un proverbio che vari comuni dell’isola si contrastano per conto loro. 
Vedi nei miei Prov . sic., Ili, 144. Nelli maggior chiesa di Pòilina si legge: 

Roma caput mundi 
E Pollina secondi. 

A. Osnato, In una locanda , p. 2S. Palermo, Bizzarrilli, 1875. Il me- 
desimo si dice di Venezia, di Sassari ecc. Un altro motto simile è questo : 

Prima Palermu e poi Carini. (Carini). 

Càroxia (Messina). 

Di Carunia lu carvuni bonu. (Messina). 

A Caruma cci su’ Tabbuttati. (Messina), 

Abbattali, gonfi, per malaria. 


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198 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Castellamare (Trapani). 

Castieddammari 

Cu’ cci hi gghiri, cci ha ’viri chi fari. (Modica). 

Si vuol dire con questo che a Castellamare del Golfo si va solo per 
farci qualche cosa, altrimenti non v’è ragione di andarvi. 

Castrogiovànni (Caitanissetta). 

CastrugiuVanni su’ tutti aducati, 

Trovi li donni galanti e puliti. ( Fillarosa ). 

Dici la campana di Castrugiuvanni: Tocca e pisami; scinni 
e pisami. (Talermo). # 

Questa campana è tanto celebre che nessuno si reca inai in quel co- 
mune che non vada a vederla. Vedi i miei Usi e Costumi , v. I, p. 411. 

Cefalù (Palermo). 

Terra terra coinu li varchi di Cifalù. 

In questo modo proverbiale, popolare in tutta la Sicilia, si ricordano 
le barche da trasporto di carbone, di Cefalù , le quali procedono lenta- 
mente e sempre non discosto dalla terra. 

Il modo poi figuratamente significa : mediocremente, poco bene. P. e., 
se ad una persona malaticcia si domanda: Come state? essa risponderà: 
Terra terra t comu li varchi di Cifalù. 

Faro (Messina). 

Faroti, figghi di Santu Nicola. (Messina). 

S. Nicola è il protettore del comune omonimo al Faro, presso Messina. 
Ganci (Palermo). 

A Gangi su’ li carcagnuti. (Bor gettò). 

Carcagni a Ganci, 

A Jaci pedi. ("Bordello). 

Quei di Gangi’sono in fama di avere naturalmente molto sviluppate 
le calcagna; come quei di Acireale i piedi. .• 

Giarratana (Siracusa). 

Giarratanisi, piturri. (Modica). 

‘Piturru in Modica è lo sputa-sentenze. 

Girgenti. 

’ La vutti di Sanciurlannu 

Puna vinti tu«u l’annu. (Girgenti). 


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BLASONE POPOLARE SICILIANO 


199 


Intorno a questa prodigiosa botte , che prende nome dal protettore 
di Gifgenti S. Gerlando, vedi la leggenda da me pubblicata nelle Fiabe 
e Leggende, n. LX. Palermo, 1888. 

Messina e Palermo. 

Missiaa è ’ncignusa, 

Palermu pumpusa. (Messina). 

Missina, la ricca, 

Palernau, la licca. (Messina). 

! Messinesi dicono sempre che i Palermitani son ghiotti ( liccbi ). Molti 
altri Siciliani condividono questo giudizio intorno a noialtri di Palermo, 
ai quali scagliano motti d* ogni maniera , come si suol fare da’ comuni 
piccoli alle grandi città. 

Palermu fa Nobili e Signuri, 

Missina scavi, Judei e mandruni. ( Palermo ). 

Qui è il rovescio della medaglia dicendosi che in Messina sono schiavi, 
giudei e poltroni. 

La prima parte del motto è confermato da quello che riferisco più 
innanzi per Talermo. 

Mistretta (Messina). 

Di Mistretta sunnu l’ammastrati. ( Messina ). 

È un calembour , nel quale ammastratu può significare ammaestrato , 
esperto, ed am astrato , amastratino. I Mistrettesi si ritengono gli antichi 
Amastratini. 

Mistrittisi, picurari. {Messina). 

Montedoro (Caltanissetta). 

Muntidurisi, cucummirara. ( Caltanissetta ). 

In quel di Montedoro si producono molti cocomeri. 

Montelepre (Palermo). 

Muncilebbri tutti tubba, 

Comu un lignu di carrubba. ( Partinico ). 

Si dice dei nativi di Montelepre, i quali sarebbero orgogliosi, e poi 
torti , duri ed aspri come il carrubo. Nella raccolta di Canti popol. sicil- 
del Salomone-Marino (XV, 659) si legge questo: 

A Muncilebri su’ comu li strati, 

Torti, senza viduta e sdirrubbasi; 

H«nna la Turri e su’ ’nturrigghiunati, 

Vali a diri superbi e vapparusi. 



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100 ARCHIVIO t>ER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Motta di Camastra (Messina). 

Su’ di la Motta li veri magari. (Messina). 

Si ritiene che in quel comune sieno molte fattucchiere e streghe. 

Palermo. 

*N Palermu Signuria, 

Missina gintilia. (Termini). 

Vedi in Messina. 

Scorci di coddu, e eira. (Palermo). 

« Il facchino palermitano è avido al maggior segno di cera, e nelle 
processioni, fornito di un cartoccio, si pone a lato di chi ha la torcia ac- 
cesa, onde raccoglierne le stille, e venderle al Cerajuolo per pochi soldi. 
Lungo il cammino usa tutte le piccole astuzie per dilatare in mille modi 
la fiamma, e far consumare quanto più presto la torcia. Quando è sco- 
perto, non va esente da qualche lieve percossa da parte del mazziere, che 
bada al buon ordine della processione, ma nulla curando le busse, poco 
dopo torna a far lo stesso, onde è nato presso di noi il proverbio: Scorci 
di coddu , e eira, scapezzoni c cera, o Cenni statistici sulla popolazione pa- 
lermitana pubblicati da Federico Cacioppo Direti . della Statistica della 
città di Taletmo , p. 76. Pai., Barcellona 1852. 

Partinico (Palermo). 

Salitani, mali cristiani. (Alcamo). 

Salitani sono quelli del comune di Partinico, che è volgarmente detto 
Sala o Sala di Tartirticu. 

Piana dei Greci (Palermo). 

Si vvidi un grecu e un lupu, 

Lassa Ili lupu e tira a lu grecu! (Palermo). 

Greca qui è Talbanese-siculo in generale e quello di Piana dei Greci 
in particolare. Il proverbio è feroce contro gli Albanesi di Sicilia. 

Pietraperzia (Caltanissetta). 

Lu sceccu si vivi la luna. ( Barrafranca ). 

Lo si dice ai nativi di Pietraperzia , alludendo alla nota facezia del- 
P asino che bevve la luna nel pozzo ; facezia stata raccolta e pubblicata 
anche da me nelle cit. Fiabe e Leggende, n. LXXX. 

Raffadali (Girgenti). 

Raffadalisi, maccàra. (Siculi ami) . 

Mangiatori di maccu , che è una vivanda grossa di fave sgusciate, 
cotte in acqua e ridotte come in pasta. Per via di questa naturale indi 



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BLASONE POPOLARE SICILIANO 


20 1 


nazione al macco , si motteggiano i contadini di Raffadali nel seguente 
modo : 

Santu Allampatu ti metti la maccu 'ntra la visazzedda e ti 
lu porti di fora. ( Sicuìiatia ). 

Significa: S. Allampato (un santo immaginario, come a dire S. Af- 
famato) ti prepara e conserva nella bisaccia il macco (I) e tu Io porti 
via in campagna quando andrai a lavorare. 

Ragusa, Spaccaforno, Modica (Siracusa). 

Cavaddi rausani. 

Muli spaccafurnari 
E scecchi muricani. (Modica). 

Sono buoni alla fatica i cavalli di Ragusa, i muli di Spaccaforno e 
gli asini di Modica. 

Prucissioni di Rausa, maschi di Scicli e mascarati di Muo- 
rica. (Modica). 

Sono anche celebri le processioni di Ragusa, i mortaretti di Scicli e 
le maschere di Modica. 

Si’ vili quantu la via di Ragusa. (Modica) 

La via che conduce o conduceva a Ragusa, era, e forse è tuttavia, ri- 
tenuta brutta per Je difficoltà demandare e la poca sicurezza. 

Riesi (Caltanissetta). 

Riisani, abbrucia-Madonna. (Caltanissetta). 

Il motto dev’esser nato per qualche fatto vero o creduto ttle, in cui 
sarebbe stata bruciata qualche sacra immagine. 

Rocca d’Entella (Gir genti). 

Si vó’ dinari, va’ a Rocca d’Antedda. {Sambuca). 

Si crede che uno dei piu grandi tesori incantati in Sicilia sia in Rocca 
Entellina, a disincantare il quale siano necessarie alcune delle condizioni 
descritte da me appunto nel citato studio sui Tesori incantati, v. IV degli 
Usi e Costumi. 

Il motto si suol dire per ischerzo a chi ci domandi del danaro senza 
averne egli diritto o senza che noi ne abbiamo o vogliamo darne. 

Salemi (Trapani). 

Salimitani, tutti judei. 

Ovvero: 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 26 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Salimitani, figgili di Giuda. (Fila), 

Nel cit. voi. Ili di Praz 1 , sic. sono varie altre ingiurie consimili con- 
tro quei di Salemi. 

S. Cataldo (Caltanissetta). 

Pazzi di San Catallu e vecchi di Santa Catarina. (Callanissetla). 

Sono celebri. 

S. Marco e S. Fratello (Messina). 

Menzi judei ’i Sammarchitani, 

E tutti turchi li Sanfratillani. 

I nativi del comunello di S. Marco sono ingiuriati come mezzo giu- 
dei; quelli di S. Fratello come geme senza fede. 

Santa Caterina (Caltanissetta). 

Fora di Catrinara e Aliminisi 

(Dissi TAbbati), ca sunnu lagnusi ! ( Villarosa ). 

« Quando 1 ’ ab. Noiarbartolo dei Ducili di Villarosa edificò questo 
comune, circa il 1780, e chiamò abitanti dei paesi circonvicini, specialmente 
di Calascibetta, S. Cataldo, ecc., non ne volle, secondo la tradizione, di 
Alimena e di S. Caterina Villarmosa, perchè gente infingarda e buona a 
nulla. La tradizione viene confermata da questo proverbio, comunissimo 
in Villarosa per ingiuria degli Alimenesi e dei Catcrinari.» Cosi mi scrive 
il Salomone. 

Catrinara, ripitara ( Villarosa ). 

Le donne di S. Caterina Villarmosa furono e son tuttora famose 
come reputatrici o, come si dicono nella provincia di Caltanissetta, ripi- 
tara, tanto che vengono chiamate presso (a bassa gente ad esercitare il 
mestiere di piagnone dei morti. 

Catarinari c...-parrini. ( Caltanissetta ). 

Sciacca (Girgenti). 

Carni di vacca ed acqua di Sciacca. 

Amaru cu’ cci Scappa ! ( Monreale ). 

Le acque potabili di Sciacca son ritenute poco buone al gusto ed alla 
digestione, per quanto le minerali sieno preziose alla salute. 

Siculiana (Girgenti). 

Nun jiri caminannu senza spisa, 

Cà si ti Scontra Ciciddu Di Rosa 

La prima chi ti leva è la cammisa. ( Siculiana ). 


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BLASONE POPOLARE SICILIANO 


203 


Ciciddu Di Rosa, celebre brigante del territorio di Siculiana, il quale 
quanti incontrava altrettanti interrogava se avessero da mangiare, e se quell 
gli aprivano le mani, ne erano fortemente bastonati. 

Trapani. 

Càrrica-sali li Trapanisi, 

Biddizzi rari tutti li Muntisi. 

Celebri sono le saline di Trapani come le belle donne di Monte S. 
Giuliano, già Erice. 

Quannu lu Culleggiu sona a festa, 

Pari chi la vigilia s J accosta. (Trapani). 

Cioè pare che si accosti la vigilia del Natale in Trapani, dove la festa 
natalizia viene annunziata dallo scampanio del Collegio , con le Quaran- 
tore, per 9 giorni di seguito, che sono la Novena. Mondello, Spettacoli e 
Feste pop. in Trapani , p. 68. Trapani 1882. 

A Santa Chiara (12 agosto ) 

Lu straniu cala. 

Il 12 agosto molti pellegrini allietano Trapani per la prossima festa 
della Madonna, 16 agosto. Mondello, op. cit., p. 30, 

V illarosa (Caltanissètta). 

Pò’, Jà', Calò’ 

Sunnu di Villarò’ 

(0 Su’ tutti a Villarò’). (Alimena). 

In Villarosa la maggior parte dei maschi si chiamano Giuseppe (Pì') % 
Jacopo (/d’) e Calogero ( Calò ’). in omaggio ai tre santi. 

Màrcatu di Garlatti, 

Stravintala di Mustimacuccu 
E ponti di Capudarsu. ( Villarosa ). 

« Garlatti, Mustimacuccu e Capudarsu sono tre ex-feudi nella prov. di 
Caltanissètta, luoghi dove nel mal tempo della stagione invernale il be- 
stiame può trovare sicuro riparo e stazione o transito scevro di pericolo. Il 
proverbio poi si applica in genere a tutti i ripari sicuri che si possono 
avere contro i mali ed i pericoli. » Nota del Salomone. 

Vita (Trapani). 

Acltu, Vita. (Salenti). 

In Vita, paese montano, non si fa mai buon vino, perchè questo di- 
venta subito acetoso. 

G. PlTRÈ. 




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LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 

NEL BELLUNESE *. 


Appendice che tratta specialmente dell’arte del canapino. 


perayo con le ultime note sul telajo e gli attrezzi re- 
lativi all’arte del tessere aver compiuto questo lavo- 
ruccio, quando la conoscenza del Vocabolario Dome - 
slico di Gian Francesco Rambclii (Bologna 1850) mostravami , 
oltre a quanto avevo appreso dal Carena , la meravigliosa ric- 
chezza del linguaggio toscano fin ne’ particolari tecnici più mi- 
nuti. Io credo che i dialetti nostri non sieno da meno c perciò 
deplorai di non aver avuto a mano quel libro quando a Belluno 
con grande fatica raccolsi voci e frasi relative all’arte del tessere, 
dalla bocca di un rozzo contadino. Non ignoravo le molte la- 
cune che il mio lavoretto avrebbe avute, poiché queir uomo ri- 
petevami spesso che di molte cose egli conosceva l’uso, ma non 
il nome. 

Malgrado ciò, anche lontana, tornavo spesso col pensiero al 
mio canape e temevo che una zona da me inesplorata fosse ap- 

1 Continuazione e fine. Vedi Archivio, p. 33. 



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LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 


205 


punto rimasta per quei vocaboli propri al mestiere del campino 
o pettina canape , che è appunto quello che precede la filatura. 

Per rendermi certa di ciò , trovandomi a villeggiare nello 
scorso autunno nella cittadella di Thiene, presso a Vicenza, mi 
recai un giorno nella bottega di un canepino dove senza mac- 
chine e col metodo antico si attende quasi da un secolo a tale 
bisogna. 

Seduta tra innumerevoli bellissimi mazzi di canape lucente 
già preparato pel commercio, dai loro severi e tranquilli riflessi 
io traevo forza e poesia per sopportare la fitta polvere sparsa 
nell’aria che mi stringeva, come un nodo, alla gola. E fu proprio 
là, tra quella brava gente, che con meraviglia e piacere sentii ri- 
petersi il pittoresco linguaggio adoperato, quasi due secoli fa dal 
Magagnò (Menon Beguoso) il più gajo c grazioso dei rustici 
poeti, e fu là che ebbi ampia spiegazione di quelle voci che, per- 
chè nuove, mi parevano strane sparse ne’ versi di Menon a Tutta 
e già da me citati nel mio lavoro. 

Raccapezzandomi io stessa, come meglio potei , volli essere 
edotta di ogni particolarità del mestiere e notando sempre , mi 
provai a volgere in italiano la parlata del giovane operaio. Ma 
come farlo ? La difficoltà era grande. La frase spontanea, efficace 
di lui , si cambiava in una esposizione inesatta e fredda. Mi at- 
tenni al solito metodo da me prediletto in questo genere di studi, 
quello di scrivere cioè con le parole istesse delPoperaio che detta. 
Ed ebbi ragione, poiché, anchè più tardi ogni ricerca fu vana per 
trovare ne’ vocabolari italiani la spiegazione di certe frasi proprie 
a si accurato mestiere. 

Dall’insieme delle mie ricerche, compresi che differenze no- 
tevoli subiscono queste operazioni secondo le abitudini dei vari 
paesi, tanto per la macerazione del canape , quanto pel modo di 
lavorarlo. E ciò mi venne confermato da un operajo, certo Fa- 
leschini da Cadroipo, che trovai sul sito, in questo caso, persona 
di grande autorità. 

Il Faleschini è un allegro operajo, che in forza dell’arte sua 
è diventato girovago. Egli da quarant’ anni ha, per cosi dire, il 


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206 archivio per le tradizioni popolari 

monopolio delle pettine del veneto che riaccomoda nella buona 
stagione quando son guaste riservandosi l’inverno per la fabbrica 
delle nuove. Gira, come faceva suo padre, a piccole* tappe, nelle 
nostre città, ospite, talora sospirato, nelle case coloniche; giunge 
anche fino a Venezia, dove è ancora utile l’opera sua, benché ci 
sieno alcune fabbriche con macchine a sistema moderno. Ritorna 
poi nel nativo Friuli e si spinge fin sopra Gorizia, dove a suo 
dire, le pettine sono assai differenti per la diversa maniera di la- 
vorare cosi detta a trada 1 e sardelèra (?). 

Per Tarte del Faleschini, a prima vista semplicissima, fa duopo 
grande precisione d’ occhio, mano delicatissima , massime se oc- 
corra accomodare il pettine fino, vero istrice dal ferreo ventre re- 
golarmente convesso. 

La raccolta di voci vicentine m’ invogliò tanto più a com- 
pletare quella bellunese e mandai il mio manoscritto all'egr. prof. 
Pellegrini, mio cortese cooperatore e maestro, pregandolo a darmi 
le corrispondenti notizie bellunesi : ciò che ei fece con 1* usata 
cortesia, inviandomi la nota che qui trascrivo e che io per con- 
fronto faccio seguire dalLaltra vicentina. 

Arido fu purtroppo il mio tema ; dovrei chieder venia di 
tanta noja forse procurata altrui , e purtroppo non è neppure il 
caso di compensare evocando le favole ridenti del passato, poiché 
in questo secolo di lavoro febbrile è inconcepibile la lunga amo- 
rosa pazienza della casta Penelope, come è già fritta e rifritta la 
vecchia istoria di Berta fortunata. 

Uno Spigolin (canepino) rustico bellunese, che lavorò e lavora 
soltanto per contadini e che non sa parlare: 

Disse che il cànevo vien gramola , le reste servono a far il 
letto agli animali, e i gramolói che cadono sotto la gràmola sono 

1 Tettena de trada o tiade. Quella che adoperano a preparare la canapa in 
lungo tiglio il quale serve poi anche a preparare lo spago pei calzolai, men- 
tre per la preparazione della canapa all’ uso comune di farne filo pei tessuti, 
si adoperano pettini (pietus) circolari , simili a quelli per la pettinatura del 
lino. Tirona . 


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LA FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE 20J 

filati a parte e servono a fare varòt o grossolane coperte da letto. 
Dopo , il cànevo viene spadolà per cavarne tutte le reste e mon- 
darlo: il migliore o tei viene ridotto in branche e la parte infe- 
riore o curia (corta) cade a terra e si dice Spadolini o stoppa e 
se ne fa manotii e viene poi filata a parte, o sola. La spigola è 
di due sorti, cioè spigola grossa o spigolon e spigola fina o spigo- 
leta . Si mette la spigola ben ferma ( inciodada ) su un banco o ta- 
volone (jolon ) e si tira il canevo su quella finché core polito o 
agevolmente. Lo spigolon ha tre righe de ponte o tre ordini di 
punte di ferro alte più di una quarta o forse 2j centim.; le code 
o codete restano sui ferri e ne vengono staccate a mano. Dopo il 
tei si mette sulla spigola fina, la quale ha cinque righe de ponte o 
cinque file di denti e si tira su quella: anche le code o codete ven- 
gono ripassate prima sullo spigolon e poi di nuovo sulla spigola 
fina. 

Il tei è di due qualità longo e curto e viene legato in broc. 
Si prendono due branche di tei e si uniscono insieme intorcolando 
le code , cioè ravvolgendo a annodando i filamenti delle code fra 
loro e cosi si forma una gambèta ; due gambete intorcolade insieme, 
cioè unite dall’un de’ capi almeno o da tutti e due, formano un 
broc : e tutto poi il lavoro di un giorno si unisce o lega in un 
ma^y che può constare magari di 30 o 40 broc. 

V interrogato, uomo di nessuno spirito e che non sa parlare, 
concluse che egli crede che ci sia una terza spigola con maggior 
numero di righe di ponte e questa per i siori, (signori, ricchi) ma 
egli non le ha mai vedute adoperare. 

(Raccolto dal Prof. Francesco Pellegrini). 


Canepino o petenacanevo vicentino (Thiene) che tiene bot- 


tega. 


Prima operazione . 


E 1 canevo grezo (greggio) ne vien da le basse a Thiene e 
spezialmente da Montagnana , Ferrara e Rovigo. E 1 riva ligà in 
una baia che i ghe dize anca cibpa. 


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2o8 archivio per le tradizioni popolari 

La prima operazion che se fà ze quelo de limbelarla, cioè a 
far tanti de lirnbei (manipoli). Cossita fazendo se divide el belo 
dal bruto, el forte dal marzo, el cativo dal bon. Le scorce (parte 
legnosa) bisogna cavarle e le serve a far soghe (corde). Fata sta 
semita (scelta), se tol una branca da la parte del pedon (ceppo) 
perchè el zè più tenero e se scominzia a trarla sù sul mocadon 
de la croze. Poi se lo passa sul concio , che Pè un ordegno fato 
de V albero de spine del Signor , o vero de carpano; e là Pomo sco- 
minzia prima a gratar coi dei el canevo gre^o e pò a scavezzare, 
a zoncare, a descategiare (sciogliere). Fazendo sta operazion vien 
zò la mocadura che no se la trà via, ma la se mete in mezo ale 
branche , lassando per de sora el tcjo (tiglio) più forte. Soto la 
croze resta el strame o zapegadura (rifiuto) e anca quela la è 
bona per far schiavine (coperte rozze da contadino ad uso di Schia- 
vonia). 

Seconda operazione. 

La seconda operazione zè quela che se fà con la chi già o 
pettena; per questo a sto ato se ghe dise chigiar. 

La zè composta di ste parte: Granfio, tolon de do file de ponte 
de fèro , del mocadore e deia posta, che la è quela che sostien la 
chigia e la è zirca un metro alta da tera. 

A V omo che lavora quà se ghe dise granfiadore sul grosso . 
La zè presso a poco una operazion che ghe somegia a quela che 
sul prinzipio se fà su la croze. 

Sto secondo artier dunque el và a torse per ordine che i ghe 
la passa, la prima branca soto la croze el se la porta in tei fèro 
grosso, el la trà sù da la parte dela z^ ma o vita e co (quando) vien 
fora el tegieto , bisogna che el lo moca sul mocadoro. Per farlo più 
ben mocà, se lo colpèda e a sta operazion se ghe dise colpedar. 

Chigiando (pettinando) vien fora el rnurèlo (tiglio) e stopazgolo 
(stopaccio); co se i à lavorà tuti do, se i piega uno su l’altro. 

Dal stopazgolo vien fora el I, II e III tegiolo e el terzo resta 
sempre in mezo ala branca e cossi unito se torna a lavorarlo su 
la chigia e a questo se ghe dise purgarlo. 


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3 


U FILATA O LA COLTIVAZIONE DEL CANAPE I09 

Chigiando se cava fora i giupèti e quel che resta ze stopa e 
sta stopa se la fi sù in puàtole (fasci) che pò i vende nele gran 
fabriche. Co le machine moderne i le lavora sù e i fi de quele 
tele che fi comparenza (comparsa) ma no le dura da Nadal a 
San Stefano e se resta mincionai. 

Terza operazione. 

La terza opcrazion vien fata su la pctena futa che la ha 
gnente manco che dodese ziri de poni e I tol una branca e lavo- 
rando i ghe cava el rmtrèhj (tiglio) e el pi lungo i lo cien sempre 
soto. Ale branca che vien fora i ghe dama i garzali. Sedese gar- 
zali fi un mazzo. 

Un peso o balia zè formi da sic mazzi o novanta garzoli. A 
sti garzali i ghe fi la piega perchè i Tazza comparsa c anca per 
questa bisogna aver la bela man (mano esatta). 

Co la slopa Z de pelena se fi una falda die i ghe vende ai ta- 
pezzieri e ale fabbriche perchè la zè Tultima stopa e la vien fora 
da la pctena fina. 

I ordegni del mistier per giustar (raccomodare) le pelate fine 
i è questi : 

Canile tre , lime tre , de mezz an de grosso e de fin y baliponle 
ire y el limador , due bocoli , quattro ganzi , ramondador da curar i 
peleni lime a sguba per regolarli de dò qualiti, tre pontarioi dife- 
renti, e pò ghe voi le segadure che se mete fra i fòri e el uiondin 
per la sonza . 

La pctena fina la i el scagnilo , el viocadore e i so bravi do- 
dese ziri de fonte. 

Angela Nardo Cibele. 


K 




Archivio perle tradizioni popolari — Voi. X. 


*7 


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NUOVO CONTRIBUTO 

ALLA BIBLIOGRAFIA PAREMIOLOGICA ITALIANA. 


lla Bibliografìa paremiologica italiana , che ricca di 408 
titoli pubblicai nei volumi V e VI di questo stesso 
Archivio (1886-87), il chiarissimo sig. Ignazio Bern- 
stein di Varsavia, fortunato possessore di una ricchissima biblio- 
teca paremiografica, mi ha mandato in due volte un manipolato 
interessante di aggiunte spigolate nella sua libreria. Mentre pub- 
blicamente lo ringrazio dell' atto gentile , pubblico qui appresso 
integralmente le aggiunte favoritemi, benché alcune di esse , se- 
condo le c Avvertente che pubblicai a pag. 317 e 318 ì\q\Y ^Archivio 
voi. V, avrebbero dovuto esserne escluse. Con questa occasione, 
dò in luce anche altre aggiunte e correzioni, venutemi a mano 
in questo frattempo, o favoritemi da cortesi amici, ed intanto ho 
portato innanzi la bibliografia sino a tutto il 1889. Cosi la in- 
tiera raccolta comprende 600 titoli. 

Milano, maggio 1S90. 

G. Fumagalli. 



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NUOVO CONTRIBUTO 


211 


I. 

Aggiunte Bemstein. 

1. Abecedario ad uso delle scuole lancastriane o di mutuo 
insegnamento in Sicilia, ovvero metodo facile e sicuro per istruire 
nella litteratura dei libri aggiuntovi dei racconti e massime mo- 
rali, uq sunto di storia sacra , alcune voci siciliane più comuni 
italianizzate e in fine delle regole di civiltà , dell' abaco , ed un 
trattato sui bisogni dell’uomo ec. Palermo, Ignazio Mauro, 1874, 
in-S°, pp. 168. 

2. Abecedario con una nuova raccolta di massime, proverbi 
e favolette morali ad uso dei fanciulli in Sicilia, riveduta e cor- 
redata con le massime regole di urbanità e massime per la con- 
dotta. Palermo, Vitt. Giliberti, 1887, in-8°, pp. 34, 2 nn. 

3. Alfabetto (L’) moderno nello quale con bellissimi proverbi 
si dimostra il viver d’ hoggi et una Frottolina di motti senten- 
dosi utilissimi et belli stampati di nuovo. S. 1 . e a., in-12 0 , carte 4. 

(Cat. Stirling 3). 

4. Almanacco del popolo Ticinese per l’anno 1887 pubbli- 
cato per cura della Società degli amici dell’Educazione Bellin- 

zona, Carlo Colombi. In- 8°. 

A pag. 108 contiene alcuni ‘Proverbi. 

5. Altieri (F.). Dizionario italiano ed inglese. A dictiouary 

italian and english, contaimng proverbs and familiar phrases. 

By F. Altieri. Second edition (2 voi.) London, printed for Wil- 
liam Yennys, MDCCXLIX, in-4 0 . 

6. Armonia con soavi accenti ecc. Milano, per Paolo Mon- 
tano, in- 12°, pp. 12 nn. 

(Vedi Arch., V, pag. 323, n. 15). 

7. Baizini (Ab. Gio. Battista). Origine del proverbio: va tutto 
alle Trebisonda. Sestine del prof. Ab. Gio Battista Baizini. Ber- 
gamo, dalla stamperia Mazzoleni, MDCCCXLII, a spese dell’Au- 
tore, in-8°. 




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212 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


8. Baldovini (Francesco). Chi la sorte ha nemica usi l'ingegno. 
Componimento drammatico di Francesco Baldovini, ora per la prima 
volta dato alla luce colla spiegazione di molte voci e proverbi 
Toscani. In Firenze, per Francesco Moiicke MDCCLXIII, (1763) 
in-8° pp. 4 nn. 212. 

Pp. 111-207: « Spiegazioni di molte voci, idiotismi e proverbi Toscani ». 

9. Bàmbagiuoli (Graziolo). Trattato delle volgari sentenze 
sopra le virtù morali. Modena, eredi Soliani, 1821. In-8° pp. XII-42. 

10. Barros (Alonso de). Proverbi morali del Signor Alonso 
de Barros tradotti in italiano dal Signor Alessandro Adimari. Col 
testo spagnuolo a riscontro , e con la tavola delle materie. In 
Milano, per Filippo Ghisolfi, 1649. I11-12 0 pp. 152. 

(Duplcssis, 493). 

Mi sembra che anche questo libro possa includersi in una bibliografia di 
proverbi italiani. 

ri. Beltrami (Giovan Pietro). Cento proverbi volgari Tren- 
tini parafrasati e ridotti alla lingua ed al genio maccaronico, Ita- 
liano e Latino, operetta inedita del sacerdote Roveretano G. P. B. 
Trento, G. B. Manuani (1870), in-8°, pp. 37. 

(Estratto dal Trintìno). 

12. Benàs (B. L.). On thè proverbs of European nations. 
A papcr read before thè literary and pbilosophical Society of 
Liverpool, March 18, 1878. In-8° pp. 44. 

Pp. 17-21 « Italia n proverbs ». 

13. Bland (Robert). Proverbs, chiefly taken from thè Ada- 
gia of Erasmus, with explanations and further illustrateci by cor- 
responding Exemples from thè Spanish, Italian, French & English 
languages. London, printed for T. Egertoa, 1814, voi. 2 in-8°, 
pp. XVII-139; 248. 

I proverbi italiani sono tradotti in inglese. 

14. Bolza (G. B.). Motti, precetti e proverbi latini colla 
versione italiana. I Centuria. Venezia, G. Antonelli, 1855, in-8°, 
pp. 30. Il Centuria , ivi 1856, pp. 31. 

15. Bondi (Clemente). Saggio di sentenze e proverbi, epi- 
grammi ed apologhi serii e scherzevoli. Milano , A. F. Stella e 
C.°, 18 17, in-8Vpp- 64. 


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NUOVO CONTRIBUTO 


213 

16. Borghi (Luigi Costantino). Altri proverbi e detti sapien- 
ziali latino-italiani. Venezia, tipogr. dell’ Istituto Coletti, 1886, 
in-8°, pp. 91. 

17. Buoni (Tomaso). Lettere argute del sig. Tomaso Buoni, 
Cittadino Lucchese.... Opera non meno ingeniosa che utile ad 
ogni stato di persone , piena di proverbi & sentenze morali per 

ammaestramento della vitta In Venetia, Marco Guarisco, MDCIII, 

in-12 0 , pp. 22-304. 

18. Buontempone (D. r ) [Pseudon.]. Evviva. Raccolta di brin- 
disi per tutte le occasioni, inviti a bere, apòstrofi al vino, no- 
velle, aneddoti, facezie, epigrammi, proverbi ec. ec. per tenere 
allegre le brigate. Trieste, tipogr. italiana, 1864, in-12 0 , pp. 128. 

Pp. 119-126 « Proverbi ». 

19. Caglià-Ferro (A.). I proverbi illustrati, tesoro di lingua 
e di popolare sapienza compilato dal Prof. A. Caglià-Ferro da 
Messina.... Messina, tip. delTAvenire, 1883, in-8°, pp. XVI-296. 

20. Cahier (P. Ch.). Quelques six mille proverbes et apho- 
rismes usuels empruntés à notre age et aux siècles derniers. Pa- 
ris, Julien, Lanier & C.°, 1856, iti-8°, pp. XIII-579. 

Pr. 17 5 -2 1 7 « proverbes italiens ». 

21. Castro (Gio. De). I proverbi sulla donna. — (Rivista nuova 
di Scienze, Lettere ed Arti 1881, fase. 4. Napoli, fratelli Cariuc- 
cio, 1881). 

22. Cats (Jacob) and Robert Farlie. Moral Emblems, with 
* Aphorismes, Adages and Proverbs of all ages and nations from 

Jacob Cats and Robert Farlie. Witli illustrations edited by 

Richard Pigot 3 edition. London , Lon^mans, Green, Reader 

and Dyer, 1865, in-4 0 , pp. XVI-242. 

Contiene anche dei proverbi italiani. 

23. Cecchi (G. M.) e Luigi Fiacchi. L’Assiuolo, commedia 
e saggio di proverbj per Giovati Maria Cecchi coll’aggiunta di 
uno studio sulle commedie delPAutore e di una lezione sui Pro- 
verbj Toscani per Luigi Fiacchi. Milano , G. Duelli e Comp., 
1863, in-8.°, pp. Vili- 145. 

Cfr. 4 rcb. t V, p f 338, n. 94. 


* % * 


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214 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPqÌARI 

24. Chwatal (A. R.). Proverbi e Sentenze raccolti e tra- 
dotti. Italienische Sprùche gesammelt und iibersetzt. Magdeburg, 
Faber’sche Buchdruckerei, 1887, hi-8°, pp. 79. 

25. Cornazano (Antonio). Proverbs in jests or thè tales of 
Cornazano (XV century). Litterally translated into English with 
thè Italian text. (Paris) Isidore Liseux, 1888, in-12 0 , pp. XXIII-216. 

26. Cornazano (Antonio). Les proverbes cn facéties d’ An- 
tonio Cornazano (XV e siede). Traduits pour la première fois, texte 
Italici! en regard. Paris, Isidore Liseux, 1884, in-8°, pp. XXI I-204. 

Èditioti à 200 exempl. 

27. Costo (Tomaso). Il Fvggilozio diuiso in otto giornate, 

ove da otto Gentilhvomini e due Donne si ragiona delle Malizie 
di femine, e trascuragli di mariti. Sciocchezze di diuersi. Detti 
arguti. Fatti piacevoli, e ridicoli. Maluagità punite. Inganni ma- 
rauigliosi. Detti notabili. Fatti notabili, & essemplari, con molte 
bellissime sentenze Con tre copiosissime Tavole delle sen- 

tenze già dette. In Venetia MDCV. Appresso gli Heredi di Do- 
menico Farri. In-12 0 . # 

(Duplessis, 412). 

28. Croce (Giulio Cesare). Selva di esperienza nelle quale 
si sentono mille c tanti Prouerbi , prouati , & esperimentati da 
nostri Antichi, tirati per via d’ Alfabeto da Giulio Cesare Croce. 
In Bologna, per Bartolomeo Cochi, 1618, in-12 0 , pp. 30. 

29. Dictionnaire d’Anecdotes, de Traits singuliers et caracte- 
ristiques, Historiettes, Bons-Mots, Naivetés, Saillies. Reparties in- 
genieuses etc. etc. Nouvelle édition augmentée. A Paris, La Combe, 
MDCCLXXX 1 I, voi.. 2, in-8°, pp. VIII-378; 406. 

Nel voi. 2® contiene : 'Proverbi italiens . 

30. Dizionario (II) di un Originale. Volume unico. Bologna, 
fratelli Foschini, MDCCCLXVl, in-i2 # , pp. 144. 

Pp. 87-113: Raccolta di proverbi d 1 ogni nazioni. 1 Provtrbi italiani 2 
Proverbi spagnuoli. 3 Proverbi inglesi. 4 Proverbi arabi. 5 Proverbi persiani. 
6 Proverbi Chinesi. 7 Proverbi indostani. 8 Proverbi orientali. 9 Proverbi 
turchi, io Proverbi tedeschi. 11 Proverbi danesi. 12 Proverbi maltesi. 1 3 Pro- 
verbi diversi. 14 Proverbi industriali. 15 Regole di condotta. 16 Proverbi russi. 
17 Massime diverse. — Pp. 114-116 : Novella in proverbi. , 


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S’t'oVo CONTRIBUTO 


ili 

31. Dbaxe (Thomas). Bibliotheca Scholastica instructissima, 
or a Treasury of ancient Adagies and sententious Proverbi, se- 
lected out of thè English, Greeke, Latine, French, Italian , and 
Spanish, ranked in alphabeticall order, and suited to one and thè 
same sense.... Tondini, 1654, in-8°, pp. 4-247. 

(Cat. Stirling 22). 

32. Duringsfeld (Ida). Dns Sprichwort als Prakrikus. Leipzig, 
Fries, 1863, in-8°. 

— Das Sprichwort als Philosoph. Leipizig, Fries, 1863, in-8°. 

— Pas Sprichwort als Humorìst. Leipzig, Fries, 1863, in-8 6 . 

I proverbi italiani sono tradotti in tedesco. 

33. Eioquent (The) Master of Languages, that is , a short 
but fundamental direction to thè four principal Languages , to 

wilt , French , English , Italie» , High Dutch to whiche are 

added thè Rodonlontades of thè invincible Spanish Captain Ro- 
domond. Harnburg 1693, p. 8. 

P P . 70-75: « Italian Proverbs 0. 

* (Cat. Stirling 26). 

34. Epigramniatum delectvs ex omnibus tum veteribus, tum 

recentioribus Poetis Cum breuioribus Sententijs seu Prouerbijs 

latinis, graecis, hispanis, italis — Parisiis, apud Carolum Savreux, 
CD. OC. LIX, in- 12°, pp. 58 nn. 590. 

Pp. 573 -590 « Sentcnces Italiennes ». 

33. Fabrìtii (AloySe Cynthio delli).- Le Couvent hospitalier. 
Conte tiré du livre : De l'origine des Proverbes d’Aloyse C. de 
gli Fabr. (XVI siècle). Littéralement traduit pour la première 
fois, text Italien en regard. Imprimé à 120 exempl. pour Isidore 
Liseux et ses amis. Paris 1885, petit in -8°, pp. XVIII-57. 

3 6. Facecies et Motz subtilz , d' aucuns excellens espritz et 
tres nobles seigneurs. En Francois , e: Italien. A Lyon, imprimé 
par Robert Granfox, Mil v. c lix (1559), in-12, ff. 6 4. 

Carte Ixi-lxiij : Motz subtilz (proverbi italiani) L’autore. Louvs 'Dòmini chi, 
si firma nella prefazione. 

37. Facetiae. Musarum deliciae, or thè Musus- Recreations 

(2 vols). London , John Camden Hotten. s.a., voi. 2 ( , in~8°, pp. 

XX-339; XXVII-530. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


il 6 

Band II, pp. 48 1 - > 2 5 ; « Outlandish Proverbs » e ve ne sono anche degli 
italiani. 

38. Fa per tutti o piccola strenna per l’anno 1870.... Arric- 
chita di una serie di Massime e Proverbi presi da buoni autori 
e di piacevoli varietà di Novelle, Epigrammi ed Aneddoti... Roma, 
fratelli Pallotta, in-12 0 , pp. 206. 

Pp. 126-154: Raccolta di proverbi Toscani. 

39. Feri (Michele). Nuovo metodo breve, curioso, e facile 
per imparare e perfezionare da se stesso la lingua francese. 
Terza edizione revista, corretta ed accresciuta dall' Autore. In Ve- 
nezia MDCCVIf appresso Luigi Pavvino, in-8°, pp. 365, 3 nn. 

Pp. 2,5*286 « Recueil de? proverbi» (/ ^ et I rancai*). 

40. Fieldixc; (Thomas). Sclect proverbs of all natipns: illu- 
strated with notes ami comments*... London, G. Berger, s.a., in-8°, 
pp. XVIII -2 16. 

1 proverbi italiani sono tradotti in inglese, 

41. Fior di Brezia. Almanacco cronistorico delle Calabrie e 

seconda strenna del Giornale II Calabrese diretto da Luigi Stocchi 

Anno XII. Castrovil'ari, tipogr. Calabrese 1880, in-8°, pp. 76. 

Pp- 7 2 ‘ 7 > : Saggio di proverbi popolari del dia’etto Calabrese tradotti 
semplicemente o parafrasati. 

42. Fior di Virtù (Nuovo) o sia Armonia con soavi accenti 
raccolta da diversi Autori. Nel quale si contiene per ordine d’Al- 
fabeto molti Proverbi, Sentenze, Motti, e Documenti morali. Ag- 
giuntovi di nuovo molti Ammaestramenti e detti de Sapientissimi 
filosofi. In Tonno, nella stamperia Masserano. Iti-12 0 , pp. 12. 

43. Florio (John) e Gio. Torriano. Vocabolario Inglese- 
Italiano : A Dictionary Italian and Hnglish first compiled by John 
Fiorio.. .. Whereunto is added a Dictionary English and Italian 

with several Proverbs by Gio: Torriano New reprinted 

London, Holt and Horton MDCLVIII, in folio. 

An Appendix of some few clioicc Italia» Proverbs with thè English to tliem. 

44. Frencia (Giuseppe). Espressioni naturali e famigliari cor- 

redate da altre metaforiche , o figurate con un’ aggiunta in fine 
di Proverbi e Detti arguti compilata dal prete Giuseppe 


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NUOVO CONTRIBUTO 217 

Frencia. Torino, fratelli Reycends e Ignazio Soffietti, 1792. In-8'*, 
pp. 416. 

45. FRANCfosiNi (Lorenzo). Vocabolario italiano e spagnuolo 
nuovamente dato in luce. Nel quale.... si dichiarano.... tutte le 
voci Toscane e Castigliane.... con le frasi ed alcuni proverbj, che 
in ambe le lingue giornalmente accorrono.... Venezia, nella stam- 
peria Buglioni, MDCCXXXV, voi. 2, in-8°. 

46. Fkies (M. M.) und Lavezzari. Franzòsische und Italie- 
nische Sprachubungen. Nebst einer Sammlung der gebràuchlichsten 
Wòrter in Klassen eingetheilt , Idiotismen , Sprichwòrtcr und 
sprichwòrtliche Redensarten. Erlangen , Ferdinand Enke, 1845. 
In-8°, pp. 198. 

Pp. 185-198: Proverbi ed Idiotismi. 

47. Galantuomo (II). Almanacco per l’anno 1874. Anno XXII. 
Strenna offerta agli associati alle letture catoliche. S. 1 . e a. 
In-12 0 , pp. 76. 

Pp. 67-68 : Proverbi. 

48. Gelli (Giovanni Battista). I Capricci del Bottajo di 
Giovan Battista Gelli , Accademico fiorentino. La Circe di Gio- 

van Battista Gelli (Firenze?) 1619. (2 voli) p. in-8°; voi. I, 

pp. IJ3, ff. 22 nn. «Tavola delle sentenze, proverbi, e detti più 
belli, che si retrovano ne’ Capricci del Bottaio » voi. II, pp. 224, 

ff. 14 nn. « Tavola delle sentenze che si retrovano nella 

Circe ». 

(Cat. Stirling 39). 

49. Generici per la maschera d' Arlecchino consistenti in 
motti, concetti amorosi, alfabeti, similitudini, sortite per la scena, 
dialoghi, brindisi , per il convitato ed altre lepidezze raccolti da 
diversi Comici che vestirono il detto Personaggio. Milano, Gae- 
tano Motta. In-16 0 , pp. 6 9. 

Non contiene proverbi di sorta, ad onta del titolo. 

50. Generici Brighelleschi consistenti in sortite di scena, di 
bravura, motti satirici, proverbi, sentenze, dialoghi, alfabeti estratti 
da varj comici autori, particolarmente dal rinomato Atanasio Zan- 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 28 


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2l8 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


noni per uso della comedia Italiana. In Milano , presso Pietro 
Agnelli, in- 12°, pp. 131. 

Anche in questa operetta non vi sono proverbi di sorti. 

51. Giovannetti (Abate). Raccolta di proverbi e frasi fran- 

cesi, unite alle loro corrispondenti italiane , con un piccolo trat- 
tato di Ortografia Opera utilissima Firenze 1810, in-8°, 

pp. 176. 

(Cat. Stirling 39). 

52. Gomicourt (Jacques Du Bois). Sentences et proverbes 
italicns tirés de plussieurs auteurs tant anciens que modemes et 
traduits en fran^ois pour 1’ utilité de ceux qui veulent apprendre 

Tune et Tautre Lingue Nouvelle édition revué, corrigée et 

augmentce. Lyon, chez Ant. Bouded, MDCCII, in-8°, pp. IV-199. 

53. Gosippus (Pascasius). Mercvrivs bilingvis hoc est, noua, 
facilisque ratio Latinae, vel Italicae linguae brcui temporis inter- 
uallo addiscendae. (Sta nel libro : Scipionis Lentvli grammatices 

Italicae praecepta.. Romac , apud Manelphum de Manelphis 

MDCXXVI, in-24”). 

Contiene molti proverbi italiani e latini sotto al titolo: «c Sementiamo! 
moralium » pp. 217-356. 

54. Grassow (A.). 5500 Sprichwòrter , sprichwòrtliche Re- 
densarten und dergleichen in deutscher , englischer und franzò- 

sischcr Spiache sowie gegen 100 schottischen , italienischen, 

spanischen Kassel, Verlag von F. Kegel, 1:879, in-8°, pp. 104. 

Senza valore. 

55. Haller (Joseph). Altspanische Sprichwòrter und sprich- 
wòrtliche Redensarten aus den Zeiten vor Cervantes vergi i- 

chen der sànimtlichen germanischen und romanischen Volker 

(2 voi.) Regensburg, G. I, Manz, 1883, gr. 8°, pp. XXXII-652, 
XVI-304. 

Con molti proverbi italiani. 11 voi, II contiene una Bibliografia dei Proverbi. 

56. Heckenauer (Johann). Paroemiae et Dialogi trilingues: oder 
Kurtze Vorstellung 1340 auserlesencr Spruchwòrter und beyge- 
fùgter Dreycn Gesprachen in Teutsch, Franzòsisch und Italienischer 
Sprache verfasset. Ulm , Georg Wilh. Ruhnen , 1700, in-12 0 , 
pp. 10-298. 

(Cat. Stirling 44), 


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MUOVO CONTRIBUTO 


219 


57. Hensel (I.). Collection polyglotte de proverbes. Spriich- 
wòrtliche Lebensregeln in fiinf Sprachen : deutsch, englisch, fran- 
zòsisch , italienisch , lateinisch. Berlin , Fr. Kortkampf, in-8°, 
pp. 2, fm. 48. 

58. Jagemann (Christian Joseph). Italienische Sprachlehre zum 
Gebrauche derer, welche die italiànische Sprache grundlich erlernen 

wolien Dritte vermehrte und verbesserte Auflage. Leipzig, Fr. 

Chr. Wilh. Vogel, 18 n, in-8°, pp. XVI- 552. 

Pp. 510-521 : « Proverbi e modi proverbiali ». 

59. IUustruzione di proverbi. (Pierpaolo. Anno XVII. Strenna 
per Fanno 1877, che contiene oltre molte altre bagattelle, una 
raccolta di fatti storici, aneddoti, favolette, moralità ecc. ecc. Mo- 
dena 1870, in-8°, pp. 7-167). 

L’ « Illustrazione di Proverbi » si trova a pp. 115-119. 

60. Kaden (Woldemar). Italienische Gyps-Figuren. Oldenburg, 
Schulze 1881, in-8°, pp. IV-454. 

Contiene alle pag. 153-168 gli stessi proverbi sul vestire e sulla bellezza 
che furono pubblicati nel Ba\ar di Berlino. (Cfr, Arci). VI, pag. 160, n. 378. 

61. Kastner (Georges). Parémiologie musicale de la langue 
fran^aise ou explication des proverbes , locutions proverbiales, 
mots figurés qui tirent leur origine de la musique accompagnée 
de recherches sur un grand nombre d’expressions de ménte gcnre 
empruntées aux langues étrangères...... Paris , G. Brandus et S. 

Dufour, in-4 0 , pp. XX-663-170 e da 66 5-682. 

Contiene molti proverbi italiani relativi alla musica. 

62. Kopisch (Agust). Agrumi. Volksthumliche Poesien aus 
alien Mundarten Italiens und seiner Inselli. Berlin, Gustav Crantz 
1837, in-8°, pp. 390, 1 nn. 

Pp. 281 : Spruchwòrter. (Aus Sardinien). 

6 3. Làstri (Marco). Proverbj pei contadini in quattro classi 
divisi, i quali servono di precetti per V Agricoltura. Libretto di- 
retto ai proprietarj delle terre perchè lo facciano circolare fra i 
loro Villici, e questi ne traggano utili cognizioni in aumento delle 
annuali raccolte. In Venezia MDCCXC, p. in-8°, pp. 30. 

Cfr. Arch.j V, pag. 483, n. 133. 


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220 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


64. Laudi Cortonesi del secolo XIII edite da Guido Mazzoni 
con un’ appendice : « I Proverbi di Gbezzo » di Carlo Appel. Bo- 
logna, Fava e Garagnani, 1890, in-8°, pp. 140. 

65. Lauri (M.). Maitre italien, ou nouvelle grammaire fran- 
ose et italien de Véneroni mise en methode pratique par M. 

Lauri Quatrième édition. Lyon, Paris, chez Perisse frères 1831, 

in-8°, pp. XII-560. 

Pp. 358-363 «Proverbi Italiani». 

66. Levasseur (M. Francis). Proverbes et expressions prover- 
biales des meilleurs auteurs latins avec une traduction et les pro- 
verbes fran$ais. correspondans, en regard du texte. A Paris, chez 
L’Huillier 1811, in-8°, pp. 133. 

Pp. 100- 109 « Proverbi ». 

67. Libro di Sentenze, testo inedito del buon secolo citato 
dagli Academici della Crusca nel loro Vocabolario. Faenza, Pietro 
Conti 1853, in-8°, pp. 32. 

68. Lippotopo (Di) e di Lazzaro Cacastecchi. Novellette con 
alcuni proverbi. In Venezia , co’ tipi di Lauro Merlo di G. B. 
(1869), in-8°, pp. 36. 

« Di questa edizioncella s’impressero IV esemplari in pergamena, Vili nu- 
merati in carta colorata, ed Vili pur numerati in carta grave velina 0. 

69. Logan (Walter Macgregor). Collection of Italian Proverbs 
with a literal translation into English, for thè use of those who 
are learning either language. London 1830, in-12 0 , pp. 71. 

(Cat. Stirlmg 55). 

70. Lunario per i Contadini della Toscana per l’anno 1783 

In Firenze, si vende da Antonio Buonaiuti, in-12 0 , pp. 136. 

P P . 128-129: Proverbi de’ contadini per regola di loro Arte. Cfr. Arch., 
V, pag. 483, n. 133. 

71. Makarow (N.). Modi di dire, proverbi e sentenze dei mi- 
gliori scrittori... (in russo). Pietroburgo 1878, in-8°, pp. 56. 

72. Malenotti (Ignazio). L’ Agricoltore istruito dal padron 

contadino e dai manuali del cultore di piantonaie, del vignaiolo 
e del pecoraio Colle, E. Pacini 1840, in-8°, pp. 199. 

Pp. 67-68 : Proverbi dei contadini. 


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FI' 


NUOVO CONTRIBUTO 


21 1 


73. Marinoni (Pietro). Sylva proverbiorum et sententiarum 
à Petro Marinono collecta prò Studiosae Juuentutis instructione. 
Bassani, MDCLXXXXIV (1694). Typis Io. Aatonii Remondini, 
in-16 0 , pp. 48. 

Contiene degli interessanti proverbi italiani e latini. 

74. Merbury (Charles). A brief discourse of Royal Monarchie, 

as of thè best common weale A Collection of Italian Pro- 

verbs Proverbi vulgari raccolti in diversi luoghi d’Italia, et 

la maggior parte dalle proprie bocche de gritaliani stessi il 

quale ne fa presente di così fatta sua industria à gl’amici, e pa- 
troni suoi honorati della lingua Italiana studiosi. London, Vau- 
trollier 1581, in-4 0 . 

(Cat. Stirling 60). 

75. Middlemore (James). Proverbs, Sayings and Comparisons 
in various languages , collected and arranged by James Middle- 
more. London, W m Isbister 1889, in-8°, pp. VI-458. 

Contiene molti proverbi italiani. 

76. Montlong. Esprit de la conversation en 14 langues ou 

3000 proverbes allemands, francate, anglais, italiens Quintes- 

senz der Konversation oder 3000 Sprichwòrter in 14 Sprachen 

Wien, Becks’ Buchh. 1862, in-8°, pp. 481. 

Senza valore. Ne uscirono soltanto due fascicoli. 

77. Mori (Leopoldo). Fede, Speranza e Carità ovvero Reli- 
gione morale ad uso delle scuole d’Italia e delle famiglie Se- 

conda edizione. Firenze, tipogr. Cenniniana 1871, in-8°. 

Le pagine sono incorniciate da proverbi, 

78. Nardo-Cibele (Angela). Zoologia popolare Veneta spe- 
cialmente Bellunese. Credenze, Leggende e Tradizioni varie. Pa- 
lermo, Pedone-Lauriel, MDCCCLXXXVII, in-8°, pp. XII-168. 

Vi sono sparsi molti proverbi. 

79. Nersciabouh (Mons. Teodoro). Biografia, invenzioni e 
proverbi di Mons. Teodoro Nersciabouh, Arciv. di Tarso e Adana. 
Roma, tipogr. sociale, 1884, in-8°, pp. 63. 

I proverbi non sono veramente popolari, ma pure sono interessanti. 

80. Nicolosi (Giovanni). Il primo libro. Letture graduate 


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222 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

ad uso della prima classe elementare compilata da Giovanni Ni- 
colosi.... (14* edizione). Catania, N. Giannotta, 1885, in-8°, pp. 
5 6 , 8 nn. 

Pp. 54-56 <r Proverbi ». 

81. Nipote (II) di Sesto Cajo Baccelli. Lunario popolare 
pel 1876. Firenze, Mariano Cecchi, in-12 0 , pp. 124. 

Pp. 104-119: « Alcuni proverbi dei contadini Toscani». (Del Lastri). 

82. Ogobbio (Carlo Gabrielli D’). Insalata mescolanza 

che contiene favole, essempi, facetie, e motti raccolti da diversi 
Autori et ridotti in ottava rima divisi in sette Centurie , con la 

Giunta et con alcune Rime in honore del principe d’ Urbino 

et principessa sua sposa. In Bracciano per Andrea Fei MDCXXI, 
in-4 0 , pp. 6, nn. 376. 

Contiene molti proverbi italiani. 

83. Oh che rid i proverbi Milancs. Novara, Enrico Crotti 
1843, in- 12°, pp. 31. 

Poesie in dialetto milanese, ove sono incastonati molti proverbi. 

84. Panigarola (F. Francesco). Specchio di Guerra. Milano 
appresso Girolamo Bordone & Fietromartire Locami, M.DC.IIII. 
4®, pp. 72, nn. 324. 

« Avvertimenti. » Proverbii pp. 1 56, 240 etc. 

85. Paravicino (Pietro). Choice Proverbs and Dialogues in 
Italian and English, also delightfull stories and apophthegms ta- 
ken out of famous Guicciardini. London 1666, in-8°, pp. 304. 

(Cat. Stirling 68). 

86. Pesenti (Amilcare). Ricerche intorno al motto prover- 
biale: Non è più tempo di Bartolomeo da Bergamo.... Bergamo, 
Gaffuri e Gatti, 1889, gr. in-8°, pp. 36. 

87. Petri (Rudolph Wilhelm Theodor). Das Landwirth’s 
Orakel. Die Bauernregeln der Vòlker Europa's, oder Regeln und 
Sprùche aus dem Wolksmunde ùber die Vorausbestimmung des 
Westers.... Breslau, Joh. Urban Kern 1866 8°, pp. XVI-116. 

Contiene anche proverbi ttaliani, tradotti in tedesco. 

88. Pianzola (Bernardino). Dizionario, Grammatiche e Dia- 
loghi per apprendere le. lingue Italiana, Greca-volgare e Turca e 



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NUOVO CONTRIBUTO 


223 


varie scienze. Il tutto disteso in 3 tomi in carattere franco. Ediz. 
seconda con moltiss. correzioni e aggiunte. In Padova a S. Fermo 
1789 da Gianantonio Conzatti. In-8° pp. 4*112; 48; 164. 

Voi. Ili, pp. 60-68: Proverbi politici, Proverbi morali. 

89. Pirrone-Giancontieri (Prof. F.). Raccolta di proverbi e 
modi di dire Tedeschi e Italiani. Palermo, Pedone Lauriel 1889. 
In-8 # , pp. 113, 1 per l’ «Indice.» 

90. Pitrè (G.). Perchè si dice: Dipenni chi quagghi passanu 
(Nell '^Archivio per lo studio delle Tradii pop., Ili, Palermo 1884).' 

91. Po (Un) di Tutto per tutti, ovvero mischianza di molte 
e varie cose dilettévoli ed istruttive. Strenna per l’anno 1861. 
Anno primo. Seconda edizione migliorata. Milano , E. Bcsozzi. 
In-12 0 , pp. 256. 

P P . 125-146: XII proverbi verificati. 

92. Poggiali. (V. Arch ., V, p. 206, n. 231). Altra edizione: 
Parma , per Giuseppe Paganino MDCCCXXX. In-8° p. pp. 2, 
nn. 112. 

9 $. Polidori (Gaetano). Moderna conversazipne in diciotto 
dialoghi su differenti soggetti. Con una scelta di proverbi e frasi 
proverbiali del medesimo autore. Londra, L. Nardini e A. Dulau 
& C°, 1802. In-8°, pp. V-V-89. 

Pp. 81-89: a Choix de proverbes et phr.ises provcrbiales de la Lingue ita- 
lienue ». 

94. Pott (M r Henry). The Promus of formularies and ele- 
gancies by Francis Bacon illustrateci by passages from Shake- 
speare.... With Preface by E. A. Abbott. London, Longmans, 
Green & C°. 1883. In-8°, pp. XIX-628. 

Contiene anche un gran numero di proverbi italiani. 

9j. Proverbi. (Fra le pp. 18 e 19 di: Mano bianca, Alma- 
naco umoristico-romano pel 1884. Roma, Cerroni e Solaro, 1883, 
in -12 0 , pp. 22). 

96. Proverbii (I) del Schiavo da Bari ad ammaestrare vno 
giovine. Con vn alfabetto esposto, & altri sonnetti morali, con 
vna bellissima laude , con vn capitolo di partenza molto bellis- 
simo, con vno testamento che fa Lamattòre (sic) nel partirsi, di 
nvovo stampati. S. 1 . c a. In-4 0 , ff. 4 nn. a 2 colonne, 



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224 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

97. Proverbi e Motti sentenziosi e belli di diversi Authori. 
Vtili a’ figliuoli, & ad ogni persona per imparare à ben vivere. 
Stampato in Fiorenza, per il Discepolo. In-12 0 , pp. 8 nn. 

98. Proverbi (I) ossia le Massime e Sentenze proverbiali e 
Giornale per Panno 1804-1808. Milano, Classici Italiani, 4 tomi 
in-8°. 

99. Proverbi siciliani sul mese di Aprile. (Giornale di Sicilia 
politico-letterario, 1889. N. 92). 

100. Proverbi Toscani (Nuova serie di) esposti in rima per 
ordine d’ alfabeto da un Codice della Capitolare Biblioteca. Ve- 
rona , Vicentini e Franchini , MDCCCLXVII , gr. in-8°, pp. 27 
piu 1 nn. (Per nozze Piatti-Dionisi). 

101. Proverbiai (The) and wise Sayings of thè English, 
Scotch, Italians and Spaniards. To which are subjoined thè Moral 
Maxims, Precepts aud Reflections of thè most illustrious of thè 
Ancient Philosophers. London, printed for thè Bookseller. In-i2°. 

1 Scots prov. pp. 45. 2 English prov. pp. 21. 3 Italian prov. pp. 38 
4. Spanish prov. pp. 30. 5 Wise Sayings t*tc. pp. 21. 

102. Raccolta (Nuova) di XXIV proverbi Toscani rappresen- 
tati in figure con altrettante illustrazioni morali nelle due lingue 
Italiana e Francese ed altrettanti motti poetici. Firenze, a spese 
di Pietro Celiai, Attilio Tofani, 1826. In-folio. 

Le tavole portano le firme: Brazzini, Marzocchi, Gaglier. 

103. Recueil de proverbes Francis et Italiens traduits dans 
les deux langues par A. d’H. Paris, Frédéric Henry. In-8°, pp. in. 

104. Recueil de proverbes Italiens. Frammento di un libro 
sconosciuto; dalle pp. 159 a 224. In-12. 

Cito questo frammento , perche* i prò verni in esso contenuti sembrano 
molto interessanti. La stampa sembra del principio di questo secolo. 

105. Ruffino-Landini (Elena). Fiori e spine. Proverbi illu- 
strati per fanciulli. Roma-Torino-Milano-Firenze , G. B. Paravia 
& Comp., 1886. In-8°, pp. 112. 

106. Sansovino (M. Francesco). Dichiaratione di tvtti Vo- 
caboli, Detti, Proverbii, e Lvoghi difficili, che nel presente libro 
si trovano. Con l'avtorità di Dante, del Villani, del Cento e d’ai- 


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NUOVO CONTRIBUTO 22J 

tri Antichi In Velietia , appresso Gabriel Giolito di Fcrrarii, 

MDXLVI. In-40, ff. 29 nn. 

Fa seguito all’edijione del Decamerone della stessa data. 

107. Sayings (Proverbiai) or a Collection of thè best English 
Proverbs by John Ray; Scots Proverbs by Allan Ratnsay; Italian 
Tròverbs by Orlando Pescetti ; Spanish Proverbs by Ferdinand 
Nunez; with thè wise sayings and maximcs of thè ancients. 1800. 
In-12 0 . 

« Itaiian Proverbs " pp. 38. 

(Cat. Stirling 74). 

108. Scaliggeri dalla Fratta (Camillo). [Adriano Banchie- 

ri], Trastvlli della villa distinti in sette giornate, doue si leggono 
in discorsi e ragionamenti Nouelle morali, Rime piaceuoli, Mot- 
teggi arguti, Proverbi significanti, Sentenze politiche, Esempi pra- 
ticati, Hiperboli fauolose, Paradossi faceti. Cari seguiti, Detti fi- 
losofici, viuace Proposte & accorte risposte In Bologna, per 

il Mascheroni, 1627. In-12 0 , pp. 423. 

(Duplessis 423). 

109. Scolari (Filippo). Leture filologiche di Marina.... Vene- 
zia, G. Gastei, 1844. In-8°, pp. XI-58, io nn. 

Pp. 24-55: « Lettera quarta: Proverbi ». 

no. Severini (Vincenzo). Raccolta di proverbi moranesi. Ca- 
strovillari, F. Patitucci, 1889. In-8°, pp. 79. 

ni. Smith (F.). Grammatica quadrilinguis, or brief instru- 
ctions for thè French, Italian, Spanish and English tongues, with 
thè Proverbs of each language fitted for those who desire to 
perfect themselves therein. London 1674, p. in-8°. 

Pp. 123-132: « Italian Proverbs ». 

(Cat. Stirliug 89). 

1 12. Sorio (Bartolomeo). Proverbi morali. Manuale di pru- 
denza pratica. Cantico di fra Jacopone da Todi, corretto ed il- 
lustrato dal P. Bartolomeo Sorio.... di Verona. 

(Estratto dal T. Vili degli Opuscoli religiosi....) 8°, pp. 39. 

1 1 3. Spinàzzola (O.). Grammatica limbei Italiane. Bucuresci, 
Lui Stephan Rassidescu 1862. In-8°, pp. 563-90, 5 nn. 

Pp. 89-90 « Appendice : Proverbi italiani », 
tArchivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 29 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


114. Sprichwòrter (Sardinische) ecc. (V. Arch ., VI, p. 537, 
n. 401. 

L’ autore è Nicolaus Dellius. . • 

115. Stella (La) del Po. Strenna italiana per l’anno 1864, 
1865, 1866. Torino e Bologna. In-12 0 , (3 voi.). 

1864: pp. 71: Proverbi italiani. 9S: Proverbi bestiali. 1866: 89: Proverbi. 

1 1 6. (Stirling-Maxwell [William]). An essay towards a 
collection of books relating to Proverbs, Eniblems, Apophthegms, 

Epitaphs and Ana London, privately printed (only in 75 co- 

pies) MDCCCLX. In-8', pp. VI-244. 

Bibliografia pregevole, die continue anche molte opere italiane. 

117. Strenna dell’Orfano , 1877. Como, R. Longatti, 1877. 
In-8°, pp. 108. 

Pp. 7 1-82: Una manata di proverbi Lombardi. 

118. Torriano (Gio.). The Italian Reviv’ d, or thè Intro- 
duction to thè Italian Tongue, containing.... London 1673. Me- 
scolanza dolce di varie Historiette, Motti e Burle,... Londra 1673, 
(2 voi.) in-8 e . 

« An Appendix of some few choice Italian Proverbs .... » pp. 147-160. 

119. Tuningius (Gerardus). Apophthegmata Graeca, Latina, 
Italica, Gallica, Hispanica, collecta à Gerardo Tvningio Leidensi, 
I. C. Ex Officina Plantiniana Raphalengii CI3.I3.CIX. In- 8°. 

« Apophthegmata Italica » pp. 4, nn. 136. 

120. Ungarelli (Gaspare). I proverbi bolognesi sulla donna 
raccolti ed illustrati. Bologna, tip. Fava e Garagnani 1890. In-8°, 
pp. 43. 

i2r. Varrini (Giulio). Scuola del Volgo, cioè scelta de’ più 
leggiadri e spirituosi Detti , Aforismi , e Proverbi tolti da varie 
lingue In questa seconda edizione corretta , migliorata & ac- 

cresciuta. In Verona, per Francesco Rossi 1642. In-16 0 , pp. 12 
nn., 287. 

È un’altra edizione (rara) della : Scielta di proverbi dello stesso autore. 

122. Vezù (Antonio). Scielta di Nomi, Verbi, Avverbij, Pro- 
verbij et alcvne altre poche cose; cauata dall’Opere del M. Reu. 
D. Pietro Marinoni Da me D. Antonio Vezù, e con qualche 


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Movo CONTRIBUTO 227 

aggiunta, & alteratone aggiustata all' vso della mia Scuola. In 
Bassano, per Gio: Antonio Remondini, in-8°, pp. 193, 3 nn. 

Pp. 81-139: Proverbi sneri — Proverbi Ìlistorici — Proverbi poetici. 

123. Vidali (Alessandro). Scelta Politica, in evi si conten- 
gono Annotationi , Proverbii et Sentenze , estratte da varii filo- 
sofi , & altri graui Autori. Per Alessandro Vidali, Maestro di 
Corrieri della Maestà Christianissima in Venetia. Con Privilegio. 
In Venetia, M.DC.XIII. Appresso Tomaso Boato. In-i2 a , carte 7 
nn., 59 7 nn. 

124. Vjtalini (Carlo), di Salv. L’Educatore di sè stesso ossia 
norme d'istruzione e di condotta per ogni classe di persone con 
accurata raccolta di oltre a duecento proverbi , sentenze c detti 
diversi.... Milano, Guglielmini, 1869. In-8°, pp. 2 nn., 120. 

125. Vocabolario Bresciano e Toscano..,. Vocaboli, modi di 
dire e proverbi Toscani a quella corrispondenti. In Brescia, per 
Pietro Pianta, MDCCLIX. In-8°, pp. xlix-600. 

126. Vocabolario Jtaliano e Latino diviso in due tomi, nei 
quali si contengono le frasi più eleganti, e difficili, i modi di 
dire, proverbj ec. dell'ima e dell’altra lingua.... Roma, a spese di 
Niccola Roisecco, MDCCLXIII, 2 voi. in-4 0 . 

127. Wahl (M. C.). Das Sprichwort der hebràisch-aramài- 
schen Literatur mit besonderer Berucksichtigung des Sprichwortes 
der neucrn Umgangsspraclien.... Erstes Buch. Leipzig, Oskar Lei- 
ner, 1871. In-4 0 , pp. IV-181. 

Non è uscito nitro. Contiene molti raffronti con proverbi italiani. 

128. Wahl (M. C.). Das Sprichwort der neuern Sprachen. 
Ein vergleichend phraseologischer Beitrag zur dentschen Literatur. 
Erfurt, Keyser, 1877. In-8°, pp. 2 nn., 86. 

Contiene molti proverbi italiani. Cfr. Arch., VI, p. 40, n. 325. 

129. Zannoni (Atanasio). Raccolta di motti brighelleschi ar- 
guti, allegorici e satirici di Atanasio Zannoni comico , ricorretti 

ed aumentati da Alfonso Zannoni suo figlio. Ediz. accurata 

Torino, fratelli Reycends e Comp. 1807, in-8°, pp. 252. 

Pp. 92, 144 e anche altrove : « Proverbi. » 

{Continua). 


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LA ONNIPOTENZA DEI PROVERBJ 

DIMOSTRATA DA UNA NOVELLETTA POPOLARE SICILIANA. 


a vota, si cunta e s'nrriccunta ca cc’ era un Re putenti, 
ma putenti assai, e si chiamava. Re di Fran/.a. Stu Re 
avia li gran regni, avia ricchizzi ca nun cc* era fini, 
avia surdati quantu la rina di lu mari, avia palazzi e cavalli, in- 
summa, chiddu chi vulia avia, e mancu grapia la vucca ca tuttu 
era a sò cumannu. Cu tutti sti cosi. Re di Franza era sempri 
nialinconicu, e carni nun nni lijava Giunta di Medici, Dicinu: 
— Maista, vossa’ viaggia 2 ; forsi ca viaggiatimi la malincunia cci 
passa. — 

Accussi fici. Viaggia di ccà, viaggia di ddà, avia giratu tutti 
li stati so’ c tanti autri di fora Regnu, ma la malincunia, ’uveci 
di passaricci, annavanzava. Chi rimèddiu cc’era ? Re di Franza si 
dipirdia di jornu in jornu, e picca mancava ca si cugghi'a li pezzi 8 . 

A stu puntu iddu penza e dici: — Eu staju murennu: ’nca 4 
coni’ ò ca tanti e tanti campami filici e cuntenti , macari si cci 
manca tuttu, ed eu, ca nun mi manca nenti, moru di malincunia? 
Jamu! videmu comu va sta cosa! — E ddocu nesci sulu di lu 

1 Non metteva mai carne. 

2 Vossignoria faccia viaggi. 

3 Che sarebbe morto. 

4 Dunque. 



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La onnipotenza dei proVerbj 229 

palazzu, cu li robbi stracananti e ’na varva fìntizza pri nun si 
fari canusciri, e metti a girari pri l’universu munnu. 

Cantina, camina , e lu primu chi scontra un Fumiraru *, cu 
li zimmili supra lu barduineddu chini di fumeri 2 , e iddu misu 
appressu chi sunava allegru lu mariolu 3 . Dici Re di Franza (ma 
nun è ca si vidia ca era lu Re) : — A tia, Fumirareddu, e com’è 
ca ti spèrcia 4 di cantari, nudu e lordu comu si*, e mortu di la 
fami, cu stu friddu e acqua chi fa, e tu a ’rricògghiri fumeri e 
fangu fitusu? E sparti mi soni lu nlariolu! 

— Oh, sinti’ ! (dici lu Fumiraru) : 'nca chi vuliti chi chiànciu? 
Chistu lu ’mpeu miu è 5 : quami’ haju fattu li me’ carrichicchi di 
fumeri, mi veni la jurnatedda ; mi manciù lu me’ panuzzu e mi 
va finu all’ugnu di lu pedi 6 7 , e perciò sonu e cantu. Nun lu sa- 
piti lu muttu chi si dici? Ognuna godi a lu slatti chi è! — 

Re di Franza tistiau \ e si misi arreri 'n caminu. Camina, 
camina, e scontra un Puvureddu ch’addimannava la limosina : — 
Oh, mischineddu! (dici): e chi vita è chista, di stintari un vuc*- 
cuni di pani addimannannulu di ccà e di ddà, disprizzatu, ca lu 
celu vi jittau e la terra v’arriparau? E coni’ è ca nun vi jittati a 
mari pri depilazioni? 

Arrispunni: — Eh, cumpari, chi vuliti chi fazzu ? Diu mi desi 
sta sorti, ed eu mi Phaju a pigghiari : nun lu sapiti vui chi dici 
lu muttu di Tantichi? 

Ogni orna àvi a pur tari la sò cruci : 

Bisogna chi la porla in santa paci . — 

Re di Franza pnrtiu tistiannu cchiù di prima. A pocu caminu 
vidi ’na chidda 8 di Surdati chi turnavanu di la guerra : vrazza 
rutti, ^sti Sfasciati, panzi spirtusati, e li purtavanu supra li car- 

4 Letamajolo, raccogliior di fimo. 

* Con le bargelle sull’asinelio ricolme di fimo. 

3 Lo scacciapensieri. 

4 Com* è chi ti dà l’animo. 

5 Quest’ è il mio mestiere. 

6 Mi fa molto prò. 

7 Scosse il capo. 

8 Una quantità. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


rittuna a mala minnitta \ ca facianu veniri piatà macari a li petri. 
Accosta, e cci dici: — Oh chi mala arti faciti ! Cu quali cori pu- 
titi purtari sta muntura 2 , ca pr* un bajoccu e un tozzu di pani 
duru cci appizzati la vita e la saluti ? Va spugghiàtivi , e faciti 
macari lu porcu , ma no lu Surdatu. Com’ è ca la jiti circannu 
st’arti, e cci stati cuntenti, e cci turnati ? — Arrispunneru li Sur- 
dati: — Eh, chi si cci pò fari ? Ognunu cu l’arti sua, e la nostra 
è chista. Quattri' è paci , si godi ; quanti è guerra , si mori ! dici lu 
muttu anticu; e dici puranchi: Lu bon Surdatu si vidi a la guerra! 
E chistu è lu mutivu ca nui cci jemu vulinteri e cuntenti, e po’, 
si arristamu vivi, cci turnamu arre*. — 

Re di Franza allucclu'a 3 , ma nun era pirsuasu. Cantina, ca- 
ntina, cci vinni a scurari ’nta li pedi , mentri juncia ad un Ca- 
sali. Tuppulia a 'na casa: — Vuliti duri risettu a un poviru pii- 
lirinu, pri stasira sula ? — 

— Trasiti, trasiti ! — arrispunni lu Burgisi; (cà chidda, casa 
di Burgisi era). Cci ha fattu festa granili, a lu pillirinu (senza sa- 
piri cu* era), cci detti a manciari, cci fici cunzari un billissimu 
lettu; ’nsumma cci fici di li tanti affabilità, comu li fannu l’omini 
dabbeni a li pillirini, e lu fici di vertiri assai cuntannucci fattareddi 
di rìdiri. Re di Franza, di tuttu lu lari di lu Burgisi , capiu ca 
chidda era la casa di la vera filicità : ma nun si putia capacitari 
com’è ca dd’omu putia essiri felici quannu ch’avia ’na mugghieri 
laida quantu ’na botta di cuteddu , jimmuruta, 1’ occhi torti , chi 
cci fitia la lena 4 , e pri di cchiu chi arrusicava sempri purmuni fi , 
pirchi nudda cosa cci paria bona di zoccu facia sò maritu. Re di 
Franza nun la potti teniri cchiù, e prima di jirisinni, comu àppi 
un mumentu a sulu a lu Burgisi, cci dissi: — Scusati, su’ Mattai, 
(ca accussi si chiamava), nun vi Tati a pigghiari pr offisa : ma 
vui, tantu bonu, comu putiti stari cuntentu e cujetu, cu stu dia- 

4 Senza nessun riguardo. 

* Questa divisa. 

8 Stupiva. 

4 Con l’alito puzzolente. 

& Che borbottava sempre. 


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LA ONNIPOTENZA DEI PROVERBJ 2) l 

vulu pintu di mugghieri, chi l’aviti sempri di supra? Cc’è di ne- 
sciri foddi ! — 

Rispunni lu Burgisi : — Ragiuni aviti!. Ma li matrimonia su' 
muluna chiusi. Nn’ ammattiu accussì? Lassamu fari a Diu! Ora 
mugghieri m’ è; e lu muttu dici : 

O bona , o Unta la mugghieri sia , 

Bisogna chi si legna in cumpagnia. — 

Re di Franza pirtiu, cchiù stuputu chi mai. Passa di ’na via 
strina, vicinu a ’na purtedda *, e vidi ’na gran cunfusioni; genti 
chi fuijanu, fimmini chi chiancianu, carretti a gamm’all' ariu, robbi 

sciaminati a ddi rui rui 1 2 3 — Chi cc’è? — dumanna ad unu chi 

curria coni’ un surruscu 8 , cu Tocchi scasati: — CITavistivu? Chi 
successi ? — 

Risposta: — Fuijti, frati meu, sgriddati! A la purtedda hannu 
arrubbatu e li dunanu di la megghiu manera! — e sècuta a curriri. 

Re di Franza vota facci e ’mpannedda 4 5 iddu puru; ma darre, 
d’iddu cc'era un vecchiu, chi s’avi.i ’ntisu lu discursu, e chistu lu 
traneni e cci dici: — Cumpa', nun scappati, nun aviti paura. Si- 
cutamu la nostra via, cà Tarrubatina è fatta, e nisciunu nni mulesta. 

— Comu! (dici Re di Franza), si dunanu chiddi di T ursu ! 
E vui vuliti passari! 

— Gnursi cumpa’, eu vi dicu: passatimi; cà chista è certa, e 
pruvata, e cc’è lu muttu anticu chi lu dici: Passa arrubbatu, pàs- 
sacci sicuru . — E sfilau avanti, e passau, senza sdisàggiu, ca li latri 
a la purtedda nun c’eranu cchiù. E Re di Franza vitti ca chiddu 
avia ragiuni, e passau iddu puru. 

Caminavanu ’nsèmmula. Doppu un pezzu, cci ammanimi dui 
chi s’azzuffavanu, cu li cutedda a li manu chi si stavatiu scannannu. 
— Mittemu paci, — dici lu vecchiu. — E comu? (arrispunni Re 

1 Valico fra’ monti , in cui solitamente i ladri tengon la posta per sva- 
ligiare i viandanti. 

* Per tutta la strada. 

3 Coni’ un lampo. 

• 4 Scappa a corsa. 

5 Si imbattono in due. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


di Franza): chi vi vuliti pigghiari qualchi mala botta vui? — Las- 
sati fari a mia, cumpa’, ca ora raggiusto eu; si li lassarmi, dannu 
succedi! — Comu di fattu lu vecchiu ’ncugnau nni li dui chi si 
sciarriavanu, e adàciu adàciu, cu boni maneri , tautu fici e dissi, 
ca li spartiu; si sarvaru li cutedda, po 1 s'abbrazzaru e si nni jeru 
’n santa paci. Dumanna Re di Franza: — E comu putistivu fari 
a vinciri a ssi dui canazzi arraggiati? — Cosa di nenti , cumpa’, 
(arrispunni lu vecchiu): cu boni palori tutti cosi si ponnu aggiu- 
stari; li cchiù granni mi ’nsignaru lu muttu chi dici: Bona palora 
boti loca trova ; e si dici puru : Bona palora tutti cosi accanaci ; e: 
Bona palora con^a lu mola fatta; ed eu cu boni palori appaciai a 
chisti dui chi si stavanu scannannu senza misiricordia. — 

Re di Franza nun dissi nenti e sicutaru la via; ma dintra as- 
suppava *. Arrivanu ad un Paisi , e vidinu ’nta la chiazza ’na 
gran quantità d’aggenti chi s’ affuddavanu e gridavanu e ridianu 
e facianu la vera ’ucciria 2 . Curiusi, ’ncugnanu iddi puru , e vi- 
dinu a un Galantomu, chi avia fallutu, misu (cu rispettu parrannu) 
cu iu culu nudu supra la balata 8 ; e li purcarii chi cci dicianu, 
tutti chiddi ch’eranu ddà, nun si ponnu cridiri. Ddu Galantomu 
facia propia piati ; e quannu lu livaru di ddà supra e la genti 
si nni jìu, iddu puru pigghiau ’na strata pri jirisinni a la sò casa. 
Re di Franza, curiusu, si cci misi d’appressu e dicia ’ntra d’iddu : 
— Ora è certu ca chistu, doppu di sta sorta di vrigogna , si va 
a ’mpica! — Ma comu chi chiddu junci a la casa, vidi casi metti 
a discurriri cu la mugghieri e cu li vicini , friscu comu li rosi; 

1 Dentro di sè, rifletteva, pigliava esperienza. 

2 Un vero baccano. ’ Ucci ria o Vucciria è il pubblico mercato. 

3 È troppa nota la pubblica medievale vergogna , del far dare il culo in 
sul lastrone ai falliti, perchè io mi ci fermi. Per quanto riguarda la usanza in 
Sicilia , si consulti quel che io ne scrissi nel « Giornale degli Eruditi e Cu- 
riosi o di Padova fanno li, 1883, voi. Ili, n. 41, pag. 29), e poi nello «Ar- 
chivio per lo studio delle tradizioni popolari 0 di Palermo (voi. V, 1886, pa- 
gina 462) a proposito dello scritto di A. Flandina: Il miserrimo rifugio della 
cessione dei beni , notizie raccolte ecc. (Palermo, 1885). E si consulti pure: Vinc. 
Di Giovanni: Il Lastrone ( balata ) dei debitori in Salaparuta nel , ne 
ci\ « Archivio * (voi. IV, 1885, pag. 285-287). 


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La onnipotenza dei proverbj 233 

anzi, cchiù di cchiù, sgrizzava 1 supra di li palurazzi chi cci avianu 
dittu ’mmenzu la chiazza. Ddocu Re di Franza niin si poni teniri, 
e cci dissi : — E comu cci spèrcia, a vossia , doppu tuttu chistu 
chi cci ha stata, di stari accussì ’ndiffirenti e macari rìdiri ? — 
Risposta di lu Galantomu : — Ragiuni aviti, cumpari; e lu sa cc y eu 
si lu cori mi chianci, doppu eh' àju persu tutti li me' gratini ric- 
chizzi ch’avia, e li fèura 2 e tutti cosi, e doppu sta sorta di vi- 
gogna ’nta la chiazza: ma chi vuliti chi fazzu? La vita chi nni 
detti Diu, nun nni la putemu livari : dunca campari avemu. Ora, 
duvennu stari ’nta li guai di stu munnu, pirchi cc’ hé stari chian- 
cennu? Dici lu muttu anticu : Centanni di maìancunia nun poma 
paguri un gratta di delta 8 . La caduta cci fu, e nun cc'ò rimèddiu: 
dunca fazzu comu dici lu muttu, ca nun fallisci mai , e staju di 
bon armu pri st'autri quattru jorna chi Diu mi ’mpresta. — 

Re di Franza a stu putitu arristau cunfusu cchiù di prima; 
ma lu muttu di lu Galantomu cci grapiu la menti a lu 'stanti, e 
dissi : — Quant’ iju statu loccu ! 4 A mia nenti mi manca, e staju 
murennu di maìancunia: e tuttu lu munnu, cu tutti li miserii e pa- 
timenti, sciala, godi filici, e si cunsola ricurrennu a lu muttu di 
Lamichi, e stu muttu Lavi sempri pri norma di la sò vita. E ad- 
dunca, si lu muttu pò tuttu, nun è megghiu ca eu mi nni tornii 
nni lu me' Regnu, e ddà, facennu eu puru comu dici lu muttu, 
mi godu la paci e la filicità eu puru? — 

E accussì fici. Pri putilli assiquiri , si fici ’nsignari tutti li 
mutti di Lamichi, e poi, supra di lu sò Palazzu cci fici seri viri : 
« Muttu pò tuttu . » E di ddocu nni vinni ca ora si dici: Muttu pò 
tuttu, dissi Re di Franca. 

Iddu arristau filici e cuntenti, 

E nui ccà nni munnanii) li denti. 


1 Scherzava. 

* Feudi. 

3 Debito. 

4 Come sono stato sciocco ! 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


• ANNOTAZIONE. 

Questa novelletta raccolsi in Borgetto (Prov. di Palermo) dalla bocca del 
villico Giuseppe Valenza inteso Cucco. 

Migliore illustrazione e comento pratico di essa non poteva trovare il po- 
polo per dimostrare l’eccellenza del Proverbio, del suo piccolo Evangelo (come 
lo chiama) che gli serve di guida e norma in tutto e per tutto nella vita. Dice 
in fatto di esso queste altre belle sentenze: Lu Multa antica carreggila vita; 
— Lu Multa è tutlu; — Multa pò tutta , dissi Re di Fratina. Questo « Re di 
Franza », citato come autorità, è uno de’ soliti Re immaginari dalle tradizioni 
del popolo: esso è precisamente quello che figura da protagonista nella no- 
velletta, alla quale il Proverbio si richiama. Anche una canzona popolare sen- 
tenziosa (inedita al pari che i tre Proverbj or citati) registra questo Proverbio 
cementandolo egregiamente in bei versi. Eccola qui : 

Lu Muttu anticu duna spirienza, 
iddu la porta la vera istanza; 

1’dniu chi sapi. chi vidi, chi penzj, 
cerca lu Muttu ad ogni circustanza. 

Lu Muttu, è strati a la bona cuscenz.t, 
cu’ pigghit di li Mutti, issa' no* accanai; 
lu Muttu è scola di la sapieuzi, 

Muttu pò tuttu, dissi Re di Franza. 

( B r getto). 

S. Salomone-Marino. 




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FIABE POPOLARI DALMATE \ 


V. — Fiaba dela Menega rabiosa. 


he iera 'na volta una madre con dò fie, una bona e 
’na cativa. Un giorno sta madre ghe fa ala fia bona : 
Senti! va dala siora Menega rabiosa che la te impresta 
la farsora per frizer le fritole perchè ogi xe la tua sagra ». La siora 
Menega iera una veda con tanto de sbessola, con tanto de napa 
da tabacona, che se rabiava sempre coi putei cativi , e guai per 
lori se i ghe diseve rabiosa, perchè la iera un poco striga, ma 
a tuti i boni putei la ghe voleva un ben de vita. Co’ la gà visto 
venir sta putela cussi de sesto, la ghe dise: « Mi t’imprestarò vo- 
lentieri la farsora, ma prima vien qua da mi che te vojo donar 
qualchecossa ». La la mena in t’una camara piena de vestiti disen- 
doghc che la toga quelo che la voi, e sta putela gà tolto l'abito 
più bruto: — « Questo po’ no », ziga la siora Menega ale bone 
putele ghe va questo e la toca co la bacheta magica ’l vestito 
che xe deventà tuto de oro, coverto de zoje , che sluseva come 
un sol, e la ghe mete adosso sto vestito e la la conduse in una 
camara , dove ghe iera tanti capei e de novo la ghe dise a la 
picola di torse un capelo; anca sta volta la gà tolto el più strazzon 


1 Cominyjuione, Vedi p, 82, 





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23 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

e la Menega de novo ga dito: ale bone putele ghe vien un bel 
capelo , e tonandolo cola bacheta magica '1 capelo xe deventà 
’na corona da regina, la ghe mete in testa la corona e la la mete 
sora un bel cavalo bianco e la manda a casa sua co una borsa 
de bezzi che più che se cavava più ghe ne sortiva e la ghe dise : 

— « Senti, quando ti sentirà rajar l’aseno no te voltar indrio, ma 
co’ :i senti ’1 gaio che canta voltite. » La picola dopo aver tanto 
ringrazià la siora Menega la xe andada a casa , e per strada un 
mondo de gente ghe coreva adrio per veder sta belezza. Per strada 
la sente rajar l’aseno ma no la se volta indrio, e la tira avanti, 
co’ la sente cantar el gaio la se volta, e in mezzo la fronte ghe 
capita ’na stela de oro, e la meraveja de la gente eresse sempre 
più e la stessa madre no la conosseva sua fia , figureve la con- 
solazion de sta dona co' la ga savudo che sta regina iera la sua 
picola. Ma se tuti iera contenti, no lo iera miga quela cativa so- 
rda che crepava da l’invidia e la ciapa su e anca eia più che de 
pressa la va dala siora Menega pregandola che la ghe daga anca 
a eia qualche regalo. La Menega tuta rabiosa la ghe domanda: 

— « Cossa ti xe venù a far da mi bona Zoja, ti voressi anca ti 
quel che g’avù tua sorda ». Prima la la conduse ne la camara dei 
vestiti e la ghe dise, de tor uno e sta putela se tòl subito el più 
belo, ma la siora Menega ghe fa: questo po’ no che le cative pu- 
tele no merita sta bela roba e per forza la ghe mete adesso un 
vestito strazzon, tuto taconado e sporco, e po’ nela camara dei 
capei el capelo più strazzon che ghe iera, e la la monta sora un 
aseno tegnoso pien de piaghe e la la scazza via col dirghe : — 
« Guarda ben che co’ ti senti rajar l'aseno ti te devi voltar indrio, 
e la gà dà ’na scuriada a l’aseno, perchè l’andass: via. » Per strada 
se sonava la gente e i berechini burlava sta povera diavola. Co’ 
xe su ’l più belo l’aseno fa io-io, e la fia cativa se volta indrio 
e ghe vien in mezzo de la fronte tanto de eoa d’aseno e la se 
mete a pianzer e a tirea sta eoa e a zigar: 

— «Siora mare don, don 
la eoa de l’aseno a pindolon. » 

Cussi bela la torna dala madre e sta povera dona manda 


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V 


FIABE POPOLARI DALMATE 237 

subito a damar un dotor per tajar la eoa a la fia; ma più che i 
la tajava più la ghe cresseva, finché la cativa putela xe morta da 
la rabia. De la fia bona s’à inamorà el fio (Turi re, che un giorno 
passando per de là Tà vista che la iera cussi bela, e Pà volsuda 
sposar, e i gà fato a le nozze, ciamando anca la siora Menega, 
e i ga vivesto in pase e alegria , conteme la vostra che la mia 
xe finia. 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Cfr. Schneller, Marchiti u. Sagen aus IVàlschlirol, n.° VII, molto più sem- 
plice e meno interessante della nostra versione e n.° Vili con notevoli diffe- 
renze.— Cfr. Bernoni, Fiabe pop. vene^. n.° XIX: La putela dà quatt o oci nella 
séccnda parte coi particolari della scelta di oggetti in parte differenti dai nostri 
c col particolare della stella d'oro e di qualchecosa di peggio d una coda d’asino 
che spunta sulla fronte della fanciulla cattiva; Corazzini, Le Fate , con tutti gli 
episodi della nostra lezione; Pitrè, Saggio, etc. la Mamtnadraa , n.° VII nella 
seconda metà: in Toscana: la Bella e la Brutta della e N J ov. fior.] il Luccio e la 
Bella Caterina della stessa raccolta. Per le differenti sorti di due ragazze : Gon- 
zenbach, Sicil. Mar cheti, n.° XXXIV: Von Quaddaruni und scine Schwester. I- 
noltre Finamore, Lu Cinerei le, XLVH 1 TsLov. pop. altrui^.; Comparetti, 'bLov. 
pop. ital. il Cestello ; Nerucci, Sess. noi', moni. n.“ V; Pitrè, Novelle pop. toscane , 
n. Vili con altre clue versioni toscane; e un’altra variante riassunta dal De 
Gubernatis, Zoological Mytology II, 62; De Nino, Fiabe abrasesi, n. XVII I : 
Lu cuscinelle. Cfr. ancora il Cuntu di li musceddi delle Fiabe e cannoni popo- 
lari dii contado di Maglie di P. Pellizzari, p. 37 ; la versione bolognese : La 
foia dèi sda% , 11. IX della raccolta della Coronedi-Berti ; I Cinque bra\if de 
tela delle Trad. pop. vene del Bernoni; Le due sorelle delle Fiabe e Leggende 
della Valle di Rendeva nel Trentino del d. r N. Bolognini. Per riscontri più 
dotti e più minuti v. Pitrè, Fiabe , Novelle, etc., nn. LXII e LXIII e meglio 
la seconda delle Due Novelline Toscane pubblicate da G. Pitrè (Palermo, Ti- 
pografia del «Giornale di Sicilia », 1890). Al lamento della figlia cattiva fa 
riscontro il seguente della versione beneventana: 

Mamma don don, 

^ Mamma don don, 

La coda dell'asino a ciondolon ! 

e simili in Imbriani, c bLov. Fior., n. XV; Pitrè, Due favelline toscane f pag, 21. 


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238 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


VI. — E1 Re Serpente. 

Ghe iera un re con tre fie , che iera assai rico , ma dopo 
qualche tempo tuto ’1 gaveva consumà e el xe deventà un po- 
vero diavolo che quasi no ’1 podeva più viver. Xe venuda la guera 
e un giorno sto re ghe dise a le fie, che 1* andari in guera e ’l 
<;ercarà se fosse possibile de refar el suo stato, o morir piutosto 
che viver cussi. Le fie ga cominzià a pianzer e le diseva : — « Ma 
papà mio come ti ne voi lassar cussi sole »; ma lu teniva duro 
e no ’1 voleva sentir ragioni. Prima de parti el gà promesso a 
le fie un regalo co’ ’1 torna indrio damandandoghe cossa che 
le voleva: la più vecia voleva un vestito da regina, la mezzana 
un scrigno de zoje e la terza no voleva che una rosa fioria. Sto 
re xe andà a la guera e la fortuna lo gà favorio e Tà refado tuto 
el suo stato e contento e beato el pensa de tornar da le fie c 
per strada ghe vien in mente i regali che '1 doveva portarghe; 
el va subito a comprarli e ’1 continua a caminar , co' el vede 
in un gran bosco un roser fiorio che iera ’na belezza a guar- 
darlo e a nasar el bon odor , el se ricorda apena adesso de la 
sua fia picola e *1 pensa : — « Eco la rosa de mia fia. » El salta sul 
spiner , el va per spicar la rosa e nel scavezzarla el sente una 
vose che dise: — « Oimè! ». No ’1 capiva un aca e no '1 saveva 
cossa far e tuto spaventà el pensa de scampar via co la rosa sca- 
vezzada; el va per portar via la rosa co’ ghe sorte fora un ser- 
pente e lu resta tremando co la rosa in man. — « Cossa ti gà 
fato de la mia rosa » ghe dise '1 serpente , adesso ti devi por- 
tarla via, ma dime per cossa che la te serve. El re gà contà la 
storia de la fia e dei regali. El serpente risponde: — « Va ben, 
ma entro el tal el tal tempo ti ti devi trovar qua co tua fia, altri- 
menti sarà mal per ti e per le tue fie. » El re torna a casa e le 
fie lo ciapa a brazzacolo e le lo struca e le lo basa fa la con- 
tentezza; el giorno adrio el padre a ognuna el gà dà el regalo 
e a la più giovane ’1 gà dito : — « Ecote la rosa che m* à costà 
tanto cara », e la picola co le lagrime ai oci ghe risponde; — 


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FIABE POPOLARI DALMATE 2 39 

« Papà mio mi t J ò domandi ’na rosa perche savevo che ti xe 
povero e ti me la podevi portar. » 

E1 padre de venta va ogni giorno più de cativa <;iera e la pi- 
cola non se dava pase e la voleva spuntarghe e conosser el di- 
spiazer de suo padre, e finalmente el padre gà conti tuto del ser- 
pente e de la rosa; la iera rassegnada de andar con lu a trovar 
sto serpente piutosto de veder sofrir cussi el povero padre. Co* xe 
venudo quel giorno i xe andadi nel bosco e a quel ora xe sortio 
fora ’1 serpente e l’à dito: — « Bravi xe venudi, xe questa la fia? 
la xe bela e la me piase », ma sta povera picola vedendolo cussi 
bruto la cominziava a tremar come ’na foja. El serpente manda 
via el padre e ’l tomo in baso. El povero vecio guardava da 
lontan cossa che nassari de sua fia. A mezzanote el serpente xe 
sortio fora e ghe fa de moto a sta picola che aspetava de venir 
adrio de lu, la conduse per un soteraneo scuro e dopo per un 
magnifico palazzo tuto de piere preziose che brilava come *1 sol 
e sta picola guardava intorno tuto incantada; co’ i iera arivadi in 
fondo el serpente dise : — « Sta qua xe la tua camara » : iera anca 
pareciada la sala e ogni momento passava tanti servi ben vestidi. 
Prima de andar via ’l serpente ghe dise ancora : — « Qua ti xe 
parona ti, là xe ’l tuo leto e ogni note a mezzanote mi te venirò 
a trovar. » f Co* la xe restada sola la scominzia a disperarse e per 
tuta la note no la podeVa serar ocio, e la resta* in pie fino a mez- 
zanote. La sente averzer le porte e venir el serpente; ogni scalili 
che ’l faceva pareva un teremoto; el vien in camara e per quie- 
tarla ’l ghe dise tante bele parole ma no la ghe dava ahado. El 
giorno adrio la ghe domanda ai servi dove e da chi che la iera, 
ma lori taseva e cussi no la podeva saver gnente e la s’ à di- 
sperdo ancora de più, perchè no la gaveva gnanca ’l conforto 
de podér parlar e sfogarse. Dopo tanto tempo la se gà usà e la 
Riamava el serpente: la bela bestia e lu ghe diseva: magari che 
fossi belo, ma mi so che te fazzo paura e '1 cominziava parlarghe 
de amor. Eia no voleva saverghene , e co’ ’l andava via la se 
metev a pianzer e a dir: — « Come se pòi pensar a sposar un ser- 
pente. » Una sera lu el vien tuto magro e malinconico e la ghe 


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24O ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

domanda: — « Cossa ti gà mia bela bestia? » e la ghe risponde: 

— <r Go, che ti m’ à rifiuti tante volte e che ti me ridusi a la 
disperazion e xe 1’ ultima note che te domando se ti me voi, o 
dime di si, o no ti me vedarà mai più », ma eia no voleva sentir 
parlar de sposalizio e no la se voleva maridar con una bestia e 
la ghe diseva : — « Starò con ti fin che te piasarà ma sposane 
no posso. » Lu ghe dise adio e *1 va via; eia resta disperada perche 
la saveva ’1 ben che ’1 ghe voleva. Passa ’na sera, passa dò, passa 
tre ma la bela bestia no se vede e za la iera pentia e la pensa 
de ciapar suso e de andarlo a trovar. La porta un feraleto e la 
va per la strada che la iera venuda sempre zigando: Bela bestia, 
bela bestia ! L’ariva al roser e arente la vede un pozzo, la guarda 
drento col feraleto e la vede la bela be stia ai ultimi respiri e la 
lo ciama, con tuta la vose che la gaveva, e lu apena podeva parlar 
e con vose rauca el domanda : — « Cossa ti voi »; e eia da suso: 

— « Go pcnsado de si, de sposane. » Apena dito questo la s* à 
visto arente un bel giovine ma eia no lo guardava e la damava 
la bela bestia. — « Chi ti dami ghe fa ’l giovane? » — « Ciamo 
la bela bestia. » — « Son mi torna a dir sto giovane, e ti ti xc 
quela che m'à salvi perchè iero qua infadado da tanti ani nel 
mio palazzo coi mii servi, finché ’na vergine spicasse quela rosa 
e la me volesse tor per mar io. » Turi dò beati i xe nomadi in 
palazzo : adesso i servi gà cotninziado a parlar e domandar i ordini 
de Sua Maestà el Re. I xe gà sposado e i xe andai a consolar 
el padre e le sorele de la picola. 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Per il principio in cui le figlie, per lo più d’un mercante, richiedono dal 
padre diversi oggetti cfr. Pitrè, Fiabe, Nov. n.° XVIII e XXXIX e Gonzen-^ 
bach n.° IX, XV e XXIII: Die Geschichtc vom Ohimè ! Pitrè, Fiabe e Leggende, 
IX: Lu Re Superbii; Imbriani, Nov. Fior., n. XI; Mango, Nov. sarde, n, IX. Va- 
rianti più complete: La 'Barbuta , III delle Nov. pop. ita/, del Comparetti, la I 
delle Nov. pop. toscane del Pitrè colle dotte note apposte alla variante di Porretta; 
la Susina * Mperatrici delle Fiabe , Vovelle e Racconti del Pitrè ; Visentini, 


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£iabe popolari dalmate 


Ì4t 

Fiabe Mantov. : La Rosa ; V esempi del scimbiott e di rós della Nou. Mil, del- 
rimbriani, e la Fola del mercant delle c KjOV. pop. bolognesi della Coronedi-Berti; 
la VII delle Cypriscbe Màrchen del Liebrecht, Jabrbucb fiir rom. u . engl. Pbil. XII, 
che, tolto il pronuncialo colore orientale, segue abbastanza da vicino la lezione 
da r.oi raccolta; Sclineller, Màrchen und Sagen aus Wàlscblirol : Vom singcn- 
den, tan\enden und mnsicirendtn Blatte ; Bellindta delle Kov. pop. ita ; la IV 
delle livornesi di St. Prato; Zingerle - Kinder u. Hausmàrchen aus Tirol : Die 
singende 7J , ose . Inoltre il principio del Lu Re Superbii delle Fiabe e Leg- 
gende del Pitrè e il Fio del Re di Danimarca del Sabatini e De Gubernatis, 
Nov. di S. Stefano , n.° 14. L'eroe è ora un serpente, ora un mago, ora uno 
scimmiotto, un uomo selvatico, un fantasma. Somiglia questa fiaba in più tratti 
fondamentali ad un’altra zaratina da me raccolta sotto il titolo: El Bisson , e 
ancora inedita. 


VII. — El fazzoleto. 

Un padre gaveva tre fioi, che no voleva mai far gnente de 
ben e '1 padre stufo de sta storia finalmente ’na volta ’l pensa 
de dirghe al fio più vecio , che ’l vada per el mondo a guada- 
gnale un toco de pan e che lu no lo podeva più mantenir. El 
fio più vecio no s’ i fato dir dò volte sta roba , el ciapa su, el 
saluda el padre e i fradei, e ’l se mete in camin. No V incon- 
trava anima viva finché ’l vede ’na vecia sporca che iera cascada 
nel fango; sta qua cole bele lo prega de levarla suso e lu superbo 
ghe risponde: — « No me vojo sporcar. » Sta vecia che iera ’na 
striga pien de rabia ghe dise adrio: — « Che no ti podessi mai aver 
fortuna. » El giovane xe torni a casa e no l’aveva podudo trovar 
in nessun logo la fortuna nè guadagnar un boro. Ghe tocava 
andar a provar a el fradelo mezzan e anca lu per strada trova 
sta vecia che ghe dise : — « Giovinoto, te prego levi me suso da 
sto fango », lu non gà di abado e grubian come che '1 iera ’l 
gi risposto come il fradelo più vecio che no "1 gaveva voja de 
sporcarse, e '1 xe andi via, ma anca a lu la vecia stomegada gi 
zigi adrio che no ’l podessi mai trovar la fortuna e cussi xe sti, 
e poco dopo el iera de novo a casa e ’l magnava a maca a le 
spale del povero padre. El padre disperado no saveva più cossa 
far e ’l manda el fio più giovane, a lu ’l ghe voleva tanto ben 

Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 31 


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24 2 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

e ghe rincresseva de restar senza de lu; ma sto qua gà fato tante 
promesse de tornar presto e de guadagnale quaichecossa , che 
r à lassado andar via basandolo e pianzendo. El giovane co' ’1 
vede sta veda, ’1 la cava fora dal fango e la neta pulita, e sta 
qua grata ghe dise che ’I potesse aver tute le fortune imagina- 
bili, e de più la ghe dona un fazzoleto rosso. Dopo averla rin- 
graziada per sto regalo , el s’ à messo su la strada e avanti che 
se cantina. 

Verso sera T ariva in ’na locanda, el magna e beve e po’ il 
va a riposar ché '1 iera stanco come ’na bestia: le fie de Tosto 
subito gà dà in ocio el fazzoleto rosso belissimo. Co *1 dormiva, 
a pian pianin una xe andada suso in camara per portarghelo via, 
ma apena che Tariva a tocar el fazzoleto h resta tacada; capita 
la seconda, la terza e la quarta e ’na dopo Paltra tute resta ta- 
cade. A la matina T osto clamava le fie e in nissun buso de la 
locanda ’l le podeva trovar, el va suso in camara e '1 resta tacà 
co la pipa. El giovane se sveja e co ’l vede sto sta storia se mete 
rider come un mato, no '1 podeva tenirse dal gran rider, el ciapa 
un pinzo del fazzoleto e con tuti sti tacadi el va per la strada; 
Tincontra il scovazin e anca sto qua resta tacà co la scova e cussi 
un forner co la pala e un contadin col musso. La fia del re che 
iera sul pergolo e che da tanti ani no la podeva rider, e la iefa 
destinada in sposa a chi per el primo la farà rider co’ lo vede 
sta pro^ession la se mete a rider e la se sfoga per tuto quel 
tempo passà. El re fa ciàmar in palazzo ’l giovane e ’l ghe dà 
per sposa la fia e molti regali. I xe tornadi a casa beati c con- 
tenti e i ghe fato le nozze co le rave composte, coi sorzi pelai 
e coi gati scortegai. 


VARIANTI E RISCONTRI. 

In Bernoni, Fial^e pop. vene^. n.° IV : \Y<z giornata de sagra , un gatto ed un 
cane restano attaccati ad una ragnatela ; la padrona che viene per cacciarli 
resta attaccata anche lei e lo stesso tocca al marito. Unico tratto che ricorda 
la nostra fiaba. In Zingerle, Kinder u. Hausmàrchen: Fischlein Kleb an , un gio- 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


243 


vane ha un pesce che ha il potere di far tutto aderire: ad un carro successi- 
vamente s'attaccano un mugnaio coll' asino, una contadina , un maestro ecc., 
infine una principessa colla carrozza. A questo spettacolo la principessa che 
da molti anni non poteva ridere , non può piu trattenersi e guarisce e sposa 
in segno di gratitudine il giovane. Lontane analo^ offre la XXV delle Fiabe 
Mantovane del Visentini. 


Vili. - E1 Destin. 

’Na volta un re xe andà veder uno dei sui castei e in quel 
giorno la molgie del gastaldo gaveva partorio ’na putela e ’l re 
per conto suo voleva far strolegar sta putela. E1 dama i stroleghi 
e sti qua dopo tante storie i dise che la deventerà la molgie de 
’l re e lu tuto rabioso: — « No xe possibile che mi sposarò la 
fia del mio gastaldo » ; el gà domandà al gastaldo sta picola per 
farla ben educar a casa da la sua madre. Pianzendo i Pi condota 
a casa del re. Co’ sta picola xe cressuda la s’à fato un bel toco 
de ragassa; alora el re gà comin^ià gaver paura e ’l se fa far una 
casseta, el mete drento la picola e po’ dopo ’lbuta tuto in mar. 
Un pescador da la riva vede sta casseta e ’l credeva che ghe sarà 
drento un tesoro ; el va subito co la barca per ciaparla , e ’l la 
porta a casa da la molgie. Iaverze , i sente pianzer e i trova la 
picola assai ben vestia. El pescador ghe dise a la molgie : — «Spo- 
jila, e meri sti vestiti ne la casseta, e scondi la casseta, che forse 
un giorno sta roba ne podarà giovar. » El pescador gaveva un fio 
e sto qua gaveva sentio tuto. I aveva sta putela che iera bona, 
brava e bela e credeva sempre d’esser loro fia. Un giorno la s’à 
trovi a contrastar col fio del pescador e sto qua ne la rabia gà 
dito: — « Ti no ti xe mia sorda, ma ti xe ’na mula, perchè mio 
padre t’à trovi in una casseta ». Dopo sta roba no la voleva più 
star in sta casa e la gà basadi e strucadi tutti i do veci e l’à 
volsudo aver per forza indrio la casseta, e la xe partia. Camina, 
camina 1’ ariva proprio nel logo dove che stava ’l re che no la 
podeva sofrir; la madre de ’l re che cercava ’na serva, e gà piasso 
sta putela e ga T à tolta in servizio, e ’l re poco dopo iera za 
coto inamorà de eia. El re no ghe dava pase el ghe andava adrio 



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244 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

per le scale e da per tuto prometendoghe de sposarla, se la ghe 
disesse chi che la iera. Stufa de sentirse tante dir volte la stessa 
roba la ghe conta la sua storia e la ghe mostra la casseta : el 
re resta copado co' ìfrvede la casseta, che lu stesso gavevu fato 
far. No ’l ghe dise gnente e ’l torna ne la sua camara ’l pensa 
de scampar anca sta volta al destin, perchè no la deve deventar 
sua molgie. El ciama un servo e '1 ghe ordina de condur la in 
un bosco e de mazzarla, e de portarghe ’l suo cor, un fazzoleto 
col suo nome, e ’l cortelo insanguinà. El servo la leva e la con- 
duse nel bosco disendoghe che ’l doveva mazzarla. La s’à messo 
a pianzer, a scongiurarlo disendo che no la se farà veder mai da 
nissun , solo che ’l ghe lassi la vita. El servo che gaveva bon 
cor , el gà comprà da un pastor un agnelo e *1 gà cava fora ’l 
cor; eia ghe dà el fazzoleto e lu insanguina *1 cortelo e cussi 1 
torna indrio. Dopo tanto tempo un altro re de un logo arente 
va a la cazza e nel bosco tuta soleta ’l trova sta bela tosa, e su- 
bito ’l la fa venir con lu a casa sua. Passa qualche settimana e 
sta povera ragazza cominziava un poco a respirar, co’ te capita 
a la corte de sto re, quelo che voleva sposarla e che l’aveva vo- 
luda far mazzar , a trovarlo perchè i iera ami<;i. Al pranzo i fa 
servir in tola la ragazza perchè la iera cussi bela. El re no vo- 
leva creder ai sui oci ma 1* à visto che la iera proprio eia e ’l 
deventa furente de la rabia. El va in <;erca de eia, e la trova in 
giardin co la cratura de ’l re in brazzo; lu ghe strapa la cratura 
dai brazzi e la smaca in tera : la cratura xe morta e eia xe ca- 

scada per tera in afano , e ’l re presto xe corso a contarghe a 

l’amico che la gaveva copà la cratura, e che ’l dovaria tajarghe 
i brazzi e serarla in un casson e butarla in mar. E cussi xe anca 
stà. A le fade sta povera ragazza ghe faceva pecà e le gà tornà 

a meter i brazzi e ’l casson le l’à fato andar proprio soto la casa 

di quel re cativo. I servi l’à pescado e ’l re trova la stessa ra- 
gazza più bela che mai. Lu pensa: « Farò ancora un ultima prova, 
butarò sto anelo in fondo del mar e se ’l torna suso la sarà mia 
molgie. » Un pescador xe andà a vender el pesse che ’l gaveva 
ciapà in pescaria, e ’l cogo de ’l re la comprado e nel netarlo 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


WS 


el trova un anelo e lo porta subito al re. E1 re finalmente s’ à 
persuaso che nè da la morte nè dal destin se poi scampar; 1’ à 
fato ciamar la ragazza, el gà messo in deo T'anelo e el gà dito: 
« da ogi ti xe mia molgie » e i xe stadi felici e contenti. 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Il particolare di bimbi posti in una cassetta comunissimo a molte fiabe. 
Vedi Pitrè : Sonnti ( Nuovo Saggio di fiabe e novelle ecc. Riv..fil . rom. 1, 

fase. II); Schneller , Mdrcben und Sogni aus IVdlschtirol , n. 26; la IX delle 
e XjOi>elle pop. toscane del Pitrè, Archiv . trad. pop. I, 520; Liebrccht, Cypriscbe 
Màrchen , n. 3, Jahrbucb /tir rom. u. engì. Phil. XII; Knust, llalienische Mdrcben , 
Jabrbucb fùr rom. ti. engl. Phil. VII, 398; Cosquin, Conies lorrains 11. XVII, 7 lo- 
mania , VI, e in tutte queste novelline ritorna anche 1 ’ altro particolare della 
nostra fiaba del chiamare spurio il fanciullo o la fanciulla pescata. 


IX. — El pesse-can. 

Ghe iera un re e ’na regina. Un giorno tuti dò caminando 
xe venudi in ’na piazza. El mario xe andà a lezer un libreto e 
la regina s’à senti sora 'na pierà, co’ ghe vien incontro tre fade 
e ognuna a sta bona dona voleva lassarghe un regalo ; una gà 
dito: « Mi te regalarò la salute », la seconda: « Te farò nasser ’na 
picola co la stela de oro in fronte » e la terza : « Te farò partorir 
un picolo co la stela de oro in fronte », e dopo le xe alidade per 
i fati loro. Come che le fade gaveva dito cussi anca xe stado e 
poco tempo dopo la regina partorisse el picolo e po’ la picola, 
tnti do co la stela de oro su la fronte. È cussi in pase xe passi 
qualche tempo finché no xe morti el re e la regina e sti poveri 
fioi i iera soli, e la femena iera ancora picola. El fradelo ciama 
’na nena e sta qua conduse con eia ’tn sua fiia, che iera anca 
cussi picola come l’altra: ste dò putcle le xe cressude insieme e 
tute dò le xe deventae grande. El fradelo iera un giorno ala corte 
de T imperator. Sto qua doveva sposarse e V i voludo mostrarghe 
per el buso de la porta de un eamariu la sua sposa; el giovane 


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24 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

ghe dise che la iera bela abastanza ma che lu gaveva a casa ’na 
sorela, che iera assai più bela de sta qua. L’ imperator ghe co- 
manda de portargliela a mostrar c el ghe promete de sposarla. 
E1 giovane iera contento ma el gà pregà l’ imperator de farghe 
’na gran barca per condurghe la sorela. E cussi xe sta e in sta 
barca xc andai drento la sposa, la nena co la fia e el giovane e 
tuti insieme i s’à messo in viagio. Ne la camara, dove che stava 
la picola da la stela de oro co ’l fradelo, no ghe iera balconi ma 
solo picoli busi, tanto che ’l sol no podeva passarghe. Per com- 
binazion el fradelo un momento xe sortio fora da la camara, e 
la nena che iera ’na striga xe entrada e presto la mete un deo 
in sti busi che deventa grandi e la ciapa la picola e la la buta 
in mar, solo la gà cava dei cavei per meterghe a sua fia. Co’ xe 
tornado '1 fradelo el vede la picola ma senza stela de oro e ’l 
ghe dise: — « Dove te xe la stela de oro ? » e quella sfazzada de 
fia de la nena come gnente fosse ghe risponde che la gaveva 
messo la stela sul balconzin e che ’l vento l'aveva portada via. 
Co’ i xe arivadi l’imperator no gà piasso sta giovine e ’l diseva 
che gnanca sta qua no iera più bela de la sua vecia sposa, ma 
una volta dada la parola ghe tocava mantenerla e sposarla. El 
fradelo disperado perchè ’l gaveva capiò la cativeria de la nena 
xe andà a pianzer in riva del mar e poco dopo el sente ’na 
vose che ghe domandava per cossa che ’l pianze. « Perchè i gà 
butà in acqua mia sorela », ma la vose gà torna dir, che no’ ’l 
staga aver paura nè pianzer e che sua sorela iera in boca de pesse- 
can. Co le lagrime ai oci, el xe andà a casa e la molgie de l’im- 
perator che no lo podeva veder; gà fato zò ’l re de darghe dei co- 
mandi a sto giovane e per doman el doveva far sortir dal mar 
tuti i pessi. El giovane no saveva cossa far e pensando e pian- 
zendo el capita in riva del mar e ’l sente la solita vose che ghe 
domanda cossa che ghe iera nato, e lu a contarghe che ’l doveva 
per doman far venir fora dal mar tuti pessi, ma, apena dite ste 
parole, el se vede arente ’na bacheta magica e ’l sente la vose 
che ghe dise: — « Ecote sta bacheta e co’ ti vorà far sortir i pessi, 
bati tre volte su la tera e l’ultimo pesse che sortirà fora sarà el 


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Fiabe popolari dalmate 


241 

pesse-can e tua sorda sarà là drento nel cor , cavighe el cor e 
lavilo pulito e po’ va in campagna e butilo per tera ». No ’l s’à 
fato dir dò volte sta roba e Y à ubidio a puntili tuti i comandi, 
e l’à portà *1 cor ’n campagna, e là xe spuntà un albero tuto de 
oro. Un giorno Timperator co la sposa i xe venudi in campagna 
e i voleva riposar a l’ombra de sto albero, ma co’ l’imperatri$e 
xe stada soto, tutti rami s'à levà per bastonarla, perchè no la iera 
degna de tocar sto albero tuto de oro. La sciopava da la rabia 
e la voleva far tajar tuto l’albero e l’imperator comanda de butar 
zo sto albero. La sorda co la stela de oro iera su la ^ima in un 
pomo e da de là la gà dito al fradelo , de donarghe tutti rami 
ai poveri del logo e al contadin più povero che ’1 ghe fazzi ’na 
casa con un camarin, che h possa star drento eia co ’na putela. 
Lu gà fato cussi e ’l povero contadin del logo xe deventà un 
sior e a tuti '1 ghe mostrava la sua casa tuta de oro. Xe venù 
a trovarlo un giorno anca l’ imperator, e lu ghe mostra tute le 
camare ma no ’l camarin, dove che iera la picola co la stela de 
oro. Co’ tuti iera a pranzo, la picola mete ’l deo in un buso e 
dal camarin veniva fora un gran darò: l’imperatore xe restà in- 
cantà e stupio ma no ’l capiva da dove che veniva sto ciaro e 
l’à voludo per forza visitar el camarin. I averze le porte e i vede 
’na bela ragazza co una putela che lavorava la calza coi cavei de 
la ragazza. La picola xe sortia fora e la gà contà a tuti la per- 
fidia de la nena e de la fia e l’imperador xe sta beato e contento 
e ’l giorno adrio i gà brusà la fia de la striga in piazza e l’im- 
perator s’ à torna a sposar e tuti i fioi che xe nati* gaveva in 
fronte ’na stela de oro. 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Cfr. Schneller, Marciteti u. Sagen aus IVàlschtirol , n.° 22 : Das Mail cheti mit 
dett vùldeneu Zòpfen , solo il tradimento avviene in carrozza; una variante man- 
tovana, n.° XVI della raccolta del Visentini; la nona delle beneventane edite 
dal Corazzini, Comp. min . della lett . pop . Ital 443. Versioni siciliane in Gon- 
zenbach, n.° XXXIII: Von der Schwester des Muntifiuri e XXXII e XXXIV 



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archivio per le tradizioni popolari 


248 

nella seconda metà e cosi pure la seconda parte della Fibbia di *Biancuciuri 
in Pitrè, Fiabe , Vovelle etc. n.° LIX e la seguente Chi rutti : una abruzzese in 
Finamore, Fiore e CambeJofiore > e bLov. pop. abru*. I, n.° 15; una toscana è l’O- 
r aggio e Bianchinetta della Novel . Fior . Circostanze simili in Bernoni, Fiabe pop . 
vene^. n. # III: E! pesse-can ; Gonzenbach, n.° XLVI 1 I e IX e in Burdiìluni della 
raccolta del Purè, n.* LVI e nella IV delle c K J ov. pop. sarde del Guarnerio, 
lArch. trad . pop. II, 36. La fanciulla nelle varie versioni va finire ora in bocca 
del pescecane e ora dalla Sirena : la varietà consiste nelle prove imposte al 
fratello dell’eroina e nel modo che essa viene liberata. 

(Continua), Riccardo Forster. 



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SENA VETUS *. 


NINNE-NANNE, PREGHIERE, STORIE. 


1. Ticchete-to ! Popina d’oro, 

Lascia le pecore e vieni con me: 

Si farà un bel lavoro... 

Ticchete-to, popina d’oro! 

2. Ma che occorre tanta nanna 
Quando ’1 bimbo ’un vuol dormi’? 

E se rassomiglia alla mamma 
Più briccone ’un puoi veni’. 

3. Fa la nanna, coccolino mio, 

È tornato ’l babbino di Roma; 

Ha portato le scarpe al bimbo 
E gli zoccoli a mamma’. 

4. Vattene a letto le , possa dormire 
E ’l letto ti sia sparso di. viole 

E le lenzuola di panno sottile, 

Vattene a letto, le possa dormire. 

1 Continuazione. Vedi p. 28. 

* Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 32 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


5. Nanna eri, nanna eri, 

Stavo meglio quando ’un c’eri. 

6. Nanna era, nanna era, 

Questo citto anno non c’era: 

Se non c’era neppur quest’anno 
E’ non era punto danno. 

7. Fate la nanna, coscine di pollo, 

La vostra mamma v'ha fatto ’l gonnello: 

Ve l’ha fatto lungo e tondo *, 

Fate la nanna, coscine di pollo. 

8. Fa’ la nanna, anima mia, 

Se’ figliuol di tuoni e lampi. 

Se la nonna lo sapesse, 

Fasce d’oro a te faria... 

Fa’ la nanna, anima mia 2 . 

9. Ninna in giù, ninna in sù, 

Questo citto è di Gesù; 

Di Gesù e della Madonna 
Questo dito fate che dorma : 

Fate che dorma e si addormenti; 

Questo citto spunta i denti. 

10. Ninna, nanna del compare 
La mi’ chioccia ’un vuol covare; 

E se cova, rompe l’ova... 

Oh che chioccia traditora!... 

11. Ninna... oh! Ninna... oh! 

Questa cittina a chi la do? 

La vo’ dare alla su’ zia, 

Chè la citta la butti via, 

E la butti in quel piazzale 

1 Var. Ve Tha fatto di buccica d’olmo. 

2 In una novellina popolare, una ragazza cosi fa la nanna al proprio cit 
tino avuto da un figlio di un re. 


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SENA VETUS 


2 5 I 


Dove gli è queiranimale... 

Ninna... oh! Ninna... oh! 

12. Fa’ la nanna, chè te crepi, 
Che ti vtnghino a piglia’ e 1 preti. 

Ninna... oh! Ninna... oh! 
Questa cittina a chi la do ? 

La vo’ dare alla su’ mamma, 
Chè gli canti la ninna nanna, 

La vo’ dare allumo nero 
Che la tenga un giorno intero... 
Ninna— oh! Ninna... oh!... 

13. Fa’ la nanna, che te crepi, 

Ti venissero a piglia’ e’ preti, 

Ti venissero col moccolino, 

Ti portassero al Laterino l . 

14. Cincirinella avea un podere, 
Tutti i giorni l’andava a vedere: 

E ci aveva la briglia e la sella... 
E*a il podere di Cincirinella. 

Cincirinella avea una mula, 

Tutti i giorni la dava a vettura : 

E ci aveva la briglia e la sella... 
Era la mula di Cincirinella. 

Cincirinella aveva un gallo, 

Lo portava alla festa di ballo: 

E ci aveva la briglia e la sella... 
Era il gallo di Cincirinella. 

Cincirinella aveva un cane, 

Gli faceva mangiare del pane: 

E ci aveva la briglia e la sella... 
Era il canino di Cincirinella. 


1 Così chiamasi il Cimitero comunale , perchè trovasi fuori della Porta 
Laterina. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Cincirinella aveva un topo, 

Gli faceva soffiare nel foco: 

E ci aveva la briglia e la sella... 

Era il topino di Cincirinella. 

Cincirinella aveva un gatto, 

Gli faceva leccare nel piatto: 

E ci aveva la briglia e la sella.... 

Era il gattino di Cincirinella. 

15. Du’ «angioli a’ piedi di Dio, 

Torno torno al letto mio; 

Due da piedi, due da capo 
Il Signore dal mi’ lato; 

Il Signore e Salvatore 
Mi rifece questo letto. 

A me mi disse: 

Mi segnasse e benedisse 
E paura non avesse 
Nè di di, nè di notte, 

Manco al punto della morte : 

Morte mia. Gesù, Giuseppe e Maria, 
Assistetemi fino al punto della morte mia. 

16. Angiolin bellin, bellino, 

Con quel capo ricciolino, 

Con quegli occhi pien* d'amore, 

Gesù mio, vi dono ’l cuore. 

Vi dono ’l cuore e l’anima mia, 
Assistetemi nel punto della morte mia. 

17. A letto, a letto me ne vo; 

I/anima mia a Dio la do, 

A San Pietro e a San Giovanni benedetto. 
Gesù mio, misericordia ! 

Gesù mio, misericordia ! 

Gesù mio, misericordia ! 

Gesù mio, mi butto giù... 

Chi sa se nn leverò più!... 


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SENA VETUS 


*53 


18. — Dove vai, madre Maria, 

Sola, sola per questa via? 

— Vo cercando ’l mi* figliolo: 

È tre giorni che ’un lo trovo. 

— Lo trovai da piedi al monte 
Colle mani legate e giunte 1 . 

Sulla spalla la croce avea, 

La portava e non la potea. 

Sangue rosso lo versava, 

La Madonna l’asciugava: 

L’asciugava con gran dolore. 

Oggi è morto il Redentore! 

Egli è nato in Bettelemme 
Senza pezze, nè mantello 
Per copri’ quel Gesù bello. 

Gesù bello, Gesù, Maria, 

Tutti gli Angioli in compagnia. 

Chi la dice e chi la canta, 

Dio gli mandi una gloria santa : 

Chi dirà tre volte questa 
Acquisterà quanto una messa. 

19. Entro in Chiesa e vedo Cristo, 

Alzo gli occhi al Crocifisso. 

Alzo gli occhi: al ciel guardai, 

Di Gesù m’ innamorai. 

Feci animo per salire, 

Lui mi disse : — Non venire ! 

Vieni prima a confessare, 

Se vuoi l’anima salvare. 

Vieni, vieni, o peccatore, 

Giorno e notte, a tutte l’ore. — 

20. Stanotte — a mezza notte 
È nato un bel bambino, 

1 Così, come mi fu dettato, stampo ; ma certo le nostre nonne avranno 
detto gionte , più conformemente all’antico linguaggio senese. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Bianco, rosso e ricciutino. 

La su’ mamma lo piglia e lo bacia 
E gli scalda i bei piedini. 

Oh, mirate belli occhini! 

Dentro ci è il beato. 

Cristo è nato! 

Venitelo a vedere 
In quella — capannella 
Col bove e l’asinelio. 

Con Giuseppe e con Maria... 

Oh, che bella compagnia! 


21. Un vecchio venerabile, 
Con lunga barba bianca, 

Mi fé’ salire un giorno 
Sopra una nova banca. 

E mi disse all’orecchio 
Con voce brutta e oscura : 

— Predica, mia bambina! — 
E mi fece paura. 

22. Maria lavava, 

Giuseppe tendeva, 

Il figlio piangeva, 

Chè sonno non ha. 

— Sta’ zitto, mio figlio; 


Dirai cosi : — Stanotte 
A mezza notte 
È nato un bel bambino, 
Bianco, rosso e ricciutino. — 
E io non potendo più, 

Lasciai ’l vecchio e ’1 pulpito 
E me ne scesi giù. 

Chè adesso ti piglio. 

Le pezze e le fasce 
T’ho messo a scalda’. 

E Tacque so’ chiare, 

Che arrivano al ciel. 


23. Ave Maria del Ceppo, 

Angiolo benedetto! 

L’angiolo mi rispose. 

Ceppo mio bello, portami tante cose. 


Stona di Giovanni di Bordighiera. 


24. Sappiate, miei uditori, 
Che un tal Giovanni ci era 
Di buoni genitori 


Nato alla Bordighiera. 

Innamoratosi 
D'una del suo paese, 


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SENA VETUS 


2 5 $ 


Che gli promesse fede 
E fedeltà d’amore 
E poi a un altro amante 
Diede il cuore. 

E stando un anno fuora 
’N altra città n'andò, 

E alla fin dell'anno 
A casa ritornò. 

A casa andiede 
Per ritrovà ramante; 

Chè la credea costante. 

Nella giurata fede, 

E poi a un altro amante 
Il cuore diede. 

A casa andiede** 

Per ritrovà l’amante; 

Chè la credea costante 

Nella fede promessa 

— Non posso mantenè non so la 
Sorpreso dal furore [stessa. — 
Uno stile in mano prende 
E poi con grande orrore 
’Na stilettata gli stende. 

Alla sua amante. 

(Teresa era chiamata). 

O sorte cruda e ’ngrata ! 


Del propio sangue tinta 
Dal suo primo amator, 

Lei cadde estinta. 
c . Doppo che fatto ebbe 
Questo crudel misfatto, 

Il suo furor s’accrebbe 
E guem come un matto 
In qua e in là guardava 
E sempre la Teresa 
Lui chiamava. 

Andando a casa 
Dove la morta stava 
Piangendo lacrimava 
Dicendo: — Sommo Iddio, 

Se morta te ne sei, 

Morir vo’ anch’io. — 

Una pistola allora, 

Che teneva alla mano, 

Questo crudel si prova 
(Udite caso strano!) 

Ben caricata; 

Se la posa all’orecchio. 

Questo vi sia di specchio 
A voi, o giovinette, 

Di mantenere ciò che si pro- 

[ mette. 


Susanna. 

25. Susanna, vatti a veste 
Chè al ballo s’ ha d’ andà. 

La-rì La-rà. ( E così a ogni strofetta). 
E io non vò venire; 

Chè io non sò balli. 


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2$ 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIÓNI POPOLARI 

È ci sarà ’l tuo amante, 

Che lui t’insegnerà. 

Al ballo fu arrivata, 

Susanna 'un vói balla. 

C era ’l figliol del conte, 

Tre giri gli fa fa’. 

Nel mentr#®che ballava. 

Tre rose a lei cascò. 

Andiede per raccorle 
Il conte, e la baciò. 

’L su’ padre se n’accorse 
Dal ballo la levò. 

— Susanna, andiamo a casa; 

Che al ballo ’un ci s’ ha a sta. — 

A casa fu arrivata 
Susanna ha tanto ma’. 

— Andate a' chiama’ ’1 prete, 

La venga a confessa'. — 

Il prete fu arrivato 
Susanna ha sempre ma’. 

— Andate a chiama’ ’l conte 
La venga a consola’. — 

Il conte fu arrivato, 

Susanna ’un ha più ma’... 

In capo a nove mesi 
Susanna fe’ un bambin. 

La-rì la— ri. 

Lisetta. 

26. — Carnè, carnè, Lisetta, 

Finché ’un se’ da marità. 

— Non vo’ canta’ nè ridere, 

Lo mio cuor 1’ ho appassiona’. 

. ’L mi’ amore è andato alla guerra, 

Sta sett’ anni a ritorna', 


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SENA VETUS 


257 


Se io sapessi la strada, 

L'anderei a ritrova'. — 

Quando fu a mezza strada. 

Un bel giovine incontrò. 

— Dimmi, dimmi, bel giovine, 
L’hai incontrato ’l mio primo amor? 

— SI, sì, che l’ ho incontrato; 

Ma ’un l’aveo riconosciti’. 

— Dimmi, dimmi, bel giovine, 

Da che parte ne vieni tu? 

— Ne vengo da una parte, 

Che il. sole non va mai giù. 

E quattro torce a vento 
Lo venivano a seppellì. — 

Lisetta casca in terra. 

Casca iu terra dal gran dolor. 

— Sta su, sta su, Lisetta, 

Sono io ’l tu’ primo amor. — 

Si presero a braccetto: 

Nel paese ritornò, 

— Mira’! Mira’, Lisetta! 

L’ha trovato ’l su’ primo amor. 

— Si, sì, che 1 ’ ho trovato; 

Ma ’un l’aveo riconosciù’. 

27. L’ultimo giorno di carnevale 
, Mi venne voglia di piglia' marito. 

Presi un vecchio tutto bavoso, 

f 0 

Tutta la notte a sbavicchià \ 

Gli diedi un calcio nel petto, 

Lo buttai fuori del letto. 

Ne sentivo troppo male, 

Lo riandiedi a raccatti'. 

Gli feci una zuppina; 

La zuppina 'un si freddava 
E ’l buon vecchio urte scoppiava. 
Archivio per le tradizioni f opolari — Voi. X. 


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258 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

• 

28. Brigida, Brigida, del su su, 

Disse ’1 prete: che cosa fu? 

Disse Brigida: mi sento male. 

Disse ’1 prete: va allo spedale. 

Disse Brigida : ’un me n’ importa. 

Disse ’1 prete: cascherai morta. 

Brigida monta su pel muro. 

Disse ’1 prete: ti vedo- ’1 culo. 

Brigida si messe e’ calzoni. 

Disse ’1 prete: ti vedo i meloni. 

( Continua ) G. B. Corsi. 




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IL CANTO DI SAN GIORGIO. 


a poesia popolare mantiene viva la leggenda di san 
Giorgio che, uccidendo il drago , salvò una fanciulla 
alla fonte; di quel cavaliere bello e gentile, dalla sma- 
gliante corazza , che tutte le arti raffigurano col piede e con la 
lancia sovra la bestia velenosa, mentre con una mano egli frena il 
focoso cavallo. Donatello, il Mantegna, il Parmigianino, il Doni... 
non fecero che riprodurre artisticamente nel marmo e su le tele 
la luminosa visione a cui la fantasia popolare aveva già dato 
anima e forma. Visione che solleva lo spirito e lo disseta d’idea- 
lità senza fine : 

« Io vo' vedere il cavalier dei santi, 

il santo io vo* veder dei cavalieri ! » (Carducci, Rime nuove). 

Come fresco e sereno è il canto di san Giorgio che le madri 
italiane ripetono ai figli presso l’azzurra distesa dell’Adriatico ! Ec- 
colo come fu raccolto nella riviera picena, con la nativa 'inge- 
nuità dialettale : • 

« San Giorge ch’era un piccule fanciulle 
Die adorava e la Madonna; 

— Damme *n può de carità per amor de Die — 

— Voi non sete donna d'andà pe la via, 

ca sete troppe tralucia e bella, 

che ce pareste be’ co ’nu signore — 




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26 o 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


— ’N c’è più signore de lu figghie mie, 
ca l’adore non ghie manca mai. — 

San Giorge che se sente ’sta parola 
appresse a la Madonna se n’andava. 

La Midonna lu fece cavaliere, 
andava a beverà li suo’ destriere. 

E vedde una più bella fanciulla : 

— O fanciulla, che fai tu èsse [costì] ? — 

* — Aspette lu dragò che viene adesse. — 

— Dimme, fanciulla, se sete pagana. — 

— Accusi fusse perfetta cristiana ! — 

— Dimme, fanciulla, te vuò battezzare ? 

De ’ssu dragò te vogghie liberare. — 

— Se tu me libre de quiste dragone, 
allora crede a Criste salvatore; 
se tu me libre de quiste serpente, 
allora crede a Criste onnipotente — 

San Giorge che se sciogghie la cintura 
e può la mésse ’n carne a lu dragone, 
e lu trascina pe tutta la terra : 

— O gente cruda, ce volete crede, 
se no quiste dragò mo lu scatene ? — 

— No no, san Giorge, no lu scatenare, 
ca tutte ce volérne battezzare : 

— uòmene, donne, piccule fanciulle, 
facènte chi pò andà prima a li funte. — 

Ce sta ’na vecchia, non ce volié crede, 
e dentre lu dragò la fa ’nghiottire ». 

Si confrontino le lezioni pubblicate dal De Nino, Usi e co- 
stumi abru^esi, voi. IV, pag. 155; e dal Ferraro, Tradizioni de- 
mopsicologiche monf errine , in Archivio delle tradizioni popolari , voi. V, 
pag. 545 e segg., che mostrano il fondo epico comune della leg- 
genda. • 

Comunemente si ritiene il san Giorgio di questo canto es- 
sere Giorgio di Capadocia : ma gli storici ecclesiastici sono dub- 
biosi e discordi 1 . 

1 Gli Atti di S. Giorgio sono falsi. Come avverte il Gòtzinger ( Realìex . 
der dcutschen Altertùmer ), pare che S. Giorgio derivi dal persiano Mitra, il primo 
genio della luce di Ormuzo, che uccide il dragone delle tenebre. Dopo il se- 


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IL CANTO DI SAN GIORGIO 


26l 


A me sembrati degni di considerazione gli argomenti che , 
a questo proposito, oppone il dalmata sig. Giacomo Chiudina 
ne’ suoi Canti del popolo slavo , voi. I, pag. 141 e segg., e che 
riassumo. Egli riferisce una ballata a san Giorgio, molto bella, 
una delle più conosciute e predilette fra il popolo slavo della 
Dalmazia, Bosnia ed Erzegovina; ove esso santo è invocato dagli 
infermi e rispettato per fino dagli stessi turchi. Nel suo nome e 
co’ suoi vessilli, portanti la sua immagine, corresi alla battaglia. 
San Giorgio nacque in Salona, e fu fatto poi vescovo : ma nella 
persecuzione di Diocleziano fu decapitato entro il tempio di A- 
polline. Pochi antri dopo, essendo Salona stretta d’assedio dalle 
armi dell* imperatore, a cui s’era ribellata per le tirannie di Ga- 
lerio , mentre parca che si dovesse disperare della città ridotta 
agli estremi , scese a un tratto dal ciela un cavaliere armato e 
raggiante, che spaventò gl’ imperiali e diè modo ai cittadini di 
irrompere, inseguendo e sterminando i nemici. « Grati i cittadini 
dell'aiuto miracoloso del Santo loro concittadino , al cui celeste 
aiuto si eran rivolti in quelle angustie, vollero perpetuarne la me- 
moria con un simbolo, secondo l’uso di quei tempi, e dipinsero 
quindi il cavaliere, che trafigge con la lancia il dragone, il quale 

colo XII, S. Giorgio fu raffigurato spesso come cavaliero , a piedi o su un 
bianco cavallo, uccidente il drago, simbolo del diavolo n cut era stata esposta 
in preda la principessa Cleodolinda, figlia del re Sevius di Libia. (Cfr. Muller- 
Mothes, Arch. ÌVòrterb.). Quanto al miracolo del drago, esso è assai ripetuto 
nelle tradizioni popolari. Le leggende religiose medioevali più volte raccon- 
tano di basilischi che avvelenavano col fiato le città. Come vuole la Leggenda 
aurea , da che Costantino s’era fatto cristiano, un drago uccideva ogni giorno 
più di trecento persone. L‘ uccisione del drago o serpente — come è noto — 
rappresenta nelle tradizioni mitologiche ed epiche di tutti i popoli la sconfitta 
del principio del male e delle tenebre, fatta dagli dei e dagli croi; da Apollo 
che uccide il serpente Pitone, a Giasone, Odino, S. Giorgio, Siegfried, Tristano. 
Il Graf, Hjoma nella memoria e nelle immaginazioni del medio evo , voi. II, ri- 
ferisce alcuni versetti dell’Apocalisse, in cui un angelo incatena il diavolo sotto 
forma di drago, lo sprofonda nell’ abisso, ove lo terrà chiuso per mille anni. 

Si ricordi anche il dragone misterioso cinese. (Lung). È il padrone della 
Cina, e il suo nome ò pronunziato tremando. Vedere l' imperatore è vedere 
la faccia del dragone. 


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262 ARCHIVIO per le TRADIZIONI POPOLARI 

stava per ingoiare una vergine ; rappresentando in siffatta guisa 
nel primo il Santo, eh' era apparso sotto quelle sembianze ; nel 
secondo il nemico, nel terzo la città loro ». (Chiudina, loc. cit., 
voi. I, pag. 142 e seg.). 

Anche noi crediamo verosimile questa spiegazione , pur ri- 
tenendo possibile che la fantasia popolare, anche senza il mezzo 
interposto del simbolo suddetto, abbia potuto elaborare la leg- 
genda della vergine e del dragone. Non è la prima volta che si 
trova nei canti popolari tale introduzione del meraviglioso sovra 
i dati della storia. 

Quanto all’origine del canto , mancando argomenti positivi 
per stabilire se il san Giorgio di Salona sia fo stesso che quello 
ritenuto di Capadocia, anche nel canto nazionale slavo, ci appog- 
giamo all’osservazione fcitta dal Chiudina : che la devozione a san 
Giorgio esisteva in Dalmazia molto tempo prima di quando essa 
venne importata in Italia, in Germania e negli altri paesi d’Eu- 
ropa, col ritorno de* Crociati dall’ Asia. Prova ne è il diploma 
di Terpimiro, re di Croazia e Dalmazia, che donava nel 900 al- 
T arcivescovo di Spalato i beni e la chiesa di S. Giorgio situati 
presso Salona. 

Quindi, o la leggenda fu importata fra noi direttamente dalla 
Libia, insieme alle molte tradizioni da cui le nostre leggende e 
novelline popolari attinsero , nel medio evo, materia e colorito; 
o ci pervenne dalla Dalmazia, in un tempo anteriore alle prime 
crociate. E a questa ultima supposizione ci fa inclinare il tener 
conto delle molte relazioni marittime che fra la costa occiden- 
tale adriatica e la nostra dovettero esistere per ragioni naturali 
di scambio. Ond'è che tutte le lezioni italiane del S. Giorgio fin 
qui pubblicate appartengono, a quel che io sappia, al nostro li- 
torale adriatico. Inoltre , fra la ballata nazionale degli slavi e le 
lezioni italiane esistono tali somiglianze di contenuto e di forma, 
che non si può dubitare queste avere un riferimento preciso e 
diretto a quella. 

Dobbiamo pertanto far voti perchè sia pubblicato il canto 
popolare di san Giorgio, che dev’essere indubbiamente ripetuto 
nel nostro idioma al di là dell’Adriatico. 




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IL CASTO DI SAN GIORGIO 


263 

Perchè piace pensare a questa figura di cavaliere che — la- 
sciatemelo dire — si libra angelicamente bello sul nostro mare e 
la cui impresa, cantata dal popolo nostro, congiunge quasi le 
sponde già magnificate dalla gloria di Venezia. Egli protegge chi 
si avventura ed è in pericolo; egli, in tempestate securilas . 

Non per nulla forse — ultimo sprazzo di una luce che tra- 
monta. — resta nell’animo popolare la memoria di lui, insieme a 
quella di altri eroi che sconfissero il principio del male, il dragò, 
per la patria. La leggenda garibaldina, del biondo cavaliere che 
salvò anch' egli una fanciulla, si mesce con quella di san Giorgio, 
con quella di un ultimo biondo martire che chiuse gli occhi per 
amore di questo mare sì bello. Uno solo è il simbolo di genti- 
lezza e di forza che il popolo d’Italia affida agli eroi, senza di- 
stinzione di tempi, d’ideali, di fedi. 

Roma, 1891. 

Alighiero Castelli. 



« 


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LE DODICI PAROLE DELLA VERITÀ 

IN SIENA ». 


Rosa e tre. 

I Re Magi, la luna e ’1 sol. 

Rosa e quattro. 

Quattro gli Evangelisti: 

Luca, Marco, Giovanni, Matteo, 

I Re Magi la luna e ’l sol. 

Viva Dio lo superiori 

Rosa e cinque. 

Cinque le piaghe del nostro Signore, 
Quattro gli Evangelisti : 

Luca, Marco, Giovanni, Matteo, 

I Re Magi, la luna e 'l sol. 

Viva Dio lo superior ! 

Rosa e sei. •• 

Sei '1 gallo cantava a’ Galilei, 

Cinque le piaghe del nostro Signore, 
Quattro gli Evangelisti: 

Luca, .Marco, Giovanni, Matteo, 

1 Manca il principio. 

È una versione senese della nota formola popolare. 


t 


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LE DODICI PAROLE DELLA VERITÀ IN SIENA 2 éj 

I Re Magi, la luna e ’1 sol. 

Viva Dio lo superior ! 

Rosa e sette, / * - 

Sette i dolori di Maria, 

Sei ’l gallo cantava a* Galilei cc. c. s. 

Rosa e otto. 

Otto l’arca di Noè, 

Sette i dolori di Maria ec. c. s. 

Rosa e nove. 

Nove i cori degli Angioli, 

Otto l’arca di Noè ec. c. s. 

Rosa e dieci. 

Dieci i comandamenti, 

Nove i cori degli Angioli ec. c. s. 

Rosa e undici. 

Undici tutte le Vergini, 

Dieci i comandamenti ec. c. s. 

Rosa e dodici. 

Dodici tutti gli Apostoli, 

Undici tutte le Vergini, 

Dieci i comandamenti, 

Nove i cori degli Angioli, 

Otto l’arca di Noè, 

Sette i dolori di Maria, 

Sei ’1 gallo cantava a’ Galilei, 

Cinque le piaghe dtl nostro Signore, 

Quattro gli Evangelisti: 

Luca, Marco, Giovanni, Matteo, 

Tre i Re Magi, la luna e ? 1 sol. 

Viva Dio lo superior! 

G. B. Corsi. 



Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 


34 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA 


I. Usi particolari relativi alla coltivazione della terra (a); alle se- 
minagioni dei diversi cereali (b); alla maniera di mettere il le- 
tame (c); alla raccolta del fieno (d) ; del grano (e) ; della ca- 
napa (f); del lino (g); del vino (li); delle patate (i). Usi par- 
ticolari della trebbiatura (1) ; della gramolatura della canapa e 
del lino (m). 

(a) Tutto ciò che riguarda l’agricoltura agli occhi dei con- 
tadini ha un’jimportanza maggiore che qualunque altra faccenda; 
si sente e si vede ancora che la coltivazione della terra, fu dopo 
la pastorizia, la prima occupazione del genere umano. Il frumento 
non è più la pianta dedicata a Cerere, l'alma tnater, ma è sempre 
quella che dà il pane nostro quotidiano; infatti il paniere, che è 
nei monumenti il simbolo della fecondità della terra, trae il suo 
nome dal pane Tagete, Dio Etrusco, che sorge dal solco, e 


1 Anche il vaglio mistico , che nei monumenti è raffigurato come la 
culla di Bacco , di Giove , di Mercurio , ricorda che i doni di Cerere furono 
sostituiti ai primi cibi ferini e selvatici. Durante il carnevale a Carpeneto d’Ac- 
qui compare fra le maschere simboliche una che sembra portare un uomo in 
un vaglio. Questa costumanza è anche in Sicilia. A Carpeneto in quest'occa- 
sione mostrasi anche ir cavallin , maschera con criniera , sonagli e coda di 
cavallo, che con una frusta, percuote i circostanti; ricorda i Lupercali romani 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA l6j 

Sita, la sposa di Brama, che dal solco vieti fuori, ricongiungono 
fin dai tempi più antichi 1’ agricoltura alla religione , non meno 
della vanga e dell’aratro, attribuiti alla Diviniti presso tutti i po- 
poli. Occator era il Dio Romano che presiedeva al rompere delle 
zolle; ( occare lat.), Vervactor al dissodamento della terra, ( ’yervac - 
tare lat., arvattare in sardo , fee i uatarum in dial. monferrino); 
Jlralor e Redaralor gli dei che presiedevano alla i a e 2 a aratura; 
Pale e Purina alle campagne in particolare, mentre in generale 
erano considerati Dei Rustici , (dei campi): Giove, la Terra, la 
Luna, Cerere, Bacco, Flora, Minerva, Fauno, Pomona , Silvano, 
Vertunno , Priapo. Gli strumenti agricoli , se non inventati dai 
Romani, furono, salvo FEtruria e 1’ Italia meridionale, introdotti 
nelle altre regioni italfche da essi conquistate, dove tuttora anche 
in dialetto son chiamate, con voci derivate dal latino, le diverse 
parti dell’aratro. Primus aralra tnanu solerti fecit Osiris y dice Ti- 
bullo. È noto che i Fenici attribuivano 1’ aratro al Dio Dagone; 
i Greci a Trittolemo. I Romani lo avevano consacrato ai bene- 
fattori dell’umanità ; lo scolpivano sulle medaglie dei benemeriti 
cittadini, sulle monete, (alcune furono trovate anche in Sardegna) 
ricordavano nelle loro leggi che questo sacro istrumento , non 
poteva essere sequestrato nemmeno per debiti verso il pubblico 
tesoro , facendo una legge speciale per il furto di esso l . Nè 
meno venivano considerati gli altri istrumenti agricoli. L’ erpice 
{ $ra posto alle porte della città ed all’ entrata dei ponti a tenere 
lontane, colle sue punte, le maledizioni e le malie che ivi non 
si potevano attaccare , e per questo motivo veniva esposto 
(fuori delle porte) dai contadini durante i temporali. Anche 
il giogo dei buoi , nell’ Alto Monferrato ed in Sardegna , viene 
tuttora tenuto in un certo rispetto e considerazione. In Monfer- 
ferrato le donne non vi passano sotto per paura di sconciarsi o 
di diventare sterili. In Sardegna, nella diocesi di Nuoro Gabelli, 
il rubamento di un giogo è un caso di coscienza riservato alla 


1 Echdleo fu un ateniese che alla battaglia di Maratona uccise molti ne- 
mici coll’ echctle , cqI manico dell’aratro. 


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268 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


autorità del Vescovo, perchè il derubato, se è un giovanotto con- 
tadino, non può presentarsi alla sua bella, se non se ne procura 
un altro , e come succede , cerca di pigliare vendetta del ladro. 
Presso i Romani il Dio lugatino presiedeva al matrimonio detto 
anche Iunonis iugtirn , perchè lo sposalizio figuratamente era e- 
spresso in un giogo, che durante la cerimonia nuziale si poneva 
sul collo dei coniugi. In Sardegna, come è noto, il volgo crede 
che un moribondo penerà meno a morire se sotto il suo capez- 
zale si ponga un giogo : unti juale l . 

Nell’ Alto Monferrato i boari (/ bvèi) si astengono dal rac- 
cogliere di terra il pungolo altrui ( aiijà-auji, uji> gài; agoliutn lat.) 
od il corno contenente 1’ olio da ungere le ruote del carro, per 
timore di attirarsi le maledizioni del proprietario degli oggetti. 
La stessa superstizione l’hanno pure in Sardegna, com’è provato 
dalle due seguenti quartine o baltorinos raccolte in Osilo, il mon- 
tuoso Osilo, che in mezzo ai dialetti aspirati dei paesi intorno a 
Sassari, mantiene la sua pronuncia normale e regolare: 

A chie m* a’ furadu su puntòlzu, 

Dao sa malaìssione a sa ‘eretta. 

S* è massàju non fetta’ plus Jaolzu, 

S’ e pastore non torre’ a sa pinnetta f . 

Il massàju qui ricordato è il contadino che rimane continua- 
mente addetto al lavoro , stando nella campagna — 1’ arblis dei 
greci, il vangbtu dei calabresi; invece chi presta l’opera sua a gior- 
nata è detto goronatcru , il monferrino giurnaliè , V opra dei toscani. 

A chic m* a’ furadu su correddu 
Chi deo arribadu nde tenia corno, 

Chi non s’ agàtte(de) a un annu in domo. 

E si s’ agàtta’ ghinde’ su cherbeddu V 

1 il contadino di Norghiddo presso Ghilarza,se durante la messe gli av- 
viene di levare dal focolare i treppiè, teme di vedere il giogo dei suoi buoi 
infranto. (Comuni cagione del Slg. tXC, Lichen), 

* A chi m* ha rubato il pungolo, — Do la maledizione solenne , dalla 
mano destra. — Se è contadino, non semini più campi — Se è pastore non 
torni alla capanna. 

3 Chi m’ ha rubato il cornetto dell’ olio,— Che io nascosto teneva ora,— 
Fra un anno non si trovi in casa sua, — E se si trova gli giri ‘il cervello. 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA 269 

Nella Puglia, nel Monferrato, nel Ferrarese, in Sardegna, nel- 
l’occasione che la Chiesa benedice le case, i contadini usano far 
benedire gli istrumenti rurali, separatamente dalle stanze delTabi- 
tazione e dagli animali. Ho ossevato che in Toscana, in Sarde- 
gna ed altrove, il carro dei contadini viene quasi consacrato 
con grossolane immagini di S. Antonio o di S. Cristoforo , di- 
pintevi sopra le assi airesterno, sulle quali, in quell’occasione, il 
sacerdote dà uno spruzzo di acqua santa. Nelle feste di Aidaput- 
scè, che vengono celebrate nel mese di Ariclii (ottobre), i Bra- 
mini dell' India benedicono le vetture , le navi, gli strumenti di 
agricoltura, gli animali utili ad essa. Lasciando da parte la nota 
venerazione degli Indiani per i bovini, è certo che questi ani- 
mali , specialmente se sono addetti alla coltivazione dei campi , 
furono e sono dai popoli Indo-Europei tenuti in qualche rispetto. 
Nel tempio di Cerere in Atene al contadino 'Bu^igt (giogo di 
buoi), che fu primo ad aggiogare i buoi all’aratro, i Greci ave- 
vano eretto una statua. I Romani avevano una Dea Bubona , pro- 
tettrice dei buoi, alla quale i cristiani delmiedioevo sostituirono un 
San Bobus, o Bubone, Bovone, o S. Bovo, cavaliere che cavalca 
un bue, e che a Parma, a Carpendo d’Acqui, a Voghera, è con- 
siderato come il protettore dei bovini. La cavalcatura strana fa 
ricordare che Ixora, Dio Indiano, è rappresentato a cavallo d’un 
bue, e che in Sardegna non è raro il caso di vedere oggidì pa : 
stori cavalcare buoi, e caracollare con essi, quasi come si farebbe 
con un cavallo. Un muta dice : 

A Santu Bàcchis àndo, 

A caddu de unu voe ; 

Gai non mi cherzo oe. 

Coniente vippo landò 4 . 

Il Sig. E. Pais nel Tìulleltmo ^Archeologico Sardo (anno I, fa- 
scicolo III e IV. Cagliari 1884, pag. 26) nota : 

« La quasi assoluta mancanza di traceie del cavallo fra gli 


1 A San Bacchisio vado — A cavallo di un bue , — Cosi non mi voglio 
(sento) oggi — Come fui una volta (allora). 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


antichi monumenti sardi, fa singolare contrasto col gran numero 
di statuette che rappresentano bovi. Due arcaiche statuette tro- 
vate in due parti assai distanti dell* isola, a Nulvi ed a Ierzu, ci 
mostrano due uomini che cavalcano due buoi guidandoli con una 
fune legata airorecchio, usanza che ha durato e che dura tuttora 
in alcune parti delusola.» — Anche il Bresciani a pag. 25, voi. I 
Dei Costumi dell' isola di Sardegna *, ricorda che i Sardi , caval- 
cano i buoi, a guisa di somieri . 

Nei mutos sardi il ricordo dei buoi è frequente, perchè nel- 
l’isola rallevamento ed il commercio del bestiame bovino è, una 
delle rendite principali. 

Vedansi per es. i seguenti raccolti a Nuoro dal Sig. Floris- 
Pugioni, R. Ispettore scolastico : 

Dòichi boes ’rasso(s), 

Nàvicana po mare, 

S’ arrùana i-ssu portu ; 

Deo non ti dia leare, 

S* ancu m* aiana mortu *. 

Dòichi bocs 'rasso(s) 

Fàlana a sa marina, 

A s' ora de sa rnèria; 

Comare libertina, 

Rcgulati sol patso(s) 

Càglia e àlida seria \ 

Rubare un bue domato (furare uri ’ oe de fune) è conside- 
rato, od era, ad Usini (circond. di Sassari) come un delitto; i 
parenti consegnano o fanno sparire il ladro , tanto è apprezzato 
il bue, in quel villaggio eminentemente agricolo. Dicono che il 
nome di Italia sia derivato dal greco italos vitello : vitulari in la- 
tino vale festeggiare. È noto che nei primi tempi di Roma non 
si sacrificavano buoi domati c che l’ecatombe, od il sacrificio di 

1 Napoli, 1850. 

* Dodici buoi grassi — Navigano per ( andare al) mare — Si precipitano 
nel porto; — lo non ti vorrei pigliare, — Se anco mi ammazzassero. 

3 Dodici buoi grassi, — Scendono alla marina, — All'ora di mezzogiorno; 
— Comare libertina, — Regola i (tuoi) passi, — Taci e va serja, 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA 27 1 

cento buoi era la massima offerta (per il numero e per l'animale) 
di sacrificio che si potesse fare alla Divinità. A Siligo in Sarde- 
gna, i pastori invocano S. Antonio perchè protegga le loro vac : 
che: questo santo è il protettore del bestiame in generale, anche 
neiritalia superiore : 

Antoni chi sos caiveddo(s) (= ccdveddos, carvedlos ), 

Ti lùghene che atvada (•= divada ), 

Prega po sos moiteddo(s) 

E po sas baccas anzada(s) l . 

Presso i Romani alle calende di gennaio, si celebrava la festa 
di Giano bifronte; gli amici si facevano doni scambievoli di fi- 
chi , datteri , miele e di una focaccia detta appunto da Giano, 
fattuale libunt . Ad Osilo in Sardegna il primo giorno dell’ anno 
si suol regalare, nella strenna data agli agricoltori, una focaccia, 
sulla quale, dentro la pasta, sono incisi il carro, i buoi, l’aratro. 
A Bitti ed in altri paesi, questo dono che si chiama generalmente 
candelariu (< donum calendarium lat.), prende il nome di càbudi , (’a 
ritta càbudi) farina, ossia focaccia del Capodanno. A Siniscola la 
focaccia vien data il giorno di S. Andrea (30 nov.), e perciò il 
Santo è chiamato il chiedi-j ocaccia , su peli-coccone. I Romani po- 
veri che non potevano sacrificare buoi veri , ne sacrificavano di 
farina ridotti in piccole proporzioni. Anche gli Ateniesi offrivano 
ad Apollo, a Diana, ad Ecate, a Giove, una focaccia detta Bos, 
in forma di testa di bue, 1’ animale eminentemente dedito all' a- 
gricoltura. Quando in Monferrato i contadini arano, tolgono dal 
collo dei buoi i campanelli che loro appendono allorché li man- 
dano al pascolo nei boschi; non temendosi durante 1’ aratura le 
serpi, ad allontanare le quali si mettono. I Romani mettevano il 
tintinnabulum al collo dell’ asino di Sileno per allontanare i cat- 
tivi genii. Gli agricoltori greci nel condurre al pascolo i buoi e 
nell’arare, cantavano i bucoliasmala (canti dei buoi). A Carpeneto 
d’Acqui gli aratori usano per ischerzo cantare questo bucoliasma: 


1 Antonio che hai il cranio (il cervello) — Che ti luce come vomero, — 
Prega che si riempiano le forme del cacio — E per le vacche che hanno fi- 
gliato. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Va li, va lè, va la, 

Quatir boi atacà a ’n arà *; 

che ricorderò più avanti. 

Prima di seminare gli agricoltori romani si volgevano al Dio 
Spinense cui sacrificavano le spine nate nei campi, perchè non ne 
lasciasse crescere altre ; poi alla Dea Sementina , la cui festa non 
veniva tutti gli anni nello stesso giorno, il che è naturale *. In 

Intro 'e badde ruo(s) 

B’ an’ postu su focu 
Serente sa pinnetta; 

A donzi parte e locu, 

Custa zantàra tua, 

La mondana in gazzetta 3 . 

Monferrato invece da S. Michele (29 settembre) a S. Andrea (30 
nov.) si è sempre in tempo a seminare: 5 . Michee , ir smense an 
pee y S. Michele, le sementi in piedi. 

(b) Il frumento si semina in Monferrato bagnandolo prima 
ccn Tacqua di calce, che lo salva dagli insetti, e lo purifica dalle 
spore del carbonchio o segale cornuta ( [schirpuncc ). Semina sem- 
pre il più vecchio dei contadini, generalmente il padre, tenendo 
il sacco (oppure una specie di canestro 4 ) colla sinistra e semi- 
nando colla destra. Nel seminare non ci vuole poca abiliti, per- 
chè dice il proverbio : Chi sa smenèe } d'ogni scupè in stèe , chi sa 
seminare, d’ogni scopello (la-i2 a parte di uno stajo) uno stajo. 
A Torralba ( Turralva ) in Sardegna seminando si dice: Eo ti se- 
mino e ^Deu li prodùa\ io ti semino, e Dio ti produca, ossia nel 
senso latino del verbo pioducere , Dio ti conduca a termine. In 
Sardegna seminano in ottobre generalmente, ma a Torralba di- 

1 Quattro buoi presso un aratro. 

2 In Sardegna si abbruciano le stoppie ; all* operazione accenna un muta. 
8 Nella valle dei rovi — Han posto fuoco — Vicino alla capanna; — In 

ogni parte e luogo, — Cotesti tuoi millantamenti — Si diffondono colla gaz- 
zetta; li mandano a pubblicare con essa. 

4 Bacco bambino viene raffigurato sempre in un canestro della stessa 
forma. 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA 




Cono: Si massaju ses(e), betta trigu in dolici mese , se sei contadino, 
getta (semina) grano in ogni mese. Con ciò vogliono dire che 
il grano si può seminare in Sant' <Andria, (novembre; in Nudale , 
(dicembre); in Bennalfu od Ennalqu, (gennajo); in Frear^u, Freal^u, 
(Febbrajo); in Martu, (Marzo). E siccome alcuni credono che il 
grano seminato in Marzo non abbia buon sviluppo, dicono : 

Trigu bettadu in Martu 
Non nde la messas altu {od althti) 4 . 

Però quelli che ritengono che anche in marzo il grano venga 
bene aggiungono : Ma si mi fàghé ’ beranu , Ses sighìdu e coi^adu, 
se mi si fa primavera, tu, grano, sei (nella stessa epoca) arri- 
vato a tempo, ed insieme in ritardo. Il grano seminato in gen- 
najo tante volte vale quanto il primo seminato in ottobre : Su 
trigu gennarginu , ‘Disputa ’ cum su prima, il grano di gennajo, di- 
sputa col primajo. 

In Monferrato dicono : Ra bela cav , ra sta ani ir gobb — il 
bel covone sta nella gobba, che si fa lavorando benda terra. E 
dànno ragione al buon agricoltore romano Furio Cresinia, che 
accusato perchè il suo piccolo campo fruttava più di quelli va- 
sti dei suoi vicini , si difese mostrando il suo lucido aratro , i 
grossi buoi , ed i forti servi , che gli procuravano belle messi, 
senza V aiuto del Dio Sator (sata lat. seminati) della dea Sessia , 
o Segesta la Dea Segetum o Seja 2 , venerate nelle Sementivae fe- 
rine, quae, dice Festo, fuerant institutac quasi ex is fruges grande - 
scere possint . Oltre la gramigna , in Sardegna è peste dei campi 
F asfodillo, ivi chiamato: cherèu, isciareu, pianta che i Greci semi- 
navano intorno’ ai sepolcri, della quale dicevano essere coperti i 
prati dell’ inferno. Impacciavano la seminagione anche le pietre. 
Presso Sassari sono di una arenaria che si sgretola facilmente 8 , 

1 Grano gettato in marzo non lo mieti alto. 

2 Saeti in ted. vale seminare. 

3 La chiamano codina , quasi cote. 

Un mutu comunissimo dice : 

Sa crapola bianca, 

Màrrat i-ssa codina; 

Archivio per ìe tradizioni popolari . — Voi. X. 35 


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174 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

ma a Nuoro, ed altrove son di granito durissimo. Fra i contadini 
di Ghilarza, come nota il sig. Licheri, è imprecazione comune : 
Ancu àtides in male perda — D io voglia che tu vada fra pietre cat- 
tive. Nei dintorni del villaggio di Serri s’impreca: Ancu àndes in 
perdas de Serri . Serri infatti . sta sul dosso di una montagna che 
elevasi dagli altipiani di Isili e di Mandas: le sue pietre sono di 
granito nero intrattabile, mentre all' intorno sono di bianca are- 
naria. Inde homines nati , durutn genus, che hanno sempre da qui- 
stionare coi pastori nomadi del Capo di sopra, perchè vanno nei 
loro cari seminati (sos tuvèles ), o a lasciare pascolare le greggie, 
o a cercarvi su pabangòlu , l’erba detta nel linguaggio in botanico 
isidorus radiatus , che è buona da mangiare. 

Due mutos di Nuoro raccolti dal sig. Floris-Puggioni ricor- 
dano questa erba edule : 

Bonu su pabanzòlu, 

’Oddìdu a su serenu; 

Cantu curret’ a dolu, 

S’ ider s’ innamorata, 

Tribagliende i-ss’ anzenu l . • 

Bonu su pabanzòlu 
Cando este abbùtonadu ; 

Gessò, chena cossolu 
Poite m’ as lassadu ? *. 

{ Continua ) Giuseppe Fefraro. 


Sa corona ti manca(da) 

Po ti nàrrer Reina. 

La capriola bianca — Zappa, gratta (coi piedi) sopra la pietra (arenaria) 

— La corona ti manca, — Per dirti Regina. 

1 Buono è il pabanzòlu, — Raccolto al sereno, — Quanto induce a duolo, 

— Il veder l'innamorato — Lavorando sull’altrui ! (Cioè facendo l’amore con 
altra donna). 

2 Buono è il pabanzòlu — Quando è ancora in bottone ; — Gesù ! senza 
consolazione ! (sono) — Perchè mi hai lasciato ? 




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MISCELLANEA. 


La regina Giovanna I* nella tradizione popolare. 


l signor Giulio Lemaitre, a proposito della tragedia provenzale 
Im reine Jeanne (5 atti in versi con trad. francese) di Fr. Mistral, 
scrive nell'Appendice del Journal des Débats delFii agosto 1890: 

« Cette Barbe-Bleuette 1 est restée, pour les provengane, 

la plus populaire et la plus aimée des princesses de légendes. La longueur de 
son régne *, sa vie accidentée d’intermédes brillans et de péripéties lugubres, 
ses luttes incessantes, ses efìforts généreux pour réformer les abus et le defilé 
macabre de ses 4 mnris , la ^jopularisèrent à tei point que , des années aprés 
sa mort, les montagnards des Alpes la croyaient encore vivant et refusaient, 
dit-on, de reconnaitre son successeur. 0 — En 1820, on voyait, ò. la pointe d*un 
clocher de Sisteron, un étincellement de feux: C* était un bloc de cristal de 
roche. Le peuplc F appelait « le diamant de la Reine Jeanne. » Les paysans, 
pour signifier que quelqu’un a de l'argent, disent: 

« 11 sait où Jeanne dont. » 

Et en parlant d’un beau diseur: 

« Il parie comme la belle Jeanne. » 



1 Lemaitre chiama Barbe-Bleuette la regina Giovanna I*, perchè dubitasi eh’ essa abbia assassinato 
il suo primo marito, Andrea di Ungheria (m. 1345). Sposò poi successivamente : il cugino Lnigi di 
Taranto ('134 6), e, sei anni dopo, Giacomo d’Aragona infante di Majorca; poi Ottone di Brunswick, 
della Casa di Sassonia — e, non avendo figli, adottò «Charles de Duras, che poi la fece uccidere a 38 
anni. Un astrologo provenzale, interrogato sul destino di Giovanna^Tanciulla, avea risposto: 

■ Maritabitur eitm Alio. » 

Quest’ultiroa parola è composta delle iniziali dei quattro mariti di Giovanna: Andrè^Louis^JaefUS^Otbon, 

9 Secondo Fr. Mistral. 


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276 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


La festa di Maggio in Arras (Francia). 

Il signor Giuseppe Bédier, nel suo articolo « Les commencemens du Théàtre 
comique en France » così descrive la festa di Arras 4 : On est au 1." mai 1262. 
C est fète à Arras , la fète du Mai. On sait quelle fut , au moyen àge , la 
vogue extraordinaire de ces fètes, qu’on célèbre encore dans nos campagnes. 
On allait, selon la charmante espression du vieil allemand, « recevoir le prin- 
temps, die zit empfahen »». Jeanroy vient de Taire revivre, dans un livre récent, 
ces jeux sous Vormd\ il a retrouvé queiles danses y dansaient, quelles chansons 
y chantaient les jeunes filles, « à l’entrée du temps clair », cornine dit une 
vieille baìada provengale. 

Cette fète était sans doute aussi l’occasion d’une sorte de foire, fréquentée 
par les jongleurs, les charlatans, les porteurs de reliques; les bourgeois, jeunes 
et vieux, maitres et compagnons , s’ y réunissaìent; on y boit, et les langues 
vont leur train. 

Mais d'ancicnnes superstitions, 
obscurcie déjà, vivantes 

pourtant, donnent sa signification à cette fète prcsque paienne. C’est le jour 
où les fées passent sur le pays. La croyance populaire aux fées , filles des 
Norues et des Rarques , qui président à la naissance des hommes , et à cer- 
tains actes de leur vie, est attestèc au moyen àge par des textes assez rares, 
mais probans. On aimait à Ics recevoir dans les maisons 2 ; Richard de Wa- 
dington, qui écrivait en Angleterre au XIV C siede, trouve encore utile de dire, 
dans son muntiti des Tcchès , que c’est « cnconjre la foi prouvée » de croire 
que trois soeurs viennent aux naissancés décider si l’enfant sera mauvais on bon. 

Ce jour r r Mai, les vieilles femmes d’Arras attendaient les fées « sur la 
prairie ». Elles passcront, volantes, par la ville et les bourgs , et s’ abattront 
quelque part. 11 faut dresser leur table et mettre leur couvert. Heureuse ou 
malheureuse peut-ètre la maison qui les hébergera !... Elles pourront, corame 
on le voit dans les traditions populaires modcrnes, récompenser Ics bonnes 
fileuses ou chàtier les mauvaises. 


1 Rn’tu dts deux mondes, tome XCIX, 15 Juin 1890, 4.* li»r. 

* On lit dans un passage du roman de Guillaume au court nét , cité par Leroux de Lincy, Livre 
des Légendes : 

Coustume ayoicnt les gc»s par verités 
Et en Prcfwence et en autres regnés : 

Table metoient et sitges ordenés 
Et sur la table trois blans pains balctés, 

Trois poz de viti et trois henas deles. 


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MISCELLANEA 


277 


Come si leghi la febbre nel Belgio. 

( Superstizione di Gaisbccìt), 

Nel ili 0 volume dei suoi Ricordi 1 , Marco M inghetti narra che si trattenne 
qualche giorno a Bruxelles con Arrivabene , e fu a Gaisbeck , antico castello 
di Egmont, allora posseduto ed abitato dai suoi amici Arconati. «Il conta- 
dino colà è superstizioso come in generale nel Belgio, e fui testimone di una 
superstizione assai singolare. 

« Un villano che è preso dalla febbre viene alla cappella e si inginocchia 
dinanzi aila porta donde per una piccola inferriata guarda dentro di essa. Prega 
fervorosamente, e finita la preghiera lega un nastro a questa inferriata , e di 
colpo scappa, e via pel bosco, sempre innanzi, senza voltarsi mai, correndo a 
più non posso, sino a che trafelato e stanco si sente mancar la lena e cade. 
Cosi egli crede di aver legata la febbre, e lasciatala alla cappella , di esserne 
fuggito per sempre. » 


La morte di Alessio, figlio di Pietro il Grande, e quella di sua moglie, 
nella tradizione popolare. 

Ecco la confusa opinione popolare intorno alla morte di Alessio ; quella 
opinione che si disegnò a tutta prima in modo indeciso nell' immaginazione 
delle masse, e poi divenne tradizione: 

Dès 1* année suivante *, M. Solovief retrouve les éléments épars de la 
légende dans les prédications des popes, les récits des bonnes femmes ; pbur, 
le moujik de Moscou ou le raskolnik du Volga , Alexis a été victime d* une 
belle-mère ambitieuse 3 ; poussé par sa seconde femme, le’tsar a pris son bàton 
de chène, un souvenir de l’ épieu meurtrier d’ Ivan le Terrible; il a été à la 
fortresse interrogcr son fils; dans un moment de colère provoqué par les ré- 
ponses de ce fils rebelle, il s’est jeté sur lui et 1* a frappé, tout comme le tsar 
Ivan frappa mortellement son héritier. Ivan est la plus vivante figure de la 
légende populaire, et la légende aime à s’y reporter » 4 . 

Più pietosa è la leggenda della morte di Carlotta, moglie di Alessio : 


1 1850-1859 (Torino, Roma, 1890, pag. 69). 

* Il 6glio dello czar Pietro il Grande era morto nella notte dal 25 al 26 giugno 1718, nella cit- 
tadella di San Pietro e San Paolo in Pietroburgo. 

* Caterina di Russia. » 

4 Vocui (E, M. de): Le fils de Pierre le Grand, (Paris, 1884) pag. 192. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


« La pauvre Charlotte 1 dut attendre encore 1 * oubli et le repos; sa dé- 
pouille l'està quelque temps en détresse sous ce ciel glacé. 

Tout cela parut si triste aux contemporains que la légende s’empara bientòt 

de cene raémoire Dans la seconde moitié du siècle, il parut en France des 

mdmoires racontant la fuite romanesque de la princesse héritière de Russie; 
elle aurait gagné la J.ouisiane sur les pas d’un officier francate qu’elle aimait 
et vécu longtenips heureuse dans les Savanes de la Floride; sa trace se serait 
perdue à File de France, où elle aurait suivi son nouvel épòux » *. 


Una superstizione su Napoleone 1°. 

Il Chirurgo di Napoleone, O’ Meara, nel suo Xapolèon en exil 3 dice che, 

nel settembre 1815, « le e H,orthumberlanJ longea Funchal Pendant le temps 

que nous fòmes à Tenere il s’éleva un scirocco levante qui fit beaucoup de ra* 
vages dans les vignes. Nous apprimes que les superstitieux habitans attribuaient 
Touragan à la présence de Napoléon. » 


Il malocchio in Senegambia. 

Ecco ciò che dice nel suo « Spaki » il sig. P. Loti 4 intorno allo strano 
uso di metter la testa nell’acqua per preservarsi dal malefizio. 

« Depuis plusieurs jours Fatou rencontrait, à la méme* heure, une certame 
vieille, très laide, qui la regardait d’une fa^on singulière, — du coin de Toeil, 
sans tourner la tèteL. Hier au soir enfin, elle était rentrée chez elle toute en 
larmes, déclarant à Jean qu’ elle se sentait ensorcelée. 

« Et, toute la nuit, elle avait été obligée de se tenir la tòte dans Teau, pour 
atténuer les premiere effets de ce maléfice » 


Una leggenda Chinese. 

Ecco la traduzione francese di questa leggenda, pubblicata nel Japon ar - 
tistique (1890) da H. Seymour Trower , e narrata nel Catalogo del British 
Museum dal signor Anderson: 

« Chung-Kwei, le chasseur de diables, un des mythes favoris des Chinois, 
passait pour étre un protecteur surnaturel de Tempereur Ming-Hwang 5 contre 

1 Morta il 2t ottobre 1715. 

• De Vocflé, op. cit., pag. 61. 

• Paris, Chantpie, 1822, pp. 7*8. 

4 Paris, Lèvy, 1886, 8* ed., pag. 169. 

• 7x3-762 della nostra era. 


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jyfì 



MISCELLANEA 


les mauvais csprits qui hantaient son palais. Son histoire est ainsi racontée 
dans le E-honko-ji-dan : L’ empereur Genso fut pris une fois de la fièvre, et 
dans son délire il voyait un petit déraon en train de voler la flòte de Jokiki: 
au ménie moment un robuste esprit apparut, saisit le démon et le mangea. 
L’empereur lui ayant demandé son noni, il répondit : « Je suis Shinski shoki, 
de la montagne de Shunan. Pendant le rógne de P empereur Koso je ne 
pus obtenir le rang auquel j’ aspirais dans les emplois supérieurs de l’Etat, et 
de honte je me tuai. Mais à mes funérailles je fus élevé par Pordre impérial 
à une dignité posthume, et raaintenant je cherche à reconnaitre la faveur qui 
m* a été octroyée. C’est pourquoi je veux exterminer tous les démons sur la 
terre. » — Genso se réveilla et trova que sa maladie avait disparu. 

«r II donna alors à Go-poshi P ordre de peindre le portrait de P extermi- 
nateur des diables, et d’en distribuer des copies dans tout l’empire. » 

Alberto Lumbroso. 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA. 


Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile a cura di Benedetto Croce. 
Voi. I. Napoli, MDCCCXCI. In-8* di pp. CCIV-296. 


orma il secodo volume della Bibl. Nap. di Stor . e Leti., ed è ni- 
tidamente impresso in carta Miliani , pei tipi del cav. Vecchi di 
Trani. Precede la riproduzione del ritratto del Basile, premesso 
al Teagene, incisione di Nicola Pency, da una pittura o disegno di 
Giambattista Caracciolo. È dedicato al Comm. Capasso con alcuni versi del- 
l’Egl. VI delle Muse Napol ed opportunamente adatti alla circostanza. Oltre 
la bella prefazione, comprende le due prime giornate, onde ia necessità di un 
altro tomo, che vedrà, fra non molto, la luce. Ma, per ora , parliamo della 
parte pubblicata. 

Nel 23 febbrajo 1632, moriva in Giugliano il Cav. Basile, lasciando pa- 
recchi mss. fra cui uno contenente le Muse Xapolitane , e l’altro: Lo Cunto 
de li Cunti overo lo traltenemienlo de * Peccerille , assumendo anagrammati- 
camente il nome di Gian Alesio Abbatlutis. Tosto si provvide alla stampa delle 
opere postume; ed un tale Salvatore Scarano s’incaricò de Lo Cunto , dedi- 
candolo a Galeazzo Pinelli, Duca d’ Acerenza, già protettore di Giambattista. 
Nel 1634, appresso Ottavio Beltrano , uscì come si dice nel preambolo, a la 
prima giornata del Tentamerone overo Conto de' Conti . <? Appare qui, per la 
prima volta e non già sul frontespizio, il titolo di Pentameronc ; e s’ignora, se 
proveniente dal Basile, o dall’ editore. Titolo del resto , che richiamava pre- 
cedenti storici, e che poi prevalse, anche perchè più breve e più comodo del- 
l’altro. 

Qualche mese dopo pubblicò la domata seconna per gli stessi tipi, ioti- 



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rivista bibliografica 


*8i 


tolandola pure al Pinelli. Durante l’anno, uscì anche la fornata terzo, per La^r 
%aro Scoriggio, senza dedica. Fra il 1634-5 Ja quarta dallo stesso tipografo; e 
dedicata da Giov. Antonio Farina a Giuseppe de Rossi e Bavosa, Barone di 
Castelnuovo. Mi sono indugiato ad indicar meno sommariamente questa prima 
edizione, perchè semisconosciuta; anzi, finora, se ne conosce completo un solo 
esemplare, che si serba nella r Bibl. Nazionale di Torino , e già indicato dal 
Rua: Nov. iti Mambriano ecc. (Loesclier, 1888, p. 29, «.). 11 Rapanti l’aveva 
descritta in parte nell’opuscolo: G . Passano e i novellieri (Livorno, 1878 

pp. 71-2). 

Come è facile supporre, l’opera non ebbe Tubimi mano dal suo autore, 
e fu impressa arrandcllatamente presentando parecchie mende, specie riguardo 
a correttezza di testo. Questo difetto continuò nelle ristslfnpe ; e fu tanto in- 
testi, che nel 1674, Antonio Bulifon ne intraprese un’Bflizione corretta, valen- 
dosi dell’opera dell’autore della Posilecheata ì Pompeo Sarnelli, che s’ingegnò 
ridurre il libro alla « vera letione ». Qui apparisce, per la prima volta, sul fron- 
tespizio il titolo di Pentamirone . Ma le cure amorose del Sarnelli non furono 
coronate da felice risultato. Secondo quel tempo, correggere consisteva quasi 
nel collaborare con l’autore, raffazzonando, e sia anche migliorando... con criteri 
individuali. Tutto ciò potrà solo avere una certa importanza filologica per lo 
studioso del dialetto; e peccato, che il sistema di correzione non sia stato sempre 
rigorosamente costante. Comunque, rispettò l’ortografia, e nulla di sostanziale 
aggiunse o tolse nel testo: solo al punto dove dice a arrevato alV acqua de 
Sarno » ( 111 , 5), introdusse questa curiosa e scherzevole interpolazione, passata 
nelle ristampe posteriori: <r ch'ilio bello shiummo , c' ha dato notarne a la fami- 
glia antica de li Sarnelli . » E la lezione sarnelliana fu adoperata nelle ulte- 
riori edizioni. 

Che fosse molto letto e ricerco il Tentamerone , è provato dalla ristampa 
non solo del testo; ma eziandio della parafrasi bolognese, eseguita dalle sorelle 
di Eustachio Manfredi, Maddalena e Teresa ; e dalle sorelle di Giampietro e 
Francesco Zannotti, Teresa ed Angiola. Anche quel raffazzonamento italiano 
nel 1754, fu impresso non meno di quattro volte. Due anni fa usciva dal Paggi 
di Firenze una specie di riduzione: Fate benefiche , in ital ano, per cura del Ferri, 
di solo diciotto conti tratti dalle due prime giornate. Lo provano le imita- 
zioni dei Lippi, del Gozzi, del Wieland, e che so iol Ma noialtri non leggiamo 
più questo volume per mero diletto; bensì perchè rispecchia la vita cd i co- 
stumi del popolo e del tempo in cui visse Fautore, perchè è un prezioso con- 
tributo demopsicologico, ed inconsciamente precursore degli studi moderni, 
tanto da potere stare accanto ai Kinder und Hausmàrchen de’ fratelli Grimm, 
i quali veramente gli aprirono la porta alla vita moderna. Nell’ opera citata, 
impressa nel 1822, facendo la rassegna delle fiabe, gli assegnavano il primo 
posto anche sulle Piacevoli Notte dello Stra parola, dando tradotto pure qual- 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 36 


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282 

cuno de* conti. Ma chi seguendo il loro impulso, completò 1 * opera fu Felice 
Licbrecht, da poco rapito a’ vivi, che nel 1846 pubblicava a Breslau, in due 
volumi, la versione completa in tedesco del Pentamerone. Giacomo Grimm vi 
premise una prefazione, in cui metteva maggiormente in luce i pregi del libro. 
Due anni dopo il Taylor dava fuori , in inglese , la traduzione di trentuno 
fiabe , tralasciandone altre diciannove perchè inadatte a’ fanciulli cui si rivol- 
geva. Chi fra di noi ravvivò la riputazione di lui, guardandolo sotto il nuovo 
aspetto, fu il compianto Imbriani col suo studio: Il Gran Basile , inserto nel 
1875 nel Giorn. nap. di jilos. e lett. 9 e peccato, che di questo dotto lavoro non 
si fece neppure un estratto. 

Con tali precedenti, il Croce ha ritenuto, che restasse solo a ristampare 
il testo genuino del Basile con opportune illustrazioni storiche e filologiche, 
porre in relazione le opere napolitane di costui con le altre scritte in quel 
tempo nello stesso vernacolo, ricercar la ragione del fiorire della letteratura 
dialettale a principio del sec. XVII, rifarne infine la biografia con nuove e più 
accurate indagini. Ed a quest’opera si è accinto. Ritesse la vita, valendosi spe- 
cialmente degli scritti di lui, che sono il fonte più copioso di notizie, senza ri- 
sparmiare ricerche, tanto, che, fra i vari documenti, ha avuto il piacere di 
pubblicare anche quattro lettere inedite del Basile, cavate dall'Archivio di Man- 
tova. Nondimeno ignoto è restato il luogo e Tanno preciso della nascita. Solo 
da una confessione autobiografica , contenuta nelle Avventurose disavventure 
(III, 1), conghiettura essere nato nel villaggio di Posilipo intorno al 1575. 
11 raffronto poi ha cercato istituirlo specie col Cortese e con lo Sgruttendio, 
dando importanti notizie a questo proposito, i quali due unitamente col Basile 
possiamo dire i tre padri del dialetto partenopeo. 

In ordine alla riproduzione del testo, non si è ristretto ad una materiale 
ristampa della prima edizione; ma ha cercato fermare un testo critico e defi- 
nitivo, riformando anche la punteggiatura. Ha abolito gli apostrofi indicanti 
aferesi, adoperati talvolta dal Basile a principio di parola, per l'uso incostante, 
e perchè ritiene sbagliato questo sistema movente dal concetto di considerar 
molti vocaboli dialettali come manchevoli e corrotti, rispetto a quelli della 
lingua italiana. Mi permetta T amico Croce in questo di dissentir da lui , per 
le ragioni espresse nei vari scritti (anche troppi !), su Targomento. Che molte 
parole siano aferizzate è evidente, innegabile; e non trovo ragione, in una or- 
tografia tradizionale, escludere nel dialetto quanto si è praticato per TItaliano 
dal suo sorgere fino a* tempi nosfci ! 

Le note, come dicevamo, sono 0 storiche , che spiegano le allusioni a cose 
ed a costumi popolari; o filologiche, dirette a diradar le oscurità linguistiche, 
che incontrano fino i più provetti del partenopeo, in quest'opera con tanta ric- 
chezza di vocaboli e di sinonimia. 

NelTintroduzione alla prima giornata, si accenna al rimedio di mastro Grillo, 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


283 

L’allusione riuscirebbe incomprensibile, senza tener presente YOpcra nuova pia- 
cevole et da ridere de un villano lavoratore nominato Grillo quale volse diventar 
medico , in rima istoriata (Ve n. 1521), di cui il Passano ricorda varie edizioni. 
(V. Novell ital. in verso , ‘Boi. 1868, pp. 99-100). A proposito di domene Ago- 
stino, sciroppo inventato da Agostino Nifo, cita opportunamente un luogo di 
Lucio Sacco q,cc., e nota l’interpolazione di Mast’Austino nel giuoco: Stienne, 
stienne, mia cortina. (Cfr. pure pp. 22-7 nelle: Tradizioni ed usi nella Peni- 
sola Sorrentina , Palermo, 1890). Così pure spiegando: schiaffance sso naso a 
Napole , alludendo al rito giudiziario per cui il debitore decotto , denudato il 
sedere, doveva dar con esso tre volte sulla pietra, eccetera (V. 0. c. pp. 122-4). 
Confuta poi l’opinione del de Ritis, il quale spiegando la frase: « che te cride 
ca so’ de lo Jojo ® (I, 4) assevera trattarsi della contrada della città, altrimenti 
detta Ponteoscuro, abitata dalla feccia della plebe. Invece il Croce, sorretto da 
un passo de l’ Astuta Cortegiana , commedia di Giul. Ces. Sorrentino, sostiene trat- 
tarsi di Gioj, in prov. di Salerno, circondario di Vallo. Ma, se volessi riferire 
tutte le ingegnose spiegazioni, non la finirei più. Solo qua e là avrei voluto, 
che si fosse tenuto meno sulle generali. Maglia spiega « nome di antica mo- 
neta ». Di argento, di oro, di bronzo? Ed equivalente? Parlandosi di Zoza t 
figliuola del Re di Vallepelosa , c* informa, che questo nome si è adoperato 
anche dallo Sgruttendio. È troppo poco. Perchè non dire, che è diminutivo , 
peggiorativo, storpiatura del tale o tale altro? Lampa, come misura di vino, 
è tuttavia viva nel dialetto tegianesc, e vale una , non due caraffe. A pro- 
posito del mangiaguerra d' Angri , rimanda al ms. del Tufo, esistente nella 
Razionale: non sarebbe stato meglio riferire il brano all’uopo? Nè parmi e- 
satto , spiegando le parole la bella nenna faceva la nanna , dir solo , che 
nanna è giuoco di parola con nenna giovinetta. Va ravvicinata a ninna-nanna ; 
e far la nanna , vale dormire. Ma questi ed altri son solamente de’ piccoli nei! 

In ultimo vi è una tavola di riscontri , che serve a porre in relazione i 
conti del Basile con le novelle popolari pubblicate in altre raccolte italiane, tra- 
lasciando le singole versioni. Di esotici vi ha aggiunto solo i riscontri coi Contes 
del Perrault, e tutti quelli con le fiabe tedesche, già ricacciati dai Grimm. Certo 
il Basile non fu il primo, nè solo a scriver fiabe , e parecchie se ne trovano 
anche nello Straparola; ma ha questo di speciale, che, mentre gli altri svisano 
il racconto popolare, raffazzonandolo, o strozzandolo fra le spire di ferro del 
vecchio stile de* novellatori italiani, egli invece racconta le fiabe, abbigliate di 
tutta la pompa, e le bizzarre, e strane fogge della fantasia popolare. Nel suo 
libro si trovano schiette ed inalterate, tanto che inconsciamente arieggia un 
raccoglitore moderno. Si può dire che abbia due facce; l’una seria, che rappre- 
senta serenamente ed ingenuamente; l’altra burlesca, derivata dall’individualità 
dello scrittore. Ha saputo mirabilmente adattar la forma, come ben notava 
l’Imbriani, a questi racconti impersonali, e nel contempo imprimere a questa, 


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forma il suggello della personalità propria. Ne* racconti popolari la mancanza 
d’individuazione forma un incanto, che sparisce appena uno di noi vuol porsi 
a ritoccar quelle fantasie. Invece il Basile è giunto quasi a conciliar l'inconci- 
liabile, specie nello stile : personalità spiccata ed impersonalità popolare. Il 
dialetto napolitano da lui adoperato, (che sembra contenere un’ ironia implicita, 
qualcosa d’ingenuo e di beffardo), vi contribuì non poco, in guisa, che mentre 
nel suo libro è la voce del popolo, vi è pure il letterato secentista, coq quella 
specie di macchinario epico tradizionale, con i suoi pregi e i suoi difetti, dei 
quali ultimi sembra farsi beffa; elementi individuali, che dànno l’impronta del 
tempo, e per cosi dire la firma dello scrittore all’opera sua. 

Ma non v’è mancato chi abbia inforsata l’originalità del Basile. Il Liebrecht, 
p. e., in una nota alla traduzione tedesca dell’opera inglese del Dunlop : Ge- 
schichte der Prosadichtungen , accenna ad una certa parentela letterariamente par- 
lando, del Nostro col ‘Pantagruello del Rabelais; anzi nota alcuni punti in cui 
l’imitazione gli sembra evidente. A questo risponde il Croce, e con buone ra- 
gioni, prova trattarsi di un incontro accidentale, di simiglianza d’ingegno più che 
altro. Invece importante per la storia rabelesiana in Italia, è un componimento 
del Cortese, inserito nel quinto voi. della prima ediz. del Cunto , stampato nel 
1636. Si tratta d’un: Consiglio dato da lo Chiajese ad una persona che Paddemannaje 
qual fosse meglio n\orasese 0 stare sen^a mogliere. È quasi una parafrasi o tradu- 
zione in versi del cap. IX, lib. Ili del Tantagruel ; consiglio , che, alla sua volta, 
ebbe nel seicento anche l’onore di una parafrasi 0 trasformazione: Istoria Ri - 
dolosissima Kap. del Dottor ‘Pugliese , ecc., arieggiarne uno de* soliti libercoli 
popolari; ma che, per quanto si sappia, non divenne mai popolare. Tale imi- 
tazione indurrebbe a ritenere, essere noto in Napoli il Rabelais a* principi del 
seicento a quel gruppo letterario, donde usci il Basile; e quindi, forse, si po- 
trebbe parlare anche in costui di una imitazione di puri procedimenti artistici, 
essendo lo stile suo proprio ed individuale. Allora la conoscenza rabelesiana 
non si ridurrebbe al fugace accenno nelle Facezie del Poncino, come pretende 
il Guerrini, ed a qualche altro pescato dal Martinozzi. Ma da questo al rite- 
nere , secondo ipotizza il Mounier , che fin Giordano Bruno , compaesano o 
quasi del Basile, abbia imitato lo stile del Rabelais, ci corre ! E giacché siamo 
nel campo delle ipotesi, non potrebbe derivare questa imitazione del Cortese 
dall’aver tanto lui, quanto l’altro attinto a qualche facezia popolare, perduta o 
malnota? Tutto si riduce a citare il prò ed il contra ad uno , che voglia tor 
moglie; e pare, che 1 ’ argomento stesso si presti ad una facezia. Del resto la 
mia è una semplice ipotesi, che aspetta la sua conferma o la sua esclusione. 

Dopo tutto questo, parmi inutile aggiungere, che il Croce ha pubblicato 
un bello e buon libro, importante per gli studi di letteratura popolare, c che 
gli studiosi devono aspettare con desiderio il secondo volume. 

Gaetano Amalfi. 


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Usi e Costami abruzzesi descritti da Antonio De Nino. Volume quinto: 

Malattie e Rimedii. Firenze, Tipografia Barbèra, 1891. In-ió°, pp. VIII- 

209. L. 2, 50. 

« Questo volume, scrive l’A., continua a mettere in evidenza la vita intima 
del popolo, cui io mi vanto di appartenere; e sarà, perciò, non solo un altro 
contributo alla storia generale d’ Italia , ma anche alla storia della medicina 
e, in ispecie, della terapeutica. 

« Nè si creda che sempre i rimedii empirici sono una disgrazia. Sempre, 
no: il più delle volte, anzi, giovano potentemente; perchè, in realtà, si formano 
sopra le esperienze di secoli e secoli. E poi , come farebbe la povera gente 
sparsa nella campagna, e come farebbero le popolazioni dei piccoli paesi, 
dove è raro che si veda il medico, o si vede quando il malato sarebbe finito, 
se non si fosse ricorso alla medicina tradizionale ? » 

Con queste idee il prof. De Nino apre il quinto volume della sua colle- 
zione, il quale è tutto di medicina popolare. 

Da lui, non medico, non si poteva esigere una divisione di materia se- 
condo la scienza . se pure questa divisione è possibile in un momento , per 
così dire transitorio della scienza stessa. Egli però, con molto accorgimento, ha 
seguito un metodo misto raccogliendo le sue osservazioni in gruppi di malattie 
congeneri e di organi e tessuti anatomici. Cosi ha illustrato le malattie infet- 
tive, i dolori reumatici , le malattie nervose , le scrofolose , le cutanee , le malattie 
delle ossa , le lesioni violente , la malattia delle donne , gli avvelenamenti , i tu- 
mori, le malattie della bocca , della gola, del naso , degli occhi , degli orecchi , del 
torace , della vescica , delle viscere addominali ; ed ha chiuso, come in parte so- 
gliono chiudere i patologi nella descrizione delle forme più gravi delle ma- 
lattie, con la morte, che per un folklorista si riduce ai pronostici di essa. 

Il popolo non ha un concetto chiaro delle malattie anche più eviden ti 
ed esterne. Bisogna non esser medici per non aver sentite certe enormità dia- 
gnostiche e terapeutiche da fare spiritare i cani ! Quindi si correrebbe peri- 
colo di cadere in grossolani errori se volessero accettarsi la diagnosi, e peggio 
ancora le prognosi di questo popolo. Enologicamente guardate , le malattie 
per esso provengono da arti malefiche soprannaturali, da « frigidità », da nervi, 
da scrofola, da erpeti, da irritazione, da acidità e via discorrendo. Da qui la 
terapeutica più strana, fondata in Verbi s, herbis et lapidibus : orazioni , scon- 
giuri, brevi, panacee, amalgami, empiastri, cataplasmi, che sono le più bizzarre 
ed impossibili miscele di questo mondo. Dove il medico non vale c*è il bar- 
biere, il santone, la comare, la maliarda, che guariranno, ciascuno a modo 
suo, il malocchio, la risipola, la lombaggine, l’eclampsia, l’ isteria, le scrofo- 
losi, i geloni, i morsi velenosi, la rogna, 1* orzaiuolo, la difterite, il croup, le 
oftalmie, l’itterizia, le emorroidi, la metrorragia. Le cure si basano sulla teoria 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


del similia similibus : e quindi olio di scorpioni pei morsi degli scorpioni, pelo 
del cane che ha morso pel morso di esso , che si dice sempre di animale 
idrofobo. In questo, il nostro popolino precorre a certi istituti antirabbici , pei 
quali ogni morso della specie canis e fdis è idrofobia; onde una statistica spa- 
ventevole per numero d'idrofobi, ma consolante, se non esilarante, per gua- 
rigioni. 

Si può immaginare da questo la utilità pratica del libro del De Nino, al 
cui valore non toglierà gran cosa la mancanza dei nomi officinali delle piante, 
la natura delle quali non sempre ci è stata facile d'indovinare : ciò che non 
sarà solo per noi ma anche per gli stessi Abruzzesi. 

G. Pitrè. 


Di alcune pubblicazioni di A. P. Ninni. Venezia, 1890-91. 

In due anni il Ninni ha dato fuori tanta e così bella materia di dialet- 
tologia e di folklore veneto che pochi possono vantarne, in così breve tempo, 
di più curiosa. Abbiamo sott’ occhio una mezza dozzina di opuscoli, vere ra- 
rità bibliografiche, delle quali vogliamo fare una breve numerazione: 

1. ^Araldica pescatoria . Venezia, Tip. Longhi e Montanari 1890. In-i 5 ° f 
pp. 8. Illustra l'usanza dei pescatori veneti « di adoperare speciali insegne per 
contraddistinguere le loro barche. Questi rozzi segni si perpetuano , almeno 
nelle loro parti più essenziali , da padre in figlio e sono tenuti in onore ed 
illustrati con temerarie imprese ». 

2. Voci bambinesche della lingua vernacola veneziana. Venezia 1890; pp. li. 
Il Musatti raccolse il linguaggio affettuoso delle madri verso i loro bimbi; 
ora il Ninni offre un saggio di Dizionarietto delle voci proprie della prima 
infanzia : specie di gergo che le madri istillano ai loro bambini appena essi 
cominciano ad articolare le parole più semplici, e che « può servire forse di 
scorta nelle indagini sulle origini di alcuni più antichi vocaboli che corrispon- 
dono od ai caratteri degli oggetti che si vogliono indicare , od alla intelli- 
genza di coloro pei quali furono inventati ». I lettori potranno fare dei con- 
fronti tra queste e le voci pubblicate per la Toscana dal Carena, Vocabolario 
domcst. c. I, § 4; da Frizzi e Fanfani, Vocabolario ; per l’ Italia tutta dal Co- 
razzai, Comp. min., lib. I; pel Friuli dall’ Ostermann, Il linguaggio dei barn - 
bini) per la Sicilia dal Bellaberba , Arch. , IV, 891, e da noi, Usi e Costumi, 
II, 186-189. 

3. Giunte e Correzioni al Dizionario del dialetto veneziano . Serie tre. Ve- 
nezia 1890, pp. 262. Questo volumetto è un’ appendice al .noto Vocabolario 
di G. Boerio, il quale* volle modestamente dire: Ego piantavi , alla prima edi- 
zione dell’opera sua. Le aggiunte del Ninni riguardano specialmente la pesca 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


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e la caccia, e, in generale la scienza, le cui voci non sempre sono definite, e 
le definite non sempre bene, duel che dà valore spiccatamente etnografico 
all' opera sono le molte , moltissime notizie di credenze , giuochi , pratiche, 
usanze, forme popolari venete dall’ A. apprestate qua e là ; onde gioverà te- 
nerne conto negli studi comparativi e di riscontri. 

4. La caccia degli Uccelli acquatici nelle valli del Veneto Estuario . Venezia, 
1890. In-16 0 , pp. 23. Questo scritto è ripubblicato dallo Sport , e in parte rias- 
sume quattro « almanacchi pei cacciatori, uccellatori* ed ornitologi » apparsi 
in Venezia tra gli anni 1825-1828, per opera del noto patrizio veneto F. M. 
Grimani; in parte dà di suo originalmente una serie di notizie, precetti, re- 
gole relative a quella caccia, che è delle più diverten/i e insieme delle più co- 
piose pei cacciatori veneti. La tradizione è tutto in quest’opuscolo, perchè il 
Ninni non fa se non descrivere gli usi venatori nei loro particolari e nei vo- 
caboli consacrati dalla pratica; vocaboli che poi, in fine dello articolo, egli in 
nove paginette illustra sotto il titolo di 0 Lista di alcune voci e frasi in uso 
tra i cacciatori di valle ». Come esperto pescatore e reputato ictiologo , il 
Ninni è abile ed appassionato cacciatore e, scientificamente parlando, egregio 
ornitologo. 

5. Ribruscolando. Venezia 1890-91. In-16 0 , pp. 2 22. Saggio di una rac- 
coltina d’ indovinelli , proverbi , canzoncine , componimenti rimati e di altra 
forma e genere usati dal popolino veneziano; e l’A. gli dà quel titolo perchè 
«essendosi usato asalando , con più ragione gli sarà lecito servirsi del voca- 
bolo ribruscolando per intitolare questo saggio di componimenti leggieri leg- 
gieri ma che risvegliano in noi la memoria tanto gradita della prima fanciul- 
lezza o che contengono unto di sale da far rivolgere seriamente il nostro 
pensiero sulla popolare educazione». Gli indovinelli sono 57, i proverbi 181, 
le canzonette varie, comprese poesie liriche non veramente popolari, 203. Po- 
trebbe dirsi che alcuni proverbi furono già pubblicati dal Pasqualigo ; ma si 
ha a ricordare che la raccolta del Pasqualigo ( Prov . veneti) è della Venezia, 
e questa raccoltina del Ninni è esclusivamente della città. 

6 . Materiali per un Vocabolario della lingua rusticana del Contado di Tre- 
viso con un'aggiunta sopra le superstizioni , le credenze ed i proverbi rusticani . 
Serie I* e IL* Venezia 1891. In-16 0 , pp. 192. La parte folklorica occupa quasi 
metà di questo volumetto. Di 90 superstizioni, una parte sono religiose; un'al- 
tra, meteorologiche, una terapeutiche, una varie. Son 333 i proverbi, detti ed 
aforismi, e io gl’ indovinelli da aggiungere a quelli delle precedenti raccolte. 
Nè questo è tutto. Nella prima metà del libro tra i molti materiali per un 
vocabolario trevigiano sono descritti oggetti , costumanze , pratiche popolari 
genuine, le quali fanno di esso un ricco repertorio di voci da doversi all’uopo 
consultare dal folklorista. 


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288 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


7. Nozioni del popolo venerano sulla Somalomaniia. Venezia 1891. In-i6 d , 
pp. 6; 2* edizione con aggiunte. Ivi 1891, pp. 23. L’A. dedica questo opuscolo, 
nuovo sotto certi aspetti , al Dottor Cesare Musatti , « tenace raccoglitore di 
cose popolari *. Per via di proverbi, il Ninni espone le divinazioni del volgo 
intorno al fisico ed al morale del corpo umano; giacché pel popolo « la forma 
di ogni singola parte esterna dell* argomento ha il suo valore e corrisponde 
a speciali caratteri psicologici, ed è segno di congenti difetti l’organizzazione 
di malattia ». Questa raccoltina si legge con vivo interesse. 

Noi non domanderemo un po’ più di ordine nella distribuzione della ma- 
teria all’egregio Ninni. Egli primo ha dichiarato di aver voluto soltanto fornir 
materia, quale gli è venuto fatto di metterla insieme, agli studiosi: niente più 
di questo. Stà agli studiosi il trarne profitto , ed è loro dovere di saperne 
grado al nobile uomo e dotto naturalista. 

G. Pitré. 


Intorno alle « Piacevoli Notti » dello Straparola* Studio di Giuseppe 

Rua. Torino, E. Loescher 1891. ln-8°, pp. 108. 

Ai lettori dell 'Archivio che possono aver seguito lo spoglio del Giornale 
della Letteratura italiana di Torino non riuscirà nuovo questo studio, tirato 
a parte appunto da quel Giornale . L’argomento dev’essere ed è di grande at- 
trattiva per chi si occupa di novellistica in generale e di storia di novelle po- 
polari in particolare; giacché volendo ricercarsi le filiazioni, le analogie, i pa- 
ralleli delle fiabe e dei racconti tradizionali in Italia bisogna prender le mosse 
dalle Piacevoli Notti che un secolo prima del Cunto de li cunli colsero e fis- 
sarono le versioni popolari di un certo numero di racconti quale correvano 
allora nell’alta Italia. 

11 Dott. Rua, che col suo libro sulle Novelle del * Cambriano » (Torino 
1888) mostrò quanto valga in cosiffatte ricerche, ha fornito una eccellente mo- 
nografìa sull’opera dello Straparola , apportando quelle notizie che ha potuto 
— e per vero son poche, giacché le vicende del novelliere di Caravaggio son 
quasi ignote — t° sulla vita di lui, 2 0 sulle edizioni e sulla fortuna delle Pia- 
cevoli Nòtti] 3 0 sulle fonti delle fiabe e dei racconti di esse. E qui giova rile- 
vare il giusto concetto che il Rua ha di quelle fonti , cioè che lo Straparola 
<» attinse le sue fiabe dalla tradizione orale •> (p. 16) , come pur ritenne G, 
Grimm, e che dalla medesima tradizione potè anche attingere « direttamente 
i temi per alcune novelle, talvolta fors’ anche non sapendo che da altri no- 
vellatori questi stessi temi erano stati trattati prima di lui » (p. 20) : senza 
pregiudicare la parte che lo S. prese, ora copiando, ora traducendo, dai suoi 
predecessori , e dal Merlino specialmente. Nel 4 0 capitolo della sua Memoria 
il Rua rileva il ritrovo nel quale lo Straparola immagina che le sue novelle 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


289 

siano state narrate in tredici notti consecutive da utia schiera di gentildonne 
e indaga la data. Nel non reputa « inopportuno considerare nel suo com- 
plesso 1 ’ elemento enigmatico che Io Straparola introdusse nella sua opera » 
(p. 30), e lo fa come doveva farlo per non insozzarsi nelle oscenità onde son 
guasti gli enigmi del novelliere veneto, e con quella minuta conoscenza della 
enigmatica popolare e letteraria della quale diè prova nell’articolo Di alcune 
stampe d'indovinelli ( Archivio , VII, 427-442). 

Tre quinti dello « Studio » (pp. 43-108) finalmente vengono occupati da 
« Riassunti ed illustrazioni » delle settantacinque novelle (vi si comprendono 
le novelle 3* e 4 a della Vili* notte aggiunte nella edizione del 1 856) (p. 87) 
delle quali si compongono le ‘Piacevoli Notti : e questo è lavoro di sottilis- 
sime ed eruditissime notizie di ciascuna novella straparoliana con'i riscontri che 
essa ha con le novelle orali e scritte d’Italia e d’Oltralpe. Questi riscontri si 
potranno allargare ancora di molto, ma non modificheranno in nulla questo 
pregevole documento della storia della novellistica in Italia. 

Sappiamo che la Casa editrice Loescher prepara, desiderata da tutti noi, 
una edizione critica delle Piacevoli Notti a cura dello stesso dott. Rua: eb- 
bene : quale introduzione critica migliore di questo Studio diligente ed amo- 
roso ? 

G. Pitré. 


Questionnaire de Folklore publié per la Société du Folklore Wallon. Liége 

Vaillant-Charmanne 1891. In 8°, pp. 155. 

Diremmo a lungo di questo volume, che è dei migliori nel suo genere, se 
volta per volta che ne son venuti fuori i fogli di stampa , distribuiti per di- 
spense, non ne avessimo fatto cenno nz\Y Archivio. Ed il volume merita invero di 
esser conosciuto, come quello che mette sulla via di poter bene raccogliere materia 
i meno esperti, ed è fatto a posta per i Belgi. Esso accenna i quesiti ora in 
forma generale, ora in forma particolare localizzata alla vita, ai costumi, alle 
tradizioni belghe. 

Ad ogni quesito segue una risposta ad esso relativa , una delle tante che 
al quesito medesimo potrebbero darsi ; e la risposta è per lo più un uso, una 
credenza, un giuoco , un canto , un indovinello , un proverbio, una fola, una 
fiaba; sicché nel Questionnaire si ha non solo un migliaio di domande, ma 
anche una raccolta di oltre il doppio di usi e tradizioni orali, i quali, com’è 
da immaginare, richiameranno molte migliaia di altri usi e tradizioni presso 
coloro che dell* opera vorranno efficacemente giovarsi. 11 partito preso dal 
Comitato pel « Folklore Wallon », di dare al Questionnaire un carattere deci- 
samente locale, ci sembra dunque per più versi buono, perchè di sicura uti- 
lità pratica. Per le raccolte generali si hanno i lavori congeneri del Sébillot 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi, X. 37 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI PO^OLAftl 


Ì90 

in Francia, del Machado y Alvarez in Ispagna, e sopratutto del Gomme in 
Inghilterra : quest’ ultimo degno d’ esser tradotto e messo a profitto in molti 
paesi d'Europa. Coi documenti intercalati nei quesiti il lettore belga si trova 
già condotto alle ricerche che gli si propongono. 

La materia da ricercarsi è compresa in quindici capitoli , i quali sono : 1 
e 14, Esseri meravigliosi ; 2. Animali ; 3. Agricoltura; 4. Piante ; 5. Medicina 
ed igiene del popolo ; 6 e 1 3 Usi e costumi ; 7. Favole e racconti ; 8. Astro- 
nomia c meteorologia popolare ; 9. Canzoni; io. Stregherie, magia, divina- 
zione; xi. Canti e giuochi infantili; 12. Blasone; 15. Calendario. Si potrebbe 
domandare se non convenga ordinare più naturalmente questa serie di domande 
e modificare qualche titolo ; ma pur modificando ordine e titoli, si ha sempre 
un libro di valido aiuto , oltre che ai Belgi , agli studiosi di altre nazioni ; di 
che il merito è tutto degli autori del libro , i signori J. Simon pel capitolo 
delle canzoni, O. Colson per le tradizioni infantili e pel blasone, P. Marchot 
e G. Willame pei racconti, G. Doutrepont per gli usi, M. Delaite per le piante 
e la medicina, J. Defrecheuse per gli animali, e particolarmente E. Monseur, 
compilatore e organatore dell’opera, per tutto il resto. 

A lui si deve se la materia messa insieme dai vari cooperatori ha potuto 
prender corpo di trattato, dove una manifestazione del popolo non soverchia 
l’altra, ma tutte si equilibrano in un tutto praticamente giusto. Egli stesso, il 
prof. Monseur, si propone di ripubblicare, tra non molto, con aggiunte, i do- 
cumenti contenuti nel Questionnaire , offrendo cosi uno scelto saggio di ciò che 
è indiscutibilmente utile nel folklore del Belgio. 

G. PlTRÉ. 


The English and Scottish Popular Ballads edited bv Francis James 

Child. Part VII. Boston Houghton, Mifflin and Company [1891]. In gr. 

8*, pp. Vl-254. 

Questa VII* parte della grande opera del prof. Child è la prima metà del 
quarto volume, e comprende trentasette ballate, dal n. 189 al n. 225. L’Editore 
non devia di una linea dal programma fin qui seguito, e ad ogni canzone ac- 
compagna la storia bibliografica, i differenti testi secondo i codici e secondo 
la tradizione orale, le note comparative, i riscontri, l’argomento, l’origine più 
o meno storica, e quanto la critica più severa ed illuminata possa esigere in 
lavori come questo dell’insigne professore di Cambridge. 

I testi scritti ed orali son sempre numerosi e di non comune importanza per 
le notabili varianti, anzi per le radicali differenze che offrono tra loro cominciando 
dal titolo; per le quali nascerà in ogni colto studioso vaghezza di seguire da 
presso le ballata nel suo andamento, nei particolari creati da uno scambio di 
strofe, di verso, di parola, e sinanco d’un semplice addiettivo. 


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RIVISTA BIBLIOGRAFICA 


291 


E poi che copia e sicurezza di notizie nella introduzione ai singoli com- 
ponimenti ! Che forza d’intuizione nel vedere testi intermedi, alterazioni, mistifi- 
cazioni di pensieri e di forma ! 

Vorremmo confortare queste lodi sommarie con prove desunte dalla Col- 
lezione tutta; e le prove avremmo larghe e splendide. Ma non è possibile 
mettere in evidenza il contenuto di un’opera che occupa finora sette grossi 
tomi, ciascuno dei quali ha tanti studi quante ha canzoni e tante canzoni quante 
non ne pubblicò mai nessuno di coloro che precedettero fin qui il prof. Child 
nelle raccolte e nelle edizioni di queste reliquie di poesia inglese e scozzese. 

Tra poco sarà condotta a termine questa opera considerevole : e la Gran 
Brettagna avrà in essa la edizione critica delle sue ballate quale non ha forse 
nessuna nazione d’Europa; ed il benemerito Editore, guardando al lungo e fa- 
ticoso cammino percorso, troverà se non nella gratitudine de* contemporanei, 
nella soddisfazione dell’animo suo quel compenso che in lavori simili nessuno 
sa e può mai dare adeguato. 

G. Pitré. 



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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 


Motteggi popolari nicosiani e sperlin- 
ghesi pubblicati da Mariano La Via- 
Bonelli. Palermo, Tip. Vena 1891. 
In-8°, pp. 11. 

È un opuscolo paremiografico, tirato 
a soli 60 esemplari, per ie nozze del- 
P avv. Ignazio Silvestri e della sig. 
Maria Marino il dì 25 marzo di que- 
st’ anno ; ed illustra otto epigrammi, 
che si sogliono barattare tra loro quei 
di Sperlinga e quei di Nicosiajuna rac- 
coltina graziosa davvero anche per le 
notizie nuove che vi si danno. A pro- 
posito del motto : « ’I Spm^nghésg pe 
doi Tana de rrcota mmètono ’a gata 
’n crosgio », V A. racconta che « Gli 
Sperlinghesi, una volta, per punire un 
gatto che aveva mangiato un po’ di 
ricotta, decretarono di metterlo in croce 
e cosi fecero, donde il motto satirico 
che gli Sperlinghesi non possono sen- 
tirsi ripetere ». 

De’ Nicosiani si racconta : 

« Una volta i N., in occasione d’una 
festa, fecero venire un carico di can- 
dele. Durante il viaggio se ne venne 
la pioggia e le candele arrivarono na- 
turalmente bagnate. Che pensarono di 
farei Nicosiani? Riscaldarono un forno 
e ve le misero dentro ad asciuttare. 
Figurarsi come rimasero quei poveri 
baggei quando, poco dopo, le trova- 
rono liquefatte ! » 


1 due aneddoti , come si sa , sono 
popolari un po’ dappertutto. 

P. 

Saggio di novelline , canti ed usante po- 
polari della Ciociarìa , per cura del 
Dott. Giovanni Targioni-Tozzet- 
ti. Palermo, Libreria Internazionale 
Carlo Clausen (già Luigi Pedone 
* Lauriel), 1891. In-j6°, pp. Vili- 108. 
L. 5. 

Questo volumetto forma il X delle 
Curiositàpopolari tradizionali , ben note 
ai nostri lettori, e non è de’ meno pre- 
gevoli. Contiene XXIX novelline, 19 
canti, IV usanze. Queste ultime riguar-* 
dano : Le nozze , La festa della <r Ra- 
dica 0 (nell’ ultimo giorno del Carne- 
vale), Gli reconsulo (banchetto funebre, 
il cùnsulu di Sicilia) , La giostra della 
bufala , e sono de’ bozzetti ben fatti, 
curiosi e degni di nota , e lasciano il 
desiderio che sieno seguiti da altri con- 
simili. Alle novellette ed ai canti, dati 
nel testo genuino di Ceccano ove fu- 
ron raccolti, non è aggiunto nessuno 
studio, o confronto, o nota; ma chi 
ha pratica di folklore, s’accorge tosto 
della notevole importanza di questi 
testi, e delle relazioni che hanno con 
quelli delle altre parti d’ Italia e del- 
l’estero. 

S. S.-M. 


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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 


293 


Lucio Mariani. La Cavalcata dell' As- 
sunta in Fermo . Roma nella sede 
della Società 1890, ln-8°, pp. 43,000 
tavola. 

Con erudizione non comune il Ma- 
riani descrive la festa dell’Assunta che si 
celebrava e, benché sfigurata, si celebra 
anche adesso in Fermo con la offerta 
di cera alla Madonna. È la celebre festa 
dei cilii (ceri) di Palermo, della quale 
scrivemmo a lungo nel voi. di Spet- 
tacoli e feste pop . siciliane. 

L* A. divide la sua monografia in 
quattro capitoli : I. Le feste popolari 
e la cavalcata. — II. Il messale De Fir- 
monibus . — III. La miniatura della ca- 
valcata. — IV. La topografia del Gi- 
rone; e, dopo un cenno delle feste ita- 
liane in generali e marchigiane in par- 
ticolare, esamina lo statuto di Fermo 
relativo a quella dell’ Assunta ed alla 
rappresentazione di essa conservata in 
un dipinto di Giovanni da Milano, che è 
nel citato messale detto De Firmonibus. 
Questo dipinto, molto curioso pei co- 
stumi del tempo, è riprodotto qui ad 
oliotipia e dà un chiara idea di quel 
che era nel medioevo questo spettacolo; 
al quale il Mariani ci riporta con pas- 
sione di erudito e con entusiasmo di 
patriota, rimpiangendo con ragione che 
un malinteso progresso abbia fatto 
mandare a male usanze e tradizioni 
che sono patrimonio storico del po- 
polo italiano. 

P. 

‘Kuiga-ZMitu , antica rappresentazione 
scenica giapponese . Nota del socio 
Carlo Valenziani. Roma, Tip. della 
R. Accademia dei Lincei 1891. In-4 0 . 

Tra* libri giapponesi non ancor noti 
in Europa è una raccolta di brevi rap- 
presentazioni sceniche col titolo : Kiyau - 
gen ki , edita nel 1662 da uno della 
famiglia Yasu-da, che la possedeva, 
come un gran segreto, ms. Da quella rac- 
colta ha tratto il eh. prof. Valenziani 
questo dialogo , saggio della lingua 
parlata allora nella capitale del Giap- 
pone: e ne ha dato la trascrizione in 
lettere nostre, una sua versione italiana 
abbastanza spigliata, e trentacinque note 
illustrative. 

Si tratta di un contadino che andato 


a comperare degli oggetti da regalare, 
e comperata una bella spada, se la vede 
presa e portata via da un borsaiuolo 
che la dice sua, e che tale la sostiene 
con prove e controprove , finite da 
ultimo con solenni mentite , innanzi 
all’ufficiale di vigilanza. La forma dia- 
logica non toglie nulla al racconto, 
che è tradizionale, e che fu poetizzato 
dal La Fontaine, Fables , libr. IX, n. 9 : 
L' imi tre et les plaideurs ; dal Pignotti, 
Favole , n. 32: Il giudice e i pescatori 
e da altri. 

P. 

Dott. Zeno Zanetti, La Medicina delle 
donne . Conferenza tenuta al Circolo 
mandolinisti in Perugia la sera dell'8 
marzo 1891. Perugia Buoncompagni 
1891. In-8°, pp. 34. 

Gaspare Uxgxrelli, M edicastri e Ciar- 
latani ne ’ secoli del rinascimento in 
Italia. Bologna, Tipografia Gamberini 
e Parmeggiani 1891. In-8°, pp. 12. 

Il D. r Zenatti., che fece il suo primo 
ingresso nel campo del Folk-lore con 
un bel saggio di superstizioni mediche 
intitolato: Nonne e bambini (Perugia, 
1886), e che è prossimo a dar fuori 
un volume su La medicina delle nostre 
donne , nella sua conferenza ci fa co- 
noscere le teorie delle popolane di Pe- 
rugia in ordine a medicina. Queste 
teorie sono curiose e disgraziatamente 
non nuove per noi, giacché il popo- 
lino italiano è suppergiù lo stesso da 
Girgenti a Susa : e che P ultima fem- 
minuccia di questo mondo , la quale 
sappia fare i conti con la sua came- 
riera , creda di dare dei punti al me- 
dico, è sempre una grande verità. 

Siamo lieti che le osservazioni del 
D. r Zanetti vadano in pieno accordo 
con quelle da noi espresse l’anno pas- 
sato in un articolo sulla Medicina po- 
polare in Sicilia inserito ntWAm Ur- 
Quell di Vienna , e da un certo lato 
con le altre del bravo Ungarelli nel 
recente opuscolo : Medicastri e Ciar- 
latani , nei quale è tratteggiata la fi- 
gura, la vita e le abitudini dei medici 
nell’ età dei rinascimento, e che pure 
ci è riuscito graditissimo per notizie 
peregrine. 

P. 




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294 


ARCHIVIO PBR LE TRADIZIONI POPOLARI 


[E. G. Parodi]. Nozze Bozano-De Fer- 
rari. [Ancona, 1891]. In-8°, PP* 16. 

Per le nozze dell’avv. F. P. Bozano 
con la sig. n * Maria Felicita de Ferrari 
il prof. E. G. Parodi ha dato fuori a 
soli 70 esemplari questo opuscoletto, 
che è una novellina arpinate : La nu- 
vola, saggio d’una raccolta di cose at- 
tenenti al Folklore di quella regione. 
« Esso contiene il mito d’ Amore e 
Psiche; ma non può dirsi popolare se 
non in senso molto ristretto , giacche 
proviene senz* alcun dubbio dalla fa- 
mosa novella d' Apulejo. Pare molto 
probabile essa uscisse, or non è molto, 
a cominciare le sue peregrinazioni fra 
il popolo, da un convento di monache, 
che tengono in Arpino un educan- 
dato ». 

Cosi nota il raccoglitore a p. 15; 
ma chi ha a mano le altre versioni po- 
polari italiane e straniere di questa no- 
vella, non uscita certamente da mona- 
steri e da conventi, non farà restrizioni 
circa al tempo ed al luogo di prove- 
nienza e di diffusione di esse. 

La novella è carina anche per certe 
particolarità; carini sono anche i versi 
di dedicatoria del P., « che dalla no- 
vella traggono il motivo fondamen- 
tale » e dove FA. ha « ricorso ad Apu- 
lejo o, se si vuole, al Firenzuola, per 
esporre il mito con qualche esattezza ». 

Saggio di usi e costumi abruzzesi, 0 
La festa dei Banderesi , altrimenti 
detta della Ciammaichella ecc. Let- 
tera a Guido. Verona Marchiori 1890. 
In-8°, pp. 5 3 - 

L’autore di questo libriccino non si 
fa conoscere, ma crediamo d’ indovi- 
narlo in un brav’uomo della pasta an- 
tica, il Sig. Leonardo de Leonardis. 

Il quale prendendo occasione dalla 
festa detta dei Banderesi o della Cium - 
maicheìla , solita celebrarsi in Bucchia- 
nico il 25 maggio di ogni anno in o- 
nore di Sant’Urbano 1 papa e martire, 
s’intrattiene con compiacimento degli 
spettacoli religiosi e devoti più graditi 
agli Abruzzesi. E qui fa una rassegna 
rapida ma tale da comprendersi bene, 
di rappresentazioni popolari pantomi- 
miche, parlate o miste, con prevalenti 


ricordi dei Saraceni e delle lotte pel 
trionfo della religione. Il popolo vi 
piglia parte attivissima in corpo ed in 
ispirito , con passione gagliardamente 
ed inconsciamente cristiana. 

Questa rassegna e la origine della 
festa dei Banderesi finisce a metà del- 
l’opuscolo; dove comincia la descri- 
zione dello spettacolo coi preparativi, 
‘gli accessori e perfino le particolarità 
meno interessanti : un vero quadro di 
costumi fatto apposta pe; folkloristi. 

P. 

duecento ‘ Proverbi veneziani raccolti 
dal Dott. Cesare Musatti. Vene- 
zia, Tip. dell’Ancora ditta L. Merlo, 
1891. In-i6°, pp. 34. 

Il Dott. Musatti ci porge questi Pro- 
verbi nel puro dialetto veneziano, a- 
vendo osservato che nelle ben note 
raccolte del Pasqualigo, del Dal Me- 
dico e di altri, o erano omessi, o dati 
in altro dialetto del Veneto, o tradotti 
nella comune lingua d’Italia. 

Il contributo dell’egregio Raccogli- 
tore alla paremiografia dialettale ita- 
liana merita ogni lode ; è condotto con 
accortezza, illustrato con sobrietà e di- 
ligenza. L’ultimo gruzzoletto di pro- 
verbi, speciali per la città di Venezia, 
è di singolare importanza. 

S. S. M. 

Valentino Ostermann. Superstizioni , 
pregiudizi e credenze popolari rela- 
tivi alla cosmografia , geografia fisica 
e meteorologia. Capitolo di saggio 
di un’opera in corso di stampa sui 
costumi, usi, superstizioni e credenze 
del popolo friulano. Udine , Tipo- 
grafia G. B. Doretti, 1891. In-i2*, 
pp. 81 . 

Il capitolo fa desiderare esca pre- 
sto in luce l’opera intera. L’A. con 
diligenza e competenza, trae profitto 
da’ canti, dai proverbj, dai racconti, 
da’ varj fatti e accidenti della vita del 
popolo friulano per illustrare ampia- 
mente l’argomento suo : e, dilettando 
ed istruendo , ci fa conoscere tutto 
quanto si riferisce ad esso ne* piu mi- 
nuti particolari. Per tal modo l’animo , 
la mente , le abitudini , i costumi , le 
ubbie dei volghi del Friuli ci vengono 


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BULLETT1N0 BIBLIOGRAFICO 


bellamente messi innanzi e chiariti, e 
genuinamente, perchè l’Ostermann ri- 
ferisce nel testo dialettale ogni docu- 
mento folkloristico al quale egli at- 
tinge e del quale si giova. 

Impossibile riassumere , in un an- 
nunzio , tutto il contenuto del prege- 
volissimo e importante volumetto : ad 
opera compiuta se ne dirà con la do- 
vuta larghezza. 

S. S. M. 

Saggio di Indovinelli popolari raccolti 
nelle valli di Pinerolo da Filippo 
Seves. Pinerolo, Tipogr. e Libreria 
Rima, via dell’ Arsenale, 1891. In- 
18 0 , pp. ll-VI-47. 

Sono 165 indovinelli, di parecchi 
de 1 quali vengono riportate una o più 
varianti , e tutti sono della massima 
importanza, perchè dimostrano ancora 
una volta come questo genere di let- 
teratura popolare sia diffuso e unifor- 
me dapertutto e si mantenga inalte- 
rato nella forma assunta già in tempi 
da noi abbastanza lontani. Il Seves fa 
qualche nota esplicativa alla collezione 
sua, accennando solo nella prefazione 
che molti di essi Indovinelli trovano 
riscontro nelle varie raccolte pubbli- 
cate in Italia , altri inveci gli paiono 
esclusivamente locali. Locali diciamo 
noi, per la forma, non per la sostanza, 
perchè questa si rinviene suppergiù a- 
naloga in altre parti. 

Il Seves, nostro egregio collabora- 
tore, prepara per la stampa altri no- 
tabili materiali di tradizioni popolari : 
noi l’ attendiamo col più vivo desi- 
derio. 

S. S. M. 

La Chansoti populaire au Moyen dge 
par M. Wilmotte, prof, à l’Uni- 
versité de Liége . Liége Vaillant- 
Carmanne 1891. In-S°, pp. 23. 

Gli ultimi studi del Nigra, del Pa- 
ris, del Jeanroy, del Tiersot, del Don- 
ceux servono al sig. Wilmotte come 
punto di partenza per un’analisi som- 
maria de* risultati di essi studi, e per 
esame di alcuni fatti, la rarità e dif- 
ficoltà d'interpretazione de' quali sem- 
bra a lui non immeritevole di discus- 
sione. 


295 

Il tema assorbe profondamente FA., 
e lo conduce a concludere — cosa ora- 
mai divenuta convinzione de * dotti 
— che « n^est pas interdit de retrouver 
à nos chansons des attaches assez net- 
tes dans le passé littéraire y pour leur 
reconnaitre une antiquité que les tex- 
tes seuls ne démontrent point, assez 
làches aussi pour dégager l’individua- 
lité de ces compositions qui, s’adres- 
sant à un peuple différent du monde 
des cours , des chàteaux et des cloi- 
tres, ont dù de bonne heure s’assou- 
plir à sa fantaisie et en adopter le 
contour ». 

Per quanto abilmente condotto, que- 
sto studio si presta alla sua volta ad 
osservazioni che potrebbero avere mol- 
to peso. 

P. 

Zur Geschi cbte des Suastika von Mi- 
chael von Zmigrodzki. 1840. In 4 0 . 

Questa memoria, tradotta dal po- 
lacco in tedesco e pubblicata nell 'Ar- 
chiv fùr isltiibropologie, XIX , illustra 
con cinque tavole contenenti 266 di- 
segni, le più svariate e bizzarre forme 
ornamentali della suastica , seguendo 
passo a passo, nelle differenti epoche 
e presso tutti i popoli, dalle rudimen- 
tali deH’antichità più remota alle più 
complicate dei dì nostri, le modifica- 
zioni e le fasi da essa subite in mo- 
numenti d’ogni genere, d’ogni religione 
e d’ogni culto. 

Il tema non entra, a vero dire nel 
campo del Folklore altro che per gual- 
che punto della etnografia e dell an- 
tropologia ; ma almeno per questo la 
monografia del prof, von Zmigrodzki 
dev’essere annunziata n o\Y Archivio, 

P. 

Counting-out !{]))' mes of Children. By 
Rev. Walter Gregor, LL. D., Pit- 
sligo. London : D. Nutt 1891. In-8°, 
pp. 32. 

Queste canzonette infantili furono 
raccolte dalla bocca del popolo prin- 
cipalmente dei paesi settentrionali ed 
orientali della Scozia in Turriff, Banff, 
Aberdeen, Fraserbourgh, Lonmay, El- 
gin, Alvah, Tarland, Mintlaw, Teith, 
Aberdour, Fochabers ecc. e come tali 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


296 

conservano tutte le sfumature della 
pronunzia locale: documento ad un 
tempo agli studi folklorici ed a filo- 
logici. 

Il dotto Gregor le fa precedere da 
sette buone pagine di studi 1. sull’uso 
di esse : 2. sulla formola di sorteg- 
giarsi : What they meati, e sull’uso di 
trarre la sorte, dai tempi biblici ai greci, 
ai latini ecc.; j. sull’origine di certe 
formole; 4. sulle forme tipiche della 
poesia sia infantile, sia di questo genere. 

Le « rhymes » sono divise in ven- 
titré gruppi e sommano a 277 : una 
vera ricchezza di formolette di giuo- 


chi, invocazioni, sorteggi, preghiere, 
barzellette, scherzi, motteggi e via di- 
scorrendo ; donde risulta che i bam- 
bini ed i fanciulli scozzesi non hanno 
nulla da invidiare in siffatte tradizioni 
ai bambini ed ai fanciulli delle altre 
regioni. 

11 Rev. Gregor intuendo le reliquie 
antichissime conservate nella poesia 
popolare infantile , rileva qualche ac- 
cenno comparativo di esse nei § 5 II e III 
della introduzione: e quelle allusioni, 
nella sua raccolta, sono in buon nu- 
mero e da non trascurarsi. 

P. 


Recenti Pubblicazioni. 


Annuleru (B.). Viaggiu dulurusu di 
Maria Santissima e lu Patriarca S. Giu- 
seppi in Betlemmi. Palermo, Giliberti 
1891. In- 1 6°, pp. 19. Cent, 50. 

Càetani Lovatelli (E ). Miscel- 
lanea archeolo’gica. Roma , Tip. dei 
Lincei 1891. In-16 0 , pp. 291. 

D’Ancona (A). Origini del Teatro 
Italiano. Libri tre con due Appendici 
sulla rappresentazione drammatica del 
Contado toscano e sul Teatro manto- 
vano nel sec. XVI. Seconda edizione 
rivista ed accresciuta. Due grossi vo- 
lumi. Torino, Loescher 1891. L. 20. 

De Fonzo (Q..). Palermo e dintorni: 
impressioni dal vero. Palermo, Tip. del 
« Giornale di Sicilia » 1891. In-16 0 , 
pp. 62. Cent. 50. 

La Fata (A.). GinuefTa Girmanisa 
in versi siciliani. Nuova edizione cor- 
retta. Palermo Giliberti : 89 r . In-32 0 . 

Mango (F.). Le Fonti dell’Adone di 
G. B. Marino, Ricerche e Studi. To- 
rino-Palermo, i8yi. In-16 0 , pp. XVIII- 
268. L. 4. 

Marson (L.). Canti politici popolari 
raccolti a Vittorio e nelle sue vici- 
nanze. Vittorio 1891. In-16 0 , pp. 34. 

Mele (S.). L’ellenismo nei Dialetti 
della Calabria Media. Monteleone 1891. 
In-8°, pp. VI- 123. L. 2. 

Migliaccio (E.). Nel paese dei Lu- 
ciani, scene della vita napoletana. Na- 
poli, Contessa, 1891 In-16 0 , pp. 3-135. 

Morpurgo (S.). L’Ebreo Errante in 
Italia. Firenze. MDCCCXCI. In-16 0 , 
PP- 54 . 


Pansa vecchia (P.). La matri chi 
porta la figghia a la festa ed a mali 
banni ecc. Palermo, Giliberti 1891. 
In-16 0 , pp. 15. Cent. 20. 

Polizzi (Federico). Canti |popolari 
americani. Prima traduzione italiana. 
Catania, Pansini 1891. In-16 0 , pp. 109. 
L. 2,50. 

Renìer (R.). Ricerche sulla Leg- 
genda di Uggeri il Danese in Francia. 
Torino, Clausen 1891. In-4 0 , pp. 73. 

Riccardi (P.). Pregiudizi e Super- 
stizioni del popolo modenese. In Fi- 
renze, 1891. In-8°, pp. 75. 

Rosa (G.). Tradizioni e costumi 
lombardi. Bergamo 1891. In-8°. 

Serao (Matilde). Leggende napole- 
tane. Modena, Sarasino, 1891. In-16 0 , 
pp. 272. L. 2,50. 

Smilari (A.). Gli Albanesi d’Italia. 
Loro costumi e poesie popolari. Ri- 
cerche e pensieri. Napoli, 1S91. In-16 0 , 
PP- 79 - 

Teza (E.). Un poeta travestito (Pro- 
verbi del Cornazzano) ecc. Padova, 
1891. In-8°, pp. 21. 

Chaboseau (A.). Essai sur la philo- 
sophie bouddhique. Paris, Carré 1891. 
ln-8°, pp. 252. 

Noguès (J. L. M.). Les moeurs 
d’autrefois en Saintonge et en Aunis. 
Saintes , 1891. In-8° , pp. VIII-218. 
Fr. 3,50. 

Ploix (Ch ). Le surnaturel dans les 
Contes populaires. Paris, Leroux, 1891. 
In-i8°, pp, IV-211. Fr. 3,50. 


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RECENTI PUBBLICAZIONI 


Plytoff (G.). Les Sciences occul- 
tes. Paris, 1891. In-i6 # , avec 174 fig. 
Fr. 3,50. 

THURiET(Ch.). Proverbes judiciaires. 
Paris, Lechevalier 1891. In-4 0 , pp. XII- 
184. Fr. io. 

Colson (O.). Questionnaire des en- 
fantines et jeux. Liége 1891. In-8°, 
pp. 32. 

Vasconcellos (J. Leite de). Poesia 
amorosa do povo portuguez. Lisboa, 
Carvalho 1891. In-12 0 , p. 144. 

Haas (D. r ). Rugensche Sagen und 
Màrchen. Greifswld , Bamberg 1891. 
In-16 0 , pp. XII-263. 

Handtmann (E.). Was auf màrki- 
scher Heide spriesst. Màrkische Pflan- 
zen-Legenden und Pflanzen-Symbolik. 
Berlin, Lustenòder 1891. 

Hellwald (Fr.von). Ethnographische 
Ròsselsprunge. Kultur-und volksge- 
schichtliche Bilder und Skizzen. Leipzig, 
Reissner 1891. 

Kollmann (A.). Deutsche Puppen- 
spiele. Leipzig, Grunov 1891. In-8°, 
pp. 109. 


297 

Krause (E.). Tuisko-Land der ari- 
schen Stàmme und Gòtter Urheimat. 
Glogau , Flemniing 1891. In-8° , pp. 
XII-624. 

Krohn (K.). Mann und Fuchs. Drei 
vergleichende Màrclienstudien. Hels 
inglors, 1891. In-4 0 , pp. 70. 

Lehmann-Filhés (M.). blandiscile 
Volkssagen. Aus “der Sammlung vou 
J. Arnason ausgewàhlt u. aus dem 
Islàndischen ùbersetzt. Berlin , Mayer 
u. Muller 1891. In-8°, pp. XXX-266, 
M. 4. 

Varnhagen (H.). Zur Geschichte der 
Legende von Katarina von Alexandrien. 
Erlangen, Junge 1891. In-8° , pp. 50. 
M. 1.40. 

HARTLAND(Ed.S.).English Fairy and 
other Folk-Tales. London Walter Scott, 
24, Warwick Lane, 1891. In-12 0 , pp. 
XXVI-282. 

Crane (Th. F.). Chansons popu- 
laires de la France. A selection from 
French popular Bailads. New York; 
Putnam’s Sons (1891). In-16 0 , pp. 
XXXIX-282. 


Sommario dei Giornali. 


Archivio Trentino. An. X, fase. I, 
Pr. G. B. Menapace : Notizie storiche 
intorno ai ‘Battuti del Trentino . 

Atti e Memorie della R. Depu- 
tazione di Storia patria per le 
Provincie di Romagna. Bologna, se- 
rie III*, voi. IX, fase. 1-3 , gennaio- 
giugno 1891. L. A. Gandini : Saggio 
degli usi e delle costumante della Corte 
di Ferrara al tempo di ‘bLicolò III 
(1393-1442). 

Bollettino della Società di Sto- 
ria Patria Anton Ludovico Anti- 
nori negli Abruzzi. Aquila III , 5, 
gennaio, 1891. A. Cortelli : V Alterno 
sanguigno nella leggenda e nella storia. 
Il fenomeno si spiega con la natura 
dei terreni delimito Alterno. 

Corriere di Palermo. A11. II, n. 1 22, 
4 maggio 1891. Mario : Nuove opere 


di G. Pitrè. Parla della 2* edizione 
dei Canti pop. siciliani . 

Don Chisciotte della Mancia. 
Roma, an. 7 0 , n. 171. 23 giugno 1891. 
‘Niella notte di S . Giovanni, schizzo 
della festa di Roma. — Carletta: 5 . Gio- 
vanni: Le streghe. — S. Giovanni , nonché 
le canzonette, breve rassegna delle varie 
canzonette nate la notte di S. Giovanni 
Battista in Roma. 

Giornale di Erudizione. Firenze, 
voi. Ili, n. 15 e 16, giugno 1891. 
S. S[alomone-Marino] : Carnovale e 
Quaresima. Aggiunge un richiamo pre- 
so da La Cuccagna di G. B. Basili pa- 
lermitano (Pai. 1640). — H. de Mo- 
reno : La storia di Marco a Sciorella , 
cennata nella Posilecheata fu raccolta 
da G. Pitrè. — C. Alderighi : H. de 
Moreno, e M. T. Ph.: La canzonella di 
parruca abbà. Notizie di varie edizioni 

38 


Anhivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 


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ARCHIVIO PBR LE TRADIZIONI POPOLARI 


298 

di quattro canzonette che celebrano la 
signora Luna in vita e in morte : can- 
zonetta scritta secondo la parlata degli 
Ebrei di Firenze. 

Giornale di Sicilia. An. XXXI, 
n. 90 e 91, 31 marzo e 1 aprile. H. 
de Moreno lì pesce (V Aprile. 

N. 127, 7 maggio. Maurus (L. Na- 
toli) : La notte dell' Ascensione in Pa- 
lermo. 

N. 183, 3 luglio. L. Natoli : G . Pitrè, 
Canti pop. siciliani , 2 4 edizione. Lunga 
recensione con saggi dello studio cri- 
tico e della raccolta di essi Canti . 

Giornale storico della Lettera- 
tura italiana. Torino, an. IX voi. 
X V I 11 , fase. 52-53. G. Rua : Intorno 
al <r Libro della origine delli volgari 
proverbii di kAIoìsc C'inaio dei Fabri- 
gii ». Il R. tratta di questo Libro « con 
alcune notizie , le quali servano in 
qualche modo a spiegarne la natura e 
gli scopi , che non sembrano essere 
stati sinora ben chiariti e determinati». 
È notevole il rilievo che FA. fa del- 
1* elemento tradizionale delle novelle 
con le quali Cinzie dei Fabrizii spiegò 
o diede la origine dei suoi proverbi. 
— F. Novati : Le serie alfabetiche pro- 
verbiali e gli alfabeti disposti nella let- 
teratura italiana de ' primi tre secoli. 
Testi. 

Il Corriere Metaurense. Urbino, 
12 aprile 1891, An. VII, n. 15. Usi e 
Costumi siciliani nella settimana santa. 

Il Lambruschini. Trapani, An. J, n .6 
giugno 1891. A. G[iacalone] -P[atti] : 
V Covellina siciliana : on dir quattro 
se non Vài nel sacco. Dalla raccolta di 
Fiabe Nov. e Face . sic. del Pitrè. 

Il Marchigiano. Roma, an. I, n. 3, 
31 maggio 1891. C. : Bonetti, Novelle 
e Canti pop. marchigiani : 1. Steliuccia. 
Notiamo questo i° art. , ma non v’ è 
nulla che contenga materia folklorica. 

N. 4, 7 giugno. Biondello : Antonio 
Gianandrea Bozzetto del nostro col- 
laboratore cd amico marchigiano, con 
un canto popolare. 

N. 5, 15 giugno C. ; La mietitura 
nelle Marche. 


Il Pensiero Italiano. Milano, an. I, 
n. 3, marzo 1891. As Ghisleri : Nerone 
nella leggenda e nelVarte. 

La Biblioteca delle Scuole ita- 
liane. P. Antolini : Una cannone po- 
polare del sec . XVI. Fu trovata in uno 
scartafaccio di un notaio cinquecen- 
tista e comincia : Don^elin che vien dal 
ballo. 

La Calabria. Montelone , an. Ili, 
n. 8, 15 aprile 1891. V. Agostino : Usi 
e Costumi di Serra di S . *B runo : Ma- 
trimonio. — G. B. Moscato : Canti di 
S. Lucido. Continuazione. — L. Bruz- 
zano : 'Novellina albanese di barile, 
testo, riduzione in caratteri greci, vers. 
italiana. — V. Taccone : Leggende jo - 
nadesi. Continua al n. 9. — G. Bonelli : 
Canto per la notte di Natale in S. Gre- 
gorio inferiore. — Il falegname : No- 
vellina popolare di Fiscopio . 

N. 9 , 15 maggio. G. B. Moscato : 
Canti di S. Lucido. Continua al n. 10. 
— O. Ortona : S. Francesco di Paola 
nelle tradii, pop. di Calabria.— V . Ago- 
stino : Usi e Costumi di Serra S. Bruno : 
Funerali. Continua al n. io. G. Bo- 
nelli : Canti religiosi di S. Gregorio 
Inferiore. — D. Galati : Farsetto di Ac - 
quaro. 

N. io, 1 5 giugno. M. De Fazio : In- 
dovinelli nicastresi . — L. Bruzzano: No- 
vellina greca. — F. Manfrida : Il cuculo , 
leggenda di Capistrano. 

La Letteratura. Torino, serie 2*, 

I, 1 gennaio 1891. F. Gabotto : Un 
contributo alla storia della vita pie- 
montése nel Quattrocento : I. Curiosità 
giudiziarie del tempo di Amedeo Vili. 

Pagine Friulane. Udine, an. IV, 
n. 1 , 5 aprile 1891. M. C. : Il muliti 
a vint , fiabe sintùde a S. Zor^i di 
Nojar. — V. Olstermann] : Legenda de 
mont Ambrusét 0 Qhampon. 

N. 2, 26 aprile. V. O. Leggenda del- 
V*Abaiia di Maggio. 

N. 4, 14 giugno. G. B. Galerio : Il 
linguaggio dei bambini in Friuli y lettera 
al dott. Vincenzo Joppi. — Pre Nadal 
Sale : Saggio nel dialetto di Forni. 

Urbs Urbana. Monterubbiano, an. 

II, 16 maggio 1891,0. 20. Antiche, feste 


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r. 


SOMMARIO DEI GIORNALI 


2 9 9 


paesane della libertà e del lavoro. La 
Festa della Pentecoste. 

Annales de la Faculté des Let- 
tres de Caen. VI, 1. T. Denis: Re- 
tour à la superslition dans les premiers 
siècles de notre ère. 

Journal des Savants. Paris, febbr. 
1891. B. Hauréau: Grane , The Exem - 
pia , recensione. 

La Tardition. Paris, an. V, n. 4, 
aprile 1891. H. van Elven: Les procès 
de sorcellerie au moyen-dge , II. Giu- 
risprudenza e procedura in ordine a 
stregheria. Continua ai nn. 5-6.— Fr. de 
Beaurepaire: Cbansons pop. du Quercy. 
Continua al n. 6. A. Harou: Le folk- 
lore de la Belgique, XIII. — Th. Da- 
vidson: Éléments de traditionnisme ou 
Folklore, IV: Il feticismo. — A. Des- 
rousseaux : Monstres et géants. Conti- 
nua al n. 5. — A. Millien : V enfant 
noyé. — Bérenger Féraud : Contes de 
Provence , II. — R. Stiébal: Surmons des 
régiments et des grades dans V armée 
allemande. — Bibliographie. 

N. 5, maggio. Bérenger-Féraud: Le 
feu de Pronte thée che 1 les p roveti (aux de 
nos jours. — St. Prato: Un conte d'An - 
drée de Nerciat dans line nouvelle pop. 
livournaise inèdite . — M. de Zmigrodzki: 
Le folklore polonais : Crocovie et ses 
envirous , IV. — H. Carnoy et J. Nico- 
laìdes: Le folklore de Constantinople , 
IL Superstizioni e credenze dei Cri- 
stiani greci di Costantinopoli. Conti- 
nua al n. 6. — J. Plantadis: Les cheva - 
liers du papegai , II. Continua al n. 6. 
— Bibliographie. 

N. 6, giugno. Bérenger-Féraud: Le 
crime (tOedipe dans un conte proven- 
fal contemporain. — St. Prato: Un conte 
de Grécourt dans une nouvelle pop. co - 
masque de Cavallasea. — T. Cannizzaro: 
Chansons pop. de Sicile : I. Contrasti 
tra il marito e la moglie; IL Canti di 
Sanfratello. — P. Vigné: Croyances et 
coutumes au Dahomey. — G. Doncieux: 
Le roi Renaud, vers. limosina di que- 
sta canzone molto diffusa. — H. Menu: 
Chansons pop. de la Tic ardi e. — ‘Bi- 
bliographie. 

Revue BRiTANNiQUE.Paris, 67* année, 
n. 6, giugno 1891, pp. 347-571- A. 


Odin : La Basse Bretagne conteuse et 
légendaire. Rassegna del movimento 
folklorico sulla novellistica popolare di 
quella regione. 

Revue Celticlue. Paris, XII, n. 3, 
pp. 181-228. A. Nutt : Les derniers tra- 
vaux allemands sur la légende du Saint 
Graal. Studio critico su recenti pub- 
blicazioni di W. Foerster (Halle, 1890); 
Zimer (vari articoli nei Gótt. gelehrte 
Anieigen e nella Zt. f. frani . Sprache 
u. Literatur); Golther ( Chrestiens conte 
del Graal in seinem Verhdltniss ium 
tualschen Teredur ecc.). La compe- 
tenza del Nutt dà alle sue osservazioni 
un valore eccezionale. — F. M. Luzel : 
Uextrème onctìon , conte breton. 

Revue de l’Histoire des Religions. 
Paris, n. 1. 1891. S. Lévi: Le Boud - 
dhisrne et les Grees. — L. Sichler : Li- 
gendes chrétiennes russes . — Babelon : 
La tradition . phrygienne du Déluge. 

Revue des Études juives. XXII, 
43 , genn. -marzo 1891. J. Perles: La 
légende d’Asenelh, file de Dina et fem- 
me de Joseph. 

Revue des Religions. Paris, 1891, 
I. IL Abbé Loisy : Études sur la re - 
ligion Chaldès-Assy rienne. — Castonnet 
des Fosses : Les origines et la religion 
du peuple Mexican. — F. Robioux : Les 
Mytes . 

Revue des traditions populaires. 
Paris, an. 6°, n. 4, 13 aprile 1891. D. 
Fitzgerald: Sur quclques origines de la 
tradition celtique . — La bornie fem - 
me cs preunes: Versioni di Normandia 
e dell’ Alta Brettagna. — P. Sébillot: 
Traditions et super stitions des ponts et 
chaussées , Vili. I ponti. Continua ai 
nn. 5 e 6. — A. Harou: Les chemins de 
fer. — M. de Zmigrodzki: Bibliographie 
du folklore en Bologne . — A. Certeux: 
Pcleritis et pèlerinages , Vili: Il pelle- 
grinaggio ai cedri del Libano. — E. 
Peny : Les mines et les mineurs, IX : 
Le statue nelle mine; X. Feste e cre- 
denze. — R. Basset: Allusions à des 
contes populaires. — Extraits et Lectu • 
res. — Bibliographie. 

N. 5, 15 maggio. G. Doncieux: Le 
Cycle de Sainte Marie-thCadeleine dans 


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300 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


la chanson pop . — Mad. P. Sébillot: Le 
rossignol, vers. dell’ A Ita Brettagna. — 
R. Basset : Les chausées et les digues. 
Continua al n. 6. — Les cloches ; ap- 
punti di vari. — A. Certeux: La gaiette 
de patti , I. — A. Harou: Les pettdus . — 
Mad. H. G. M. Murray-Aynsley: Quel- 
ques usages de la Semaine Sainte en 
Espagne, en Italie , et à Corfou. — R. 
Basset: Contes arabes et orientaux , V. 

— A. Certeux : Les eaux thèrmales et 
minèrales, III. — A. Perraud : Tradi - 
tions et super stitions du Dauphinè, IX, 
X. — H. Le Bournisien: Le premier di - 
manche de Carènte , li. — A. Harou : 
Les mines et les mineurs, XI, XII. — 

A. Millien e P. S[cbillot]: Les pourquoi , 
LV. — Bibliographie. 

N. 6, 15 giugno. R. Rosières: Att- 
ciennetè de quelques locutions usuclles . 
— F. Arnaudin: Quelques usages de la 
Semaine Sainte , 11 . Dans les Landes. 

— J. Tiersot: Si j'étais hirondelle , I, 
II, forma del Morvand e della Nor- 
mandia. — R. Basset: La legende de Di- 
don , III. La pelle di bue ecc. IV. La 
delimitazione con la voce; V. La de- 
limitazione cèn la vista. — M. De Zmi- 
grodzki: Les mines et les mineurs , XIII. 
Costumi, credenze e canzoni dei mi- 
natori polacchi. — L. Courthion: Lé- 
gendes valaisanttes, n. 6. — E. Auricoste 
de Lazarque: Folklore de-Lorraine . — 

B. Bézier: Blason pop . de la Loire-In- 
fèrieure, I. — La chanson de ‘Bricou: 
versioni di R. Basset, M. Defodon, J. 
Cornei issen. — P. S.: Second congrès des 
Traditions pop. — H. Le Carguet: Su- 
perstitions du Cap. Si^un, IV. — ‘Bi- 
ll iographie. 

Bulletin de Folklore, organe de 
la Société du Folklore Wallon. 
Bruxelles, 1801. I, Avant-propos.V a a 
firma dei signori O. Colson, J. Defre- 
cheux, A. Gittée, E. Monseur, M. Wil- 
motte, e dà conto degli intendimenti 
del Comitato che costituì la Società del- 
Folklore nel Belgio e degli scrittori della 
presente Rivista. Questa prefazione si 
chiude con le norme generali di tra- 
scrizione del wallone e con quelle di 
nuova trascrizione del francese pro- 
poste dal sig. Clédat.— M. Wilmotte : 
La chanson pop . au moven dge. Vedi a 
p. 295. — O. Colson: ]eux d’en/ants. 
I, Distinzione delle dita della mano; 


II. La ricerca del mignolo; III. 11 mi- 
gnolo. Segue una nota complementare 
del sig. Wfilmotte], — E. Monseur : 
Contes : I. U os qui chante : sette ver- 
sioni belghe in wallone ed in francese. 
— M. Wilmotte : Chansons : Les noces de 
la mésange. — FormuletLs de posses- 
sion. — A. Gittée : Spectres et fantómeSj 
riassunto del voi. pubblicato a Londra 
nel 1889 col titolo medesimo. — Bjvue 
des livres. Vi si parla di recenti vo- 
lumi di Meyrac, C. N. Starke, A Frank- 
lin. — Chronique. — Société du Folklore 
wallon : Atti, statuto, elenco dei mem- 
bri (leggiamo tra’ membri onorari di 
questa Società il nostro nome per 
l’Italia, e ne rendiamo le più vive gra- 
zie alPonor. sodalizio). 

I canti e le fiabe di questo fascicolo 
sono accompagnati da note musicali. 
Il Bulletin si pubblica a fascicoli se- 
mestrali di pp. 80 e costa L. 6 annuali. 

Mandiamo i più lieti auguri al nuovo 
periodico. 

Langues et Dialectes. Bruxelles, 
i* maggio 1891. Les insultes du patois 
fiamand de Bruxelles. 

Muséon. N. 2, 1891. Harlez : Les 
TLeligions de la Chine , I. La religione 
dei primi Chinesi ; il dio supremo; 
Shang-Ti e il Cielo o Fien. 

A Sentinella da Fronteira. El- 
vas, an. XI, nn. 582, 5S3; 5 e 28 a- 
prile 1891. A. Th. Pire:»: Cantos pop. 
do Alemlejo recolhidos da t radiano orai. 
Dal n. 3029 al 3084. 

O Elvense. Elvas, an. XI, n. 1059, 
2 aprile 1891. Cantos populares ahm- 
tejanos, dal CCXCI al CCXCV. — 
Cantos populares do Douro , 11. 4. — 
Cantos pop. do Mi ubo, dal x 1 6 al 120. 

N. 1060, 5 aprile. Folk-lore portu- 
guei : romance. 

N. 1061, 9 apr. Folklore pertugiteli 
romanza, vers. alemtejana. — Cantos 
pop. do Minio , 126-130. — Cantos pop. 
alemtejanos, CCCI-CCCV. 

N. 1062, 12 apr. Adivinafòes , dal 
n. 41 al n. 50. — Cantos pop. do Minho. 

N. 1063, 16 apr. Cantos pop. alem- 
tejanos, CCCVI-CCCX. — Cantos pop. 
de Tra{-os-montes, 16-20. — V. d’Al- 
mada e J. M. Soeiro de Brito ; Col - 


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SOMMARIO DEI GIORNALI 


301 


lecfào de requebres ou remate s de al - 
gumas tnodas de roda usadas no Alem- 
ttjo. Vi si accompagna la rispettiva 
musica per ciascun canto o forinola 
infantile cantata. 

N. 1064, 19 apr. Cantos popul. do 
MinhOy 156-140. — Cantos pop. alem- 
tejanosy CCCXI-CCCXV. 

N. 1068, 26 apr. Cantos popul. do 
MinhOy 141-145 .—Cantos pop. de Tra 1- 
os-tuontesy 2 1 -24. 

N. 1067, 50 apr. Cantos pop . alem- 
tejanos , CCCXVI-CCCXX. — Cantos 
pop. do Mitiho f 146-150. 

Am Ur-Quell. Lunden, II. VI:M. 
Hoefler : Das Slerben iti Oberbayern . — 
F. S. K[rauss] : Das Jìlpdrùcken . — 
H. Sundermann : Ostfriesiscbes Volks- 
thum. Continua. — J. Sembrzycki : Ost- 
preussiscbe Spricbwòrter , Volks reime 
ecc. Questi tre ultimi scritti continuano 
nel n. VII. — Kleine Mitteiìungen. — 
Vom Bucbertiscbe . 

VII. R. Andree: Abderiten von beute. 
— J. Spinner: Der Eid im Volksleben . — 
Lo stesso: Diebglatiben. — F. S. Krauss : 
Geheime Sprachweisen . — K. Ed. Haase: 
Sagen aus der Grafscbaft Ruppin. — 
Vari : Volksmedi^itt. — Kleine ‘Mitteil- 
ungen. — Vom Bucbertiscbe . 

Mittheilungen des Nordbòhmi- 
schen Excursions-Clubs. 14 I. R. 
Lahmer : Alte Gesellen-Sitten u. Ge- 
b ràuche der Schivarla. Sebo nfàr ber lutift. 

Berliner philologische Wochen- 
schrift. X, 37. Knaack : Marx , Grie- 
chiscbe Màrcben von dankòaren Thieren 
und Verwandtes . 

Das Ausland. 64, 5. S. Rink : Mu- 
zik und Tatti in Grònland. — Th. A- 
chelis : Die Entwickelungsgeschicbte des 
T eu/elsgla 11 bens. 

N. 8. Keuseelàn: lische Sagen. 

Korrespondenzblatt des Vereins 
fùr nd. Sprachforschung. 2. R. Vos- 
sidlo : Gott und Teufel im Munde des 
mecklenburgischen Volkcs. 

Mansfelder Blàtter. IV. H. Gròss- 
ler: DieMansfehUr Mundart , ibre G reti- 
le n ecc. ; iweite Nachlese von Sagen 
und Gebràuchen ecc. 


National Zeitung. Nn. 525, 527, 
53 3, 539. Alfr. G. Meyer: Die deut - 
sche Volkskunde und die volkstbùmlichen 
Hausformen . 

Neue freie Presse. N. 9356. A. 
Tille: Volkslieder vom Doctor Faust 
in Oesterreicb und Steiermark. 

Vom Fels zum Meer 1890-91. 4. A. 
Tille: IVeibnacbten bei unseren Klas- 
sikern. — O. Henne am Rhyn : Seelcn 
und Geistcr im deutschen Vo/ksglauben. 

Wissenschaftl. Beilage der Leip- 
ziger Zeitung, 1891. 1. E. R. Freytag: 
Sacbsens tìeer im histor . Volksliede. 

ZeITSCHRIFT FUR DEUTSCHE PHILO- 
logie. XX 11 I, 2 c 3. H. von Wiislocki : 
Volksthùmìiches m %Armen Heinrich. — 
H. Frischbier: Die Menschenwclt in 
Volksràthseln aus den Prov inveii Ost- 
utid IVeslpreussens. 

ZEITSCHRIFT FÙR DEUTSCHES AlTER- 
THUM U. DEUTSCHE LlTERATUR, 35,2. 
Singer: Salomosagen in Deiitscblaud. 

ZEITSCHRIFT FÙR FRANZÒSISCH.SPRA- 
che u. Literatur. XII, 4*6. Tiersot, 
Hisloire de la ebanson pop. en France , 
recensione. 

ZEITSCHRIFT FÙR ROMANISCHE PHI- 
lologie. 3-4. Osterhage : Studien im 
Gebiete der frànkiseben Heldensage . 

ZEITSCHRIFT FOR VATERLÀNDISCHE 

Geschichte und Alterthumskunde. 
47. F. Jostes: Volksaberglaube im iy 
Jahrund. 

ZEITSCHRIFT FÙR VÒLKERPSYCHOLO- 
gie. XX, 3. 1890. Steinthal: Periodi- 
sebe Wiedergeburt der Sage. 

Dania. Kobenhavn. I, 2. 1891. A. 
Olrik : Tre danske Folkesagn . Queste 
tre leggende danesi sono seguite da 
illustrazioni anche storiche. 

Academy. London, 3, io, 17 Genn. 
1891. I. Gollancz e J. Jacobs : « IVi» 
dershins ». 

ARCHAEOLOGICAL CHANBRENSIS.Genn. 


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302 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


1891. E. Owen : Holy Wells, a Water 
Veneration. 

Asiatic Quarterly. London, Genn. 
1891. The Raja of Jasin : Legends a. 
Songs of Cbitral . 

Folk-Lore. London, v. II, n. 2, 
giugno 1891. Miss M. C. Balfur: Le - 
gends of thè Lincolnshire Cars. — J. 
Abercromby : An Ama^onian Custom 
in thè Caucasus. — J. Jacobs : Childe 
Rowìand. — M. Gaster : The Legend 
of thè Grail , II. — A. Nutt: Re- 
marks upon thè Foregoing Paper. — F. 
B. Jevons : Report on Greek Mythology , 
a proposito di recenti pubblicazioni di 
W. H. Roscher , P. Stengel , ecc. — 
Notes and News. — T^evieiv . — 'Miscel- 
lanea. — Folk-Lore Bibliografi)). ~.\\(r. 
Nutt : Les dernirrs travaux allemands 
sur la Ugende du Saint Graal , appen- 
dice.Vedi innanzi:/fcr/j* Cvltique , p.299. 

Journal of thè Anthropologicàl 
Institute ecc. XX, n. 3. L. O. Warner: 
Fetish , or Via, from Labe ‘SLyassa. — 
H. H. Risley : The study of Ethnology 
in India. — T. Bent : The Yournauks 
of Asia Minor. 

N. 4. Lady Welby: An apparent Pa- 
radox in Mental Evoluì ioti . 

Journal of thè Gypsy-Lore So- 
ciety. Edinbuigh; II, 2. H. von Wli- 
slochi : Love Force asts and Love Charmi 
amottg thè leni Gypsies of Transylvatiia. 

N. 3. Fr. Hitider Groome: The Vani- 
pire, fiaba zingaresca rumena. 

N. 5. K. Meyer: On thè Irisb ori; in 
and thè age of Sh.lt a. — I. Kopernicki: 
Polish Gypsy Folk-Tales. 

N. 2. Aprile. N. P. Plister: The In- 
diati Messiah . — C. Thomas: The Story 
of a Mound ; or, thè Shawnees in pre- 
Coìotnbian Times. — W. W. Rockhill: 
Notes on some of thè Lotus, Customs, 
and Superstition of Korea. 

N. 6. R. voti Sowa: 0 Phtlro-Sasos: 
a Slovak-Gipsy Tale. — 1 Koperniki : 
The Witclr. a Polish Gipsy Folk-tale. 

Notes and Queries. London 1891, 
3 gennaio. Wcdish Folk-lore . — Rain- 
bow Folk-lore . 

io. Unfastening a T>oor at Death. 


17. Yorltshire Witchraft. 

24. Tbessalian Folk-lore. 

31. Superstition in Esser. 

14 febbr. W. G. Black: Folk-lore 
of Letluce. 

21. Threads and Cords . — Unfaste- 
ning a T>oor at Death. 

28. W. A. Clouston : Cumulative 
Nursery Stories. — Old Oxford Cu - 
stutnos. — Lasl observame of an Old 
Custom. 

7 marzo. Superstition in Esser. 

14. W. A. Clouston: Per siati Ana - 
logue of an Aesop's Fobie. — c N*orthum- 
briatt Folk-lore. 

28. Funeral Custom , Un; ar iati Cu- 
stom. — Tur ni n; thè Condlestick. 

4 aprile. Baptismal Superstition. 

2 maggio. Funeral Customs. — Sin- 
gultir Suòerstition. — Baby s First Toatb . 

18. W. A. Clouston: Fountain of 
Job. 

23. « Spiting » a Neigbbour. — Gipsy 
Chartns. 

pROCEEDINGS OF THE SOCIETY OF 

Biblical Archaeology. London, XIII, 
4. Miss L. Macdonald : lnscriptions re- 
lating to sorcery in Cyptus. 

American Antiquarian and Orien- 
tal Journal. Mendon, voi. XIII, n. 2, 
marzo 1891. J. Deans : The Story of 
Skaga ‘Belus . — M. Aynesley : Sun and 
Tire Symbolism. 

American Notes and Queries. Phi- 
ladelphia , 7 marzo 1891. Totherbs, 
‘Blood-rite. 

4 apr. Folk-lore Superstitions. 

The American Anthropologist. 
Washington, v. IV, n. 1. Genn. 1891. 
Mental atlitudc of thè Central African. 

— Burini Customs on thè West Coast 
of Africa. — iAba iginal Fire-making . 

— Human Sacrifices in Dahomey. 

The Journal of American Folk- 
lore. Boston, v. IV, n. XIII, aprile- 
giugno 1891. O. T. Mason : The Na- 
turai Hi story of Folk- Loie. — W. W. 
N[ewell] : The Indian Messiah. — L. 
Vossion : Nat-Worship among thè Bur- 
mese.—F. G. Owens: Folk-Lore from 
Bufalo Volley , , Central Tennsylvania. 

— F. Walter : suggestion as thè 


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SOMMARIO DEI GIORNALI 


3O3 


Meaning of thè Moki Sttake Dance . — 
A. S. Gatschet : Oregonian Folk-Lore, 
— Th. Wilson : The oimulet Collection 
of Prof, Beiucci (sic), a proposito di 
un catalogo di amuleti mandato dal 
Bellucci all’Esposizione Universale di 
Parigi. — S. Hayward : Popular Names 
of ^American Tìants . — Fanny D. 
Bergen e W. W. Newell : Topics for 
Collection of Folk-Lore. Classificazione 
della materia del Folk-Lore propo- 
sta dai due folkloristi americani. — 


Waste- Basket of Words. — Folk-Lore 
Scrap-Book, — Notes and Queries, No- 
tevole è per noi uno scritto del sig. 
Bolton sopra Y AU-Fools Day in llaly , 
ed una Possible Origin of a Nursery Rìjy - 
me, la quale si troverebbe in Napoli. — 
Record of ^American Folk-Lore, — Locai 
Meetings a. other Notices , — Bibliogra- 
phical Notes sopra recenti pubblicazioni 
di Gomme, Hyde, Leland, Curtin. — 
Journals. 

G, PlTRÈ. 


Notizie Varie. 


Uh m duetto di canti popolari sici- 
liani pubblicati dal prof. G. Frosina- 
Cannella in Roma, risulta di 6 canti, 
quasi tutti editi raccolti in Sciacca. 

— Per le nozze della sorelli Elvira 
col sig. Giuseppe Frigieri il prof. Gio- 
vanni Setti ha pubblicato in Pisa sette 
graziosi canti popolari toscani : dei 
quali, cinque sono rispetti; due ninne- 
nanne. 

— Si annunzia di prossima pubbli- 
cazione il 111 0 voi. delle Tradiiioni 
popolari ahrunesi del Finamore, che 
conterrebbe la parte relativa alla casa, 
alle nozze, alla nascita, alla morte ed 
alla igiene e medicina popolare. 

— Il 17 maggio, festa di Pasqua, il 
prof. D. Ciampoli tenne all’Università 
di Catania una conferenza col titolo: 
V evoluzione dell * idea del male nelle 
sue personificazioni letterarie. La parte 
sulla quale si fermò più a lungo fu 
quella del demone nella letteratura e 
nella tradizione. 

— Per la prossima Esposizione Na- 
zionale Italiana di Palermo il Comi- 
tato esecutivo ha deliberato una Mo- 
stra etnografica siciliana, affidandone 
l'esecuzione al Dottor Pitrè. Una cir- 
colare all’ uopo è stata diramata pei 
vari comuni dell’ Isola , alla quale è 
stato unito un elenco degli oggetti che 
si stimano acconci a siffatta Mostra. 

Non lasceremo di dare ragguaglio 
di questa curiosità nell’ *A rebivio. 

— Il v II Congresso Internazionale 
del Folklore in Londra è stato defi- 
nitivamente fissato pei giorni 1-7 ot- 
tobre di quest’anno. Le lingue desti- 
nate per le comunicazioni erano la in- 
glese e la francese ; ma in seguito a 
premure fatte dal Conte Nigra, comu- 


nicazioni e memorie potranno essere 
anche in italiano. E veramente sarebbe 
stato strano che i folkloristi del Paese 
nel quale gli studi del Folklore, per 
unanime affermazione degli stranieri, 
fioriscono per lo meno quanto in In- 
ghilterra ed in Francia, non potessero 
servirsi della loro lingua nazionale. La 
memoria dello Straparola e del Basile 
ne sarebbe restata offesa. 

Il Sottocomitato raccomanda che il 
congresso sia diviso in tre sezioni: 

1. Racconti popolari e canzoni. 

2. Miti e riti. 

I, Costumi e istituzioni. 

Vien suggerito che, per quanto è 
possibile, gli scritti presentati dimo- 
strino un concetto che prevale fra i 
folk-lorisli e gli antropologi inglesi — il 
concetto della omogeneità del folk-lore 
contemporaneo con le prime manife- 
zioni deH’uomo, incarnate nei primitivi 
ricordi della religione (mito e culto), 
dell’ istituzione e dell’ arte (compresa 
l’arte letteraria). 

Così si spera, per esempio, che nel 
giorno destinato ai folk-tales (racconti 
popolari) gli scritti e le discussioni si 
aggireranno sugli incidenti comuni a 
folk-tales europei e selvaggi, folk- tal es 
antichi e moderni dell’Oriente, in re- 
lazione fra loro stessi, ed ai folk-tales 
dell’Europa moderna : le tracce di folk- 
tales moderni nei classici : incidenti co- 
muni a folk-tales e romanze : l’origine 
recente delle ballate. 11 problema della 
diffusione. 

Nel giorno dedicato ai miti e riti 
potranno discutersi i seguenti soggetti: 
La presente condizione della teoria so- 
lare applicata ai miti; Moderno folk-lore; 
Filosofia primitiva pel mito e gel rito; 


* 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


304 

Il sacrificio nel rito e suo significato; 
Miti sopravvissuti nella moderna leg- 
genda e nel folk-ìore ; Stregoneria ed 
ipnotismo. Adorazioni di antenati e 
spiriti. Amuleti, la loro origine e dif- 
fusione. 

Nel terzo giorno , dedicato ai co- 
stumi e alle istituzioni , si potrà trat- 
tare dei seguenti argomenti : Identità 
dei costumi matrimoniali in remote re- 
gioni ; Usanze funerarie e loro signi- 
ficato; Costumi nell’epoca del raccolto 
fra le popolazioni celtiche e teutoniche 
della Gran Bretagna, ecc. ecc. 

— Una sezione del IX Congresso 
Internazionale degli Orientalisti, il quale 
avrà luogo nella prima decina del mese 
di settembre , riguarda la « Religione 
comparata, inclusa la Mitologia ed il 
Folk-Lore, la Filosofia e il Diritto, la 
Storia d'Oriente e le Scienze ». 

— Ecco il Questionnaire del quale 
abbiamo fatto cenno a p. 156. Esso 
è compilato dal sig. Sébillot: 

Ponts. — I. 'Rites de la construclion : 
fondations arrossées de sang humain 
ou de sang d’animal; Pièces d’argent, 
etc. , mises sous piles ; Offrandes au 
fleuve. — li. Ponts Surhumains : Con- 
struits: a) par les fées; b) par le diable; 
c) par saints; d) ponts mythologiques; 
e) ponts des morts ou des dieux. — 
III. Super stitions et croyances : Premier 
qui passera sur un pont mourra dans 
l’année; Coutumes de s’embrasser au 
passage. — IV. Ponts hantés : par les 
fées, les lavandières de nuit , les lutins, 
etc.; Esprits qui , placés sur un pont, 
appellent au secours.— V. Ponts dans 
les Contes ; les Chansons ; les Devi- 
nettes ; les Proverbs ; les Réves. — 
Routes. — T. Rites de la construction. 
Ce qu’ on fait du moment ou on ouvre 
une route pour apaiser les génies de 


la terre ou détoumer les mauvaises 
influences. — II. Routes construites mi- 
raculeusement, — du diable. — Légendes 
des voies romaines ; Leurs noms c.n- 
ractéristiques. — III. 7 loutes bantèes : 
ce aui fait verser les charrettes — routes 
où l’on s’égare — cheminsque Fon ne 
suit pas pour les enterrements ou pour 
les mariages — Poussière des routes; 
cailloux. — IV. Proverbes , Devinettes . 

— V. Coutumes et super stitions : ce 
que fait le premier qui y passe. — 
VI. Carrefours hantés. — Chemins de 
fer. — ‘HtOtns animistes ou expressifs; 
ex: soitures de feu. — Expressions : la 
voie citante, — les roues épousent — 
les rails, etc. — Superstitions : nouvelle 
voie demande la vie d’un homme. — 
lunnels hantés. — Canaux. — Crtusés 
par diables, fées, héros. Comment com- 
mencés. — Chaussées et Digues. — 
Ietées. — Hantées . — Construction: sa- 
crifices et rites. — Coutumes : Person- 
nes avertissant de leur ruine. — Lé- 
gendes de digues rompues. — Phares. 

— Construction : rites et superstitions. 

— Ijgendes. — Balises. — Noms et 
croyances : coutumes. — Signaux so- 
nores. — Au Moyen àge. — Cloches 
sonnant d' elles-mèmes. — Jetées. — 
Comment construites; cérémonies, su- 
perstitions à la fondation. 

— Il !° mjggio cessava di vivere in 
Monaco di Baviera il celebre prof. 
Ferdinando Gregorovius, nato in Nei- 
denburg il 19 gennaio 1821; il quale, 
oltre che storico profondo, fu illustra- 
tore geniale della poesia e de’ costu- 
mi popolari di Sicilia e di Corsica. 

— C. M. Presterà , autore d’ una 
buona raccolta di proverbi calabresi, 
pubblicata ne La Lalabria y è morto a 
75 anni in Monteleone di Calabria, il 
20 luglio 1891. G. P. 


I Direttori : 

Giuseppe Pitrè. 

Salvatore Salomone-Marino. 


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FIABE POPOLARI DALMATE \ 


X. — La fada Alzina. 


n re gaveva tre fioi, che ’l ghe voleva molto ben. Un 
giorno sto re xe andà a la cazza co ’l suo primo mi- 
nistro, e stanco come che ’l iera el se buta soto un 
albero e ’l s’indormenza pacificamente; co’ el se sveja el va per 
cercar la corona ma no '1 la trova in nissun logo, el ciama su- 
bito el ministro e ’l domanda : « Chi m’à tolto la corona? » — « Sacra 
Maestà, mi sicuro no gò porti via la corona, uè go visto nissun, 
che l’aveva robada ». Tuto imusonado el re xe torni a casa, el gi 
condanà a morte el ministro povereto, che no gaveva colpa, per- 
chè la fada Alzina , la regina dele fade , iera sti la ladra de la 
corona. HI re disperado se sera in caraara , perchè ’l se vergo- 
gnava mostrarse al popolo senza la corona , e no ’l voleva che 
nissun lo venisse cercar. I fioi no capiva sta roba e ’l più vecio 
un giorno dise : « Cossa voi dir che nostro padre s'à seri in ca- 
mara, e che no ’l voi veder nissun ? Ghe deve esser nato qualche 
disgrazia. » I voleva andar in camara per capir qualchecossa e se 
iera possibile consolar el padre : prima di tuti va el più vecio e 

1 Continuazione. Vedi Archivio, p. 235. 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 39 



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30 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

’l ghe di se al padre: « Padre mio, ve prego de dirme cossa che ve 
xe nato e perchè no ve volè far veder da nissun; » ma ’l padre ra- 
bioso lo manda via zigando, che se no ’l se move presto ’l ghe 
darà una sberla. E1 fio mezzan dise : « Vojo provar anco mi », ma 
anco a lu gà tocà la stessa storia e ’l xe tornado indrio tuto 
lesso lesso. No restava che ’l più picolo, che se ciamava Benja- 
min, e a lu ’l padre ghe voleva un ben de vita. Lu furbo, prima 
de andar in camara, se porta un’ arma e dopo aver tanto pregà 
el padre de contarghe la storia , sto padre co le lagrime ai oci 
ga dito : « A ti tuto te contaria ma xe un grando disonor e no 
posso », e el fio pronto : « Co’ no ti me voi contar mi piutosto che 
vederte tanto sofrir me mazzarò». — «Fermite, fio mio, no vojo ve- 
der la tua morte e ti savarà tuto » e el s’ à messo a contarghe 
per longo e per largo, come che ’l gaveva perso la corona, pre - 
gandolo de no dirghe gnente ai fradei. El fio ascolta tuto ta- 
sendo e dopo el dise : « La fada Alzina, che ghe piase tanto a tor- 
mentar i omeni, sicuro ve ga tolto la corona, e mi vojo andar 
per el mondo a trovarla e tornarò co la corona o no me ve- 
darò mai più». E cossi xe stado, el va pareciar el cavalo e torse 
soldi e ’l parte. Calumando l’ariva a ’na crosiera, che gaveva tre 
strade a la parte; sora ogni strada ghe iera ’na pierà e su dò 
sassi iera scrito : « chi va per de qua torna » e su la terza pierà : 
«chi va per da qua no torna ». Lu pensa suso un poco e dopo 
el s’à deciso de andar per la strada che no se torna , prima de 
andar via 'el se cava dal deo un anelo de brilanti e lo sepelisse 
soto de sta pierà e coragioso el se mete in viagio. Per un toco 
la strada iera bona, ma dopo ga cominzià venir spini, sassi, be- 
stie selvadeghe tanto che no ’l poteva andar più avanti. El salta 
zo dal cavalo, el lo liga su un albero, el ghe dà un baso e quasi 
pianzendo el ghe dise : « Forse no se vederemo più », e ’l va avanti 
a pie. Camina e camina, dopo tanto ’l trova ’na picola caseta ; 
el bate su la porta perchè el gaveva ’na fame del diavolo , iera 
tanto tempo che no ’l gaveva magnado gnente; el sente de dentro 
una vose che ghe domanda : « Chi xe ? » — « Un povero guerier 
che domanda un poco de riposo». Una veda ghe averze la porta; la 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


3 ° 7 

lo guarda e tuta stupia la ghe dise : « Che bel giovine che ti xe ! 
Cossa ti xe venù far da ste parti? Ma no venir dentro, perchè mi 
mi so’ la madre de la bora, e se mia fia te trova la te copa». 
Intanto la ga dà magnar e lu s’ à messo a contarghe che l’an- 
dava per el mondo finché ’1 trovaria la fada Alzina, e l’à pre- 
gado sta veda se la ghe savaria dir qualche cossa. Sta veda, che 
iera ’na bona diavola, la lo dama dentro, e la lo sconde soto 
el leto, e co’ xe venuda la Bora la ga dà ben da magnar e la 
T à saziada pulito e dopo la ga contà la storia de sto giovane; 
ma prima la fia gà promesso de no farghe gnente a sto giovane. 
La Bora ga dito che la corona de sto re iera sora el leto de la 
fada Alzina. vi^in un fazziol e un pomo de oro che sonava la 
musica, tuto roba portada via a dò regine infadae in un pozzo,, 
che caminando avanti lu stesso vedarà sto pozzo. La Bora, prima 
che ’l vada via, ghe dà ’na botiglia per indormenzar el guardian 
del palazzo de la fada Alzina e cussi poder entrar dentro ; en- 
trado ’1 trovarà un giardinier che iera ’l padre de la Bora e ’l 
mario de la veda, e la ghe dà per lu ’na letera de racomanda- 
zion. La ringrazia tanto e pò el se mete in moto. El trova dopo 
aver camina un pér de ore el palazzo de la fada , l’ indormenza 
el guardian e ’l trova el giardinier, che ghe promete de aiutarlo. 
El giardinier ga contà che su le scale ghe iere dò mori, che copa 
chi che passa e che solo lu con un pelizzo e co un badil de 
fiori ghe iera permesso de passar, el ghe impresta a sto giovine 
el pelizzo el ghe mete in man dei fiori e el giovine co la roba 
del giardinier el xe entrà ne la camara de la fada Alzina, subito 
’l gà tolto la corona, che iera sora el lcto , e a la fada Alzina 
che dormiva e che iera cussi bela no ’l ga potudo tegnirse de 
no darghe un baso, el gà porta via anca el fazziol e ’l pomo e 
dopo el xe scampado. El va zo, el ringrazia el giardinier e el se 
mete in camin. Dopo de aver caminà za per sie o sete ore , el 
trova un pozzo svodo e intorno de sto pozzo girava un’ oca 
cole ale cussi grande che le podeva portar una persona. La be- 
stia subito ga capio che lu voleva andar abasso e la ghe dise 
che ’l se meta su le ale che la lo portarà abasso. In fondo del pozzo 


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ghe iera le do regine infadae, lu ga dà el pomo e ’l fazziol e el 
ga dito che le iera libere se le voleva venir con lu. Lore più 
che beate ghe xe andade adrio e tuti tre i s ’ à incaminado e a 
mezza strada Benjamin trova el cavalo e sora de questo i xean- 
dadi al palazzo de ’l re. Apena arivadi Benjamin xe corso dal 
padre a portarghe la corona tuto fora de lu la gioia. 

El padre l*à fato che ’l se inzenocia e el ga messo in testa 
la corona a sto bon fio disendoghe : « La xe tua e ti te la meriti. » 
El Benjamin s’ à sposi co la più bela dele do regine , e xe stà 
gran feste e alegria e la fiaba xe finia. {Zara). 


VARIANTI E RISCONTRI. 

La novellina rovignese: La Curona del Gran Giegno (Ive), Nov. pop. rov. 
n. IV), è variante parziale della nostra. Offrono somiglianze parecchie le no- 
velline sulla penna dell* uccello grifone, Schneller, Màrchen und Sagen aus 
Wàlschtirol , n. LI; Corazzini, xAuciello Crifonc ; Finamore , n. IX delle Nov. 
pop. abrui. t Arch. trad. pop. III, 381. Tratti singoli in Comparetti, n. XIV : 
La Signora delle sette vele; Nerucci : I tre Maghi ovverosia il Merlo 'Bianco 
( Arch . trad. pop. Ili, 373 e 5 5 r ), dove un giovine s’espone a varie avventure 
per rubare ad un mago un diadema; nella leggenda bellunese: L' egua dele 
bele sete vele, pubblicata dal Dott. C. G. Buzzati nell 'Arch. delle trad. pop. VII, 
236; nella XXXVII : La Regina Angelica delle Nov. pop. ital. del Comparetti, 
anche qui un giovine non può trattenersi dal dare un bacio alla Regina An- 
gelica prima di abbandonarla; nella novellina delle Tre Melangole della stessa 
raccolta. Visentini, Fiab. Mantov. n. XII. Cfr. anche per riscontri particolari e 
analogie i numeri XIII: Die schòne mit den sieben Schleiern , XIV e XXVI 
delle Sicilian. Màrchen della Gonzenbach. Vedi ancora, Nerucci , La Regina Mar - 
gotta ; Finamore, Nov. pop. abru n. XXIX. Un pomo che suona è in Ive, Fiabe 
pop . rov. n. Ili e in Pitrè, Fiabe, Novelle ecc. n. XXXVI. 

Per l’episodio quando Benjamino si trova nel pozzo cfr. la IV. delle Ve - 
net. Màrchen di Widter-Wolf, Jahrbuch fùr rom. u. engl. Thil. Manca nelle no- 
stra fiaba l’episodio del tradimento dei fratelli, comune a quasi tutte le versioni 
italiane e va distinta per diversi particolari caratteristici. ^Cfr. anche De Nino, 
Fiabe abrasesi, n. II: La penna dell’ uccello Grifone. 


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XI. — La Gaiandra. 

Ghe iera ’na volta ’na contadina che no gaveva fioi e la 
iera disperada; un giorno la ga dito: « Voria magari gaver per'fia 
una gaiandra, mejo qualchecossa che gnente. » La xe restada gra- 
via e dopo nove mesi la partorisse ’na gaiandra. Sta quà se ram- 
pegava per i alberi che iera ’na belezza e la cantava cussi ben 
che tuta la gente se fermava soto l’albero a starla a sentir. Un 

giorno passa per de là per combinazion el fio del re; el s à 

fermi e el xe resti incanti dala bela vose de sta bestia; da quel 
giorno el xe tornado tante e tante volte a passar e a fermarse 
de novo, che ’l gà finio de restar inamorà dela gaiandra. A casa 
de ’l re i iera tre fradei e tuti tre presto i se doveva sposar, e 
i burlava sto quà che xe stà tanto stupido d’inamorarse de una 

bestia, ma lu li lassava bazilar e el tornava a veder la sua ga- 

iandra e a sentirla cantar cussi ben sora l'albero. La madre dei 
dei tre fioi del re ga dito un bel giorno : « Fioi mi, voialtri xe 
tuti pronti a sposarre e tuti gavè la morosa; dunque diseghe che 
ognuna me fazza un tapeo e vedaremo qualo che sarà "1 più belo ». 
El fio de ’l re xe andà da la gaiandra a contarghe sta storia e 
e sta quà iera contenta e la s'impegna de farghe un bel tapeo, 
ma lu no ’l voleva crederghe. Ogni giorno# 1’ andava a trovarla 
ma mai se vedeva venir fora sto tapeo e lu sempre se lagnava, 
ma la gaiandra cantava come prima e la ghe diseva che la farà 
el tapeo 1’ ultima note. Xe passade de là tre bele fade e le s’à 
fermà a sentir cantar la gaiandra , e tanto gaveva piasso che o- 
gnuna gà fato un regalo : una gà dà un maron, la seconda ’na 
nosa e la terza ’na mandola e ridendo le xe andade via per i 
fati loro, contente de aver fato un ben a qualchedun. El giorno 
adrio la gaiandra averze el maron e la vede sortir un tapeo cussi 
belo e cussi ben ricamà, che iera ’na belezza a starlo a guardar. 
El fio del re contento come ’na pasqua el xe andà da sua ma- 
dre co sto magnifico tapeo, che difati valeva assai assai de più 
dei tapei, che gaveva portà i suoi fradei. La madre no iera miga 


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contenta e adesso la voleva che i fioi ghe portasse un fazzoleto 
recamà, per veder quala de le tre spose iera la più brava e ognun 
xe andà a contarghe sta roba a la sua morosa, e tute s'à messo 
subito a lavorar. E1 fiol de ’1 re xe andà con sta nova da la sua 
gaiandra quasi disperado, ma eia s’à messo a rider e prometer- 
ghe che la ghe recamarà un bel fazoleto; lu proprio no voleva 
creder e l’aspetava con paura sto giorno. Co’ xe stà, la gaiandra 
averze la nosa e ghe sorte fora el più bel fazzoleto de sto mondo 
e el fio stesso resta istupidio e no J 1 capiva come diavolo la sua 
sposa savesse tanto ben recamar. Ridendo e cantando el va da la 
madre a portarghe el fazzoleto recamà, che iera tanto belo, che 
tuti stava a guardarlo e cussi anca stavolta le spose dei dò fra- 
dei gaveva fato fiasco. Da sto giorno xe passà un poco de tempo, 
ma tuti i fradei faceva fraca per sposarse e per questo la madre 
ga volesto ancora un ultima prova ; stavolta la voleva aver un 
covertor per el tal e tal giorno. A la gaiandra no ghe restava 
ch’averzer la mandola e cussi la ga fato e anca stavolta xe verni 
fora un magnifico covertor co le campanele che sonava che iera 
una belezza. Sto covertor naturalmente iera el più belo, e la ma- 
dre xe stada beata e contenta e no la se stancava mai de lodarlo, 
de guardarlo per tuti i versi, de moverghe le campanele perchè 
fazza din din, e la burlava i lavori de le altre spose che al con- 
fronto no valeva un figo. Per no perder tempo i ferma el giorno 
de le nozze e tute tre fradei se doveva sposar in un stesso giorno. 
El fio de ’1 re triste co la testa bassa va da la gaiandra e el ghe 
dise : « Bisogna che ti ti prepari per le nozze », e lu se vergo- 
gnava de cundur sposa a casa ’na gaiandra. Co’ ’1 iera andà via, la 
gaiandra s’à comprà tanti fiochi de tuti colori, e cussi vestida de 
festa la monta sora un grando gaio. Eco che passa tre fade e le 
vede sta roba, le se mete rider da lassar i fianchi e ognuna ghe 
voi far un regalo a la gaiandra coi fiochi montada sora ’l gaio. 
Una ga dito che la deventa la più bela ragazza che ghe sia, l'al- 
tra che quel che la vede la sapia far, l’ultima una carozza tuta 
de oro con quatro cavai. El sposo vede passar sta bela tosa ne 
la carozza de oro, ma no la miga conosseva cussi bela che adesso 


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la se iera fata. Eia s’à messo a zigar : « Sposo, bel sposo, o no ti 
me conossi più? » Lu alora beato el monta in carozza e tuti in- 
sieme va ale nozze , e tuti xe restadi incantadi dela belezza e 
dela grazia de la ragazza, e i ga magnado e i ga bevudo, ma a 
noialtri non i ne ga dà gnente e xernu restadi cola boca suta. 

( Zara ). 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Cfr. • Archivio delle trai . pop. I, 41-44 i riscontri e le varianti di Capo dì 
Becco delle Nov. pop' toscane del Pitrè : fra questa s’accosta maggiormente alla 
nostra , la variante di Pratovecchio nella seconda parte e nella fine. Vedi le 
note apposte alla Serpa . La 7 \anaoltola del Corazzini segue da vicino la nostra; 
i particolari più importanti in Schneller, tMàrchen u. Sagen aus Wàdschlirol : Der 
Frosch; Compa retti, NjOV. pop. itaì. n. IV e LVI1I, dove invece d’una rana è 
una scimmia. In Finamore, Nov. pop . abru\. n. IV, Arch. trad. pop. Ili, 365, 
il Fatto di piede di cece , similissimo nella prima parte alla nostra e nell’ Ap- 
pendice delle Novelle , n. LXXXIII : Lu fatte de lu Piduocchie. Vedi anche la 
Jimmuruta delle Fiabe , Novelle del Pitrè. In Zingerle, KincUr-und Hausmàrchen : 
Der Kònigsohn è una gatta che procura al figlio d’un re una coppa, una spada 
e finalmente diviene una bella ragazza : condizioni imposte dal re per deci- 
dere a chi spettasse la corona. Cfr. pure: Imbriani, Nov. Fior. XX: / tre fra- 
telli; Gianandrea, Covelline e Fiabe , n. IV : El fijo del re che sposa ’na ranoc- 
chia; Nerucci, Vovelle pop. montalesi , X: La novella delle Scimmie, e Collo 
di Pecora e Testa di Bufala della stessa raccolta; Bernoni, Tradizioni pop. ve- 
neziane, n. II : La Rana; De Nino, Fiabe abruzzesi, n- XIV : La Ranocchia. 

XII. — La Desfortunada. 

’Na volta un padre gaveva dó fie : ’na iera desfortunada e 
e tutto ghe andava a la roversa. Sta povera diavolo s’ à messo 
in testa de andar per el mondo per veder se saria possibile cam- 
biar il suo destin. L’ ariva in un logo e la ghe domanda a un 
mercante el permesso de dormir la note ne la sua botega perchè 
la iera. stanca e i pi ghe iera gonfi dal gran caminar, e la vo- 
leva riposar i ossi. El mercante dise de si e che va dormir, ma 
de note capita in sta botega la desfortuna, che la persequitava in 


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312 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

tuti loghi e la taja tuta la tela e la roba che iera in botega. Co' 
la se alza la vede sta strage e la core presto dal paron a dirghe 
che la pagarà tuto. La va via da sto logo e P ariva in un altro 
e de novo la domanda de dormir in una botega de chincaglie , 
e la desfortuna de note fa la stessa funzion e la rompe tuto 
quello che de bon ghe iera ne la botega, e anca stavolta sta 
disgraziada ga promesso al paron de pagarghe i dani. Da sta 
volta no la voleva più andar a dormir in nissuna bottega. La ca- 
mma, camina, camina e dopo tanto tempo la vede un gran pa- 
lazzo; la bate col batidor, la va dentro' ma nissun ghe vien in- 
contro, la va più avanti e la trova la tòla pareciada coi pranzo 
de sora. La magna e pò la se buta dormir. Co J la se alza la 
trova tuto *1 bisogno e la va a veder el palazzo, in fondo la 
trova ’na camara tuta negra e un morto con una ventola in man, 
dove che iera scritto : « Quela che me sventolarà per sete anni, 
sete mesi e sete giorni sarà mia molgie. » La s’à senti e subito la 
cominzia a farghe fresco e sete ani e sete mesi no la s’à mosso 
e ghe mancava ancora i seti giorni. La camara dava sul mar e 
dal balcon la vede venir da lontan un bastimento con sciave. Co’ 
’1 bastimento s’ acosta la ciama suso una de st e sciave e la la 
compra per sventolar el morto per qualche tempo, e la va dor- 
mir, chè proprio no la podeva più star in pie, e tanto sono la 
gaveva che no la s’ à svejado che dopo più de sete giorni. El 
morto dopo i sete giorni se dismissia e ’l vede sta dona e ghe 
dise : a Ti ti m’i descanti e ti deventarà mia molgie ». Tuto ’l pa- 
lazzo xe stà descanti e sto fio de re andava adesso in viagio 
per invitar tuti i re a una festa granda per le sue nozze. Prima 
de lassar el palazzo a ognuno dei servi el ghe domanda che re- 
galo che '1 ga da portarghe : ognun voleva un’altra roba e sola 
la povera desfortunada, che adesso iera vestia da sciava, voleva ga- 
ver la pierà de la passion e ’1 cortelo che ponze. El va da tuti 
sto fio de re e ’1 va anca, non so come , dal padre de la de- 
sfortunada e fra le altre robe, el ghe conta che ’na sua sciava 
voleva aver la pierà de la passion e ’l cortelo che ponze, e che 
no ’1 saveva come trovar sta pierà nè dove che la stava. A sta 


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pierà bastava contar la propria storia, e sta qua diseva che iera 
vero. El trova, no so dirve in che buso, sta pierà e aiegro el 
torna a casa, e ghe l’ofre a la sciava; sta qua cominzia a lamen- 
tarse : « Per sete ani e sete mesi senza un minuto de riposo, stando 
in pie tute le noti go fato fresco al re, e co* mancava sete giorni 
alora go compri ’na sciava che ghe fazza vento per qualche 
tempo e ’l re apena svejado s’ à subito promesso co la sciava!» 
Mentre che la parlava cussi la pierà diseva sempre de si che iera 
la verità. El re apena capio che la ragion iera da la sua parte , 
el fa venir un magnifico vestito de sposa e in deo ’l ghe mete 
l’anelo del matrimonio , ’l scazza via la sciava e ’l sposa la de- 
sfortunada. L’altra ’l giorno adrio i l’à messa in ’na bote de ca- 
trame e i ga dà fogo in mezzo la piazza , e la povera desfortu- 
nada finalmente g’avù un poco de fortuna a sto mondo. 

{Zara). 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Vedi la prima metà della XIV delle Fiabe Mantovane del Visentini, e Gon- 
zebach, Sicil. Marcimi , n. XXI, e per la seconda parte Gonzenbach, Sicil. Màr- 
chen y n. XI colla pietra della pazienza che è eguale alla nostra della passione. 
Un riscontro parziale è lu Re cavaddu mortu , XII. delle Fiabe e Novelle del 
Pitrè. Cfr. anche la variante palermitana : Russu coma sangn, riassunto in nota. 
Cfr. il n. LXXXVI : Sfurtuna colla variante di Vallelunga della raccolta del 
Pitrè. Una pietra per aguzzare un coltello arrotato che un padrone porta alla 
sua schiava in Mango, Nov. popolari sarde , n. IX. 

XIII. — El stupido. 

Ghe iera ’na povera dona co un macaco de fio che no ghe 
ne faceva ’na de drite e che la faceva deventar mata. Un giorno 
afamadi come che i iera, no i gaveva gnente de magnar per 
pranzo, la madre ghe dise al fio : « To sto sacheto de farina e no 
lo vender che a persone grande. » Sto sempio ciapa su e ’l va in 
bosco e el vede de i grandi alberi e lu furbo ! ga pensà che più 
grandi de cussi no se podeva trovar; l’averze ’l sacheto, el buta 
«. Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X, 40 


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314 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

in aria la farina disendo: «Eco: ve vendo sta farina che mia ma- 
dre m' i dado e doman venirò a tor i bezzi » e via lu cantando e 
saltando verso la casa. La povera madre tuta debole da la fame 
che la gavea in corpo Easpetava el fio come ’1 Messia; co’ el xe 
venù, el s’à messo a contarghe cossa che iera nato, e come apena 
doman el podaria tirar i bezzi e che la vada veder ne ’l bosco 
se no la crede che tuti i alberi iera bianchi de farina. Un altra 
volta la madre lo manda a vender un poco de tela disendoghe : 
« Te prego no star vender sta tela che a done grande che tase. » 
El xe andi via de casa pensando dove diavolo trovare) mi done 
grande che tase, e camina camina finché l’ ariva a 'na statua de 
marmo, el se ferma, el cominzia a guardare e po’ el ziga : « Ti voi 
comprar sta tela». Tuto beato che sta dona taseva el, pensi, final- 
mente l’ò trovada, e ’l buta la tela ai pi de sta dona de marmo 
e prima de andar via el ghe dise : « Doman venirò a tor i bezzi 
che ti me devi », e anca stavolta contento de aver la cosa a do- 
ver '1 xe torni a casa. La madre se mete a piatizer co’ la sentù 
e no la voleva finir de lamentarse ; al fio gi fato paci e *1 la 
consolava : « Ti vedari mia bona dona, che doman te tirarò i bezzi 
e te li por tarò a casa e alora no ti pianzari più, mi spero. » Co’ 
xe sti giorno, el va via co un gran baston de legno, per trovar 
a statua e farse dar i bori , dopo aver fato un bel tocheto de 
strada l’ariva, el guarda fisso sta dona de marmo e po co ’1 ba- 
ston per aria tuto infurii el cominzia a zigar : « Ti me paghi si o 
no la mia tela? » e el cominzia a darghe zò co ’l baston. Sta sta- 
tua iera 'na de quele dove quei che passava butava la limosina 
in ’na scatoleta. Co’ lu gi cominzii a pestar, tuti i soldi xe ca- 
scadi fora da la scatola , e lu li ga sonadi su e prima de an- 
darsene el ga dito : « Volevo ben dir mi, che ti me dari i mi soldi 
o per amor p per forza » e li ga portadi a casa a la madre, che 
no capiva un figo. Lu e la madre i era in miseria e no i po- 
deva più tirarla avanti , cussi che i ga pensi de andar per el 
mondo a trovar la fortuna, se no istesso i doveva povereti mo- 
rir de fame. Co’ i iera za sortì fora, la madre ghe dise a sto ba- 
lordo de fio : « Butite la porta adrio le spale » e lu subito se mete 


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a corer, el tira zo la porta e cussi come la stava el la mete sora 
le spale, la madre vedendolo venir ghe dise : « Ma cossa ti fa! la 
nostra casa resta averta e anca quel poco de roba che ancora 
gavemo i ne portarà via ». I va avanti e co’ ga fato note i xe 
andai sora un albero a riposar che i iera stanchi come tante be- 
stie; poco tempo dopo i vede venir dodese assassini, che se senta 
proprio soto V albero a ciacolar e a contar i bezzi robadi du- 
rante ’L giorno. HI fio stupido da la paura cominzia a pissar , e 
i assassini de soto sentiva sta roba ma ghe pareva che fusse la 
rosada. HI ghe dise po’ a la madre : « No posso più tenir la porta, 
la me pesa tropo ». — « Ma per amor de Dio, tienla ancora un poco; 
se no i ne mazzarà come agnei. » Ma lu no voleva sentir ragioni 
e el mola zo la porta : i assassini da la paura ciapa la fuga e i 
lassa tuti i bezzi. Co sti soldi el fio e la madre xe andai avanti! 
contenti d’aver salvà la pele pensando che i ga avudo più for- 
fortuna che giudizio. Caminando i trova un frate, el fio stupido 
co le bele ghe va arente e ghe fa tanti complimenti e po’ el ghe 
dise : « Che pelo longo, mio bel frate, che gavè su la lengua! » El 
frate cava fora la lengua e st’altro presto ghe la taja e ’1 povero frate 
no podeva più parlar. I assassini incontra sto frate e i ghe do- 
manda se ’l ga visto passar qualchedun con dei bezzi, ma lu no 
saveva dir che: blon, blon, blon blon. El fio stupido co la madre 
pulito xe scampado, el xe arivi in un bel logo e co i bezzi che i 
gav^va; no i gaveva più fame e i ga vivesto in pase e in alegria 
e cussi la mia storia xe finia. {Zara) 


VARIANTI E RISCONTRI 

Una variante veneziana in Bernani, Fiabe pop. vene : El malo , che però 
nelle sciocchezze descritte non ha nessun punto di contatto con quelle della 
nostra fiaba; Viscntini, Fiabe Mantov, n. XLIV : Il paxjo , coll’episodio della 
porta tirata addietro. Il tratto della vendita della tela ad una statua in Fina- 
more, Nov. pop . abrui. II , 87 e in Cosquin, Contes lorrains , %pm . IX 389, 
Gonzenbach, Sicil. Màrchen , n. XXXVII e Kòhler, Jabrbucb fiìr rom u. engì. 
Thil. VII , 362 dove sono riassunte anche le versioni pugliese, romagnola e 




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piemontese; Schneller, Màrchen u. Sagen aus Wàhchlirol : Turlulà. Di simili 
balordagini tratta anche la XIV dei Kinder-und Hausmàrchen dello Zingerle ; 
ai numeri XXIV e XLVIII della stessa raccolta tirolese l’episodio degli assas- 
sini. Vedi del ciclo di Giufà nelle Fiabe e Novelle del Pitrè, CXC: Giufà t 
la statua de ghissu , Giufà e la pe^a di tila y Giufà tirati la porta f Giufà e li 
latri. Delle versioni toscane della raccolta de^ Pitrè, vedi: Giucca (episodio 
della statua) e Giucca matto (episodio dell’ uscio) e il Matto (episodio degli 
assassini). Cfr. le note dottissime ai numeri 4, 5 e 6. Di simili sciocconi trat- 
tano molte novelline, fra le altre Finamorc, Appendice , 120 e la LXXVI delle 
Fiabe e Leggende del Pitrè. 


XIV. — E caperai Pipeta. 

Ghe iera una volta un caporal e 'l iera un frajon de nu- 
mero uno, un imbriagon e un zogador. E perchè ’l tegniva sem- 
pre la pipa in boca i lo damava el caporal Pipeta. Un giorno 
de gran parada el doveva venir ale manovre, ma ’l gaveva im- 
pegni la montura e l’à pensi de disertar e de scampar via. El 
se mete in camin e camina che se camina per una giornada in- 
tiera no ’l ga visto anima viva, e ala sera co’ proprio no Tpo- 
deva più tirar el fii, el te vede un gran palazzo, e lu muso roto 
el entra drento e ’l scominzia a visitarlo. La prima roba che ghe 
di in ocio iera un belissimo giardin pien de statue che pareva 
persone vive: fra le tante ghe iera una regina assai bela ma tanto 
bela che ’l caporal xe resti incanti co’ l’i vista. El va avanti a 
visitar le sale lustre come tanti speci e da per tuto statue e nel 
ultima sala un gran trono. « Go capio » pensa el caporal « se 
vede che presto deve tornar el paron e mi vago a risego de cu- 
carme un fraco de legnae » ; el gira 1’ ocio e ’l vede una tola 
preparada per una persona , e senza pensarghe tanto suso el va 
avanti a visitar la cusina perchè ’l sentiva $erti odoreti che ghe 
faceva venir l’acqua in boca e co la fame che ’l gaveva in corpo 
ghe vien voja de tastar un boconzin, ma apena che ’l toca una 
tecia el sente un bordelo indiavoli e 1’ impianta tuto e ’l torna 
in tinelo e sospirando cl dise: « O che venisse un bon omo e 
che me portasse una bona $ena » e gnanca no ’l gaveva finio 


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de dir ste parole che ghe vien davanti un moro è senza parlar 
una parola ghe serve una bonissima $ena. « Qua i me ga tolto 
per el re o per el principe de sto palazzo , mi magno e taso e 
po’ vedaremo come che finirà sta roba » pensava fra de lu el 
caporal Pipeta senza scomporse o perder la tramontana, e '1 dise 
a forte: « Adesso gavaria bisogno de bever qualcossa » e dito e 
fato torna el moro coi più boni vini che se possa imaginar. Fi - 
nido de bever el dise: « Adesso voria gaver una pipeta e un 
mazzo de carte » e ghe te capita el moro cola pipeta e ’1 se 
senta a zogar con lu ale carte senza mai dir una parola. Co 1 ’1 
caporal Pipeta iera stufo e ’l ghe dise al moro : « Adesso voria 
gaver un bon leto cole suste e qualchedun che me mete drento ». 
El moro la ciapa, lo spoja e *1 lo porta in un magnifico leto, 
ma sempre tasendo. El caporal fra le piume el stava cussi ben e 
’l gaveva magnà, bevù e fumà e poco dopo el s’ à anca indor- 
menzà in sto bel leto. Co' xe ala mezzanote un gran fracasso lo 
sveja e qualchedun bateva sula pprta e lo ciamava per nome. 
« Caporal Pipeta, lèviti suso, semo i tui amici, andaremo a zogar 
a l’ ostaria » c de tuto i ghe diseva per smamirlo, ma lu cuzzo 
perchè ’l gaveva giuri de no darse per inteso. Quei de fora che 
iera strigoni , co* i ga visto che cole bone non se fa gnente , i 
ga butà zo le porte, i ga tiri per le gambe al povero Pipeta e 
i 1’ à strassinà per tuti i scalini del palazzo , e al ultimo scalin 
sona P ave-Maria e i strigoni xe subito sparidi e i lassa el ca- 
poral in fondo dela scala cole testa rota. Comparisse alora una 
regina, che iera quela bela del giardin col busto de carne e ’l 
resto de pierà , e la se mete a onzer con del balsamo le feride 
del povero Pipeta e la lo fa dal moro portar de novo in leto e 
la ghe se sente arente. Ala marina el caporal se sveja tuto guario 
e ’l te adocia sta bela regina. Eia ghe fa mile carezze e po’ la 
ghe dise: « Caporal mio, no gaver paura de mi e anzi se ti vorà 
ascoltarme te farò beato e contento. Bisogna che ti sapi che son 
la fia d’un re e che mio padre me voleva tanto ben che 'el m’à 
donà sto palazzo e un picolo regno, ma un giorno xe venu una 
striga e mi che no savevo chi che la fosse, la go ri$evuda mal 


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3 18 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

e eia per vendicarse m 1 à cambià mi e la mia corte in tante sta- 
tue de pierà, e me toca star in sto stato finché no se trova uno 
che sia bon per tre note in fila sofrir qualunque tormento senza 
mai dir una parola. Ti senza saverlo sta note tasendo ti m 1 à 
liberà da una parte dela mia condana e ti vedi el mio busto xe 
tuto libero, ma tuto saria inutile se ri sta note non ti podessi 
sofrir altri tormenti senza parlar e mi alora tornarla come pri- 
ma ». — (( Sacra Maestà » , ghe risponde el caporale « xe tanto 
grando l’amor che ve porto che sofriria de tuto prima ch’averzer 
boca ». La regina ghe promete de deventar sua molgie se ’1 sarà 
bon de sofrir tanto per eia. El giorno i lo passa insieme e co * 
vien la sera la regina ghe torna a racomandar de gaver coragio 
e de soportar i dolori tasendo, perchè se no la iera rovinada e 
la tornava de pierà. 

I se lassa cole più bele promesse. Ala mezzanote in punto 
come la volta passada vien i strigoni furenti; i lo tira fora dal 
leto, i lo martorizza e po’ i lo inspea e i va per meterlo a ro- 
stir sui fogo, ma proprio in quel momento sona Pavé-maria e i 
strigoni scampa e ’1 caporal mezzo rostio resta là sul camin. La 
regina va presto col suo balsamo e la ghe onze le piaghe e lu 
torna san come prima, e la regina iera libera fino ai zenoci. Re- 
stava ancora la terza note che doveva esser la più teribile. Ala 
mezzanote se spalanca la porta e i strigoni ciapa el caporal e i 
lo fa passar in una roda de rasadori e i lo riduse in boconi, ma 
lu anca sta volta zito , e co* ga sonà P ave-maria i strigoni xe 
sparidi c la regina s'à messo a sonar i boconi del povero Pipeta 
e col balsamo la li ga tacadi insieme e lu xe tornà belo e san 
come prima e la regina finalmente iera libera del tuto. I ga fato 
feste che no finiva mai, e la regina ga dà apuntamento al Pipeta 
in una capelva, dove che i si doveva sposar e la ghe dona un ma- 
gnifico vestito de re e la ghe racomanda d'esser puntual e cussi 
i se lassa. Eia naturai voleva tornar più presto che sia possibile 
in Portogaio da suo padre e scampargli cussi via a la striga. 
Ala matina adrio el Pipeta con una borsa piena de bezzi va ala 
capela. Intanto la striga furente che la regina iera libera e de 


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sora più sposa e inamorada del caporale che in fin dei conti iera 
un bel omo, ìa manda un suo picolo nevodo in eterea del caporal 
e la ghe dà un pomo e la ghe dise : « Co’ ti trovi el caporal, 
fa de tuto che prima d’entrar in capela el magna sto pomo ». 
El picolo trova el caporal per strada e ’1 ghe ofre sto pomo e 
el caporal Pipeta, senza andar adrio de gnente, in santa pase el 
se magna el pomo e subito i oci ghe scominzia a baiar e a se- 
rarse e ’1 s’indormenza proprio davanti la capela. Dopo un poco 
ariva la regina e de tuti sforzi la fa per dismissiarlo; la lo move, 
la lo toca, ma ’l pareva proprio duro e no ghe giovava nè i zi- 
ghi nè le lagrime. La ghe mete vi$in una spada, un fazzoleto e 
una letera dove che la ghe diseva , che apena svejo no ’l perda 
tempo e che ’l vegna in Portogaio e che là i se trovarà e i se 
sposarà ala corte de suo padre. Lu se dismissia , se frega i oc i 
e al primo ' momento no’ ’l capisse dove che ’1 xe e cossa che 
xe nato de lu, ma po’ dopo el se fa coragio e ’l se mete in ca- 
‘ min per el Portogaio e camina, camina, camina finalmente el 
vede una casupola. El bate ala porta e ’l sente come el bordelo 
de un gran vento : hu , hu , hu e una vose da drento : « Quanti 
ani, quanti mesi e quanti giorni che nissun bate a sta porta! » e 
*n quelo una gran refolada che buta quasi per tera el povero ca- 
poral. El capisse alora che quela iera la casa del Siroco e ’l ghe 
domanda : « Paron Siroco, ti saveressi dirme la strada più curta 
per arivar in Portogaio ?» — « Mi non so, non supio mai da quela 
parte, va dal mio fradelo Maistro , che forse te lo savarà dir ». 
El tira ’vanti e ’l te trova dopo un pèr de giorni un’altra casu- 
pola e ’l bate anca sta volta ala porta e ’l sente una vose de 
drento a zigar : « Quanti ani , quanti mesi e quanti giorni che 
nissun bate a sta porta ! » — « Sior Maistro, voressi insegnabile la 
strada più curta per arivar in Portogaio ?» — « >Ion so , perchè 
non supio mai da quela parte, ma va da mia sorela Bora e eia 
te savarà dir de $erto ». El caporal torna a meterse el cor in 
pase e ’l scominzia de novo a caminar e camina , camina e ca- 
mina el vede da lontan la casupola de la Bora e ’l bate su la 
porta. « Quanti ani, quanti mesi e quanti giorni che nissun bate 


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a sta porta! » i ghe risponde da drento, e lu: « Comare Bora, ti 
me' insegnaressi la strada più curta per arivar in Portogaio ? » 
« Mi so la strada » y ghe fa la Bora « ma no posso dirvela e co’ 
ritornarà i mi oseleti i ve la mostrali. » E1 caporal aspeta e se 
arma de santa pazienza e infati dopo meno d' un’ oreta vien un 
ciapo de oseleti d’una grandezza spropositada e la Bora ghe fa : 
« Che nova fio i mi portè da quele parti ? » — a Eh ! marna; xe tor- 
nadala fia del re de Portogaio che iera strigada e ’1 padre Pà pro- 
messa in molgie a quelo che ghe tajarà le sete lengue al drago; 
perchè bisogna che sapiè che ghe xe in Portogaio un drago con 
sete teste e più che i ghe le taja più le ghe eresse ». E1 povero 
caporal co’ sente tuta sta roba poco ga mancà che no ghe ve- 
gna un colpo e ala comare Bora el ga conti la sua storia. Eia 
ghe comove sta roba e la ghe racomanda de comprar dela carne 
e del mejo e che *1 meta tuto in un saco e che ’1 liga sto staco 
soto el colo de uno de quei grandi oseleti e che lu se meta sora 
de sto oseleto e che no ’1 se dismenteghi de darghe da magnar 
per strada. El caporal la ringrazia e ’1 fa a puntin come che la ga- 
veva dito e sora sto oseleto in poche ore Pariva in Portogaio e 
*1 vede tuti i visi strachi e longhi e un gran malinconia. Per le 
strade gran carteioni, che chi che copari el drago gavari in mol- 
gie la fia del re. El caporal Pipeta va ala riva piena de gente 
per veder capitar cl drago c l’aspeta che '1 drago meti fora la 
testa, e zik ! el ghe taja d’un colpo tute le sete teste e fato questo 
el ghe cava le sete lengue e ’1 le mete in scarsela e le teste el 
buta via. El va a casa e J 1 scrive una bela letera ala regina man- 
dandogli le sete lengue involtade in quei fazzoleto che eia ga- 
veva donà e sto involto, el ghe mete in boca al cagneto e "1 lo 
manda in palazzo. Intanto che lu faceva sta operazion un vecio 
fachin tuto strazzon e gobo trova le lengue e ghe le porta al re 
facendo finta e dandoghe da intender che lu le gaveva tajae. Pa- 
rola de re, ghe toca darghe la fia a sto strazzon. La povera re- 
gina tuta in pianti prega el padre de spetar ancora qualche giorno 
ma lu no, e doman doveva esser le nozze , e no ghe iera pati 
de persuaderlo. I dà un gran pranzo e iera invitadi tuti i grandi 


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de la corte e la regina più morta che viva stava sentada vi^in 
el fachin, ma da un momento al altro capita el cagneto col in- 
volto in boca : la regina lo conosse subito; la salta su, e la ghe 
averze la boca, e la cava fora le sete lengue e la letera e i ca- 
pisse alora tuti Tingano. El fachin gobo e strazzon xe sta castigà 
in ordine e i altri va in contro a farghe festa al caporal Pipeta. 
I s'à sposi e i ga vivesto in pase e alegria e la fiaba xe finia. 

{Zara). 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Particolari e tratti singoli della prima parte della versione nostra in Com- 
parati , Novelline popolari italiane , n. XXIV : La regina delle tre montagne 
(patimenti sofferti per liberare una regina); Schneller, Màrchen u. Sagen aus 
Wàlschlirol, n. XXXVI: Schuster (patimenti etc. etc.) e XXXVII; Scbuster 
(patimenti, etc. etc.) della raccolta tirolese confrontata colla seguente, Gonzen- 
bach , Sicil, CSC tir chea , n. LX : Vom verschwenderischen Giovanni™ ; Pitrè, 
Fiabe , Rovelle, etc., n. LXXXIV : La bedda di li setti mu ut agni d ' oru e Fi- 
namore: La favoletta dei tre anelli, *Arch. trad. pop. Ili, 540; De Nino, Fiabe y 
n. LVI : La Regina di Spagna. 

Per lo strappo delle lingue e la lotta col drago e il tradimento d’ uno 
che assiste al combattimento, cfr. Pitrè, A lov. pop. toscane , n . I : La Maga , 
nella seconda parte, e II : I tre cani ; Bernoni, Fiabe pop. vcne\. y n. X : La be- 
stia de le sete teste e *Der Drachentòdter , Vili, dei Volksniàr cheti aus Veneticn 
di Widter e Wolf; Finamore, 'Novelle abrasesi, n. XXII: Lu ddrahe de le sèlle 
tèste e Tradi pop . abruzzesi : Il fatto di Giovanni della gran forza, Arci), trad. 
pop. Ili; 537; De Nino, Fiabe abrasesi, n. I.XV : Il serpente delle sette teste; 
Schneller, Màrchen ti. Sagen aus fVàlschtirol , n. XXXiX: Der Sohn der Eselin ; 
Knust , Kònigssohn mil den drei Hundeu ; Visentini , Fiabe Mantovane, 
n. 37 : Pietro il buon soldato ; Gonzenbach, Sicil. Màrchen , 11. XL eXLIV; Or- 
toli, Contes pop. de Pile de la Corse : La Bète à sept tétes; De Gubernatis, XVII 
e XVIII, e per tutte e due le parti fuse insieme, Pitrè, B'iabee Leggende , n. Ili: 
Li tri cani. 

Circostanze in Knust: Johann ohne Furcht, in Jahrbuch fùr roni. e agl. Phil. 
VII. 386; Finamore, abruzzesi, n. XX: Giuhanne senza pahure\ Im- 

briani, Panxanega d f on %e. 


* Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. 


X.‘ 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


XV. — La bianca e la negra. 

Ghe iera do cugine : una bianca e ’na negra. La negra ga- 
veva ’na rabia maledeta e iera invidiosa de la bianca perchè sta 
qua iera 'na bela tosa. Ambiziosa e superba la negra andava 
sempre al sol a domandarghe: « Chi xe più bela de mi ?» e ’1 sol. 
ghe tornava sempre a dire: « Ti ti xe bela ma tua sorela te supera »; 
e cola rabia in corpo la se sfogava contro sta sorela e no la la 
podeva sofrir e la sofegava in corpo sta rabia spetando el mo- 
mento de farghe del mal e sempre la se rosegava. Un giorno 
dopo averghe pensà tanto suso la dama un servo e la ghe pro- 
mete una massa di soldi disendoghe de condur via lontan de 
casa la sua sorela bianca e po coparla e portar indrio come prova 
el cor de sta povereta perchè la voleva magnarlo e cussi ven- 
dicarse. La bianca xe andada col servo e no la se imaginava de 
quelo che ghe doveva tocar, e la ga perso subito i colori co’ ’1 
servo ga scominzia a contarghe come che iera la storia e per- 
cossa i iera venudi in sto bosco e che ’1 doveva mazzarla e ca- 
vargli ’l cor per contentar quela canaja de negra e lu no saveva 
come cavarsela, perchè ghe faceva peci a farghe del mal a sta 
bela tosa che iera cussi bona con tuti. La s’ à messo a fifar e 
spionsociar come ’na putela e la ga fato zò el servo de lassarla 
viva. Per da là passava justo un porco : i 1* à mazzà, i ga cavi 
el cor; el servo s’e V à messo in scarsela e via lu per i fati sui 
e la bianca resta sola abandonada in sto bosco povera diavola 
senza nissun e la tremava come ’na foja da la paura e la cami- 
nava in gerca d’ una casa per poder passar la note in qualche 
modo. Dopo tanto la vede ’na caseta , la resta a veder de fora 
ma no la vede gnente e no la saveva decider ; la ciapa coragio 
e la entra dentro la guarda de qua e de la e tute le robe iera 
in disordine e "la pulito senza perder tempo se mete a distrigar: 
le carege, la tovaja sula tola e le posade e faceva voja de veder 
sta camara adesso cussi messa in ordine in ’un bojo. La tola iera 
iera preparada e ’l pranzo iera za pronto. La tosa iera curiosa 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


3 23 

de veder chi vcgnarà adesso in sta cattura , che razza de gente 
che stava qua de casa. Là stava tre fradei cazzadori e ogni ma- 
tina i andava de bon’ora a la cazza a ciapar salvadego. I torna 
a casa e i resta de stuco co' i vede la camara tuta in ordine e 
la tola coi piati de sora ma no i podeva capir chi iera stà in 
sto tempo e i xe restai d’acordo de far uno de lori el giorno a- 
drio la guardia. El giorno adrio el fradelo invece de star atento 
e stufo de spetar tanto tempo cl s’à butà sol sofà e poco dopo 
el ronchizava conte un porco. La xe sortia a pian pianin dal buso 
dove che la iera sconta e de novo la ga distrigà e messo tuto 
a logo. I altri dò tornando da la cazza s’à rabià a veder sto dor- 
mioto de fradelo e la camara cussi neta e in ordine e lustra co- 
me uno specio. « Restarò mi », dise ’l secondo dei fradei, « e ve- 
daremo se sarò bon de vegnirghe fora e de capir sta roba ». Con 
tute ste parole e sta aria anca lu co* xe stà el momento i oci 
ghe se serava e anca lu s’à indormenzà in un boccio. El terzo 
fradelo se mete a zigar co* ’l vede sta roba : « Ve la farò veder 
mi, pigroni, e mi no vojo lassarme tirar per el naso chi sa da 
chi e vojo vederghe ciaro in sta question. » A la matina sto terzo 
fradelo fa la guardia, ma de sesto e ’l fa finta de dormir. La xe 
sortia in ponta dei pi e sto qua presto salta zo e la ciapa per 
el brazzo e co’ ’l ga visto sta bela tosa , el ga cominzià a do- 
mandargli scusa e parlarghe cola bela maniera. I do altri frade 
te trova sta bela tosa i resta incantai e turi tre la voleva per 
sposa e i se sbarufava fra de lori, ma eia ga fato far pase e a 
tuti tre le ga dito: « Non posso esser la vostra molgie, ma ve vojo 
servir come ’na bona sorela e vualtri bevarè un cuciaro del mio 
sangue e mi bevarò un cuciaro del vostro. » Tuti xe stai contenti 
e i viveva in pase e in alegria : eia preparava e faceva i servizi 
e la governava la casa e i se la godeva. Tornemo a la negra; 
la se consolava che la sorela iera mòrta e la se credeva la più 
bela dona de sto mondo c la ga magnà el cor de la sorela ro- 
stio sula graèla. Un bel giorno la va de novo dal sol a doman- 
dargli : « Sol, bel sol, chi xe più bela de mi ? » — « Ti ti xe bela, ma 
la tua sorela xe più bela de ti. » Co’ la sente sta roba la s’à rabià 




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324 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

come 'na furia e fora de eia la core come ’na mata a doman- 
darghe al servo cossa iera stà da sua sorela; el servo se giurava 
d’averla mazzada. La va da una striga per saver la verità e la 
striga ghe spifera per longo e per largo come che iera stà , e 
dove che la trovava e se la voi che la ajutarà, solo la voleva 
gaver 'na ventura avelenada. La striga ciapa su co sta ventura e 
la se mete in strada co’ la speranza de trovar la bianca e ven- 
derghe la ventura : la camina e sempre la zigava a forte : « Chi voi 
comprar dele bele venture! » e la ariva nel bosco e la bianca la 
sente e ghe vien la vojeta e la manda zo ’na serva e po' la va 
eia sul porton e dopo tante ciacole la se prova la ventura che 
ghindava a pendo e apena rivada suso la casca come morta per 
tera. Vien i fradei e i te vede sta povera diavola morta e i se 
disperava ma noi saveva cossa Targhe: i ghe taja via la ventura 
e la tosa svelta e sana salta in pie e tuto ’l mal iera passà come 
per incanto. I ga racomandà de non moverse mai più da la casa 
e de no andar in nessun logo. « Ti ga capio » dise ’l più vedo, 
« perchè nualtri te volemo ben come ai nostri oci. » La striga 
torna cola fiacheta a casa sicura de la morte de la bianca, e la 
va la negra a farghe ’l raporto. Passa dei giorni da quela volta 
e la negra curiosa e $erta del fato suo va dal sol: «Sol, mio bel 
sol, chi xe più bela de mi ? » — « Ti xe bela, ma tua sorda te supera 
a ti ». Più furiosa de la prima volta la $erca fora la striga e la 
la manda con dei peteni avelenadi in tei bosco : la striga to su 
i peteni e la fa la stessa strada de l'altra volta sempre zigando : 
« Chi voi comprar peteni! » e la sente la bianca e ghe torna la voja 
de comprarse uno de sti peteni , no la sa vin^erse , la fa in do 
salti le scale e la se scelgie un bel potene e la torna in camara 
e davanti el specio la se mete el petene e la casca per tera senza 
sentimenti. I fradei disperadi i stava atorno a farghe carezze , a 
pianzer , a cercar de tarla rivenir e i la spoja tuta e cussi i ghe 
cava anca el petene e la tosa torna sana e bela come prima. 
La negra più sicura che mai va al sol : « Sol, mio bel sol, chi xe 
più bela de mi ? » — « Ti xe bela ma tua sorela te supera a ti ». 
Imaginève la fota de sta dona, che no ghe iera caso de sbaraz- 


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FIABE POPOLARI DALMATE 32J 

zarse de sua sorda! Torna in baio la striga e con un pomo a- 
velenà la s’incamina a darghe la morte ala povera bianca : el po- 
mo iera mezzo rosso e mezzo verde e la parte rossa iera avele- 
nada. La tosa vede sta striga, ma no la se voleva lassar infeno- 
ciar e la tegniva duro; la striga per persuaderla ghe fa la pro- 
posta de magnar la metà del pomo a per omo , e la rascolta e 
la casca per terra. I fradei te la trova de novo in sto stato, ma 
sta volta no ghe iera modo de riamarla in vita e de farghe tor- 
nar i colori. I fa ’na bela cassa per meterla drento e i la espone 
che turi la vegna a veder sta gran belezza. La negra va al sol 
de novo a domandarghe : « Chi xe più bela de mi ? » e T sol 
stavolta. « Ti xe bela ». Finalmente la sorda no viveva più e 
la podeva star contenta e no rosegarse più da Y invidia e da la* 
rabia per sta sorda che no la podeva mandar zo in nissun modo. 
El fio del re tornando da la cazza e ’l se ferma davanti de la 
cassa a guardar sta bela ragazza e no ’l podeva mai saziarse, e 
el voleva portarsela via; el prega i fradei de lassarghe sepelir sta 
tosa nele tombe del suo palazzo. I dise de si e : se combina e 
*1 fio del re conduse via la cassa; per strada i vien in una cale 
tanto streta e no ghe iera logo per far passar la cassa e i do- 
veva piegarla e in sto moto del piegar xe saltà fora el pomo e 
la tosa averze i ori c te vede sto- acompagnamento e no la ca- 
piva gnente. El fio del re no voleva creder ai suoi ori e 1 s'à 
messo a consolarla e dirghe che la voleva subito sposar. I ga 
fato le nozze in palazzo, e i xe stadi beati e contenti come pa- 
sque ; i fradei xe venudi anca lori a corte e tuti ga vivesto in 
pase e alegria e la storiela xe finia. ( Jlrbe ). 




VARIANTI E RISCONTRI. 

In una variante zaratina da me raccolta è argomento principale della no- 
vella l’invidia Ira madre e figlia. Quest’ ultima, condotta in un bosco, vede da 
un nascondiglio degli assassini che si rivolgono ad una porta colle parole: « Le- 
tizia, avcrzitc !» e la porta si spalanca subito. Si serve di questa formola anche 
essa durante l’assenza dei banditi. C’è di nuovo il particolare che quando la 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


trovano gli assassini si pungono e pungono lei e bevono reciprocamente il 
loro sangne quale pegno d’amicizia. Gli oggetti con cui la ragazza viene ten- 
tata da una strega sono: i) paio di pantofole; 2) un vezzo di coralli; 3) un 
anello. Viene esposta, ed un principe la fa trasportar nel suo palazzo e la fa 
rivivere levandole dal dito Panello. 

Varianti toscane: De Gubernatis, n. XII: La crude! matrigna nelle ‘Novel- 
line di S. Stefano ; La scatola di cristallo , nov. pop. seiuse , raccolta da G. Pitrè. 
Palermo 1875; La locandiera di Parigi , n. IX delle c NLov. pop. toscane del Pi- 
trè; Imbriani, Novella ja Fiorentina , n. XVIII, solo per l’episodio della salva- 
zione d’una ragazza operata da un re col levarle di testa uno spillo, e XIX * 
La bella ostessina , variante più completa della nostra. Varianti siciliane : Gon- 
zenbach, n. II : Maria die bòsc Stiefmutter und die sieben %àuber n. III: Ma - 
ru^gedda e con notevoli differenze il n. IV: Voti der schònen Anna\ la LVII 
delle Fiabe e Novelle del Pitrè : La 1c K,fanti Margarita e LVill : Suli, Perita 
e Anna, dove un re libera una ragazza giacente su un catafalco levandole un 
•fuso. Per il dialogo collo specchio vedi il n. XXXVIII : Li palli mugichi della 
stessa raccolta. Una mantovana in Visentini, n. XXVIII : L'ostessa ; una bolo- 
gnese al n. XIII : La fola del Mercant delle Nov. pop . boi. della Coronedi -Berti; 
una tirolese è la XXII 1 delle Màrchen u. Sugai aus Wàlschtirol dello Schneller; 
due abruzzesi: La bella V enei} a , n. L, delle Fiabe del De Nino e Lu fatte 
dela bbèla Vijenne , LXXXVI delle Novelle del Finamore. App. 97 ; una sarda 
in Mango, XXVI : Is tresgi bandins. Una donna che va al sole a chiedergli 
conto delle sue bellezze in Corazzini, Comp. minori , p. 435. 

Per l’episodio della redazione zaratina delle parole dirette dagli assassini 
ad una porta che subito si apre cfr. Pitrè, Fiabe, Nov., n. CVIII; Nerucci, No- 
velle moni. Cicerchia 0 i 22 ladri', Visentini: La fante avveduta e Pitrè, 
Fiabe e Leggende , n. XV. La gelosia d'una perfidi madre e altri particolari co- 
stituiscono la prima parte della XVII delle Sessanta Nov. pop. montalesi del 
Nerucci: La bella Giuditta e la su' figliola Maria. 


XVI. — L’asino caga-zechini. 

Ghe iera dò fradei; uno iera un sior e Tataro un di^peradon, 
e sempre el disperi andava dal fradelo rico a secarlo e doman- 
dargli bezzi; ma el sior no iera miga de manega larga e invece 
de darghe qualchecossa, el lo mandava sempre dala Malora, tanto 
che sto povero diavolo ga pensi un giorno: « Tò che non ghe 
sia in qualche logo sta Malora , istesso no go un boro in scar- 
sela e non so cossa far de la mia vita e andarò per el mondo 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


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se scaturisso fora la Malora. » E1 fa fagoto e ’1 va a cercar la 
Malora e camina che se camina per tanti giorni cola fame in 
corpo e stanco come una bestia, el vede finalmente una vecieta; 
el ghe va arente e cole bele el ghe dise : « Vecieta, mja bela ve- 
cieta, ti sa ti dove che xe la Malora? » e eia subito: « Son mi, cossa 
ti voi ? » El scominzia a contarghe tuti i sui tnalani e le sue di- 
sgrazie; che ’1 iera un povero diavolo , che iera da tanti giorni 
che no ’1 meteva un bocon in boca e che ’l gaveva un fradelo 
rico , che lo mandava sempre dala Malora senza mai darghe 
gnente, tanto che ga tocà lassar la casa per andar a trovarse 
qualcossa da viver. La veda co* ’l ga finio de parlar lu, e perchè 
ghe faceva pecà sto povero giovine , la ghe dona un aseno e la 
ghe .dise : « Ogni volta co* ti gavarà bisogno de qualchecossa e 
co’ ti gavarà fame zighighe a sto aseno : « eri, eri » e lu te cagarà 
tanti bezzi quanti che ti ocorarà ». El giovine, che no la voleva 
più cota de cussi, el ringrazia la Malora e subiando el se conduse 
con lu Taseno e i va avanti insieme finché verso sera i ariva in 
una locanda, e ’l giovane se mete a ciacolar co Toste e da ma- 
rno el ghe conta la braura de sto aseno. « Ti vedi , co’ mi ghe 
digo : eri, eri, lu caga quanti bezzi che vojo » e in un momento 
tuta la camara iera impenia de bezzi. V oste co ’ quel altro de 
note ronchizava, pulito ghe cambia in stala T aseno e ’l se tien 
per lu quelo che cagava i bezzi. A la matina adrio el giovine 
paga in pressa el conto perchè no’ ’l vedeva l’ora de rivar a casa 
a mostrarghe ala raolgie Taseno e contarghe la fortuna che ghe 
iera tocà. Ma a casa Taseno no ghe sortiva gnente fora del culo 
e la molgie per farlo cicar, ghe diseva de tute le insolenze e la 
lo toleva per el fioco. El giovine, che no capiva un cavolo, torna 
andar dala Malora e ’l ghe spifera tuto. « Bravo ti xe stà tanto 
macaco da lassane portar via T aseno , ma per stavolta te vojo 
perdonar e ciapa sta tovaja e co’ ti gavarà destirà sta tovaja e la 
te si coverzirà de ogni ben de Dio. » Anca stavolta el finisse in 
quel istessa ostarla e dai de novo el scominzia a lodar la tovaja 
e contarghe tuto e T oste de novo ghe fa la barcheta e ’l ghe 
mete una tovaja qualunque, la prima che ghe xe capitada fra le 


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328 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

man. El mario torna dala molgie tato beato, ma la tovaja no lo 
ascoltava un figo e anca stavolta ga tocà lassarse burlar in or- 
dine. Dispera per la terza volta el va da la Malora e fifando el 
ghe fa saver la disgrazia e ’1 la prega de gaver compassion de 
lu e de farghe un altro regalo. La Malora, che in fondo iera una 
gran bona diavola, ghe dise, mezzo strapazzandolo : « Ciapa sto 
baston, e co’ ti vorà darghe de le bote a qualchedun dighe a sto 
baston : baston, bastona ! Xe l’ultimo regalo che te fazzo e che 
no i te lo porta via odo e gamba ». Sicuro del fato suo l’en- 

tra in ostaria e senza tante storie e senza fufugnezzi el ghe dise 
al oste : « Dame indrio el mio aseno e la mia tovaja »; ma l’oste 
faceva finta da no capir e lu alora ghe comanda al baston : « Ba- 
ston, bastona ! » e sto baston zo bote su sto povero oste, tanto 
che ’1 s’à messo a zigar: « Te darò tuto indrio, ma no me co- 
par ! » E cussi cola sua roba el torna da la molgie e sta volta 
el iera lu che doleva de baito la molgie e el ghe diseva : « Eco 
qua l’aseno e gavetno quanti bezzi che volemo , eco qui la to- 
vaja che no te toca più andar sul fogo per cusinar ». I xe de- 
ventadi in poco tempo richi e l’altro fradelo xe andà in miseria 
e adesso el veniva da lori a domandar la carità. 

(c Arbé). 

Mazzocheta dai! 

(Variante). 

Una madre gaveva un fio che no iera bon da gnente e la lo 
mandava sempre da la Malora; e lu un giorno senza dirghe gnente 
a nissun lassa la casa e va per el mondo per veder se ghe riesse 
de trovar la Malora. A tuti i veci che rincontrava el ghe faceva 
una ciacoleta e pò* el ghe domandava dove che stava de casa la 
Malora, ma nissun no saveva dirghe gnente. Dopo tanto una ve- 
da ghe risponde : « Son mi quela che ti cerchi , dunque dime , 
cossa ti vo ressi da mi ? » « La fortuna » risponde lu, senza per- 
derse de coragio. La Malora sto giovine ga piasso subito e la 
ga dado un trepie, una pignata e una mazzocheta. « Ascoltimi co’ 
ti ga fame puza in tera sto trepie e de sora la pignata e ti po- 


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FIABE POPOLARI DALMATE 3^9 

darà cusinar qualunque roba e cussi cavane la fame ». E1 va per 
le sue, ma per pegola sua ghe vien la voja de andar drento in 
un ostarla, e dopo aver bevù un per de goti de vin , el iera in 
anda de confidenze e al oste el ga conti dei regali che gaA T eva 
fato la Malora cussi senza andar adrio, con un poco de baia che 
lo fa^evar sta aiegro. L’ oste de note, cola fiacheta, in ponta dei 
pi senza svejarlo ghe porta via la pignata col trepie. El giovine 
se dismissia el paga el conto e T va via, per strada e T s’ina- 
corze che ghe manca el trepie e la pignata e fra de lu el pensa : 
« Canaja de oste, speta, te la farò mi veder e ti me darà ben in- 
drio la mia roba ». Drito l’entra in ostaria e ‘'1 ghe fa al oste: 
« Dame indrio la mia pignata e il mio trepie »; ma 1’ oste non 
ghe sentiva da quella recia, e T giovine ga perso la pazienza e 
el dise : « Mazzocheta, dai ! » Salta fora sta mazzocheta e la rompe 
i piati e le scudele e tuto quelo che ghe iera vi<;in. L’oste, per 
per no veder roviuada tuta la sua roba, col cor straz^à ghe dà 
indrio el trepie e la pignata. El giovine coi regali de la Malora 
xe tornà de la madre e da quel giorno no i ga più contrastà el 
disnar cola $ena e i gaveva da magnar quanto che i voleva. 

(Zara). 


VARIANTI E RISCONTRI. 

Abbondano le varianti in tutte le raccolte. Cfr. la Fava , XXIX delle No- 
velle popolari toscane del Pitrè , e del De Guberaitis’, n. XXI : Bastone rocchio 
con le versioni citate; Comparati, Covelline pop . italiane , n. VII: Geppone , e 
numero XII : Giovanni sen\a paura ; Nerucci, Sessanta novelle popolari montalesi , 
n. XXXIV : La scatola che bastona e con maggiore affinità n. XLIII : Il ciu- 
chino caca -cecchini. Per le versioni siciliane vedi la LI 1 delle Sicilianische Mdr- 
chen della Gonzenbach e nella grande raccolta del Pitrè i numeri XXIX : Lu 
scarpareddn morta di fami e XXX La munachedda ; per le abruzzesi Finamore, 
Tradii, pop. abrasesi, 'Novelle n. XXVII: Lu fatte de la maltarole e De Nino, 
Fiabe, n. VI : lamie; una veneziana in Bernoni , Fiabe e Rovelle pop. vene- 
liane , n. IX : %Ari , ari , caga-denari ; una tirolese al numero XV : Die drei sei - 
tenen S luche, delle Màrchen u. Sagen aus IV dischi ir ol dello Schneller. Cfr. inol- 
tre : Lu cuntu de lu Nanni Orca delle Fiabe e canioni popolari del contado di 
Maglie etc. di Pietro Pellizzari ; Bastuncedu dirida, XXIII dei Contes popu - 

Archivio per le tradirai popolari — Voi. X, 42 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


lai rei de Vile de la Corse ; U scarpar olla , nov. pubblicata da M. La Via-Bo- 
nelli nell 1 ^Archivio trad . pop., VII, 105 e CLVII delle Fiabe e Leggende di 
G. Pitrè. 

Riscontri singoli e parziali della versione nostra si trovano sparsi qua e 
la. Per la salvietta miracolosa o la tavola che s’ imbandisce da sè v. Compa- 
retti, n. L : L'isola della felicità ; Visentini, n. XXXII : Giovanni dell' Orso; Im- 
briani, Nov. Fior., n. Vili : I figlioli della campagnola e IX ; Il canto e 'l sono 
della Sora Sibilla ; Gonzenbach, n.‘ XXX e XXXI; Mango, n. Vili : Is dus fra - 
rii; Schneller, XLIV, e nelPZ^wa Se le sete vele , edita dal D. r Ruzzati nell 'Ar- 
chivio delle trad. pop. VII, 236, dove riappare una mazzettina miracolosa con 
cui un giovane si cava da molti impicci. Per la borsa che non si vuota mai 
cfr. Gonzenbach, n. XXX e XXXI; Pitrè, Fiabe , Racconti etc. n. XXVIII, XXXI 
e XXXVI; jahrbuch fùr rem. u. engl. Pbilologie , VII, 121 e Vili, 250. e Ar- 
chivio trad. pop. 1 , 57; Nerucci, Sessanta novelle popolari montalesi , n. LII : La 
Lieprina e LVII : I fichi brogiotti; De Nino, Fiabe abruggesi, n. XL : Le cap- 
pelle rosse. In Pitrè, Fiabe, * Racconti n. LXXXl : La lanterna magica, un gio- 
vane si procura del cibo con una lanterna e al n. XX della stessa raccolta un 
uccello manda perle e diamanti. 


XVII. — Barba Zucon. 

Ghe iera ’na madre e un padre con dó fioi, dó putele. Un 
giorno la madre per farle star zite e bone la ghe dise-: « Chi de 
voialtre dó sarà più bona, ghe farò un bel piato de fritole » e la 
più vecia ze stà la più de sesto e la madre alora la ghe dise: « Va 
presto dal barba Zucon a ciorme la farsora per frizer le fritole. » 
Sta picola ciapa suso e la va da sto barba Zucon a dimandarghe 
la farsora. « Si, picola mia » ghe fa el barba Zucon, « mi te dago 
la farsora se ti me porti un poco de fritole anca a mi ». — a Va 
ben e ve saludo ». La core a casa cola farsora e i fa le fritole 
e i le magna che faceva voja a veder; dopo averse tuti sludrati 
i se ricorda del barba Zucon e i fa suso ancora un poco de fri- 
tole e la picola ghe le porta ma per strada la le ga magnade e 
no la saveva come cavarsela, la te vede un musso e la ghe mete 
soto el culo la farsora e la lo lassa cagar drento e de sora la 
ghe mete del zuchero cussi che no se capiva ben e pareva vere 
fritole; la porta anca del rosolio, ma no la ga potudo tegnirse e 


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FIABE POPOLARI DALMATE 


331 


da la sè la lo beve in un sorso. « Povera mi , cossa farò mi a- 
desso !» e la pensa de pissar in botiglia e portarghe tuta sta roba 
al barba Zucon. L’ariva.ala sua casa, la bate a le porte e la ghe 
dà le fritole e le botiglie e presto la ciapa la fuga e via eia fin- 
ché la xe rivada a casa sua. E 1 barba Zucon el scominzia a ta- 
star le fritole e bever un poco de rosolio e po’ subito el buta 
tuto fora e '1 ciapa un baston e ’1 core a casa de la picola per 
mazzarla o darghe un fraco de legnae. La madre no saveva 
gnente e la resta smatunia co’ la te vede capitar cl barba Zucon. 
« Cosa ti voi, barba Zucon mio? » — « Dove xe quela malegnaza de 
tua fia ? » e T ghe conta tuta la storiela. «La s’à ficà soto le co- 
verte e la dorme, ma mi vado a svejarla ». La madre va in ca- 
mara, la sconde la fia in un cameron e nel leto la mete ’na pia- 
vola in leto con tanti aghi da pomolo e ’1 barba Zucon stufo 
de aspetar viene in camara, salta sul leto e scominzia a rosegar 
la testa de sto piavoloto e ’1 s’insanguina tuta la boca, e zigando 
come un demonio, el xe scampi via da sta casa, e la picola xe 
sortia fora da Tarmeron; e la fiaba xe finia, contemene un* altra 
o vado via. {Zara). 


VARIANTI E RISCONTRI. 

È il Nonno Coccone delle Nov. popolari toscane del Pitrè, pag. 243 e delle 
Tradizioni popolari veneziane del Bernoni, pag. 76. Una variante tirolese nello 
Schneller, n. V : Cattarindta. 

Per l’episodio della sostituzione della bambola cfr. Bernoni, Fiabe veneziane 
n. Ili: Il Diavolo*, Viscntini, Fiabe Mantovane , n. XXXIX: Il Diavolo ; Gon- 
zenbach, Sic il. Màrchen , n. XXXVI : Die Geschichte der Sorfarina e Trisicchia 
(Ficarazzi) variante de Li Iridici sbannuli delle Fiabe, Vovelle etc. del Pitrè 
(v. I, pag. 213): Ive, Novelline popolari rovignesi , n. I : Andrianela\ Imbriani, 
Nov . fior . n. III : La Verdea , colla variante milanese : La Stella Diana e IV : 
La bella Giovanna; Nerucci, Sessanta nov. pop. montalesi, n. LVI : Caterina 
furba ; De Nino, Usi e costumi abruzzesi, v. Ili, XXII : Mar t india. 

Riccardo Forster. 


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NUOVO CONTRIBUTO 

ALLA BILIOGRAFIA PAREMIOLOGICA ITALIANA ». 


IL 

Aggiunte e Correzioni mie 

(a tutto il 1889). 


mbra (Francesco D’). (V. Arch., VII, pag. 153, n. 338). 
Francesco D'Ambra è lo pseudonimo di Francesco Picchiami. 

2. Angelis (E. De). Pochi proverbii raccolti in Meta 
di Sorrento. (Nel Giambattista Basile , an. V, n. 12, Napoli, 15 
dicembre 1887). 

Sono 31, per la maggior parte meteorologici. 

3/ Baizini (Gio. Battista). Origine del proverbio Va tutto 
alla Trebisonda. Sestine. Bergamo , dalla stamperia Mazzoleni, 
MDCCCXLII, in-8°, pag. 15. 

4. Bastanzi (Giambattista). Le superstizioni delle Alpi Venete. 
Con una lettera aperta al Prof. Paolo Mantegazza Senatore del 
Regno. Treviso, tip. di Luigi Zoppelli, 1888, in-8°, pag. 212. 

Contiene passim molti proverbi (tolti nella massima parte dalla raccolta 

1 Continuazione fine. Vedi p. 21 1. 



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• NUOVO CONTRIBUTO 


353 


del Pasqualigo). duelli meteorologici e agricoli sono insieme raccolti alle 
pag. 1 31-140 e 146-156; quelli relativi all’igiene, longevità e morte alle pa- 
gine 190-193. 

5. Belli (Giuseppe Gioacchino). I sonetti romaneschi, pub- 
blicati dal nipote Giacomo a cura di Luigi Morandi. Unica edi- 
zione fatta sugli autografi. Città di Castello, S. Lapi tip.-ed., 1885-89, 
voli. 6 in-16 0 . 

I numerosi proverbi e modi proverbiali della viva parlata romanesca che 
s* incontrano in questi sonetti sono stati illustrati dal Morandi nelle sue ricche 
ed erudite note , con spiegazioni raffronti ecc» Puoi trovarli tutti servendoti 
deH*indice che sta nel voi. I , sotto la rubrica Proverbi t modi proverbiali , 
(pag. XLIX). 

6. Beltrame (O.). Proverbi stornelli. (Nel Giovedì , letture 
popolari illustrate . Torino, an. I, 1888, nn. 27, 29, 30, 45, 46, 50). 

7. Bembo (Pietro). « Motti » inediti e sconosciuti, pubblicati 
e illustrati con introduzione da Vittorio Cian. Venezia, tip. del- 
l'Ancora, I. Merlo edit., 1888, in- 3 °, pag. 107. (L. 2). 

In questi Viotti del Bembo (in forma di distici) abbondano i proverbi. Il 
Cian poi nella introduzione, a pag. 32-40, e in due note finali, a pag. 102 
e 103, parla delle origini, dei proverbi , delle loro relazioni con le frottole e 
i centoni, dei proverbi a distici ecc. 

A pag. 101 pubblica anche una frottola di anonimo del sec. XV , che è 
una vera incatenatura di proverbi. 

8. Besso (Marco). Roma nei 'proverbi e nei modi di dire. 
Saggio. Roma, Erm. Locscher & C.° (Trieste, tip. del Lloyd Au- 
stro-Ungarico), 1889, in-8°, pag. Vili n. n., 184. 

L’idea e il piano del lavoro mi paiono assai lodevoli, la classificazione è 
ben fatta , e anche f esecuzione è buona; forse avrebbe potuto desiderarsi un 
materiale maggiore, e si troverà fuor di luogo la intrusione di troppe citazioni 
e frasi puramente letterarie. 

9. Bianchini (Prof. E. Gius.). Modi proverbiali e motti po- 
polari toscani dichiarati. Reggio nell’ Emilia , stab. tip. lit. degli 
Artigianelli, 1888, in-8°, pag. 155. (L. 1,50). 

10. Bohn (Henry G.) ecc. (V. Arch ., V, pag. 325, n. 27). 

Altra edizione : 

London, George Bell & Sons, 1881, in-8°. 

11. — A handbook of proverbs comprising an entire repu- 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


blication of Ray’ s collection of english proverbs, with his addition 
from foreign languages and a complete alphabetical index; in which 
are introduced large additions, as well of proverbs, as of sayings, 
sentences , maxims and phrases. London , George Bell & Sons , 
1882, in-8°. 

12. Bolognini ecc. (V. Jlrch., V, pag. 325, n. 29). 

11 Saggio qui ricordato è un estratto dall* Ottavo Annuario della Società 
degli Alpinisti Tridentini , 1881-82 (Rovereto, tip. Roveretana , 1882), ricor- 
dato nel V*Arcb. stesso, pag. 322, n. 12. Questo numero perciò va soppresso. 

13. Bona ecc. (V. *Arch. V, pag. 326, n. 32). 

Non esiste con questo titolo. 

Probabilmente è una nuova edizione del Pipino , curata da Luigi Rocca , 
e non Bona, come per errore fu stampato. 

14. Boniforti (Luigi). La donna e la famiglia. Scelti pen- 
sieri moniti e proverbi avutela della domestica felicità. Milano, 
tip. G. Pizzi, 1889, in-16 0 , pag. VII-95. (L. 1). 

I proverbi non sono che pochissimi. 

15. Borghini (II), giornale di filologia e di lettere italiane 
compilato da P. Fanfani e C. Arila. Anni I-II. Firenze, tip. del 
Vocabolario, 1874-76, voi. 2 in-8°. 

Questi due volumi, passim , contengono l’illustrazione di molti modi pro- 
verbiali toscani di significato più oscuro, che possono trovarsi con Paiuto del- 
V Indici ! in fine di ogni tomo, sotto il paragr. Proverbi e modi proverbiali . 

Ma più particolarmente, nel voi. I, num. 4 e 11 (pag. 61 e 169) si ha 
di Costantino Arila, Un ma{{etto di proverbj (pochi proverbi trentini, tolti dalla 
raccolta del roveretano Don Giov. Pietro Beltrami ed esposti con raffronti 
toscani); e nei num. 9 e 24 (pag. 135 e 387), dello stesso autore, Di alcuni 
dettati proverbiali , dialogo. 

16. Brentari (Ottone). Guida storico-alpina di Bassano, Sette 
Comuni, Canale di Brenta, Marostica, Possagno. Bassano, stab. 
Sante Pozzato, 1885, in- 1 6°. 

Pag. 154. Saggio di proverbi (24) in lingua cimbrica (ossia dei sette 
Comuni). 

17. — Guida storico-alpina di Belluno, Feltre, Primiero, 
Agordo, Zoldo. Bassano, stab. Sante Pozzato, 1887, in-16 0 . 

Pag. 1 14. Proverbi di primiero sulla pioggia, la neve e il tuono (tolti dal- 


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NUOVO CONTRIBUTO 335 

Tarde, di Fortunato Fratini, « Le valli di Primiero e di Canal S. Bovo » nel- 
TAnnuario degli Alpinisti Tridentini, a. XI, 1885). 

Pag. 247. Proverbi di Livinallongo (Ladino). 

18. Cannella Incontrf.ras (G.). Raccolta di Frasi e Pro- 
verbi inglesi ed italiani. Palermo, 1887, in-i6°, pag. VIII-67. (L. 2). 

(Ved. <Arch., VI, p. 288). 

19. Castro (Giovanni De) sotto lo pseud. di Laura . Caro 
nodo! consigli ed auguri. Milano, A. Brigola e C., 1881, in-24 0 . 

Pag. 21-40: I proverbi sulla casa. 

20. — Caro nido ! semplici voti. Milano , A. Brigola e C v 
1881, in-24 0 . 

Pag. 12-22: I proverbi sulla donna. 

21. Cecchi (Silvio). La sapienza del popolo intorno al ma- 
trimonio: proverbi illustrati. Firenze, tip. del Fieramosca , 1886, 
in-4 0 , pag. 11. 

Biblioteca del Fieramosca , n. 28. 

22. Cingoli (Belisario da). Barzeleta de Messer Faustino da 
Terdocio in laude de la Pecunia et le autorità de Salomone in 
frotola de Belisario da Cinguli. Con alquanti sonetti artificiosi. 
Opera nova. — Stampata in Venetia per Nicolo Zopino. 

.Edizione in-8°, di 8 carte senza data, ma della prima metà del cinque- 
cento. Un esempi, nella Marciana. 

Questa frottola di Belisario da Cingoli è una incatenatura di proverbi , a 
coppie di settenarii a rima baciata. Vedi il lib. cit. del Cian , a pag. 99, ove 
si parla anche di altre composizioni simili della nostra letteratura. 

23. Combi (Carlo). Istria : studi storici e politici. Milano, 
tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C., 1886, in-16 0 . 

Cap. 7. Dei proverbi istriani. 

24. Croce (Giulio Cesare). Selva | di esperienza | nella quale 
| si sentono mille e più proverbi prova | ti et esperimentati dai 

nostri anti | chi , tirati , per via d’ alfabeto | da Giulio Cesare 
Croce. || In Bologna presso l’Erede del Cochi | Con Licenza de’ 
Superiori e privileg. 

Consta di 1 6 carte piccole con pagine numerate fino a 32, che contengono 
una interessante raccolta di proverbi. 

25. Doni ecc. (V. *Arch voi. V, pag. 335, n. 7 6). 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Vi è errore di stampa , come si vede anche nelPordine lessicografico dei 
titoli. Leggi Dani. 

26. Emmanueli (Antonio). L’alta valle del Taro e il suo dia- 
letto : studi etnografici e glottologici. Borgotaro, tip. Cesare Ca- 
vanna, 1886, in-16 0 . 

Parte II, § 3. Saggio di proverbi viventi. 

27. Ferrario (Ercole). I principali proverbi relativi all’agri- 
coltura spiegati ai proprietarii ed ai coltivatori delle terre. Milano, 
tip. del Riformatorio Patronato, 1888, in-8°, pag. 95. 

Sono proverbi toscani, napoletani, e lombardi distinti in 1 2 capitoli : pro- 
prietario e coltivatore — economia rurale — lavori — colture — terra — be- 
stiame — bachi da seta — concimi — meteorologia — mesi dell’ anno — pro- 
nostici del tempo — emigrazione. Il commento è molto ampio. 

28. Finamore (Gennaro). Credenze, usi e costumi abruzzesi. 
Palermo , Lib. L. Pedone Lauriel di C. Clausen (tip. del Gior- 
nale di Sicilia), 1890, in-16 0 , pag. Vili- 196. 

(Curiosità popolari tradizionali, voi. VII). 

Contiene sparsamente molti proverbi, specialmente meteorologici e rela- 
tivi all’anno, alle stagioni, alle solennità ecc. 

29. Franciosini (Lorenzo). Grammatica spagnuola ed ita- 
liana..., alla quale per maggior profitto degli studiosi, ha l’auttore 
aggiuntovi otto dialoghi castigliani, e toscani, con mille detti Po- 
litici e Morali ecc. In Roma, nella stamperia della R. Cam. Apo- 
stolica, 1638, in-8°. 

30. Gianandrea (Antonio). Calendario popolare marchigiano. 
(Nella 'ZZjttova Rivista Miseria , Anno II, Num. 4-15. Arcevia 1889; 
pag- 57» 77» 9 2 > II2 > 126, 143, 155, 175, 191, 209, 221,234). 

È una bella raccolta di proverbi sulle stagioni, sui lavori deH’anno, sulle 
solennità religiose ecc. distribuiti secondo l’ordine del calendario. 

• 31. Giannone (Vincenzo). La Scuola di Comuneglia ossia 
proverbi e sentenze morali, doveri dell’uomo, regole di civiltà e 
d'igiene, lettere famigliari e poesie ad uso delle Scuole Rurali. 
Milano, tip. Giacomo Agnelli, 1878, in-16 0 . 

I proverbi stanno dalla pag. 13 alla 64; e sono divisi in due sezioni (535 
in una e 300 nell’ altra) , e dentro ogni sezione distribuiti sotto a certi capi. 
Misti ai proverbi sono sentenze e anche stornelli. 


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NUOVO CONTRIBUTO 


337 


32. Giordano (A.). Proverbi del popolo napoletano. 

(Nella Cronaca letteraria, Napoli, anno I, n. 4 e 5; 1 5 aprile e i° mag- 
gio 1888). 

33. Giornale di erudizione. Corrispondenza letteraria , arti- 
stica e scientifica raccolta da Filippo Orlando. Firenze, 1886, in-8°; 
1887-89, in-f6°. 

È la continuazione del Giornale, degli eruditi e dei curiosi , e contiene 
perciò anche le risposte alle domande rimaste insoddisfatte in questo ultimo 
periodico. Anno I, (1886). Num. 1, 2, 3, 5, 6; pag. 14, 28, 37, 79. 94. Pro- 
verbi italiani sulle occupazioni straniere. Risposte di ‘Bernardo iXCorsolin , T. C. 
(Pisa), Gavroche , E, IV. F.(oulques), S. *Ambvi 9 A. Solerti , A. Tessier , C. M. 

— N. 2-4 , pag. 29 , 37 , 59. Proverbi ammirativi di luoghi. Risp. di E. 
Motta , GrasulphuSj B. tXCorsolin . 

— Num. 2, pag. 29. Le tre S dell’innamorato. Risp. di Eleutheros e Bertoldo. 
— Num. 2, pag. 31. Venerdì. Risp. di E. IV. Fonlques. 

— Num. 4, 5, pag. 50, 75. Epiteti delle donne italiane. Dom. di A. Levi , 
risp. di S. < P. Q. M. e 3 ^. Rjnier. 

— Num. 5, pag. 67. 11 gatto di Mussati. Comunic. di Moreli (Modena). 
— Num. 5, 6, pag. 69, 95. Chiamar Piero per Firenze. Dom. di S. T ., 
risp. di C. Cardini. 

(Nuova serie) Voi. I, num. 9-10, 13-14, pag. 1 3 1 , 223 : Capirai bergamo. 
Domanda di M., risposta di *A. Tessier. 

34. Giovanni (Gaetano Di). Diciotto proverbi canavcsani. 
(Nell’ Archivio per lo studio delle tradizioni popolari . Voi. Vili. 
Fase. I. Palermo, gennaio-marzo 1889; pag. 49-56). 

Sono motti di paesi, e città, raccolti non dalla viva voce del popolo, ma 
da libri. 

35. Guarnerio (P. E.). Il dialetto catalano d’ Alghero. Saggio. 
(NelP Archivio glottologico italiano , diretto da G. I. Ascoli. Torino, 
Erm. Loescher; Milana, tip. Bernardoni, 1886). 

Pag. 3 32-3 3 3 . Proverbj (33'. 

36. Jachino (Giovanni). Varietà tradizioni e dialettali ales- 
sandrine, raccolte e illustrate. Alessandria, tip. Jacquemod, 1889, 
in-8°, pag. 179. (L. 2). 

P. Il, cap. 5. Proverbi. 

37. Indovinelli, riboboli, passerotti ecc. (V. ^Arcb. , V, pa- 
gina 482, n. 126 e VI, pag. 160, n. 376). 

Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X. 43 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Può completarsi con la serie bibliografica delle edizioni di questo testo 
esposta con molta cura dal sig. Giuseppe Rua nell’articolo « Di alcune stampe 
d’indovinelli » pubblicato in questo medesimo Archivio , voi, VII, pag. 427-465. 
A questa serie maaca però P ediz. già da me citata al 11. 576. (V. anche a 
pag. 455 dc\Y Archivio, voi. Vili). 

A pag. 448 sono riportati taluni dei proverbi che stanno in fine a questi 
opuscoletti popolari. 

38. Ive (Antonio). L’antico dialetto di Veglia. (Neir Archivio 
glottologico italiano , diretto da G. I. Ascoli. Voi. IX, Torino, Erm. 
Loescher; Milano, tip. Bernardoni, 1886). 

Il veglioto , o antico dialetto dell’isola di Veglia (golfo del dilanierò) ora 
quasi estinto, è affine al rumeno. 

A pag. 14 1 sono pubblicati 18 proverbi, modi di dire ecc. 

39. — Saggi di dialetto rovignese. Trieste, tip. del Lloyd 
Austro-Ungarico, 1888, in-8°. 

Contiene alle pag. 19*55, 68 proverbi di meteorologia, agricoltura ed eco- 
nomia rurale, in dialetto rovignese. (Vedi Arch ., VII, 285). 

40. Kelly ecc. (V. Arch., V, pag. 482; n. 129). 3d edition. 
London 1870, in-16 0 . 

41. Maes (Costant.). Il Cracas, diario di Roma. AnnoCXXXII 
(i° del suo Risorgimento). Roma, tip. Metastasio, 1888, in-24 0 . 

Num. 14 (7-21 agosto 1887), pag. 18, Il figlio dell’oca bianca, proverbio 
romano. 

Num. 17-18 (4*18 settembre 1887), pag. 35, Proverbi in latino grosso. 

Num. 39-40 (12-25 febbraio 1888), pag. 34. Scuopre in oro come il ca- 
vallo di Campidoglio ! detto romano. 

42. Malfatti (Antonio). Nozioni pratiche di agraria, e pro- 
verbi e pronostici agrari. Letture per il popolo. Milano, De Marchi 
e C. (Tip. Guglielmini) , 1872, in-16 0 (Biblioteca istruttiva po- 
polare, n. 5). (L. 0,50). 

Pag. 94-105. Proverbi agrari. * 

43. Marson (Luigi). Guida di Vittorio e suo distretto. Tre- 
viso, L. Zoppelli tip.-ed., s. a. (1889), in-16 0 . 

Pag. 103-152. Appendice I: Dei proverbi, prefazione del Dott. Prof. C. U. 
Posocco. Proverbi di Vittorio e in uso a Vittorio (classificati). 

44. Messio (Girolamo). Gli miracolosi Discorsi et Proverbii 
con Boni Essempii , et Pronostici veri dii Reverendo M. Hiero- 


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NUOVO CONTRIBUTO 


339 


nymo Messio Prothonothario apostolico et familiare de Reveren- 
dissimo, et Illustrissimo Cardinale Crescentio... Stampata in Man- 
tova per Venturino Ruffinello nel ano MDLII. 

In-8°. « I Proverbi che appariscono di tanto in tanto in fine di codeste 
strane prose, esortazioni, miracoli ecc.. sono in distici di endecasillabi a rima 
baciata ». 

45. Milione (Un) di freddure, panzane, aneddoti, epigrammi, 
strambotti, proverbi, ecc. Milano, E. Sonzogno , 1889, in-16 0 . 
(Biblioteca varia, n. 7). (L. 1,50). 

Pag. 199-208. Proverbi umoristici. (Ma nqn tutti sono proverbi, nè tutti 
umoristici). 

46. Mondello (Fortunato). Padre Mariano Castro, Latinista 
del secolo XVIII. Palermo, tip. dello « Statuto », 1887, in-8°. 

(Estr. dall 'Archivio Storico Siciliano). 

Il Mondello pnbblica in questa monografia un codicetto inedito del Castro, 
ove si contengono 268 proverbi e motti popolari in dialetto siciliano , para- 
rasati in verbi latini. 

47. Pirrone (G. L.). Raccolta di proverbi e modi di dire te- 
deschi ed italiani. Palermo , libr. Pedone Lauriel di C. Clausen, 
1889, iu-ié°, pag. 113. 

48. Pitrè (Giuseppe). Usi e costumi, credenze e pregiudizi 
del popolo siciliano raccolti e descritti. Palermo, L. Pedone-Lauriel 
(tip. del Giornale di Sicilia), i 8?9, voli. 4 in- 1 6° (Biblioteca delle 
tradizioni popolari siciliane, voi. XIV-XVII). (L. 20). 

Anche in questa nuova preziosa opera del Pitrè , ricchissima e la messe 
di proverbi, in parte tratti dal suo libro sui proverbi siciliani, in parte anche 
inediti. 

49. Pizzigoni (Carlo). Petit recueil de proverbes italiens avec 
leurs correspondants franca is , principales tournures du langage 
familier , choix de similitudes et de comparaisons , homonymes 
et synonymes francate, exemples (sic) de traduction. Milan, Impr. 
Guigoni, 1868, in-16 0 , pag. 173. 

I proverbi non arrivano che alla pag. 29. 

50. Prato (S.). Proverbes relatifs à la mer. III. (Ne La Tra- 
dition, Paris, a. Ili, n. VI, Paris, 15 juin 1889). 

Sono undici proverbi toscani, 


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340 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


51. Presterà (C. Massinissa). Proverbii in uso nel Monte- 
leonese. (Nella Calabria , rivista di letteratura popolare. Monteleone 
Calabro, 1888-89, anno n - 2-9). 

52. Proverbi toscani sulla coltivazione delle selve. (Nell’^r- 
chivio per lo studio delle tradizioni popolari , voi. Vili. Palermo 
1889, P a g- 297-298). 

Estratto dal libro: «Le Selve della montagna pistoiese, canti V. di G. 
Tigri. 2 a ed. Firenze 1869; pag. 118-120». 

53. Proverbs (Select), ecc. (V. Arch., VI, pag. 25, n. 254). 

Compilazione di John Mapletoff. 

54. Palmer (Samuel). Moral essays on some of thè most 
curious and significant English, Scotch, and foreign proverbs. Lon- 
don 1710, in-8°. 

(Lowndes, ed. Bohn. pag. 1767. b). 

55. Percolla (Vincenzo). Piccola fraseologia italiana, ovvero 
scelta di frasi eleganti italiane ad uso della gioventù studiosa, con 
un elenco di voci e modi erronei da evitarsi nelle scritture ita- 
liane. Seconda edizione riveduta ed ampliata , con i’ aggiunta di 
molti proverbi siciliani dichiarati. Catania, Concetto Battiato edit., 
(tip. Carmelo Galati), 1889, in-8°, pag. 681. (L. 4). 

56 Proverbi veneti. (Nel Giovedì , letture popolari illustrate . 
Torino, an. I, n. 25, 28, 29, 31: 1888). 

57. Proverbs of different nations. (Nella IVestminster %eview, 
voi. XXII, pag. 343). 

58. Proverbs: or, thè Manual of Wisdom; being an alpha - 
betical arrangement of thè best English, Spanish, French, Italian 
and other proverbs.... Oxford 1803, in-12 0 . 

— London 1804, in-8°. 

(Lowndes, pag. 1984. a). 

59. Ray ecc. (V. Arch., VI, pag. 27, n. 262). 

Ve ne sono molte altre edizioni, quella del 1768 è la quarta. L’ultima 
edizione è curata dal Bohn 1855, 1860, e 1882, opera differente da quella ci- 
tata a pag. 325, n. 27. 

60. Ricci ecc. (V. Jirch VI, pag. 28, n.* 270). 


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NUOVO CONTRIBUTO 34 1 

Lo studio sui Colori nei proverbi fu pubblicato anche nelle Note storiche 
e letterarie dello stesso autore (Bologna, Zanichelli edit., i88r. in-i6°. Nuova 
biblioteca elzeviriana). 

6 1. Rondini (Druso). Canti popolari marchigiani inediti (rac- 
colti a Fossombrone). Proverbi. (NoW Archivio per lo studio delle 
tradizioni popolari , voi. Vili, pag. 411-414). 

Sono 60 proverbi. 

62. Rosa (Ugo). Etimologie storiche del dialetto piemon- 
tese. Torino, F. Casanova (Tip. Celanza e Mastrella), 1888, in-8°, 
pag. 30. 

La seconda parte di questo opuscoletto, Modi di dire , contiene la spiega- 
zione di alcuni modi proverbiali del dialetto piemontese: ma è una cosa molto 
meschina. 

63. — Glossario storico popolare piemontese. Dichiarazione 
di CCX voci, motti locali e locuzioni proverbiali di origine sto- 
rica. Torino, (tip. Mastrella), 1889, in-8°, pag. 119. (L. 2.). 

Pochi sono i proverbi e modi proverbiali, spiegati con etimologie proprio 
carafullesche. 

64. Sasso (Pamfilo). Opera del preclarissimo poeta miser Pam- 
philo Sasso modenese. Opera et impensa Bernardini Vercellense 
(sic) impressum est hoc Opusculum Venetiis... Anno MCCCCCIIII 
die XXVIII november. 

É un concatenamento di proverbi in terza rima. 

65. Stampa (Antonio Maria). Poesie giocose intorno ai so- 
prannomi che si danno agli abitanti di alcune terre del Lario, 
ora per la prima volta pubblicate dal D. r G. B. Bolza da Val- 
menaggio. Como, tip. di C. Franchi, 1867, in-8°, pag. VII-73. 

Sono 18 i paesi della riviera del lago di Como, dei quaii gli abitanti vanno 
proverbialmente noti con soprannomi satirici; e di questi soprannomi lo Stampa 
dà Tetimologia, più o meno capricciosa, in altrettante canzonette. 

66 . Strenna (La) dell’orfano, 1887. Como, tip. R. Longatti, 
1887, in-16 0 . 

Pag. 72-82. Una manata di proverbi lombardi, (specialmente tolti dalla 
raccolta del Samarani). 

67. Tenca (Carlo). Prose e poesie scelte. Edizione postuma 
per cura di Tulio Massarani. Milano , Ulrico Hoepli (Firenze, 
tip. dell’Arte della Stampa), 1888, voli. 2 in-16 0 . 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Voi. II, pag. 120-17 2. Proverbi toscani, veneziani, lombardi. (Sono tre 
recensioni analitiche delle raccolte del Giusti, del Dalmedico e del Samarani, 
già pubblicate nel giornale II Crepuscolo del gennajo 1854, settembre 1857 e 
dicembre 1858). 

68. Unità (L’) della lingua, periodico compilato da P. Fan- 
fani, A. Celli e R. Vescovi. Firenze, tip. del Vocabolario, in-8°. 

Gli anni II-III (1870-72), passim, contengono col titolo: Illustrazione di 
proverbi , dei commenti morali, non firmati, a proverbi toscani. 

L’anno IV (1873-74) contiene nei num. 11 e 16, (pag. 163 e 248), Un 
mazzette di proverbi (è una raccoltina di proverbi, raggranellati nel circondario 
della Spezia e seguiti da breve illustrazione), e nei num. 14-20 un altro saggio 
dei modi proverbiali commentati da Pico Luri da Vassano (V. Arch. , V, pa- 
gina 498, n. 206) col titolo : Modi di dire proverbiali e molti popolari italiani 
spiegati e commentati . Dei sette vizi capitali , e primo , come di dovere , della su- 
perbia. 

G. Fumagalli. 



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LA FIGGHIA DI LU RE DI LU MARI. 

NOVELLINA POPOLARE SICILIANA RACCOLTA IN TRAPANI. 


a ’ota cc’era un figghiu di re, chi ghia a caccia spissu. 
Pri cumminazioni, 'na jurnata, truvànnusi a caccia, fu 
tantu lu caminu chi fici, chi nun sappi cchiù unni si 
truvava. Taliannu a dritta e a manca, vitti un casteddru sdirrub- 
batu. Allura si nn’acchianau supra di ddru munzeddu di petri pri 
vidiri si scupria la sò citati; ma siccomu era troppu ltfutanu, nun 
potti vidiri nenti. Sulu chi vitti chi vicinu di lu casteddu unn’era 
iddru cc'era lu mari; e siccomu era stancu di lu caminu ch’avia 
fatui, s’addurmisciu ddrà stessu unni si truvava. La notti, quannu 
s’ arruspigghiau, misi a pinsari la sò mala fortuna , comu V avia 
straccatu p’ansina ddrocu ; quantu tuttu ’nsèmmula si vitti cum- 
pariri ’na picciotta cchiù beddra di lu suli , e comu la vitti si 
scurdau tutti li soi mali pinseri, e circau di metteri amuri a ddra 
picciotta. Allura chi fici ? si cci avvicinau cu ’na granni manera, 
e cci spiau d'unni vinia, e comu si chiamava. Di Tura iddra cir- 
cava di scanzarlu, cridennu chi era quarchi ’ntititazioni, e s’ ar- 
raccumannava ó Signuri ; ma quannu vitti chi era un beddu ca- 
valeri , si cci accustau e cci cuntau tutta la sò passatera , dicèn- 
nuci chi era figghia di lu re di lu mari, e chi si nn’avia vinutu 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


’n terra pri scanzàrisi la morti, pri causa chi ’n àutru re di Tacqui 
avia ’ntimatu guerra a sò patri, e T avia ammazzatu hi battagghia. Lu 
fiati d’iddra nni pigrhiau la spata pri la punta; si misi a locu di 
sò patri, e vinciu, ma iddra si nni fuiju pri timuri di essiri am- 
mazzata. Allura lu cavaleri cci cuntau tutta la sò storia ; e ac- 
cussì iddra canusciu chi era principi di sangu riali. 

Comu fici jornu , si misiru tutti dui a caminari , pri vidiri 
unni li purtava lu sò distinu. Doppu tri jorna di caminu arrivaru 
nn 1 óna granni citati, unni truvaru ’na gran festa chi si maritava 
’na principissa cu un mastru solachianeddu, chi s’avia hmamuratu 
di la sò granni pussanza. Iddri dumannaru d'unni si pigghiava pri 
ghiri ’nta la citati unni abitava lu patri di lu principi spirdutu, 
e cci dissiru chi si truvavanu troppu arrassu. E chi ficiru ? Si 
pigghiaru una guida pri accumpagnalli pri tutta la via. Quannu 
arrivarli, lu re fu avvisatu di li so' criati chi già cranu affacciati 
’nta lu finistruni; e cci iju a lu scontru, e vidennu chi sò figghiu 
nun s’arricugghia sulu, critti chi avissi fatta quarchi bona caccia. 
Ma quannu "misi lu fattu, arristau maravigghiatu, comu sta figghia 
di lu re di lu mari putissi truvarisi ’nta la terra e pri la troppu 
cuntitinzza di lu piaciri chi pruvau a vidiri hi ’àutra vota sò figghiu 
viventi, jittau lu bannu chi qualunqui pirsuna, sia ricca o povira, 
putianu jiri a vidiri maritari a sò figghiu cu la principissa di lu 
mari. Quannu si maritaru, lu re cci fici fabbricari un granni pa- 
lazzu chi mai a lu munnu si nn" avia vistu , e mmiatu chiddru 
eh 1 avia lu piaciri di vardallu , pri accussi avillu sempri vicinu a 
iddru. 

Doppu ’napocu di tempii chi eranu maritati , la principissa 
fici un beddru figghiu màsculu, grossu quantu un patacchiuni. Al- 
lura lu principi chiamau una cammarera e cci detti ordini di tru- 
vari hi a nurrizza pri nutricàricci lu figghiu. Doppu hi ’autr* apocu 
di tempu arrivau a lu palazzo un* annimiua-vinturi , e cci anni- 
minau chi un jornu ssu picciriddru s’avia a spàrtiri di sò patri e 
di sò matri. Un jornu la principissa addimannau primmissu a lu 
principi di jiri a fari una caminata sula. Lu principi, pri nun di- 
spiacirisi cu sò mugghieri , cci lu cuncidni. Iddra si vistiu di li 


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LA FIGGHIA DI LU RE DI LU MARI 


345 


megghiu vesti ch’avia, e ’sciu sala di la porta di lu palazzu. Lu 
maritu, curiusu di sapiri unni jia iddra, si misi affacciata airàstracu, 
e vitti chi iddra si nni iju a la praja di lu mari, acchianau supra 
u scogghiu, e doppu, senza livàrisi nenti, jittau un sautu a pedi 
gritti ’mmenzu a lu mari , e nun la vitti assummari cchiui. Al- 
tura vidennu chistu, arristau tuttu turbatu, chi mancu avia sensi 
di sclnniri di l’ àstracu. Ora iddra si nni iju a truvari a sò fiati 
e a sò matri. Comu la vìttiru arrivari cci parsi asciata. Si l’ ab- 
brazzaru, si la vasaru, e cci spijaru comu avia statu lu tempu chi 
mancava di casa sua. Accussi iddra cci cuntau tuttu lu fattu , e 
cci cuntau ch'avia fattu un figghiu , e chi V annimitia-vinturi cci 
liggiu lu pianeta chi un jornu s’ avia a spàrtiri di li sò ginituri. 
Doppu chi cci cuntau tuttu lu fattu , cci additnannò licenzia , e 
si nni iju. 

Lu maritu cu ’na còllura granni si stava notti e jornu affac- 
ciai all’ àstracu , e guardava sempri lu puntu unni chi sò mug- 
ghieri s’ avia jittatu a mari-. Quannu tuttu ’nsèmmula la vitti as- 
summari , subbitu cci mannau dui cammareri a lu scontru , pri 
ghilla a pigghiari ; e comu arrivau ’nta lu palazzu cci cuntau a 
lu maritu chi avia jutu a lu regnu di lu mari pri vidiri la sò fa- 
migghfci , chi era spianata di vidilla. Ma lu principi nun si ma- 
ravigghiau tantu di vidilla jittari a mari quantu chi la vitti nèsciri 
asciutta comu ’sciu di casa. Ò inumani si vidi vèniri un omu e 
’na fimmina chi eranu lu fiati e la matri di la principissa supra 
dui cavaddi marini. L’ omu avia dui granni mustazzi di lippu, e 
cci tuccava una punta ’nta ’na spadda e unu ’n’ àutra. La varva 
di lu stessu lippu di mari cci cummigghiava lu pettu, e cci arri- 
vava ’nfinu a lu viddicu. Arrivati chi fóru ’nta lu palazzu, lu prin- 
cipi li riciviu comu si miritavanu, e cci fici Y onuri chi cci tuc- 
cava di fari. Iddri vósiru vidiri lu niputeddru pri prijarisinni tan- 
ticchia, e comu lu vittiru arristaru maravigghiati di la sò granni 
biddizza. Lu ziu si lu pigghiau mmiazza , e doppu fici finta di 
vidillu a lu lustru di lu finistruni unni cadia a piccu ’nta lu mari. 
Accussi si l’abbiazau forti forti, e si jittau di lu finistruni pri ghiri 
a lu statu di lu mari. Lu principi vidennu st’àutru spaventu, cci 
Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X. 44 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


346 

vinni nu stinnimentu chi nni cadùi malata. Doppu tri ghiorna si 
vitti spuntari lu cugnata ca lu picciriddru, e cci dissi : — « Caru 
cugnatu, m’aviti a scusari chi mi pigghiai la picciriddru senza or- 
dini vostru; ma aviti a sapiri chi ora havi ’n’àutra virtù. Si quarch i 
vota cci dici la testa di vinirisinni a rignari ’nta lu statu di la 
mari, nun cc’è nuddru chi lu pò proibiri, pricchì iò 'ntra sti tri 
jorna lu misi ’n canuscenza di tutti li me’ sudditi ». 

Comu finiu diricci sti cosi , si chiamò a sò soru , e addu- 
mannau licenza pri ghirisinni ’nta lu sò statu. E lu picciriddru 
quannu fici dicidott* anni si nni iju unni sò ziu. Accussi si viri - 
ficau chiddru ch’havia ditta Pannimina-vinruri. E quannu iju ’nta 
lu regnu di lu mari, truvau a sò ziu ca era mortu , e ficiru Re 
di lu mari a. iddru ; e doppu pocu tempu iju a pigghiari a sò 
matri, pricchi sò patri era mortu, e accussi si ristaru cuntenti. 

Carlo Simiani. 






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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA ». 


olgo T occasione per ricordare qui le erbe eduli sel- 
vatiche raccolte dai contadini sardi: la cicoria sa zic- 
coria; T appio selvatico, su juru ; il cardoncello , su 
carda mintone o piumone, o barda; il ramolaccio selvatico sa li - 
gar^a (la radice) campina ; il finocchio comunissimo, su fenùju ; 
la rucola, sa rughitta ; l’aglio selvatico, sa apara; la bietola (beta 
lat.), sa ’eda ; il lapazio, su nerviadile , selvatico, che piaceva an- 
che al poeta Venosino; la borraggine, sa limbòina\ il porro sel- 
vatico, sua^u porrà , comune presso Mazzara in Sicilia; il jeracio 
bulboso , sa lattaredda , le quali erbe sono , come dicono quelli 
di Usini, sotto la protezione di Santa Mengu , un santo immagi- 
nario ; Mengu vorrebbe dire zoticone, contadinaccio. 

In Sardegna per impedire che il grano sia guasto dal pun- 
teruolo : prò non pertùnghere su trigu dae s 9 orgu^one si fa sopra 
la semente una aspersione di aceto, oppure si pone sul mucchio 
(i-ssu muntone ) del cereale la falce messoria facendo una croce (a 
rughimi ), della quale una linea o braccio fa la falce, e l’altra il dito 
che solca il grano. La falce deve essere collocata picca a susu 
con la punta e coi denti in su. Anche quando non c’ è grano, 
la falce messoria deve essere cosi posta i-ss' oriti , sul granajo. Il 

1 Continuazione. Vedi p. 266. 



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348 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

é 

sig. Lichen aggiunge che a Gliilarza. mettono allo stesso effetto 
sul muntone le candele del Lumen- Chr isti; e che il volgo afferma 
che la formica non può passare dove sono quelle candele. Non 
sono queste le candele che s’ accendono il Sabbato santo alP in- 
tonarsi del Lumen- Christi , ma sono ad imitazione, e derivano 
dalla seguente cerimonia religiosa. Nel Giovedì santo ( sa Gioja 
santa ) si chiude il SS. Sacramento in un’urna esposta all’adora- 
zione del pubblico fino al Venerdì mattina , e P urna porta un 
sigillo assai largo di ceralacca rossa. La sera del Giovedì si porta 
in processione un Crocifisso giacente in linea orizzontale, resu- 
pino, a braccia, e sulla croce sono collocate in fila alcune die- 
cine di candelette accese, che si spengono, finita la processione. 
Nella Domenica in Albis tutte le candelette vengono toccate e 
screziate con la ceralacca del sigillo delP urna suddetta e pren- 
dono il nome di Lumen-Christi ». Come ben osservava il Bre- 
sciani, le superstizioni in Sardegna sono sempre ammantate di 
un velo di cristianesimo. 

La segale e l’orzo si seminano nell’Alto Monferrato in pic- 
cola quantità, la i a per fare tetti di capanne, il 2 0 per uso me- 
dicinale. In Sardegna la segale è quasi sconosciuta; invece l'orzo 
è coltivato dappertutto. Le ragazze coi grani di esso interrogano 
il futuro 1 e chiamano questa prova sos òrdios ; in dial. monf. 
j orde. Anche i Greci avevano questa superstizione e la chiama- 
vano cristoman^ia, da chrite , orzo. 


1 Vedi i miei Canti pop . in dialetto logudorese , pag. 13. 

Molti mutos sardi accennano alla seminagione del grano; basti ricordare 
i seguenti, raccolti dal sig. Floris-Puggioni a Nuoro : 

I-ss’ oru de su mare, 

B* appo prantadu trica 
Fatta nde so padrona; 

Bènzan* po s* affidare 
Su Paba chin sa mitra 
Su Re chin sa corona. 

Sulla riva del mare — V’ho seminato granaria, — E ne son fatta padro- 
na; — Vengano per le mie nozze — U Papa colla mitra — Il Re colla corona. 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA 


349 


Nell’ Alto Monferrato il grano lo seminano gli uomini, ma 
i ceci, i fagioli, i piselli, le fave, possono essere seminati anche 
da donne, perché essendo più leggere dei maschi calcano meno 

Tricu còmporo e bendo 
Dae unu Delegadu; 

Malas nobas intendo, 

Dae su innamoradu. 

Grano compro e vendo, — Da un Delegate ; — Male nuove sento — Dal 
mio innamorato. 

Andende a Oniài, 

Appo toddidu tricu, 

Chin messadorza d’ oro; 

Sa chi giùchcs in coro, 

Mancàri sies riccu, 

Non ti la dana mai. 

Andando ad Otiifai, (paese del Circ. Nuoro) — Ho mietuto grano — Con 
falce d’oro; — Quella che porti in cuore, — Benché tu sia ricco, — Non te la 
danno mai. 

I-ss* oru de su riu, 

Appo prantadu trica, 

’Atti’ fruttu in beranu ; . 

A mi intendes Fulanu, 

Po una corcorica 
Àndas atturdiu. 

Sulla riva del ruscello — Ho seminato grano — Porta frutto in primavera 
— Olà, intendimi, Tizio, — Per una zucca, — Te ne vai ammattito. 

Su tricu seberatu, 

B’ appo a intro s’ òrriu; 

Po te appo passadu, 

Penas de Purgatoriu. 

Il grano scelto, — Ho nel mucchio (nel granajo), — Per te ho passate,— 
pene di Purgatorio. 

Sa pobera frunniga, 

Ista’ carrende cosa; 

Sa pistola in s’ orija 
Sa femmina vissiosa. 

La povera formica, — Sta trasportando alcun che, Una pispola (pisto- 
lettata) nelPorecchio — Alla donna viziosa. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


la terra , molle per le acque di primavera , stagione nella quale 
si seminano detti legumi, eccetto le fave. A queste ultime allude 
un giuoco popolare che comincia colle parole: Pianta la fava la 
bella villana — quando la pianta , la pianta così , ecc. l . Le parole 
cadenzate ricordano forse una tradizionale ed antichissima canti- 
lena. Ad Atene v' era un tempio dedicato ad Apollo Ciamite 
( Kyamos fava), perchè il biondo pastore 2 aveva insegnato la se- 
minagione di questo legame odiato dai Pitagorici. I Romani al 
i° di Giugno facevano sacrinzii a Carna, moglie di Giano, nelle 
feste dette Fabarie e mangiavano in quel dì una focaccia di fa- 
rina di fave impastata con lardo, detta fabacia . Sa fan ctim larda , 
la fava cotta in minestra col lardo, è una delle vivande comuni 
in Sardegna. Nei giuochi Floreali a Roma erano gettati al po- 
polo ceci e fave cotte. Nota il sig. Licheri, che a Ghilarza » sulle 
fave di fresco raccolte si mettono rami verdeggianti di cisto, 
( [murdègu ) perchè non c’entrino insetti a bucarle, po non perlun- 
ghere dae s'orgu^one; oppure i contadini aspettano che suonino i 
vespri della festa di S. Giovanni, e allora non temono più di 
insetti.» In Monferrato ed anche in Sardegna i contadini lasciano 
le fave molto al sole, credendo che il calore le salvi dagli in- 
setti, e forse non hanno torto perchè la buccia si indurisce. A 
Ghilarza pei legumi non mettono dentro la terra letame di gal- 
line, perchè il volgo crede che il pidocchino delle galline si cam- 
bii in cimice arborea e la cimice in arguirne. 

I ceci in Sardegna son detti fagiuoli tondi, basolos tundos 9 e 
son mangiati freschi: i venditori li vendono attaccati alla pianta. 
Secchi vengono mangiati fritti neU'olio, come usavano mangiarli 
nella Roma antica. Nella festa dell’assunzione della Madonna, a 
Ghilarza ed a Carpeneto d’Acqui si usa mangiare minestra di ceci. 


1 Romani chiamavano Refriva una fava che si riportava a casa dopo 
aver seminato di questi legumi; ne facevano una offerta a Carna per la pro- 
sperità della raccolta. 

2 Nelle feste Pianepsie celebrate in Atene in onore di Apollo, si man- 
giavano fave e se ne offriva al Dio , detto nella circostanza Pyan-epsio da 
pyanon, fava ed epsein cuocere. 


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FOLKLORE DELL* AGRICOLTURA 


35 * 

I piselli vengono forse dall’ India; in Atene un delubro era 
dedicato a Bacco Erebintino o dei piselli, perchè aveva introdotto 
questo legume neH\Attica. 

(c) I Romani avevano il Dio Stercuzio, che presiedeva alla 
concimazione dei campi. Il letame in Monferrato si sparge a 
mucchietti per tutti i cereali ; pel frumento , nei campi umidi e 
freddi, si sparge la polvere di guano del Perù o di altra prove- 
nienza. Nei campi di grande estensione il boaro sparge il letame 
stando sul carro che i btioi tirano attraverso il podere, ma nei 
piccoli possessi, per non calcare troppo la terra, il mucchio del 
letame si fa al limitare del fondo, e le donne od i ragazzi colle 
ceste lo trasportano e lo spargono ». In Sardegna, la concima- 
zione dei campi non è praticata da molti, ma nel Campidano e 
nel centro delusola, l’ottobre si chiama Ledàmini , su mesi de le - 
dàmini (in logudorese : su mese de S. Andria , o de Ledàmine ), 
perchè il letame raccolto in un angolo del cortile viene sparso 
in questo mese, disfacendosi il mnntonal^u o mucchio J , raccolto 
durante l’anno. Si crede che il letame vaccino, più sta scoperto 
nel campo , più sia atto ad ingrassarlo. Usano di far pascolare 
pecore o capre nel fondo da seminarsi; ed appena che i greggi 
sono ritirati, V agricoltore ara la terra, perchè la forza di detto 
letame non si perda: l’alga o si lascia marcire in un luogo ap- 
posito, ed allora è subito messa nei campi, oppure viene traspor- 
tata in essi a carrate, e si aspetta che col tempo si decomponga. 

Seminato che sia il grano, bisogna Sisporre il campo a solchi fa- 
cendo in esso i canaletti detti acquài in Monferrato, in latino e - 
lices aquarum ; agador nel Friuli; nella quale operazione si richiede 

1 Un muta raccolto a Bini dice: 

A mi màndico nie, 

Aunza a conchifarzn; 

Fòminc che tie, 

In donzi muntonalzu. 

Mangio neve — Aizzando (a dispetto) .testa falsa, — Uomo come te (ne 
trovo) — In ogni mucchio di letame. 

Fòminc , pronunzia speciale di Bitti, riproducente Ispirazione dell’& latino. 




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3J2 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

pratica grande, perchè le acque non condotte fuori bene, o trag- 
gono con se la terra o si fermano nel campo e fanno infracidire 
la semente. I Romani avevano anche un dio di questi solchi e 
dei canaletti, chiamato Imporcitor . 

(d) La falce lunga, fienaja, emblema di Saturno 1 , di Priapo, 
di Silvano, del Tempo, presso i Greco-Romani (della Morte nel 
Medio Evo) non serve in Monferrato che pel fieno e per lo 
strame e dicesi : Fer da sjée , ferro da segare , mentre chiamasi 
fàussun , il manneretto, e fàussetta un pennato di lunga lama ar- 
cuata in cima , che in antico fu un’ arma di guerra , trovandosi 
ricordo di esso negli Statuti di Carpeneto d’Acqui, col nome di 
falconus ; aveva forse la forma della falce, arma dei Polacchi. La 
falce fienaja si è introdotta da pochi anni in Sardegna, e pochi 
Pusano, mancando ivi generalmente i prati propriamente detti. 

I falciatori in Monferrato vanno nei prati pertempissimo 
quando -c’è ancora la rugiada, ra rusàa e falciano fino alle 2 po- 
meridiane. lui proverbio dice che essi mangiano tre volte ed un 
voltino , perchè si falcia negli ultimi giorni di maggio, il mese 
delle lunghe ore, quando le budella per la fame vanno in fondo, 
come dice un altro proverbio. 

II fieno vien falciato in lunghi solchi, poscia vien rivoltato 
dalle donne e dai ragazzi con un bastone in forma di r, mentre 
nella lieve occupazione le une e gli altri cantano strambotti e 
canzoni. Alla sera il fieno viene ammucchiato in parecchi muc- 
chi, in uno dei quali (o sotto il carro condotto nel prato) dorme 
un contadino per tener lontani i ladri. AìP indomani si sparge 

1 La falce di ferro, posta nelle mani di Saturno, indica che il ferro fu l'ulti- 
mo ed il più utile metallo conosciuto e lavorato dagli uomini. I Sabini venera- 
vano V utile ferro sotto la forma di un’asta quiris , e Romolo fu detto Quirino 
a ricordare questo metallo. Gli Slavi che ricevettero dai Tedeschi il ferro 
chiamarono Elei il Dio delle foreste : ora in tedesco Bid significa scure. 

Gli Unni adoravano il ferro (Marte) sotto la forma di un’ asta. Gli abi- 
tanti delle isole Tenga, adoravano il Dio del mare sotto forma di una accetta 
di ferro, perchè il ferro non si trova nella loro isola, e. lo ricevevano da ol- 
tremare. Anche i Tcheremissi, popolo Tartaro, festeggiavano nel Medio Evo, 
Agebaren Dio delle biade e del fieno sappresentato con una falce in mauo. 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA 


353 


daccapo in area più stretta, e poi alla sera si ammucchia in un 
solo mucchio e si carica sul carro , fermandovelo con un palo 
che si affonda nel fieno , tenuto fermo anche da una corda. Se 
il fieno è in poca quantità, si carica a schiena di muli, d’asini, 
di cavalli, legandolo con corde fermate ad una specie di doppia 
scala a piuoli , legata sul basto , il che dicesi trussa . Nel prato 
falciato la 2 ft o la 3* volta , in Monferrato , seguendo un antico 
uso romano, ricordato da Catone nel libro De re rustica , si pian- 
tano rami d’ albero , ad indicare altrui il divieto di pascolo. A 
Carpeneto d’Acqui le donnicciuole danno a bere alle galline am- 
malate , 1’ acqua di quella specie di vaso in legno attaccato alla 
cintura, nel quale i falciatori tengono a molle le coti da arrotare 
la folce, il che può far bene; perchè quell’acqua contiene parti - 
celle di acciaio , ed è calibeata. A proposito della cote Plinio 
dice : Magortm haec commenta suni , ut cotetn qua ferramenta exacuta 
sint , subiecla ignari cervicalibus de veneficio deficientis dare iudicium , 
ut ipse dicat quid sibi datum sit et ubi et quo tempore , autorem ta- 
men non nominare. 

Falciandosi il fieno il calore del sole fa quasi agitare l’aria 
rasente terra; per il che dicesi che il sole fa ballare la vecchia ; i 
Romani attribuivano il fenomeno al demonio meridiano. 

A Scandiano, presso Reggio Emilia, mentre i falciatori alla 
sera stanno cenando , usano le contadine che hanno 1’ amante , 
andare a mettere sotto i cappelli degli innamorati , sigari, borse 
piene di tabacco ecc. Gli amanti vanno poi dopo cena a ringra- 
ziare le loro belle cantando loro il maggio, cioè strambotti amo- 
rosi. I Russi antichi celebravano in questo tempo la festa della 
Dea Rupal nel giugno inoltrato , che per essi risponde alla fine 
del nostro maggio. 

(e) In Monferrato il grano è mietuto colla folce messoria 
amsùria y sotto il i° nodo del culmo, se la messe è alta , quasi 
rasente il suolo se è bassa. Ciò dipende e dal campo e dalla data 
in cui il grano fu seminato, perchè il grano marzaiuolo è sem- 
pre più basso di quello seminato in ottobre, dicendo un pro- 
verbio di Carpeneto : Gran mar^arbo, sutta a u sgund nbo , grano 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 45 


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354 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


* 


marzaiuolo lo mieterai sotto il 2° nodo, cioè quasi rasente terra, 
al che risponde il proverbio sardo : Su trigu de martu non lu 
messes aliti, già citato. La segale , da noi detto barbariàa , invece 
si sega a terra affatto , avendo prima mietuta la spica in cima , 
dovendo il culmo servire per fare capanne, o per avvolgere bot- 
tiglie da spedire lontano, Anche in Sardegna il grano e Forzo si 
falciano con la falce messoja dentata. Dimenticavo di riportare 
circa la seminagione dell’orzo la notizia data d^l Sign. Lichen : 
« Si mette da taluni un pugno d’orzo nei sale, poi si mescola 
quel pugno di orzo salato col resto della semenza e si crede 
che gli uccelli non beccheranno più i granelli ». 

(f) Nei secoli addietro neH’alto Monferrato si seminava canapa, 
anzi una parte dei domimi dei nostri Marchesi ebbe il nome di 
Canapi cium, Canavese. A Carpeneto d’ Acqui una valletta fresca 
ha ancora il nome di Canavele , e molti cognomi restano ad in- 
dicarne gli antichi coltivatori Caneva , Canepa; ora questa coltiva- 
zione non esiste più, e col vino la regione si procura la canapa 
da altre più adatte a questa coltura. 

(g) 1 Cosi si dica dal lino. In Sardegna la canapa manca 
affatto, ma la coltura di lino vi è diffusa. A Ghilarza, nota il Sign. 
Licheri , si crede proteggere dagli uccelli il lino seminato pian- 
tandovi sopra ramoscelli di assenzio , (su alleniti) (comunissimo 
in Sardegna) e ponendo nel campo mamu^oues o fantocci di 
cenci ». Molti mutos ricordano il lino: basti riportare i seguenti 
raccolti a Nuoro dal Sign. Floris Puggioni : 

Su frore de su linu, 

Ch'è biaittu è craru, 

Bellu che paladinu, 

Baiente che sordatu 2 . 

* » Quando il lino è maturo, dice il Sign. Licheri, viene legato ( prendi - 
du) a fascji, e per renderlo più fino e . pregevole si la ingiallire nlPombra, te- 
nendolo coperto. Per renderlo flessibile e fino si adlulcat si addolcisce, si am - 
morbidisce, lasciandolo 15 giorni circa nell'acqua, anzi qualcuno lo lascia al- 
l’intemperie anche per un anno, e così si addulait senz’acqua ». 

* Il fior del lino — É azzurrino e chiaro, — Bello come paladino, — Va- 
lente come soldato (è il mio amante). 


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FOLKLORE DELL’AGRICOLTURA 


355 


Su frore de su linu, 

Ch'è biaittu e craru; 

M’attòpped* in camminu 
Su meu innamoratu. 1 

I Romani avevano dedicato ad Iside Linigera, ed a Silvano 
Linigero il lino, perchè quelita aveva insegnato, e questo ne fa- 
voriva la coltivazione. 

(h) Il vino è la raccolta principale del Monferrato; sboscati 
i monti ed i colli, la regione è tutta quanta una vigna. La ven- 
demmia si fa come nelle altre parti d’Italia. L’uva viene portata 
intatta nei tini, o riceve una leggiera piggiatura nelle navase od 
albioliy quando è raccolta in grande quantità; nelle bigonce (ba- 
gnòu) quando si trasporta con asini o con muli. La pigiatura 
vien fatta ancora all’antica, coi piedi, di notte e costituisce co- 
me una festa. Si vendemmia generalmente nel settembre inol- 
trato sicché agli u di ottobre già si può assaggiare se il vino 
è fatto, perchè il proverbio dice: A San Martin (n ott.) tasta 
(assaggia) u io vin 2 . Appena l’uva è matura a Ferrara suolsi fare : 
i sùgol , poltiglia di mosto e di farina cotti insieme , che ricorda 
il suffimentum , focaccia di farina di fave e di miglio impastati con 
mosto, che dagli agricoltori romani offri vasi agli Dei, nelle Vi- 
nalia, feste del nuovo vino, quando nel giorno dei Meditrinali , 
che era appunto l’undici di ottobre, il grave Catone assaggiando 
il vino vecchio ed il nuovo diceva : Vetus novum — Vimini bibo — 
V eteri nervo — Morbo medeor . Anche l’uso sardo del fare Sos cottos , 
cioè di cuocere il mosto con sapa, ricorda il suffimentum romano. 

I Greci nelle epilenie , o feste di Bacco, che celebravano ai primi 
d’ottobre, dqpo aver lottato a chi pigiava più uva , si tingevano 
il viso e recitavano farse , delle quali nacque poi la commedia. 
In Puglia (a Lucerà) ed in Sardegna , si porta nella cantina il 
mosto già spremuto .nella vigna. Del resto ivi, come in Piemonte 


1 II fior del lino — Che è azzurrino e chiaro — Mi incontri nel cam- 
mino, — Il mio innamorato. 

s In Monferrato travasano il vino nuovamente nel marzo, in Sardegna , 
lo travasano ispuntant (spillano) il giorno dei tre Re, o della Epifania. 


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356 

la vendemmia si anticipa o si ritarda, secondo le diverse specie 
di vitigni , la posizione della vigna , V annata. Moltissimi mutos 
sardi ricordano la coltivazione della vite, e la cura che in quel- 
l’isola si pone nel fare quei vini, dei quali la fama è certo infe- 
riore al merito. Eccone alcuni raccolti ad Orune dal Sign. An- 
tonio Beccheroni. 

Cantu è bona sa ua, 

Mandigada a de die, 

Cando è budrone mannu; 

Caglia, naschìda a cua, 

Às nadu male a mie, 

Pesada ’e contrabbandu l . 

In sartos de diana. 

Nana eh* an' postu binza 
Tottu a bidè areste; 

Prinza ses-e bachiana *. 

Cantu è bona sa ua. 

1 -ssu mese ’e Nadale. 

Bochende su frore; 

Chircala a sorre tua, 

Chin su continentale, 

E* fattende s'amore s . 

Sa die ’e Santu Ainzu 
Sos littos de sa ua 
Sun prus redadiado(s) 

Nàrali a marna tua, 

Si còmpora’ crabitto(s) 

’Ache’ vruttu misciadu 4 . 


1 Quanto è buona l’uva. — Mangiata di giorno — quando è grappolo fatto 
(maturo) — Taci, tu nata di nascosto — Hai detto male di me — Tu sorta di 
contrabbando. 

* Nei boschi di Oliena — Dicono che piantarono vigna — Tutta a vite 
selvatica; — Pregna sei, e zitella. 

3 Quanto è buona l’uva — Nel mese di Dicembre — Scegliendone il me- 
glio; — Cerca tua sorella, — Col continentale — Sta facendo l’amore. 

4 II giorno di S. Gavino (16 ottobre) — I licci (i grappoli?) dell’uva — 
Son più tardivi — Dì a tua madre — Che compri capretti — Fa frutto mesco- 
lato (insulto osceno). 


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FOLKLORE DELL AGRICOLTURA 


357 


I-ssu pastinu nou, 
S’àchina sun’ scberende, 
Cada fundu uniscala; 

Non lu des a intende(r) 
Ca ti so amorata, 

Giùchelu in ..oro tou l . 

Budrone cannonàu, 

Mi ponzo i-ssu piattu, 
Ch’oste una bella ua, 

A l'àer dispacciata 
Comare, male às fatui 
Como, non ti coiua(s) *. 

Duos o tres pinzello(s) 
Si convèrtini in ua, 

Po mi la raandicare; 

Sos onores sun’ bello(s) 
Già tep’esse’ su tua, 
Sighita a ivf istimare 3 . 

In domo ’e Donna Rita 
Datu m’an pabassa; 
Mancàri sies ricca 
Attesu si nche passa(da) \ 

Un ’udrone ’e pabassa, 
M’ an’ bettadu a cua, 
Attesu si nche passa(da) 
Da e sa domo tua 5 . 


1 Nella vigna nuova, *- L’uva stanno scegliendo, — Ogni vite un grappo- 
luccio, — Non dirlo a nessuno, — Che ti sono amante — Porta (il segreto) 
chiuso nel cuore. 

* Grappolo di cannonàu (specie d’ uva) — Mi metto nel piatto, — Che è 
una bella uva; — Ad averlo licenziato — Comare, male hai fatto, — Ora, non ti 
mariti più. 

3 Due o tre pennelli (fiore della vite ?) — Si convertono in uva , — Per 
mangiarmela, — Gli onori sono belli — Già debbo esser la tua , — Seguita ad 
amarmi. 

4 In casa di Donna Rita — Dato m’han uva passa — Benché tu sia ricca 
— da lungi ti si passa. 

5 Un grappolo d’uva passa, — Mi gettaron in seno, — Lungi si passa, — 
dalla casa tua. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Duos raminajòlo(s) 

Bènin dae Turchia; 

Mandichende pabassa 
Non tendedas lentolos 
Chi passa’-Rosolia l . 

(i) Intorno alla raccolta delle patate, tubero molto recente, 
nulla si dice, nè in Monferrato nè altrove, che io sappia. 

(I) Il grano , se è in piccola quantità , in Monferrato viene 
trebbiato coi coreggiati ( cavaire ) ; se è in grande quantità col 
rullo, detto da noi, rabàta . I covoni si stendono (is tèndo) sul- 
l’aia in circoli concentrici colle spiche in dentro, poi colle rubate , 
tirate da buoi o da cavalli o da muli, si spogliano, a forza di 
passarvi sopra, dei loro granelli. L’operazione comincia verso le 

10 ant. e finisce verso le 3 pom. Talora in Monferrato come 
in Sardegna si fa passare sulle spiche parecchie paja di buoi. Il 
lavoro si fa nel mese di luglio , detto in sardo Trittlas , i treb- 
biamene, da triulare , trebbiare 2 . Gli altri cereali vengono battuti 
nello stesso modo, eccetto le fave, i fagiuoli, ed i ceci, che in 
Monferrato vengono battuti colle cavaire , ed in Sardegna (dove 

11 correggiato non usano) con bastoni. Le trebbiatrici moderne 
fanno il lavoro più alla spiccia, e con meno dispersione di grano 
ma tolgono al trebbiare ogni poesia. 

IL II grano è falciato , 0 taglialo colla falce (a) ? Lo mettono subito 
in covoni 0 subito in casa (b) ? Fanno differenza nel mietere le 
diverse specie di grano (c)? Si osserva che il vento debba toc- 
care la falce del mietitore (d)? 

(a) I Romani hanno consacrato la coltivazione del grano 
con molte pratiche religiose. Una dea Tutelina vegliava alla con- 
servazione delle messi. Un Dio Sarritor presiedeva alle sarchia- 
ture del grano da sarrire sarchiare , in dialetto Monferrino sari , 

1 Due ramnjuoli — Vengon dalla Turchia — Mangiando uva passa — Non 
tendiate lenzoli — Che passa Rosalia. 

Riporto qui l’uso vigente a Siniscola in Sardegna quando si pianta una 
vigna. 

8 La Dea Nodoterusa presso i Romani presiedeva allatto di battere o te- 
rere i nodi del frumento. 


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FOLKLORE DELL'AGRICOLTURA 


*59 

colla dea Runcina. In Sardegna le ragazze hanno i loro inneltia- 
dorgos, canti delle sarchiature, delle ripuliture, quando il grano 
è ancora verde, e secondo i Romani sarebbe sotto la protezione 
della dea Latturcina o del grano che è ancora lattiginoso, e si 
può mangiare crudo , (come facevano Gesù Cristo e i suoi A- 
postoli ; che differenza dalle cene papali di Leon X e di tanti 
altri pontefici !) oppure del Dio Nodinus che presiedeva al for- 
tificarsi dei nodi del culmo del frumento : oppure della dea Pala - 
letta, o Patella , o Tatellaria che aveva cura affinchè la spica pa- 
teret ; uscisse bene e felicemente dai culmo. La Dea Hostiliria fa- 
ceva poi che i granelli riempissero bene (hostire) le loro cas- 
sule, e finalmente la dea Metina o Messia presiedeva alla mieti- 
tura. In Monferrato la messe è tagliata (e non falciata) colla 
falce messoria, a mano. Il Contadino abbraccia colla sinistra una 
data quantità di gambi di grano, li miete sotto il i° od il 2° 
culmo (secondo la crescenza) colla destra. Se il grano è basso 
molto, si miete rasente a terra , ma non si falcia mai. Si falcia 
invece colla falcia fienaja lo strame, e allora il campo diventa 
ra-stubbia , la stoppia, cioè il terreno dove mietuto il grano e 
segate le stoppie , deve poi essere arato (arstubbiàa) per semi- 
narvi all’anno vegnente il gran turco. Il grano mietesi in man- 
nelli (ir man ) poi questi si raccolgono in covoni (ir cov) e si 
lasciano sul campo perchè il grano si secchi di più , durante 
una settimana o poco più, portandoli poi a casa sul carro. I le- 
gami ( aljatn ) con cui si legano i covoni sono di culmi del grano 
stesso, un po’ più verde oppure di vimini. 

In Sardegna « anticamente il grano si mieteva (a Ghilarza) 
in manadas : due manadas o mà^tdos di spiche , facevano una 
perra (metà di covone) e tre per ras un tnànnugu covoncino. 
Ora per lo più a fine di far presto, si miete e si depone sciolta 
per terra la quantità che serve al mànnugu. Cinque mànnugos 
fanno una màniga , (un covone intero) la quale si lega su- 
bito se su seidu (il grano mietuto) è lentu (è molle e arrende- 
vole) , oppure si lega al mattino , (come fanno in Monferrato) 
cando b' è su lentbre , quando c’ è la rugiada, con un gambo di 


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3^0 AkCHlVlO P£k LE TRADIZIONI POPOLARI 

finocchio unu fentiju , o con un tallo di rovo , cun mussola de 
orru o con un ramo di lentischio, unu rattu de chessa , e Itera- 
zione ò detta prendere mànigas , legare ( apprehendere , lat.) covoni » . 

In Monferrato chi lega i covoni è sempre un uomo, e porta 
attaccato alla cintola un cavicchiolo ( ina cavigiòra) di legno di 
quercia; fa come una specie di nodo scorsojo nel legame eppoi 
stringendo lega il covone fortemente. 

(b) Il grano da noi, come dissi , si lascia nel campo una 
settimana e più, facendo di ogni 12 covoni una burao mucchio 
rettangolare. Anche in Sardegna il grano si lascia pure nel campo 
8 0 io giorni ed allora i ragazzi battono con bastoni sopra pezzi 
di legno, o sopra vecchie latte da petrolio, per cacciare i passe- 
rotti 1 e le quaglie che accorrono a mangiare il grano raccolto; 
a queste accennano parecchi tnutos Eccone due di Nuoro, rac- 
colti ' dal Sign. Floris-Puggioni. 

I-ssos tricos de Alai *, 

Bi canta* su trepotrè; 

É possibile mai? 

Non tenzo geniu in te 3 . 

Deris su trepotrè, 

S’intendia cantare, 

Subra sa cobertqra; 

Torratu ti nde $e(s), 

Dai su coiuare, 

Postu t’àna in paura 4 . 

(c) In Monferrato la segale si miete appena sotto la spica, 
destinando il raccolto per la futura seminagione, ed il lungo cul- 
mo per fare tetti di capanne. L’orzo si taglia in piccoli mannelli. 
In Sardegna, dice il Sign. Licheri. « il frumento si miete facen- 


1 Per cacciare i passerotti vedi la superstizione raccolta a Siligo e pub- 
blicata nei miei Canti Logudoresi , pag. 294. 

* Una variante. In sartos, cioè nei boschi. 

3 Nei grani di Ollolai (et re. di Nuoro) (o nei boschi) — Ci canta la qua- 
glia; — È possibile mai? {amarti), — Non ho genio, noti son disposta per te. 

4 Ieri la quaglia, — Si sentiva cantare, — Sopra il tetto ; — Tornato te ne 
sei, — Dal maritarti (dal desideralo matrimonio) Posto t’hanno in paura. 


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folklore dellVgricoltura 


3éi 

done mànigas; l’orzo in mànmigos 1 perchè riceva più aria e più 
sole; quindi si miete per il primo e suol trebbiarsi l’ultimo, per- 
chè indurisca e non generi insetti ». 

A Scandiano il frumento si lascia nel campo un giorno o 
due perchè possa prendere del secco: ciapar dia stoppia , e si ri- 
voltano bene i covoni perchè prendano il sole da ogni parte, 
dicendosi dai contadini : volta polastr e magna pultnla , volta co- 
voni (di grano) e mangia polenta, cioè lavora nell’abbondanza e 
mangia magramente. 

(d) In Monferrato non si osserva se il vento tocca o non 
tocca la falce del mietitore; in Sardegna si. « I mietitori dopo 
che le hanno (le falci) arrotate e limate, le espongono al vento 
e nell’impugnarle dicono : àndat à bentu, vada al vento, con- 

tro il vento ». Cosi nota il Lichen. 

( Continua ) G. Ferraro. 

1 I Greci chiamavano i mannelli di orzo vles o jules . Lo stesso nome a- 
vevano le matasse di lana da dipanare, e gli inni che si cantavano a Cerere. 
Per una somiglianza che non è casuale, chiamasi in Monferato ir man i man 
nelli, e marde (o manelle) le matasse di lana. 



^Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 


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LEGGENDA 


SULL’ORIGINE DEI BENI DELLA CHIESA-MADRE 

DI CASTROGIO VANNI E « LA MOTA DI L' ASSISA ». 


l popolo di Castrogiovanni (provincia di Caltanis- 
setta) per la seria maestà del suo Duomo, per la ma- 
gnificenza degli arredi , pelle immense sue ricchezze , 
si dimandò un tempo, donde tutto questo? I quattro Parrochi- 
Dignità , sostennero provenire dai loro risparmi, dalla loro sa- 
piente amministrazione; mentre il cittadino lo affermò creato e 
fatto colle sue generose largizioni. 

Tra l’appassionato cozzo di tale contesa, fra tanta confusione 
sursero i quattro sagrestani primari, i quali mettendo fuori la se- 
guente leggenda, se ne dissero i veri fattori. 

Moriva in Calascibetta l’ultimo rampollo della famiglia An- 
sisa, ricco per la vistosa rendita giornaliera di un roltilu e tnzgu 
di oro (gramm. 1200), che per testamento avea disposta in favore 
di quella chiesa, ove fosse sepolto il suo cadavere. Come è ben 
naturale veniva deposto nella Chiesa-Mjggiore del suo paese. 

In Calascibetta si gioiva per tanto avvenimento , ed in Ca- 
strogiovanni i quattro sagrestani primari , scaldandosi al fuoco. 



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LEGGENDA SULL’ORIGINE DEI BENI DELLA CHIESA-MADRE 363 

immersi in un cupo raccoglimento, tutti simultaneamente pensa- 
vano la stessa cosa; tutti vedevano il lustro che acquistava quella 
chiesa, di fronte alla quale, questa, da loro servita, ne restava 
fortemente offuscata. 

Mentre raccolti in questo cocente pensiero, il più attempato 
si scuote, come desto dal sonno e — « Stupenda idea! esclama, 
certo suggeritami dalla Vergine Maria ». Indi rivolto ai compa- 
gni cosi dice: — «Nel testamento non s’indica la chiesa e la 
città: sarebbe un bel colpo sottrarre quel cadavere per riporlo 
nella nostra : ho divisato il come , ma da solo non potrò riu- 
scire nell'ardua impresa; se mi seguirete trionferemo ». 

Inteso ed approvato il proponimento ; fiuta larga provvista 
di squisite bevande , di delicati e scelti cibi , nelle ore pomeri- 
diane del giorno appresso, scendono in Calascibetta; ritrovano i 
sagrestani di quella; con l’inganno fingono fraternizzare cordial- 
mente con loro; al cadere della notte nella sagrestia imbandiscono 
sontuoso banchetto, e quando il vino salisce al cervello gettano 
con destrezza un potente soporifero nei colmi bicchieri di quei 
disgraziati ed incauti colleghi, i quali di un subito sono vinti 
dalla virtù della pozione. 

Allora senza perder tempo scoverchiano la sepoltura; il più 
lesto e gagliardo si toglie sulle spalle la ricca umana spoglia ; 
quatti quatti escono dal paese per la via immediata al tempio, 
ripida ma breve ed inosservata, e rilevandosi a vicenda rientrano 
in patria. 

Adagiano quella preziosa salma nel centro del Duomo, al 
far del giorno, suonando le campane a stormo , annunziano ai 
cittadini un grande successo, per cui 'questi a frotte corrono ad 
apprendere la lieta novella; mentre nella vicina Calascibetta si 
propala la grande sventura : sicché nella prima si ride e si tri- 
pudia, nell’altra si piange e veste il lutto. Però il cadavere non 
era integro, vi mancavano le viscere estrattevi per meglio conser- 
varlo; perlochè tra le due chiese impegnato giudizio, fu deciso , 
che in proporzione a quanto rispettivamente si possedeva , della 
rendita in oro, ne toccasse due terzi a questa di Castrogiovanni, 
e la rimanenza a quella di Calascibetta. 


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3*4 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Per questo felice risultato s’istituiva in ogni sabato la sera 
la benedizione del Sacramento, per assistere alla quale si convoca 
il fedele con un lugubre tocco di campana, inteso: la mota di 
VAnsisa; per cui se a quel suono s’interroga l’uomo del volgo o 
la villanella, senza esitare subito risponde : — Si prega per P a- 
nima beata di l’Ansisa, che arricchì la Chiesa di un rotula di oro 
al giorno ». 

Questa la leggenda profondamente incarnata nelle masse. 
Però il popolino che la raccolse, la tramandò , tuttora la crede 
e la giustifica colla santità del fine , non doveva nè deve igno- 
rare, che per una legge, da Seneca detta la più forte di tutte , il 
cadavere sceso nel sepolcro riposa sotto le ali della religione , 
gode della pace della tomba protetta e garentita da ogni profano 
oltraggio; che pertanto nelle diverse epoche, presso tutti i popoli 
il culto dei morti è stato considerato come un sentimento mo- 
rale e religioso, e la violazione dei sepolcri come un fatto sa- 
crilego ed infame, punito sempre, ed un tempo colla galera, ed 
anco colla morte. 

Castrogiovanni , 14 luglio 1891. 

Avv. Paolo Vetri. 



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ALCUNI CANTI LOCALI 


RACCOLTI IN NAPOLI E IN TEG1ANO. 


Al D.r Giuseppi; Pitrè. 


Stimatissimo Signor T^itrè, 


invenire c riconoscere i canti locali, — come Ella m'in- 
segna, — non è tanto facile, sia per esserne il numero 
piuttosto esìguo; sia perchè, talvolta, le stesse allusioni 
riescono insufficienti a determinar con sicurezza T origine. Pure, 
avendone raggruzzolati alcuni, che non lasciano dubbio, mi per- 
metto presentarli a Lei, con quelle illustrazioni, che potrò migliori. 

A dir vero, se proprio dovessi rivolgermi a Lei, basterebbe 
trascrivere i componimenti , e superfluo ogni schiarimento. Ma, 
se vi ha caso cui s’attagli il detto comune, di andare ad uno la 
lettera e all’altro la soprascritta, parmi il presente : è sola un'oc- 
casione, per attestarle, pubblicamente, la mia riconoscenza. E 
questo mi servirà di scusa , se entro a discorrere di particolari, 
che pónno sembrar superflui ; ma , che , forse , non riusciranno 
tali ai più de’ lettori. E comincio, senz’altro. 

Innanzi tutto, due canzonette napoletane donatemi dallo scultore 



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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


3 66 


Raffaele della Campa, appassionato cultore del patrio vernacolo, ed 
uno della triade, che, testé, ha dato fuori, un importante lavoro a 
proposito deir ortografia. Le ha raccolte dalla viva voce di una 
donnetta attempatella ed analfabeta, cui, certo, le ha affidato la 
tradizione orale. E quantunque escano un pochetto dalla forma 
usuale e lascino sospettare non esser di fattura schiettamente po- 
polare, pure francano il fastidio di essere trascritte e pubblicate, 
anche a causa della loro indole..., malgrado che il Goethe bat- 
tezzasse nojosi i canti politici. Ma soleva, anche, sciamare, che 
tieuere Toeten ihutt vici Wasser in die Dinte ... i poeti moderni met- 
tono molt’ acqua nell’ inchiostro;.... e, qui, ve n’ha poco, se pur 
non bastasse il pregio trattarsi di documenti storici. 

Ecco la prima : 


I. E Sant’Ermeno tanto forte, 
L’anuo l'atto curam’ ’a ricotta; 

A chillo cumino sbruvignato 
L’hanno miso ’a mitria ’n capo. 

E sona, sona la carmagnola, 

So’ de li cannone: 

Viv 1 ’o Re cu’ la curona ! 

II. MaistA, chi t’ha traruto? 

’O stommaco ’e cane ch’ànno avuto. 
Songo ’e princepe e 'e signure; 
Songo state ’e cavaliere, 

Te vulevano prigioniere. 

Sona, sona la carmagnola, 

So’ de li cunziglie : 

Viv’ ’o Re cu’ la famiglia ! 

III. A li tridece de giugno, 
Sant’Antonio giuriuso. 


Sant’Antonio miraculuso ! 

Suuajeno li grancasce, 

Pe’ dA* onore ’o popolo bascio.... 

Sona, sona la carmagnola, * 

So’ de li cannunc, 

Viv’ o Re cu’ la curona! 

IV. Ò Muolopiccolo, senza guerra, 
Si tirajene l’arbere ’nterra. 

Llà facetteno ’e festine, 

Afferrajeno ’e Giacubine ! 

— Giacubino si’ stato pigliato, 
’N’copp’ ò Ponte si’ stato purtato, 

LIA hi’ A essere fucelato !.... 

E sona, sona la carmagnola, 

So’ de li cunziglie, 

Viv’ ’o Re cu’ la famiglia ! 


Come si vede, l'autore del canto è un realista, ostile al nuovo 
ordine di cose; ed insulta alla parte più eletta, anelante sottrarsi al 
dispotismo. 

Sant’Eramo, è il forte clic domina Napoli; e che, tuttavia, si 
può osservare. Il de Ritis sostiene: Ermo , essere sincope di Erasmo , 
come lo comprova una chiesetta in prossimità, dedicata a questo 
santo. Il monte, anticamente, si chiamava Campanora ; e sull 5 al- 


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ALCUNI CANTI LOCALI 


3^7 

tara i Normanni eressero una torre, che denominarono ‘Bdforte . 
Queste ed altre notiziucce, si pònno riscontrare nel de Ritis, nella 
guida Napoli e i suoi contorni , eccetera. A me pare , che il bat- 
tesimo gli sia derivato dalla posizione solitaria e deserta : eremo 
da §p}io£. Ma chi sa !.... A proposito.... in un numero del dvConi- 
tore si legge : — « La cittadina Pimentel recitò un inno alla li- 
bertà, da lei composto in S. Eramo, allorché i valorosi cittadini 
erano colà rinchiusi e coi quali era ancor ella ». (Cfr. pure, 
Colletta , Stor . del Reale di Nap. cap. I lib. V). Ed anche po- 
steriormente servi di prigione, specie agli imputati politici; e cosi 
si ricorda nell’elegante volume: Maria Teresa | di Scrego-Allighieri 
| Go^adini | | Bologna, Tip. Fava e Garagnani 1882, pag. 156-8. 

Ma parliamo d’altro ! 

Per chi ignorasse cosa fosse la carmagnola, trascrivo quel po- 
chetto che ne dice il Meyer nel suo Hand-Lexikon : — « ...Sa- 
voyischer Singtanz ; insbesondere franz. Revolutionslied (1792), 
gegen Marie Antoniette gerichtet, mit dem Worten beginnend : 
Madame Veto, avait prornis , und dem Refrain! : Dansons la C., 
vive le son de canon ! » (Cfr. pure, Etimologie star, del diai . piemont. 
di Ugo Rosa, Torino, Casanova, 1888, p. 9), dove è detto che 
significa pure: — « Abito corto, molto in voga ai tempo della ri- 
voluzione francese. Come era volgare in Parigi di chiamar Carma- 
gnola buona parte dei lacchè che provenivano dalla nostra Car- 
magnola , quando era soggetta alla Francia , i quali vestivano 
quell'abito corto, indi probabilmente nacque il nome dell' abito. 
Lo Scheler non sa decidersi tra questa etimologia e 1 ’ antico 
frane, cramignole, specie di copertura del capo. » — Mi pare inu- 
tile riferirla per intero; e quasi inutile far notare, che qualche eco 
se ne ripercuote nella canzonetta partenopea. 

Il 13 giugno, giorno di Sant’Antonio, è la data delPentrata 
in Napoli del cardinale Ruffo: nel 19 vi fu la capitolazione. Son 
fatti noti lippis et tonsoribus , che non hanno bisogno di essere ri- 
petuti. Preferisco, invece, recare alcuni versi curiosi, probabil- 
mente inediti e di un periodo precedente, intitolati V Orazione 
dei Fellosi. La peblaglia è suppergiù, sempre, la stessa: cette der- 


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3 é8 


ttière classe du peuple y qui , ne connaissant rien y rì ayant rien, ne pre- 
nant intèrél à rien , ne sait que se vendre à qui veut la payer , per 
valermi di alcune parole di Andrea Chénier ( Oeuvre en prose , 
Paris; Garnier, 1879, p. 4 parte politica). Trascrivo : 


Sia lodato e ringraziato 
Chillo gruosso e gran soldato; 

E pregammo Santo Jennaro, 

Che nge provveda de qualche denaro. 
Lo pregammo co’ tutto lo core. 

Che venga priesto lo ’Mperatore. 
Viva Maria ! Viva Maria, 

Co’ Carlo sesto pe’ compagnia. 

Santo Francisco e Santo Iacinto 
Ne faccia ire Filippo quinto. 

Resta sulo lo ’Mperatore 
Chisto è buono p’ ’a puvertate, 
Pocche è chino de pietate. 

Crepa e schiatta Filippetto, 


’Sta jornata no’ la vide, 

Co’ l’ajuto de li Sante. 

Morarranno tutte quante. 

’Sta casata di Borbona, 

Sempe è stata *na latrona. 

Poco santa e crestiana. 

Ugonotta e loterana. 

Ma lo muorto ’Mperatore 
Cristiano e defensore 
Sempre ò stato de la fede; 

E pregammo addonca Maria, 

Che priesto nge leva da ’sta Terannia. 
Amcriy così sia ! 

Fallirne bere, Gnora mia. 


Le allusioni chiariscono la circostanza. Non ho mutato sil- 


laba, neppure quando il verso zoppica. Sul Molopiccolo v. Napoli 
e luoghi celebri delle sue vicinante , 1845 , voi. I Quartiere Porto. 
’Nccpp' ó Tonte, cioè il Ponte della Maddalena , in prossimità del 
Ponte-TJccardo , ricordato più di una fiata anche dallo Sgruttendio 
(V. ediz. Porcelli, p. 48, 181-2) e da Giambattista della Porta, 
in un luogo della sua Cbirosofonomia, che comincia : — « Et acciò, 
« che avessi abbondanza degli uomini ec. ». — Quando si affor- 
cava qualcuno, i cadaveri degli appiccati restavano appesi a terror 
de’ rei, in guisa, che, spesso, in questo luogo si solevano ese- 
guire delle condanne capitali. Parmi inutile aggiungere, che presso 
il Ponte della Maddalena morì combattendo il Serio , autore di 
quel grazioso libretto del Vernacchio e di non poche altre cosette. 

Passiamo alla seconda canzonetta , che ha stretta parentela 
con la precedente : 


I. Pronte so’ Ji bastimenti, 
Le castello song’ arrese, 

Pe’ lu mare nc’è l’Inglese 
Si vulite servitù. 


Trariturc, andate in giù! 
Site ’mpise, 

Nu’ putite arrubbà’ chiù ! 

II. Pronte so’ li bastimenti, 


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ALCUNI CANTI LOCALI 3 69 

Va a la forca, patriotta; 

Preparateve ’e fangotte, 

Perchè avite da parti’ ! 

Trariture, andate in giù; 

Jate ò Ponte, 

Nu* putite arrubbà’ chiù ! 

III. Addò è ghiuta ’onna Lionora 
Ch* abballava ’n copp’ ó triato, 

E mo’ abballa co* ’e vruoccole ’e rapa, 

N’ha pututo abballi’ chiù. 

Trariture, andate in giù; 

Jate ó Ponte, 

Nu’ putite arrubbà’ chiù ! 

Per le allusioni storiche si può riscontrare il Colletta e qualche 
altro, specie i due recenti volumi del Conforti. Si racconta, che, 
poco prima , tornando da Napoli un siciliano , e chiestogli cosa 
si facesse, rispondesse: Fami , pani , farina , carestia, J Carca, ca- 
vaddaria , fanti , draguni , | Serra-serra , cuce agni , vicaria, | Curri- 
curri , pattugghia, cunfusiuni , | ditali , elettu , capudeci , via , | Casi, 
famigghìa , nota, mutagiuni, | Fumi , barracchi , ’mbroglia, rubarla , | 
Curii , dispacciti , guvernu , cugghitmi. Dei resto, al dir dello Chénier, 
la persécution ne fait pas de prosèlyles; elle ne fall que des marlyrs . 
Lionora .... cioè la Eleonora de Fonseca Pimentel, che, posterior- 
mente, tolse il de, indicante nobiltà e, democratescamente, vi pre- 
mise cittadina , dopo essersi tagliati i capelli corti alla repubblicana. 
Nata in Roma, il 20. Vili. 1748, fu impiccata sulla piazza del 
Mercato , in Napoli nel 20. Vili. 99. (Riscontra le notizie nel 
D’ 'Ayala , Vita degli italiani benemeriti della libertà e della patria , 
uccisi dal carnefice . Roma, 1883; e più di tutto un recente lavoro : 
Benedetto Croce, Eleonora de Fonseca Pimentel, Roma. Tip. nazio- 
nale, 1887). Il La Cecilia, nella Storia segreta delle famiglie reali 
(Genova, 1860. Voi. Ili p. 495), ha stampato il seguente canto 
(con qualche modifica, ripubblicato, anche, dal nostro Molinaro 
ne’ Canti del pop . nap., p. 102) alcuni versi del quale pónno pas- 
sare per una variante : 


IV. Addò è ghiuta ’onna Lionora, 
Ch’ abballava ’n copp* ò triato, 

Mo’ abballa co* ’e surdate, 

N* ha pututo abballà’ chiù. 

Trariture, andate in giù; 

Jate ó Ponte, 

Nu’ putite arrubbà’ chiù ! 

V. Addò è ghiuta cheli’aria smargiassa 
Chille ricci, lu mustacce e li barbette 
E chelle cauze a brachette ? 

Nu’ se pónno purtà* chiù! 

Trariture, andate in giù; 

Jate ó Ponte, 

Nu’ putite arrubbà’ chiù ! 


Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


3?Ò 

’A signora Donna Dianora, 
Che cantava ’n copp’ ò triato, 
Mo* abballa ’mmiczo ó Mercato. 
Viva, viva ’o Papa santo, 


Che ha mannato ’e cannuncine. 
Po’ scaccia’ li giacubine. 

Viva ’a forca ’e Masto Dunato, 
Sant’Antonio sia priato ! 


Cosi la plebaglia mostrava la sua gratitudine , insultando i 
caduti ! In quei tempi di affratellamento universale, erano comu- 
nissimi questi balli festanti, specie intorno all’albero della libertà, 
tanto frequente! In un esemplare della Memoria slorica degli av- 
venimenti pop . di ‘Njipoli ..., posseduto dal Comm. Casella, vi sono 
vari disegni a mano, rappresentanti simili danze. E nel Monitore 
della T^epubblica Napoletana una c.l indivisibile uguaglianza-libertà , 
scritto dalla Pimentel, così si descrive una di queste cerimonie : 
— « Fu piantato innanzi al palazzo, già regio, Yalbero della libertà , 
cioè un gran pino con tutte le sue radici e parte delle sue foglie 
colla berretta della libertà sulla cima e di fianco la bandiera 
nazionale, legativi con fasce tricolori. Furono invitati, partico- 
larmente , a tal funzione i patriotti di Castel S. Eramo , che vi 
ballarono intorno. La sera nel teatro S. Carlo fu cantato un 
inno patriottico in mezzo a’ pili lieti evviva alla libertà ; le mag- 
giori esecrazioni dell’ espulso tiranno ». — Le qu ai parole pónno 
servire, pure, di commento a qualche parte della mia canzonetta. 
E tutto era invaso da lue demagogica ! Nel secondo numero del 
Monitore , s’inculca di scrivere — « civiche arringhe nel patrio ver- 
nacolo », — consiglio seguito da Michelangelo Cicconi col suo 
evangelo e con i dritti dell'uomo, spiegati a Icngua nosla ; ed il Fra- 
grano, con le arringhe. — Fu fatta la mozione , perchè coloro 
i quali con teatro portatile di burattini vanno divertendo il mi- 
nuto popolo per le piazze, facciano anche da questi trattar sog- 
getti democratici. E quei cantastorie, che similmente, per le piazze 
cantano favole di Rinaldo e di Orlando , cantino delle istruttive 
canzoni napoletane. La mozione fu approvata e fu fatta nota 
di varii soggetti cui dar l’incarico di tali canzoni ». — Che dico ? 
Si giunse, fino a battere moneta, come quella descritta, ultima- 
mente, da Vito Giuffrida : — « ... Nel diritto porta attorno attorno 
ed incorniciando una colonna o fascio di verghe che sia, colla 


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ALCUNI CANTI LOCALI 


371 


scure ed il berretto frigio in cima, la seguente leggenda: Re- 
pubblica c Njipolena. Nel rovescio, invece, si trova una corona 
di alloro ; e la seguente data : Anno seti imo della libertà ». — 
(R,ap. Let. y 14. XI. 86). Parmi quasi inutile aggiungere, che Mastro 
Donato era il famigerato boja del tempo, come, in altri, fu Mastro 
Agostino. Sant'Antonio faceva da protettore alla santa Armata ! 

Certo , in molti di questi versi , invano si cercherebbe la 
temperanza e Y equanimità ; ma si tratta di gente mossa da spi- 
rito di parte; e non tutti hanno il sangue freddo, che si pretende 
aver mostrato Re Carlo XII. Mentre dettava una lettera al segre- 
tario , scoppia una bomba ; al chiasso cade a costui la penna di 
mano: — « Che c’ è ? » — chiese il Re, con volto tranquillo. — 
« Eh ! Sire, la bomba....-» — « Ebbene, cos' ha di comune con la 
lettera, che vi detto ?... Continuate !» Ma lasciamo le digressioni 
e torniamo ai canti. Voglio trascriverne uno tegianese, ed anche 
d’indole politica : 

Chi ha chiantatu lu pala ? 

— Roti Titta Coletta e Ron Conu Curraru. 

Chi l’ha puostii lu cuppulone? 

— Ron Titta Coletta c Ron Conu Maggiore. 

Iemmu ra Ron Dunatu, [Ferri] 

N’ abbuscamniu ’na varriata. 

Iemmu 'dò le Selvcstre, 

Si trovaronu pronte e leste. 

Prericammu ‘mpassu, ’mpassu, 

Pc* chiecà’ lu populu bassu. 

Vulimme amare a Dio, 

Viv’ ’o Re cu’ la Regina ! 

Il palo è una memoria della rivoluzione francese. L’ Alfieri 
parlando di questi signorini nell'epig. XLI del Misogallo, sciama:... 
Tot per toglier loro i lutti | Del reciso ulivo 0 cerro, | Un trist* al- 
bero lor piantano | 0 sia nespolo 0 sia serbo | Del qual molto si mil- 
lantano , J Gareggiando il birbo , e Y orbo. || Un tal frutice ban chia- 
mato | D arboscel di Libertà. Eccetera. 

Parecchie altre canzonette d’indole politica, si pònno riscon- 
trare nella raccolta del Molinaro , Canti Storico-politici , Part. V. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


E colgo questa opportunità per raccomandare un brano del Ba- 
sile , ricco di allusioni a* diversi siti di Napoli ( Pent . Ior. I, 
Trat. VII, ediz. Porcelli, p. 86-7). 

Ed ora un gentil canto, pure tegianese : 

Chi vole verò’ Su fonte de bellizze, Chi lo vole dà* ’nu passu avante ? 

’Nante a Santa Maria a spasseggiare, Donna Rosina passa a tutte quante. 

Nc’ è Zarafina cu’ le bionne trezze, Chi lo vole dà* ’nu passu arreto ? 
Donna Manetta le sape Strecciare. Cuncetticchia pare Su poeta. 

Santa Maria , è la caddedrale del paese, dedicata a \Y Assunta, 
e di cui la descrizione si può riscontrare in Diano e P omonima 
sua valle del Macchiaroli (p. 13 3-143). Fra varie cose degne di 
nota, contiene un ambone del 1279, ricordato con lode anche da 
Demetrio Salazaro in quelle sue escursioni sui monumenti nelle 
provincie meridionali, e del qual l’istesso Macchiaroli ha dato la 
descrizione in un opuscolo in proposito. Innanzi alla porta mag- 
giore v’ è un piccolo spiazzo, cui si allude. Serafina , la figliuola 
di un tal Nicola d’Alto, alias , di Chiejo, attualmente rivenditore 
di sale e tabacchi. Donna Manetta e donna Rosina, figliuole del 
quondam notajo Cono Carrano. Una var. dice : ‘Donna ‘Pjisina 
spiungula re belline. E finalmente Cuncetticchia , cognominata 
Cuncetta re Cun^umata dall’agnome della madre Anastasia. (A tal 
proposito v. nel Muratori, Dissertazioni sopra le antichità italiane, 
Tom. II; le Diss. ni XLI, II Dei nomi e soprannomi degli antichi e 
Dell* Orig . de' Cognomi). Lascio questo discorso, che menerebbe 
troppo per le lunghe; e passo ad un’ altra ottava : 

Povero Farcone cornine l’ha patuta, Avea li ricce Sfronte, era pelito, 

Che pe’ la mamma face lu surdatu. Pe’ surdati gli P hannu luvatu, 
S’avesse pigliato Su giovene pelitu, Avea la voce bella e cantava pelito, 
S’ ha pigliato bannitu strasceratu. Maria Arcangela se nc’ è curcatu. 

Qualcuno, forse, ingannato dalla simiglianza del nome, po- 
trebbe pretendere di fare un ravvicinamento col giuoco: Nè a - 
prite | Nè aprite porte a ppovero Farcone , ricordato dal Basile, verso 
la fine della introduzione delle Ior. II del Penta mero ne. Ma, invece, 
si tratta di un fatto puramente locale: Farcone , è un soprannome; 
il vero nome è Nicola Fa il soldato per essersi la mamma 


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ALCUNI CANTI LOCALI 


373 


(rimasta vedova) rimaritata e privatolo dell’esenzione. Ed al po- 
veretto han fatto recidere anche i ricci ! A lui dal canto si soave 
e gentile tanto da innamorare ogni donna.... ! 

E, qui, voglio aggiungere un altro canto, che, pure, ho u- 
dito dire locale; ma che tale non posso asseverarlo, mancandovi 
allusioni caratteristiche. Comunque, eccolo: 

Quannu lu pastore vaje a la ch'uzza, Munge -pecora e mena- pecore, 

Conime a ’nu cane se mette a lu pizzu, Ogiva ghiuorno fa accussi. 

Cu’ Y accetta ’nfelata a lu vrazzu. Fior de viola, 

Fuje, pastore, che fietc r’ accizzu! Senza libre nu’ se vajc a la scola! 

Fiete d'acido, senti d'acido. No !... preferisco recare un brano 
del Macchiaroli sul vestire degli abitanti di questa valle. Il Gul- 
liver ne’ Viaggi di Swift, c’informa, che, trovandosi a terra, non 
trascurava di notar gli usi ed i costumi de ’ popoli .... ; e noi vo- 
gliamo imitare un pochino il suo esempio. « Gli uomini vestono 
calzoni corti, fino al ginocchio, con aggiustacuore, per lo più, di 
color scarlatto, e con una casacca ornata di velluto, calze bian- 
che e con scarpe grossolane, avendo smesso 1' uso de 1 cosi detti 

gambitti, o sandali, annodati con cordelline di pelo di capra, clic 

usano, ordinariamente, allorché si recano ne’ campi, o per colti- 
vare la terra, o per accudire alla industria de’ loro animali. Tal 
vestimento è, per lo più, di lana, cosi nell’inverno, come nella 
està. Nella stagione jemale taluni usano il cappotto, volgarmente 
riconosciuto sotto la volgare nomenclatura di cappa, per essere 
più corta di quello. Ma i più vestono i cosi detti giacchi di cuojo 
di pecora, o di capra, dal quale non si tolse la lana, od il pelo; 
e ciò per causa delle intemperie, dell’ acqua e delle nevi, a cui 
vanno esposti per coltivare i terreni, o per guidare gli armenti. 
La vestitura, poi, delle donne volgari, varia secondo l’uso di cia- 
scuno dei mentovati paesi. Per lo più, vestono una gonna con 
un farsetto, senza maniche, essendo queste separate da esso; ma 
ve le annodano, la mercè di nastri, e fettucce di seta. Il farsetto, 
in quanto al colore , si usa a seconda del genio ; ma d’ ordina- 
rio è scarlatto, di castoro, od anche di seta. Polla, S. Arsenio, 
5, Pietro al Tanàgro , $ala, Padula , Montesano e Casalnnovo, 


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ARCHIVIO PBR LE TRADIZIONI POPOLARI 


(che hanno una tal quale somiglianza di vestire) guerniscono 
il farsetto chi con galloni d’ oro, o d’ argento, secondo la pro- 
pria costumanza, e condizione; e chi con semplici fettucce , o 
nastri di seta. E , se togli le donne di Sassano, di Monte San 
Giacomo; ed in certo modo, anche quelle di Diano, che, oggi, 
imitano la foggia e portamento delle donne di Sala , hanno 
tutte al di sotto della gonna un sottanino , chi di lana color 
rosso, e chi di altra roba, e colore, e dal quale principalmente 
si discernono, se di uno o di un altro de’ summentovati paesi. 
Le donne di Polla ornano il lembo della gonna anche con gal- 
loni d’oro, od argento. Generalmente, poi, le donne della Valle 
di Diano (meno quelle di S. Giacomo e Sassano) fatino cadere 
sul petto per modestia , un fazzoletto da collo , arnese di velo, 
tela , o drappo , secondo la varia loro condizione di agiatezza. 
Quanto airabbigliamento, che si usa per coprire la testa, è di- 
verso , secondo la varia foggia con che piegano la tovagliuola 
di che si coprono. Quella di S. Rufo è di panno rosso, o di 
castoro , o drappo si simile tinta : la maggior parte degli altri 
paesi è bianca generalmente, salvo le eccezionalità. In S. Gia- 
como e Sassano le donne si coprono il capo con panno nero 
di lana ; quelle di Casalnuovo V usano o di drappo , o di seta. 
Finalmente, la piegatura delle tovagliuole usate dalle Dianesi, è 
lunga palmi tre, e larga meno di mezzo palmo, costando di 
varie pieghe. In chiesa , però, le donne di Sala, di Diano, di 
Padula, di S. Pietro, di S. Arsenio, e di Polla, usano delle volte 
anche il panno a sciallo sul capo , di castoro, o panni fini, il 
cui colore è a genio ; e quelle di ricca condizione 1* usano con 
ricami d'oro al lembo. » ( Op . cit., pp. 23-4). Ma è ormai tempo 
di tornare a* canti ! 


Rianu ri quatti pizzili ia cumpuostu, 
Ri tutti quatti si nc' ia ’nnanniratu. 
’Nnanti la Nunziata stanni li culurite, 
Tènini lu coru ’nzignalatu. 


Quere ri la ppisterna so’ sanrite, 
Tenini lu mussillo ’nzuccaratu. 

Si vo’ acchià* li donne pilite, 

Ra Santu Antoniu fignu a la Pietati. 


Ha qualcosa di simigliante nell’ insieme con una villanella, 
che comincia : Montella è compuosto a quatto pi^i, eccetera, inclusa 


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ALCUNI CANTI LOCALt 


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ne’ XL | Canti ‘Popolari Inediti | di | Montella || Napoli | R. Stabi- 
limento tipografico del cav. F. Giannini | Via Cisterna dell’Olio, 
4 a 7 | 1 88 1 [per nozze Capone-Ferrajoli]. Ppisterna, porta po- 
steria, cioè di soccorso alle mura della città. Per Diano, oggi Te - 
giano oltre il Macchiaroli, ( Op . cit.), si può riscontrare : Ji travers 
| L'xApulie | et la Lucanie | notes de voyage | par | Francois Lenor- 
mant | Paris. | A Levy libraire-éditeur | 13, Rue Lafayette, 13 | 
1883 , tomo secondo, quantunque si sia giovato non poco del 
Macchiaroli, che cita a pag. 90, et passim ; e lo loda pur rettifi- 
cando qualche cosa. Anzi, — giacché vi siamo, — è buono ricordare, 
che questo risulta meglio da due lettere inedite del Lenormant a 
Raffaele Romano di Padda. Nell’una, da Parigi, 24. XII. 82, gli 
chiede il libro per consultarlo, avant d’écrire sur moti voyage; e nel- 
l’altra, (Parigi, 12. I. 83) lo ringrazia del dono... doppiamente pre- 
zioso, utilissimo al suo lavoro e ricordo della gentile ospitalità di 
Padula. ..Secondo lui, Diano è contrazione dell’antico Tegiano (p. 89), 
giacché il Mommsen opina trovarsi nella stessa sede (pag. 90 id.). 
F. F. Curcio Rubertini (a pag. 112 della sua Storia della Lucania 
dalle origini , fino ai tempi nostri , parte prima, Napoli, Stabilimento 
Tipografico di P. Androsio, Cortile S. Sebastiano, 1877), ritiene 
che Tegiano derivi da Tegea! Per le notizie sulla Nunciata , cfr. 
Macchiaroli, op. cit. p. 159-163; sulla Pietà, p. 144-150; e Sant'An- 
tonio è fuori del paese , quasi in prossimità della fontana. Ma, 
qui, deve dire, come reca un’altra variante ed è più logico, Ra 
Sant'tAndrea finghe a la Nunziata, (p. 158-9). Partili quasi inutile 
aggiungere, che acchiare significa trovare ! 

Ed una satiretta : 


’Nnante Santu Martinu 
Nc’ hannu fattu ’na barracca, 
Concetta se vole fà’ santa 
Don Ceccillo se vole ’nzurà’. 

Ra sotto a le Cavailare 
Nc’ hannu fattu 'nu mulinu, 
Cuncetta e don Ceccillo 
Nce voleno macenà*. 

Segnore purdunate, 

Ca i’ aggio pazziato, 


Pe' questa varriata 
Ca i* ’aggio abbuscato. 

Concetta poverina 

L’hannu cacciata p’int’a lu mulinu, 
Don Ceccillo poverommo 
L’hannu pigliatu cu’ ’nu bastone. 

Respunneva Concetta : 

— « De lu mulinu miu 

Non è patrone nesciuno 

Don Cencillo nce vole sferzià’ 1 » — 


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37^ ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Mi astengo da qualsiasi commento, chè ormai, mi par tempo 
di finire. Anzi a tal proposito, mi piace ripetere le parole di Nun 
ziante Pagano nel Le bbinte rotola de lo Vaiandone ( Ruol . II): 

Ma se po’ vuoje, che l’auto riesto sforno, 

Tantillo aspetta, quanto 'mpasto e torno ! 

Tediano, 9. XI. 89. 

Dev.mo cbbl.mo 

Gaetano Amalfi. 



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CANTI POPOLARI PICENI, 

RACCOLTI IN OFFIDA. 


i. Se vuoje che t'ame fatte squertecare, 
Fattela leva via 'sa pella néra,, 

Dalla tua mamma fall* imbucatare, 

E mittela a scieccd su la caténe; 

Quande la jé scieccate bène bène, 

Trova chi t'ama e chi te voja bène. 


2. Belluccia che te vojo bénédire 
Dalli capelli voje incominciare: 

Dalli capelli me ne vo' alla fronte, 
Pare 'na stélla quande lèva al monte; 

E dalla fronte me ne vade agli occhie, 
Pare 'na stélla su la mèzzanotte; 

E da li occhie me ne vade al naso, 
Pare un cannèllo d'oro profilato; 

E da lu nase me ne vo' alle guance, 
wPare 'na rosa spampalate e bianche; 

E da le guance me ne vo' all’orecchio, 
Pare dó rose spampalate frésche; 

E dall'orecchio me ne vo’ alla bocca, 
Pare ’na rosa spampalate doppia; 

Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X, 


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37$ ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

E dalla bocca me vo’ a la gola, 

Pare ’na palombèlle quande vola; 

E da la gola me ne vo’ a lu piétte, 

Stella Diana e paradise apiérte !... 

3. 'Mèzze e lu mare ce sta’ ’na bettéga 
Déntre ce su ’na donna maretata, 

Che va’ vennènne li Iacee de séta. 

4. 'Mèzze e lu mare ce vuoje fabbrecare 
'Na palazzina che 'na pietra sola. 

5. Faccete e la fenestra cacalosa. 

Li gatte te la fa la serenata, 

Li surce te la sporca la camiscie. 

6. La bonaséra e tutte le zitèlle, 

A tutte ve la facce foste mille, 

E voi fra tutte séte la più bèlle. 

7. Tutti me dice che sèi tanta bella. 

Le tue bellézze nè V ò viste mai; 

Se ne le porti sotte la guarnèlla 1 
Che su la facce 'n te IV viste mai. 

8. Tutti me dice che l'amore è péne. 

Dillu ’mpuo' e Mariucce che l’ à pruove, 

Che s’è redotta a file ne cannéle !.. 

9. La mamme dèi mie amor è ’na santa donna, 
Se ruba li quatri, può' me li manna. 

10. E lu mie’ amore se chiame se chiame 
Ne me recorde lu nome che avéva. 

11. Fior de grugnale, 

Me Pài tirata ’na vrecca 2 a lu core, 

M'avéte colte e m’ a fatto male; w 

Colto m’avéte e male me à fatto, 

M'à fatte strugge ’1 cor com’ un confètto. 

1 Sottana. 

* Breccia ■= ciottolino. 


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CANTI POPOLARI PICENI 


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12. Fiore de mèlo, 

De lacreme n* ò pièna ’na fontane, 

Sciojeme amore mie de ’ste caténe; 

De lacreme n’ ò fatto corre un fosso, 

Sciojeme amore mie che più ne posso; 

De lacreme n’ ò fatto corre un fiume, 

Sciojeme amore mie, ne posse piune. 

13. Fiore de mentucce, 

Pijate lu schieppitte e annate e cacce, 

Pe* ’ccide lu cellitte e Mariucce. 

14. Fior de mortèlle 

L'uocchie te ride e la vocca te parie, 

Pe* famme innamori se' nata bèlle. 

15. Fiore de pére 

Quanne me guarde tu 'n quine uocchie care. 

De la ménte me lève ugne pensiére. 

16. Fior de limone, 

Ò fatte ’n palazzétte dentr’ al mare, 

Fabbrecate de penne de pavone. 

17. Santa Croce 1 bè* a, bà, 

Lu maistre me vo’ ména, % 

Me vo’ meni che. la bachètte 
Santa Croce maledétte. 

18. Lu piu puovere da veci 
Sempre sta, quesci, quesci. 

19. Lu povere avanze 
Crèpe la panze 

Sta dèju 

Nesciune ce pénze. 

Questi due ultimi li cantano i ragazzi quando giuocano a castellina 11 
primo lo canta quello che dovendo tirare più davvicino tira per ultimo. — 
L'altro lo canta colui che ha rinunciato a tirare riservandosi per sè tutte le ca- 
stelline che sono state abbattute dagli altri, cioè V avanzo. 

1 II Sillabario. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Donna Lombarda. 

— Donna lombarda, perchè non m’ ami ? 


— Se ci ài marito fallo mori, 

T* inségnerò, t 1 imparèrò. 

Vanne nell’ orto del signor padre 
Che c’ è ’n serpènte che fa mori. 

Pije la testa de quel serpènte, 

Pistèla bè, pistèla bè. 

Méttéla dentro ’na carrafina 
Del vin più bò, del vin piu bò. 

Quanne ritorna lo tuo marite, 

Dajela a bé, dajela a bé. 

— Donna lombarda, damme da bé 
Che ò tanto sé, che ò tanto sé. 

— Quale lo vuoi del bianco o del nero ? 

— Del vin più bò, del vin più bò. 

— Donna lombarda, cos’ è sto vi ? 

S' intorbidò, s’ intorbidò. 

— Fu li lampeggi deir altra sera 
S’ intorbidò, s’ intorbidò. 

Parla un fanciullo de nove mesi: 

— Non lo bevé, che c ' è ’1 velé, 

— Con questa spada che ce ò nel fianco, 
T* ammazzerò, t’ ammazzerò. 

E cosi fanno alle donne tiranne, 


Le tre sorelle. 

E c’ era tré sorèlle e tutte tré d* amò 
Cecilia è la piu bèlla, se mése a navegà. 


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CANTI POPOLARI PICENI 


3 8l 


Lu navegà che féce, Y anello jé cadé 
Voltanno gli occhi all’ onde lo vide un pescator. 

— O pescator dell’ onde, vieni a pesca più ’n quà. 
Cercate lu mie anèlle, che m’ è cascate qua. 

— Dopo che T ò pescate, che cosa me darà ? 

— Ciénte zecchine d’ ore, ’na borsa recami. 

— Nen vuoje né zecchine, né borsa recami, 

Solo un bacin d* amore che, cara, tu me di. 

— Se lu resi mio padre, che cosa me dirà ? 

— Sta zitta, ne di gnènte che j te sposerò. 

— Dopo che m* ài sposate, dove me porterai ? 

’N cima a quel monticèlle andréme a fa ramò. 

— Te farò fi ’na casa de trentasei mató, 

Te la farò dipingere da trantasei pittò. 

Te farò far un abito de trentasei colò. 

Te lo farò cucire da trentasèi sarto’. 


Officia, aprile 1 891, 


Michele Angelini. 




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INDOVINELLI TOSCANI. 


I. — Ci ho una borsina 
Cucita alla rinfranta 
Spaccata nel mezzo, 

E chi me la tocca 

Gliela butto nella bocca. (. La tasca), 

| IL — Lo babbo lungo lungo, 

La mamma tozza tozza, 

Li figli neri neri. 

Li cuscini ( cugini ) bianchi bianchi. (iZ pino). 

È in parlata di Pavana presso la Porretta. Una variante italiana è quella 
che riprodusse il Rua nell 'Archivio, VII, p. 462, n. 129. 

III. — D’alto palazzo casco, 

Casco in terra e non m’ammazzo 

E da tutti son calpestata. {La neve). 

Cfr. Salvioni , Centuria d? Indovinelli pop. lombardi , n. 68 ; Gianandrea, 
Indovinelli marchigiani , n. LVI1. 

IV. — Lunga lungagna 

Attraverso tutta la montagna. (La stessa). 

Senza contare gl’indovinelli siciliani sulla neve (vedi Guastella, nn. 219 e 
220), abbiamo del primo di questi, varianti bolognesi in Corazzine pag. 308 
e in Coronedi-Berti , Indov . bologn., n. 21; veneziana in Bernoni , n. 40; 


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INDOVINELLI TOSCANI 


383 

tirolese in Schneller, p. 255; istriana in Ive, p. 302; lombarda in Salvioni, 
n. 63 ; marchigiana in Giànandrea , n. LVII ; ferrarese in Ferraro, n. 143; 
toscana in Pitrjè, Saggio, n. 20. 

V. — Il babbo è tortiglione, 

La mamma è tortorella, 1 

Ha una figlia cosi bella 

Che tutti ci s’innamora. ( La vite). 

Variante di altre versioni: fiorentina, senese, bolognese e beneventana edite 
dal Corazzine pag. 315, nn. 28-31; qualche differenza hanno le due versioni 
siciliane finora pubblicate. Due varianti marchigiane ne ha il Giànandrea, 
n. XXXVI. 

VI. — Ci ho un botticino 
Di due sorti di vino, 

Non si apre e non si serra, 

Se non si batte in terra. ( [L'uovo ). 

Una versione della Garfagnana Estense ha solo questi due versi : 

Un barelino 

Che tiene due fiaschi di vino. 

Una versione beneventana ed una veronese ne ha il CoRAZZiNi,pag. 3 31; una 
veneziana il Bernoni , n. 22; una istriana PIve, pag. 302; una lombarda il 
Salvioni, Centuria , n. 93; una bolognese la Coronedi-Berti, n. 42; una pie-* 
montese il Seves, Saggio , n. 94. Un po’ diverso è il 102 della raccolta di 
Canti pop. marchigiani di D. Rondini. Il medesimo è quello riprodotto dal 
Rua, dagli antichi Indovinelli , Riboboli, Tasserotti et Farfalloni , n. 80 b . (. Archi- 
vio , VII, 458). 

VII. — Tondo bistondo. 

Bicchier senza fondo; 

Fondo non è, 

Bicchiero lo gli è. (L'uva). 

Diverso dal siciliano n. 327 del Guastella. 

Vili. — Ho quattro sorelline 
Che si corron dietro 
E non si arrivano mai. (L’arcolaio). 


1 Si adoperano le parole tortiglione e tortorella perchè il palo e la vite 
son torti. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Versioni siciliane se ne ha in Pitrè , Canti pop. II, pag. 72, n. 865 e 
Guastella, n. 14; una versione greca di Terra d’Otranto in Morosi, p. 80; 
una di Spinoso in Imbriani e Casetti, voi. II, p. 741. 

IX. — Sotto il ponte di Regeri 
C è tremila cavalieri. 

Tutti gli hanno il berretto rosso. ( La saggina ). 

Somiglia, in certo modo, all’indovinello dell'anello, nn. 9-10 della raccolta 
siciliana del Guastella. 

X. — Quattro ritti 
Sedici fitti fitti, 

Due lanternini, 

Due cartoccini 

Una spazzola che fa per casa 
Enne e ne, enne e ne : 

Apponetevi che gli è? (Il gatto). 

Corazzimi, pag. 31 1, n. 21, ne ha una variante beneventana. Un po’ di- 
verso è il n. 356 del Guastella; un quissimele è il piemontese di Pinerolo 
del Seves, Saggio, n. 63. 

XI. — Io son preso e son legato, 

Son battuto e flagellato, 

E di spine incoronato. 

Non son uomo, non son Dio; 

Ma se giungo all’esser mio, 

Sarò uomo e sarò Dio. (Il grano). 

Varianti veronesi e beneventane in Corazzimi, pag. 3 14- 3 15; siciliane in 
Guastella, n. 137; italiane letterarie nel Laberinto intrigato, pag. io, e nei 
Giuochi di Conversazione , pag. 89, n. 8; marchigiane in Rondini, Canti po- 
polari, n. 11 6. 

G. Pitrè. 



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S. FRANCISCV 'E PAULA: 

STORIA POPOLARE CALABRESE. 


O San Pranciscu ccu ssa varba fina, 

Intra li Santi nun ci n’ à lu guali; 

Tu de Paula facisti na Rigina, 

S* avanta ppe lu munnu paru paru. 

Meracoli n’ à fattu de cuntìnu 

Ppe quantu à stilli ’n cielu e rina a mari. 

Azzoppasti 1 a na forgia na matina : ^ 

« Mastru, stu ciucciu vienimi a ferrari ». 

Lu mastru 1’ à circatu tri carrini 
Cà fierri e posti 2 s’ ànu de pagari. 

E San Pranciscu si fici currivu: 

« Ciucciu, li fierri jettali a ssu chianu » ! 

Lu ciucciariellu scotulàu 3 li piedi 
E jettatti li ferri allu forgiaru. 

Meraculu chi fò chilla matina ! 

Lu mastru de paura strangugliau 4 . 

Pua San Pranciscu si misi ’n caminu 
Ed arrivò allu mattu 6 de lu mari. 

1 Arrivasti. — 2 Chiodi. — 3 Scosse. — 4 Mori alPj stante. — Riva. 
Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X. 49 


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3 86 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Trovau nu bastimentu de Missina: 

— « O marinarli, vienimi a mmarcari ». 

— « Si n’ à* dinara, mmarchi, passaggieri, 
S’ u n à, riesti allu mmattu de lu mari ». 
San Pranciscu dinara nu n’ avia, 

Spannietti lu mantiellu supra mari ; 

Lu mantelluzzu camina camina 
A Y autra riva lu fici sbarcari. 

Stu meraculu ’n Francia si sapìu, 

Lu Re de Francia lu manna a chiamari. 

Quannu Franciscu ppe Francia partìu 
A nu munti àvutu àvutu nchianau *; 

• Mmersu la Patria lu sguardu girla 

E de lacrimi spanni dua jumari; 

Pua la sua Patria arricummanna a Diu, 

E ppe la benadiri aza la manu. 

Supra lu munti duvi si puniu 2 
Li sua pedati santi ci lassau. 

Lu Re di Francia lu vozi 3 vidiri; 

Ma San Pranciscu lu fici tremari : 

Tutti i peccata sua li sbentulia 4 
O Maistà, pripàrati la vara ! » 

De Napuli lu Re lu fa veniri 
E li porta na gista de dinara. 

— « Chisti dinara tua nun fau ppe mia, 
Alli povari Y ài de dispensari. 

Chisti su’ sangu de Y affritti ’e Diu 
Su’ suduri de genti muorti ’e fami. » 

Na forficicchia si fici veniri, 

Zaffiti! nu zicchinu a dua tagliau: 

Lu sangu guttiò de lu zicchinu.... 

Lu Re de la paura ’ntremulau 5 . 


1 Sali. — * Posò. — 3 Volle. — 4 Pubblica. — 5 Tramorti. 


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S. FRANCISCU ’e PAULA 


387 


Quannu mienzu de Napoli venlu 
Na povarella si cc’ abbicinau, 

E chiangia e gridava:— « Patri miu, 

Nu stuozzu 1 'e carni iu Perrama 2 figliavi; 
Mo* chi ni fazzu ? lu portavi a tia 
Chi tanti muorti ’mmita fa tornari. » 
Meraculo chi fo’ chilla matina ! 

Lu Santu nu bomminu ti ’mpastau 
Chiù biellu de na rosa dommaschina 
Ed alla mamma ’mrazza lu dunau. 

Pua San Pranciscu si misi ’n caminu 
Ccu lu cumpagnu ppe nu vuoscu amaru: 

E mpicatu 3 trovattiru a nu pinu 
Nu povariellu muortu, chi puzzava. 

— « È carni vattiata, è figliu e Diu ; 

Priestu, cumpagnu miu, scinnilu ccadi \ » 
Pua V abbrazzatti ccu nu gran suspiru, 

E chillu muortu si risuscitau. 

A nu paisi de Sigilia arriva, 

Chi ppe mancanza »d’ acqua s’ assiddava. 

Lu Santu nuostru la canna si p'ià 5 
E a na praja 6 de jumi si ni vadi : 

Fa signu all’acqua, e l’acqua si susìu 7 
Ed appriessu de illu si mmiau. 

Illu ppe vaili e ppe muntagni jia 8 , 

E l’acqua appriessu scinnia e ’nchianava 9 : 
AUu paisi, ch J e siddi moria, 

Nu jumi d’ acqua frisca ci portau. 

Mmanti la genti, chi nu lu cridia 
Porta la vrascia viva intra li manu. 

Pua San Pranciscu camina camina 
Arriva allu Cummientu de Curglianu. 


4 Tocco. — 2 Erma, desolata. — 3 Impiccato. — 4 Q,ua. — 5 Piglia . — 8 Riva. 
7 Alzò. — 9 Giva. — 9 Saliva. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Eranu i Curglianisi senza Fidi, 

E San Pranciscu si ci currivau. 

Nu negliulizzu 1 ’e vruculi 3 scinniu. 

E tutti i simminati si manciau. 

Quannu li mastri briachi de vinu 
A Rifittoriu la carni purtuaru, 

U Santu nuostru si ficci currivu 
E china e viermi a carni si trovau. 

Quannu cc’ era na forti caristia 
Tutta a genti ncamata 8 casculava, 

(Era na squatra de chiù de trimila) 

Tu mmersu u Cielu levasti li manu ; 

E saziasti chilla gentaria 

Ccu n* ugna 4 e vinu e ccu nu sulu pani. 

Pua dintra de la Ghiesia, eh’ è vicina, 

Tu sulu sulu si’ jutu 5 a pregarì. 

Era nu scuru la Casa de Diu, 

Cà nun avia chiud’ uogliu u sacristanu; 

Tu ccu lu fuocu de li tua suspiri 
Allumasti li lampi de V Atari. 

E chilla vecchiarella, chi chiangia 
Ch* u niputiellu li moria de fami 
Si trova a novant’ anni i minni chini 
E lu niputi si cc’ appizzicau. 

A nu cumpari, chi i’ era fidili 
Nu gra ricuordu volisti lassari : 

Setti castagni chiantasti, e nascieru 
Allu ’ntrisattu 6 e li rizzi portaru. 

A Satanassu, chi stava currivu 
E sempri li carcagna ti zampava, 

Lu mannasti de ciucciu allu mulinu, 

E li facisti petri carriari. 

1 Folta nebbia. — * Cavallette. — 8 Affamata. — 4 Un poco.— 5 Sei an- 
dato. — 6 All* istante. 


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3»9 


S. FRANCISCU ’E PAULA 

È de lu terremota chiù eruditi 1 
Sulu lu tua Paisi si sarbau. 

Centinara e paisi, bonusia !, 

Nu munziellu de petri riventaru. 

O Paula, sempri cuntenta ti via, 

Cà fusti patria de stu Santu raru, 

Chi Meraculi fici de cuntinu 

Ppe quantu à stilli ’n cielu e rina a mari. 

Raccolta in Acri (Calabria) 1 86 1 . 

Francesco M. a De Simone. 


1 Si allude al terribile tremuoto del 1783, che fece tanti guasti alle Ca- 
labrie, e dal quale Paola fu preservata. 




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1 


PROVERBI BOLOGNESI. 


Meteorologia, stagioni, tempi dell’anno. 

Al muntan 

Fa purtar la zocca sàtta al gaban. 

Al vaint an va mai a laet cun la said ( cioè sen^a pioggia ). 

Chi mura in inveren 
Mura in etèren. 

Chi s’ ripaera satta la frasca, 

* L* ha qualla eh' piov e qualla di' càsca. 

In zaint àn e in zaint mis, 

L J àqua tàurna ai su pais. 

La guàza an fa correr i fus. 

Quand al novel van in so, 

Tù la scràna e sedi so; 

Quand al novel van in za, 

Tù i bù e metti a ca; 

Quand al novel van a la traversa, 

Tù i bù e metti la quèrta; 

Quand al novel van da sira, 

Tù la ràcca e fila; 


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PROVERBI BOLOGNESI 


3$I 


Quand al novel van da materna, 

Tù al sàc da la fareina; 

Quand ai novel van da dman, 

Tù al sàc e fa pan. 

Quand la novla fa la gratusa, 

O eia bagna o eia brusa. 

.Quand al fanz abbànda (in autunno ) 

Al furmaint affànda - 1 
Quand al pas affànda (in primavera'). 

Al pan abbànda. 

Quand al sàul da in-t’ al zaed, 

D’invèren a sain a méz. 

Quand al zil al fa la laena, 

Al piov un dé dia stmaena. 

Quand as mèd cun al zibàn,. 

As rimpess al sacadàn. 

Quand canta al gài in-t' al pulaer, 

S* 1’ è bàn taimp, as voi guastaer. 

/ 

Quand canta la garluda, 

Al taimp as muda. 

Quand 1’ àqua fa i gargoj, 

Lassum piover fin eh* a voi. 

Quand P è ràssa, 

O eia brusa, e eia sappia ( 0 pioggia 0 vento). 

Quand naiva in-t’ \i fojja, 

Al frad da poca nojja - 0 
Quand naiva in-t’ la fiàsca. 

Al va un invarnàza. 

Quand piov in-t’ al manval. 

As masda al mataral. 

Si fa molto farina. 

Quand piov in-t’ la guazae, 

Piov tott al dé o poc assae. 


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392 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Ràs ed sira, bael taimp a la materna - e 
Quand al sàul s * volta in drì, 

Baela mateina teini dri. 

S’ al piov al dé d’ PAscensiàn, 

Al va mael la granisàn. 

Sàtt' àqua la fàm, e sàtta la naiv al pan. 

Quando l'invernata è piovosa è da aspettarsi cattivo raccolto, e viceversa 
quand’è nevosa. 

Taimp cW lùs, 

Àqua produs. 

Taimp ed nót, dura poc - o 
Taimp ed nót, 

S’ al dura un àura, al dura tróp. 

Gennajo. 


Par P àn nóv, 

Salt ed bóv. 

Par PEpifàgna, 

Salt ed cagna. 

Par Sant'Antóni 
Maez àura bona. 

Quand znaer fa la palver. 

Prepaera un granaer d’ rauver-0 
Al zìi em guaerda da la palver d’ znaer e dal lang d’ Agast. 

San Bastian (20) 

Da la naiv in man. 

Sant* Antoni da la gran ferdura, 

San Lurainz da la gran calura: 

L’ón e Paelter poc dura. 

Se San Paevel (2/) al va scur, 

Del Calander an m’ in cur - 0 
Se la nót ed San Paevel P è bùra, 

Del Calander an m* in dàg cura. 


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PROVERBI BOLOGNESI 


393 


« Fare le calende » vuoi dire fare i pronostici del nuovo anno a comin- 
ciare col i° Gennajo fino al dodici successivo, seguitando con computo inverso, 
fino al 24. II i* Gennajo rappresenta il primo mese deiranno, Gennajo; il 2 ° 
risponde a Febbrajo etc. ; e cosi di seguito il 13 Dicembre, il 14 Novembre 
etc. L’osservazione poggia sulla massima « Calende chiare mese torbido », ciò 
che diciamo anche noi « Baeli al Calander , brott al mais ». Avverte però il 
proverbio bolognese che quando il giorno di San Paolo, che cade nel 25 Gen- 
najo, è scuro, tutti i propostici finti, buoni o cattivi, non hanno valore. 

Febbrajo. 

Febraer fa al pant, 

Maerz al ramp. 

Fabrraer, Febraról 
Maina i can alj or - e 
Par P Inzarióla, 

As maina i can a l’ora. 

Febraról curt curt, piz ed tott. 

L’àqua d’ Febraer, 

Rimpess la canteina e ’1 granaer. 

Far 1 J Inzarióla, 

O a eh* al naiva o eh’ al piova, 

DI’ inveren a sain fora; 

S’ a i è al suladal, 

In avain anc pr’ un nisarael. 

Sant Aegata (/), la taera arfiaeda. 

Par San Matti (24) 

La naiv par vi. 

Se Febraer an febrasazza, e Maerz an tnarzaggia, Avrei mael painsa. 

Marzo. 

Durds tant la maela vseina, 

Quant dura la naiv marzuleina. 

Maerz, 

Dai pa dccaelz ( prov . de nonni). 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 50 


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394 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Maerz, Marzaz, 

Cusum al cui c brisa ai mustaz. 

Pregiudìzio antichissimo a cui non sono estranee idee religiose dei popoli 
pagani, per le quali si è sempre creduto ad una potenza malefica del sole 
sopra gli uomini e le piante, ed alla possibilità d'andarne incolumi cogli scon- 
giuri. Il Placucci parlando di questa credenza ancora viva non molto tempo 
prima di lui in Romagna d«ce che : Nel primo di Marzo i contadini andavano 
sul tetto delle case e voltavano verso il sole il bel di Roma, dicendo appunto 
come noi « Sol d ’ Mer\ cusum e cui e non cusr eter 1 ». Nella stessa Ro- 
magna si ha ancora un accenno al cessare di questa strana usanza nel seguente 
scherzo fanciullesco : 

Pitrinè 1’ era in si copp, 

Che mustréva è cui a tòtr. 

Pitrinè 1 ’era in s’ la ci, 

Che mustréva è cui, che tótt è sa. 

La su marna la ’l ciamèva : 

« Pitrinè vèn zo da li, 

Che a t’ ho fatt un bel visti; 

Che è tu’ cui t’ pòssa crui » 2 . 

E noi pure in quest’altro : 

Zirudaela so pri copp, 

La mustraeva al cui a tott 
Par la fassa dia stanaela, 

Toc e dai la Zirudaela. 

Oggi si dice più comunemente : 

Maerz tenz, 

Avrei dpenz; 

Chi è d* bona fàurma, 

D’ Màz artàurna. 

Sul mese di Marzo vi sono pure, d’importanza metercologica , i seguenti 
proverbi : 

Maefz, Marzàn, 

Porta al gabàn 
E anc al zibàn. 

1 Placucci, Usi e ‘Pregiudizi della Tipmagna, p. 96 . Cfr. Bagli, Saggio ài 
studi sui prov . etc. della Romagna, negli Atti e mem. della R. Dep. di St.patr. 
P- 437- 

* Favoritomi dall 1 Avv. Bagli da una racc. ined. del Sig. Tom. Randi di 
Cotignola. 


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PROVERBI BOLOGNESI 


395 


Maerz, Marzót, 

Long i di quant el not - 1 
Quant canta al bót (di Mar^ó) 
Long i de quant el not. 

Per indicare l’equinozio. 

Maerz sott, Avrei bagnae, 

Beaet al vilan c ha summae. 

Maerz sott 
E non tott. 


Aprile. 

Aprile, 

Cava la vecchia dal covile. 

Cosi i nostri rustici. 

Avrei, Avrilan, 

Tevi so al ziban; 

S’ t’ al cavarae, 

T’ in pentirae. 

S’ t’ ac di fàs ed cavàz, 

Teini par Màz. 

Avrei, 

Toni i dé un barel. 

Avrei piuvaus, Maz vcneraus ( bello e chiaro), àn venturaus. 

Sant’ Agnais (20) 

La luserta pr' al pajais. 

Maggio. 

Chi ha un ban zoc, al tenna par Màz, 

Perchè ordinariamente in questo mese vi sono delle giornate fredde. 

Màz, 

Tott i dé un tinàz 

Quand Màz va urtlàn 
Vael pio al sàc eh 'an fa al gran. 


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396 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Giugno. 

San Barnaba ( n ) 

L’ u ven e al fiaur va 

San Zvàn (26) mett al sug in-t’ l’ù. 

Agosto. 

Aqua d' Agast, 

Prov* óra a t* acgnos. 

Settembre. 

A l9na Settemberina, 

Sat lpn s* incheina. 

S’I'è ban al de d’ San Gal (16) 

As sammna anc in t’ la vài. 

San Siman ( 25 ) 

Una Masca vael un pizan. 

Novembre. 

Par San Marten, 

La naiv in ti spen. 

Par Santa Cattareina 

O eh* al naiva o eh’ al breina. 

Da Santa Cattareina a Nadael 
Un mais eguael. 

Dicembre. 

San Bibbiaena, 

Quaranta dé e una Stmaena. 

Gaspare Ungarelli. 


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INDOVINELLI SENESI. 


1. Un alberon con dodici alberini. 

Alè, alè, indovina che cos’ò? {L’anno e i 12 mesi), 

2. Largo, larghin, 

Crespolatin, 

S’ apre, si serra 

Senza bottoncin. {D ano). 

3. Due lucenti, due pungenti, 

Quattro stanghe e una granata. {Il bove). 

4. Ghe è quella cosa 
Che va giù ridendo 

E vien su piangendo ? (La brocca ). 

5. Tirai a quel che viddi. 

Chiappai quel che non viddi. 

Mangiai carne creata — e non nata. 

Cotta al foco di parole. 

{Un cacciatore che tirò a un rospo e chiappò una lepre, che era 
pregna e mangiò i leprini cotti col fuoco di carta scritta). 

6. Nacqui prima di mio padre. 

Presi il latte prima di mia madre, 

Squarciai il ventre a mia nonna, 

Uccisi un quarto del genere umano. {Caino). 


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3)8 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

7. Io camino e non mi movo, 

A altri fo rosso e a me nero, 

Porto la cappa e non ho gelo. (Il camino). 

8. Io camino e non fo passi, 

Mangio i pranzi magri e grassi : 

Me ne sto in un luogo aperto... 

Dite ’l nome chè Y ho già detto. (Lo stesso ). 

9. Ciccio di qui, ciccio di là 

E nel mezzo il trainanà. ( 7 / carro co 9 bovi). 

10. Che è quella cosa che, se si butta dai cielo, 
non si rompe, e se si butta nell’acqua, si ? (La carta). 

1 1 . Figlio di candore, sposa d’ un moro, 

Guizzo nell’ acqua e non so’ pesce; 

Il mio cor fra due dita sta raccolto. 

Benché muta io so’; ma parlo molto. 

(Carta, inchiostro , penna). 

12. Chi la fa, la fa per vendere, 

Chi la compra, non Taddopra, 

Chi 1 ’ addopra, non la vede l . (La cassa da morto). 

13. Gira, girello, 

Ficca, ficchello : 

Fa quella cosa, 

Poi si riposa. (La chiave ). 

14. Che è quella cosa 
Che fa una cosa, 

E poi si riposa? (La stessa). 

15. Ci è un lenzolo tutto rattoppato; 

Non ci è passato nè refe, nè ago. (U cielo nuvoloso). 

1 6. Parati verdi, 

Stanze rosse, 

Frati neri : 

Chi c’ indovina gii do un par di poderi. (Il cocomero). 
1 Cfr. Ive, N. 7; Gianandrea, N. 26. 


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INDOVINELLI SENESI 


399 


17. Indovina indovinello: 

Chi fa l’ovo nei corbello? 1 (La gallina ). 

R. Me... in bocca a chi c’ indovina. 

18. Indovina indoyinnglia : 

Chi fa T ovo nella paglia ? 2 (La stessa). 

R. Me... in bocca a chi c’ indovina. 

19. Sotto il ponte di trallerallera 
Ci è una donna nera nera; 

Non piscia, nè beve, nè canta... 

Enne-è-nè indovina un po’ cos’ è. ( La gavina 8 ). 

20. Alti, altini; 

Tante ova e tanti nidi, 

Tanti nidi e tante ova... 

Indovinarlo prova. (Le ghiande). 

21. Trottolin, che trottolava 
Senza gambe caminava, 

Senza culo si sedeva... 

Come diamine faceva ? 4 ( 7 / gomitolo). 

22. Sotto il ponte de’ bischeri-matti 
C 1 era quattr’ occhi come gatti; 

Eran vestiti alT indroina 

Bischeri-matti chi c’ indovina 5 . ( Le ranocchie ). 

23. In cielo ci è. 

In terra non ci è, 

Le fanciulle n’ hanno due, 

Luigi 1 ’ ha davanti, 

Bartolomeo Tha di dietro 
E senza niente il povero Pietro. (La lettera L). 


1 Cfr. Giannini, N. io. 

2 Cfr. Gianandrea, N. 31. 

3 Voc, sen. Fogna per cui scolano le ncque piovane. 

4 Cfr. Pitrè, ivi. Canti 871; Gianandrea, N. 9; Giannini, N. 25. 

5 Cfr. Ive, N. 22. 


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4O0 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


24. Io so’ nel mondo e non so vivente, 

So’ tra’ demoni e non so’ dannato, 

So’ nell'empireo e non so* beato. 

(La prima lettera dell'amante ). 

25. È morto ’l mi’ Nannino, è più d' un 1 ora; 

Gli tasto T uccellino, è caldo ancora* (Il lucignolo ). 

26. Io 1’ ho e te non 1’ hai, 

Vien da me che Faverai: 

Mette il tuo accanto al mio, 

L’ averemo te e io K (Il lume). 

27. Voi siete indovinellista e vi credete, 

. Trovatemi una vecchia eh’ abbia un mese. (La luna). 

28. Ci ho una scatolina piena di rubini : 

Se c’ indovini, te ne dò un pochini 3 . (La melagrana). 

29. Più di Dio, peggio del diavolo. (Niente). 

30. Nerellino sta impiccato, 

Rossulino gli dà nel culo. (Il paiolo). 

31. La mi' dama ’un va a letto sicura, 

S’ ’un ha tre braccia e mezzo di gnagnolatura. 

(Il pestio 8 ). 

32. Io ci ho una cavalletta 
Salta e scaletta; 

La robba che caca 

La mangia anche ’l Papa \ (Lo slaccio). 

33. Ci ho una stanzaccia, 

Piena di ciccia secca. 

Chi c’ indovina, gliene do una fetta. (La stanca mortuaria). 

34. Ci è un campo tutto lavorato 

’Un ci è passato nè erpice, nò aratro. (Il tetto). 

1 Cfr. Pitrè, ivi. Canto 877. 

2 Cfr. Gianandrea, N. 16. 

3 Voce Senese: Chiavistello, Catenaccio. 

4 Cfr. Giannini, N. 26. 


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INDOVINELLI SENESI 


401 


35. Io ci ho un botticino 

E di due qualità di vino. (U timo). 

3 6 . Ve lo dico, ve /’ b detto, 

Velo torno a dir di novo, 

E se voi non capirete, 

Testa d* asino sarete 1 . ( Il velo). 

37. Du* pie' con un pie’. 

Ecco quattro pie : 

Gli piglia ’l pie 1 . 

Si rizza du’ pie’. 

Gli tira il treppie\ 

Riebbe il suo pie’. 

(La donna che pulisce una tampina di pollo , il gatto la ruba , 
la donna s’alga da sedere , gli tira il trespite ; il gatto J ugge , e la 
donna ripiglia la pampino). 

38. Ceppa, inceppita. 

Ha quatt 1 occhi e quaranta dita. (La donna gravida). 

39. So' canonico e non so' pazzo, 

So* vestito di pavonazzo, 

AH* acqua piango e al sole rido, 

So’ mangiato e none strido. (Il fico brogiotto). 

40. Quattro ritti — sedici fitti, 

Du’ lumicini — du 1 cartoccini 

H uno spazzolino. (Il gatto). 

41. So' signore e me ne sto in un canto, . 

Di legno porto la corona in testa; 

’Un mi manca nè pane, nè vino, 

E so’ imboccato come un cardellino. (Luogo comodo). 

42. Che è quella cosa 
Che ’i giorno sta ciondoloni 

E la notte a cavalcioni ? (La nottola). 


1 Cfr. Giannini, N.' 5. 

Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X. 51 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


43. Sotto ’1 ponte di Montieri 
C è tremila cavalieri; 

Tutti hanno il berretto rosso 

Fuori che ’l cavalier più grosso l . (Il saragio ). 

44. C J è quattro sorelle, 

Che corrono, corrono e non s’ arrivano mai. ( L'asticella ) 

45. C* è una stanzaccia 
Con cento cavalli bianchi, 

Nel mezzo ce n’ è uno rosso, 

Che di tutti gli è il più grosso. (Bocca, denti e lingua ). 

46. A J bambini di mezza età 
Se ’un hanno buco, gli si fa. 

Gli si mette sputacchioso, 

Gli si cava sanguinoso. (La bucatura degli orecchi ). 

47. In mano di un fratone 
C è un coso col barbone, 

Un barbone tutto bianco. 

Chi c* indovina gli dò un franco. (Il cane). 

48. Sotto il letto di Gigino 
C’ è un caro cardellino, 

Che gli canta in alta voce; 

E la serva glielo chiese, 

E Gigino gli rispose: 

Cara Betta, il cardellino 

Per te è troppo piccolino. (Il canterino). 

49. Assiom due tante giose 
Traniam dal freddo. 

Quattro poverini pellegrini, 

Cinque anni nelle mani de* Turchi, 

Con sei libbre di catene al pie’. 

Siatte benedetti, 

E voi, Madonna, 

%e di coron 

Vi pr emierà. (Le carte da giuoco). 

1 Cfr. Giannini. N. 15. 


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INDOVINELLI SENESI 


4O3 


50. Su pel monte di Tallerallera 
C è una vecchia nera nera ; 

Ha la camicia strappata, 

Gli si vede la patata. (La castagna'), 

51. Cè un lenzuolo, 

Che c* è tante toppe, 

E non c’ è nemmeno un punto. (Il cielo nuvoloso), 

52. Camere verdi, salotti rossi, 

E monache nere * 

Chi c’ indovina, gli dò tre pere. (Il cocomero), 

53. C’è tre città nella Lombardia: 

Una Milano e Y altra Pavia. 

10 te lo dico, e te non lo sai, 

Corno 1 si chiama l’altra città. (Como). 

54. C’è una cosa che il giorno stà in tanti buchi 
e la notte stà in un buco solo. (La fascia). 

55. Mi cavo la buca 

E mi ci rimane il ceppo. (Il levarsi di cappello). 

56. Nel mezzo d’una stanza grande grande 
C’è una cosa tonda tonda, 

Che T illumina tutta. (La luna). 

57. Mezzo pepe, 

Mezzo refe, 

Mezzo topo, 

Mezza lana 

E un paese di Toscana. (Peretola). 

58. In bosco nasce, 

In prato pasce. 

In città suona, 

11 vivo porta il morto 

E ’l morto suona. (Il tamburo ). 


1 Chi dice Pindovinello, si mangia rultima lettera. 


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404 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

59. Verde è, 

Verde sta : 

'Un perde la foglia, 

Perchè ’un Y ha. ( Fineo ). 

60. 3 u per un albero c’ era una monaca, 

Viene ’1 vento, Y alza la tonaca : 

Bella robbina si vede alla monaca ! ( La vite coll ’ uva). 

61. Monta su nel montatore, 

Mette T arme alla fessura : 

Te di sotto e io di sopra 

Si farà a chi più dura. (I segantini). 

62. Io ci ho una botticina: 

Un s’ apre e un si serra 

Come ’un si batte ’n terra. (L! avo). 

63. Madre, ecco lui. 

Alza i panni e lascia fare ’a lui. 

Tiene stretto le lenzola 

Perchè ’1 brodo ’un vada fora. (Il pane quando s'inforna). 

64. Largo, largo come un crivello, 

Lungo, lungo come un budello, 

Chi c’ indovina gli dò un fegatello. (Il po^o). 

6 5. Verde come la canna, 

Rosso come la fiamma 

E monache nere, 

Chi c' indovina, gli dò tre pere. (Il cocomero). 

66. Sotto il ponte di bicchcri e buccheri, 

C'è due occhi che paion du' gatti. 

So* vestiti alla sverzina 

Cippete-cià , chi c’ indovina ? (U porco). 

67. Dondolin, che dondolava, 

Fra le gambe lo parava: 

Piglia, piglia ’1 coltellino 

Per tagliarlo il dondolino. (Il manina della vite). 

G. B. Corsi. 


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TRADIZIONI POPOLARI NYLANDESL 


I. — La lunazione. 


l bestiame bovino e pecorino si scanna nella luna 
nuova, il porco nella luna scema. 

Le pecore si devoti tosare nella luna nuova, se si 
vuole avere la lana morbida e lucida ; se invece si tosano nello 
scemare della luna, s’avrà la lana corta e ruvida. 

Se non si vuole che il bruco roda la lana , si deve filare 
nella luna nuova. 

Le patate seminate nel novilunio germogliano alla superficie; 
seminate nella luna scema, avranno le radici ovali e profonde. 

Il sapone si fa nella luna nuova. Le fontane si nettano 
nella luna nuova; nettate nello scemar della luna, daranno acqua 
poca e lorda. 

Nello scemar della luna, si deve lavorare la terra per estir- 
pare la sanguinaria , ( agropyrum repens) : erba molto incomoda 
per le sue radici lunghe e serpeggianti. 

Le canne si troncano nella luna nuova se non si vuole che 
esse lentamente deperiscano. Le canne e V erba che si vogliono 
estirpare, si devono falciare nella luna scema. 



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40 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Il giovedì che cade quando la luna è nello scemare, è pro- 
pizio per le preparazioni magiche. 

Per liberarsi dei porri che vengon sulle mani, bisogna , nel 
novilunio, mostrarli alla luna dicendo: « Vedi questo che ho io 
sulle mani. » 

Si crede che le fasi della luna influiscano sul benessere de- 
gli animali. Per es. si dice : « Esso è caduto », o « cadde nella 
luna nuova », o « è caduto nella luna scema »: credendosi che lo 
animale, che « cade » nello scemar della luna, si mantenga magro 
e stecchito. 

La lunazione è creduta funesta per la pesca. Si crede che il 
luccio, in quel tempo, perda i denti, e riesca difficile il pescarlo 
e non possa fare il suo mestiere di rapitore. Si dice anche che il 
pesce fugge dal ghiaccio che si forma nello scemar della luna e 
che va in fondo. 

La luna nuova di gennaio ha varj significati. Quando essa 
apparisce, si trae l’oroscopo del tempo avvenire. E si fa in questo 
modo: Si drizza il viso verso la luna e s’apre un libro di salmi. 
Secondo ciò che contiene il salmo trovato, si prognostica 1: 
gioja e la tristezza, la vita e la tnort^. Se si desidera in quel mo- 
mento qualche cosa, quel desiderio sarà sodisfatto nel corso del- 
l’anno. 

Quando si vede la prima volta la luna di gennaio, ciò che 
si ha nelle mani si avrà in gran quantità per tutto l’anno. 

IL — Meteorologia. 

I piselli seminati quando spira tramontana fanno i vermi. 
Se si scanna il porco, si dice che il lardo, per gocciolare, biso- 
gna metterlo al fumo. La foglia che si stacca quando spira questo 
vento, diviene dura ed insipida; — se si prepara l’orzo per la birra 
diviene secco e inutile. 

A settentrione è tutto ciò eh' è cattivo; per cui si crede che 
di lì provengono tutte le malattie, per es. la bastoggine e i sor- 
tilegi. Spesso si crede che questa malattia derivi dai Lapponesi 


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TRADIZIONI POPOLARI NYLANDESl 


407 


e perciò si chiama bastoggine lapponese. — I Lapponesi sono mae- 
stri nei sortilegi, e possono andar per aria provocando sbuffi di 
vento impetuosi, che, in un paese ove le donne praticano la magìa 
nera, hanno il nome di turbini. Credesi anche eli’ essi in questo 
viaggio possano portare mucchi di fieno e qualche altro oggetto 
pesante. Si racconta che un lappone avea una donna, che guarì da 
dolori acutissimi ricevendo in compenso una vacca ch’egli faceva 
andare per aria provocando un turbine. 

Una corrente d’acqua, che scorre a settentrione, è utile pei 
sacrifizi, e si crede che essa guarisca molte malattie , per es. la 
febbre. 

Al contrario si crede che il terreno che guarda la tramon- 
tana sia poco fertile credenza che trova una spiegazione naturale 
neirombra che v’è sempre al mattino. 

Com’ è ovvio, 1’ agricoltore cerca di conoscere a prefe- 
renza, a certi dati segni, il vento che spirerà il* giorno e la set- 
timana vegnente per coordinare ad esso i suoi lavori; onde noi 
esporremo i suoi prognostici, ma senza presumere di vuotarne il 
sacco accrescendosi essi giornalmente e grandemente. 

Il cane ci prognostica tempo cattivo, se mangia erbe e soffre 
d’indisposizione. Anche la gatta ci prognostica il cattivo tempo, ina 
è un barometro migliore del cane, perchè presagisce il freddo, 
quando stà sul camino. 

Il porco annunzia la tempesta, se si vede con l’erba o stop- 
pia in bocca. Quando poi si scanna, si deve guardare la sua milza, 
che, s’è lunga, annunzia un lungo autunno. 

Se il gallo canta a mezzogiorno , se il fringuello finisce il 
cigolio in modo allettante , se le cornacchie stridono di buona 
ora, si avrà la pioggia. 

Se il corvo vola sulle case e mette fuori i suoi gracchi; se 
la luna nuova ha le conta appuntate; se il fringuello marino si 
vede vicino ad un villaggio ; se la cinciallegra picchia su’ vetri 
della finestra, s’avrà molto freddo. 

Quando la gru vola alto e va lontano, annunzia pioggia; se 
s’ abbassa, bel tempo. 


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ARCHIVIO l J ER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Quando il mergo vola verso tramontana, ci fa presagire un 
uragano ; ma se si dirige sul lago, bel tempo. Se la rondinella 
di mare si riposa sull’acqua, è prossima la tempesta. 

Quando s’ode il picchio nero, cambia il tempo. Quando le 
cornacchie volano a stormi per un punto, è certo che il domani 
il vento spirerà da quella parte. 

Se una specie di vermi bianchi, che stanno nel terreno grasso, 
hanno macchie azzurre sul corpo , s 1 avrà acqua sul cominciare 
delKestà; se l’hanno dietro il corpo, per S. Giovami:. 

Quando le rane gracidano, ci prognosticano il vento di est, di- 
cono gli abitanti delle isole. Il vento di est porta acqua. 11 tempo 
da est e le rissa cominciano col vento e finiscono Cv-n Ticqua. 

Se si sognano morti, si avrà pioggia. 

Quando vengono le gru e vanno nove volte a s:!iiera c 
nove volte a padiglione, si avrà presto caldo. 

Il tempo che fa nel giorno di Pasqua, si mantiene fino alla 
Pentecoste. 

Se il primo di maggio fa freddo, l’està' sarà cabla. 

Quando la canicola comincia eoa l’acqua, finisce eoa la sic- 
cità. 

Se piove per la Trinità, pioverà per sette settimane. 

Il cielo sereno e brillante annunzia bel tempo; sparso di 
stelle con leggiere nuvole che corrono, annunzia vento senza 
pioggia. 

Il nuvolato al mattino, annunzia un bel giorno. 

Sera rossa, notte secca; e mattino rosso, cappello umiJo. 

Il cielo con nuvole leggiere airorizzonte, ci presagisce tem- 
pesta, tuoni e pioggia. 

Quando piove e le gocce d'acqua che cadono sono grosse 
e fanno bolle, la pioggia durerà. 

Quando l’acqua del mare monta «rapidamente, annunzia una 
pioggia repentina. 

Se le pietre seccano rapidamente dopo un acquazzone , si 
aspetta la pioggia per una seconda volta. Lo stesso avviene se il 
sole risplende caldamente fra un acquazzone; ma se ciò non accade 


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TRADIZIONI POPOLARI NYLANDESI 4O9 

in un mattino roseo o se la nebbia non s’abbassa, pioverà nella 
giornata. 

Quando piove e il sole risplende si dice : « Quando piove 
ed esce il sole Gesù gioca col suo bambino, » presagendo che 
quella pioggia porta la benedizione. A questo proposito ricordo 
la credenza popolare che l’arcobaleno « beva » e che si trovi una 
cassa ed una coppa d’oro quando esso si abbassa sul terreno, se 
si accorre sul luogo senza fiatare e prima che cessi l’acqua. 

Se piove il sabato, continuerà a piovere la domenica, poiché 
« quando piove il sabato, la domenica non* s’ascolta messa. » 

Se piove su d’un libro di salmi aperto , pioverà un’ intiera 
settimana (il servizio divino si celebra nelle isole a cielo aperto). 

Se piove per una settimana, il sabato aumenterà la pioggia, 
se un prete si leverà il collare. 

Sera di venerdì, tempi di domenica (?). 

Se piove nella luna nuova, pioverà tutto il mese. 

Se la canicola principia secca, finirà con l’acqua. 

Se piove il giorno de’ sette dormienti , pioverà per sette 
settimane. 

La luna rossa annunzia tempo secco, calore in està e freddo 
in inverno; i cerchi attorno ad essa, presagiscono tempo cattivo. 

Se la via lattea, quando apparisce, è nel mezzo opaca, an- 
nunzia un inverno precoce con neve; s’ è lucida, un autunno 
lungo. Dalla parte dove cadono le stelle nella sera o nella notte, 
il seguente giorno soffierà vento. Dalle case dell’isole se, al tra- 
monto del sole, si vede un nuvolato su qualche parte delPoriz- 
zonte, si conosce se il vento aumenterà con l’aumentare delle 
nuvole e soffierà da quella parte: un simile ammasso di nuvole 
si chiama « aria di vento. » 

Dal tempo che fa in està, s' indovina quello dell’ inverno e 
viceversa. Se V està è secca e bella , 1’ inverno sarà freddo ; se 
P inverno è nuvoloso, in està s’ avrà gelo. Perciò si guardano 
principalmente i giorni prima e dopo Natale, giacché da essi si 
prevede il tempo che farà; se il tempo è freddo, il gelo si pro- 
trarrà sino al giorno di S. Giovanni. 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi, X. 52 


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410 ARCHIVIO PER LE\ TRADIZIONI POPOLARI 

Se fa vento la notte di Natale , si dice che una persona 
ragguardevole morirà nel seguente anno e si crede che il ramo 
-dell’albero, su cui posa la neve la notte e il giorno, sarà mala- 
ticcio per tutto l’anno, ma ricco di bacche. 

III. — Varia. 

Se s* incontra un cavallo o un uomo è buono augurio, se 
una donna cattivo augurio. Se il cavallo sbuffa, quando vai a 
fare una. visita, sarai ricevuto benevolmente. — Se ti prudono le 
mani, dovrai ricevere un dono. — Le piccole macchie bianche 
sulle unghie della mano diritta sono amiche, della destra nemi- 
che. — Se fischia Y orecchio, qualcuno parla di te. — Se prude 
1* occhio diritto è segno di contentezza, se il sinistro di dolore. 

— Quando si dorme la prima volta in un luogo, se si sogna, i 
sogni si verificheranno, se si conteranno i vetri delle finestre 
prima di addormentarsi. — Se qualcuno passa sopra un bambino 
questi cesserà di crescere, se su d’uria pertica, perderà la fortuna 
nella pesca. — Non si deve far cadere la cute dai capelli perchè 
gli uccelli ne portano un poco nei loro nidi e fanno ammalare 
la testa. — In molte circostanze della vita è utile sputare tre volte 
e bisogna farlo principalmente prima di bere acqua fuori di casa. 

— Il cane va dietro ad una persona, se si piglia un pezzo di 
pane; gli si fa odorare e poi, dopo averlo fatto passare per tre 
volte da una sua zampa, gli si dà a mangiare. — Acquista il co- 
raggio colui che morde la carne ancora tremante di un bue uc- 
ciso di fresco; ciò giova nel far levare la paura degli spiriti. — 
Se si lavano le mani con V ultima neve di primavera, restano 
bianche e delicate, se con quella d’ autunno non si avrà freddo 
in tutto l’inverno. — A chi mangia pan fresco gli cresceranno i 
capelli ; a chi mangia pane muffito gli aumenterà la voce. — 
Quando in un pan bucato si trova un granello di segala , lo si 
piglierà e si metterà sopra l'uscio. La prima persona che vi en- 
trerà sarà sposo, s’è scapolo; ma s’è m : ritato, è da temere per- 
chè non si sposerà per tutta la vita. — Se si ha occasione di ve- 


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TRADIZIONI POPOLARI NYLANDESt 4I I 

dere che qualcuno guarda uno biecamente e quegli tiene gli occhi 
fermi, si fa la croce sul piede del tavolo. — Un trifoglio in tasca 
causa grandi dolori. — Se qualcuno vuol rendersi invisibile, deve 
uccidere un serpente, mettergli un pisello sulla testa e poi rico- 
prirlo di terra. Quando il pisello metterà fiori e poi bucce esse 
avranno la virtù di rendere invisibile chi le avrà indosso. Per 
accertarsi della sua virtù non s’ avrà a far altro che metterne 
uno in bocca e poi guardar nello specchio; se il pisello è quello 
che ha la virtù cercata, la persona non vedrà sè stessa nello 
specchio. — Se si vuole preservare il proprio giardino dai ladri, 
si piglia uu osso in un cimitero e con esso si farà un solco at- 
torno al giardino, ma lasciando uno spazio per aprirvi una porta 
per cui il ladro possa entrare. Se il ladro vi entra, non può u- 
scire senza che venga soccorso da qualcuno. — Sul pane casa- 
reccio, si fa una croce quando s’impasta. — Anche la croce si fa 
fa sulle soglie e sugli usci. — Un bambino , eh’ è ammalato di 
pleuritide, si guarirà se si getta la sua orina in una tramoggia o 
in un mulino ad acqua. — Se si passa su d’un ponte camminando 
indietro, si vedranno i genitori neirinferno. — Quando si trovano 
ferri d’un cavallo si crede che si avranno molte felicità. — Il 
ferro d un cavallo inchiodato su’ battenti d’un uscio, protegge dal 
sortilegio chi abita nella casa. — Quando una candela screpola e 
cade a terra, annunzia morte. — Colui che nel sonno tiene gli 
occhi semichiusi credesi debba morire annegato. — Colui che ha 
quistioni il lunedì, le ha per tutta la settimana. — Un bambino 
che è anzi tempo saggio, morirà presto. — Lo spirito è un verme 
che chiuso in un vaso dà denari al proprietario. — Nel forte ba- 
lenare dà molto aiuto la selce. 

« I sogni sono come i fiumi » dice un proverbio; essi hanno 
il loro proprio significato. Se si sogna un incendio, annunzia 
nozze; un bastimento nero, morte; il nuoto, malattia; i denari di 
argento, contrarietà; i serpenti, uomini falsi; le cimici, fortuna; 
il passaggio per verdi praterie, buone circostanze; i dialoghi coi 
morti, tempeste; i cavalli rossi staccati, persecutori; i cavalli at- 
taccati, vedove con pretendenti; i dialoghi con fanciulli, afflizioni 
e contrarietà; i baci, falsità; le colonie, matrimonio. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Una donna non può cucire una pezzuola sul suo grembiale; 
se lo fa, la figlia di lei, se ingraviderà, partorirà un bastardo. 

I bettolieri , si crede debbano rubare un ceppo e usarlo 
come sedile della botte da birra, affinchè ne accrescano la con- 
sumazione. 

( Continua ) M. Di Martino 

(tradusse). 



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CANTI POPOLARI 

DI SAN PIETRO CAPOFIUME \ 


XIV. — La Lavurina 2 . 

Vgnara po al dé de lune 
so ’1 marca comprar le fuse : 

de lune le fuse, de piò V a 'n i n’ vra 
4 la Lavurina bòia, ciapi là là. 

Vgnarà po al dé de mane 
so '1 marca comprar le scarpe: 

de marte le scarpe, de lune le fuse ecc. 8 . 

8 Vgnarà po al dé de mercole 

so '1 marcii comprar le nespole : 

de merquel le nespel, de marte le scarpe ecc. 
Vgnarà po el dé de zobia 
12 so ’1 marca comprar le ova: 

de zobia le ova, de merquel le nespel ecc. 

4 Continuazione e fine. Vedi Archivio, v. Vili, p. 105. 

* Cfr. la Biblioteca di letter . popol. da me pubblicata in Firenze nel 1882, 
p. 257-8. 

3 II ritornello riprende ad ogni strofa, dopo la prima, i ritornelli antece- 
denti, e così di mano in mano la filastrocca si allunga. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Vgnarà po ’1 dé de venere 
so ’1 marcii comprar le selere : 

de venere le selere, de zobia le ova ecc. 
Vgnarà po 'l dé de sabato 
so ’1 marca comprar i cavoli : 

de sabato i cavoli, de venere le selere ecc. 
Vgnarà po el dé de dmenga 
so '1 marca comprar la melga: 

de dmenga la melga, de sabato i cavoli ecc. 

XV. —L’uomo piccolino. 


A i era un umarèin 
grand e gros con un luvòin. 

Al vols far una furliinda 
sotta un cappucciol d’ ghinda, 
tanto 1’ era picculèin. 

Picculèin come lo 1* era 
me r amava bèin vluntira : 
piò cincin eh’ a 1 foss està 
piò vluntira P arev amii. 
Sotta un cappucciol e d' gianda 
al vols far una furlana; 
tott i saltulcin che al fava 
lo al tuccàva al tassalèin, 
tanto P era picculèin. 

Picculèin ecc. 

Con un cucciarèin d’ sabbion 
lo al s’ fé camra e cason; 
e po’ anch a i n’ avanzò 
che al si fé un stiarulèin, 
tanto T era picculèin. 

Picculèin ecc. 

Con dou dida d’ urlandis 
al s* fé tremasi carnis; 


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CANTI POPOLARI DI SAN PIETRO CAPOFIUME 4I5 

24 e po anch a i n’ avanzò 
da fàrs un fazzultèin, 
tanto 1’ era picculòin. 

Picculèin ecc. 

28 Con dou dida e d’ pan fèin 
lo al s' fé tremasi braghèin; 
e po’ anch a i n* avanzò* 
che lo al s’ fé un |'aiulòm, 

32 tanto 1’ era picculèin. 

Picculèin ecc. 

Con dou dida ed' vacchetta 
al s’ fé un par ed' scarpetti; 

32 e po’ anch a i n’ avanzò 

che al s y fé un par d’ stivalóni, 
tanto T era picculèin. 

Picculèin ecc. 

Cfr. per questa poesia la Vita et morte dell' Huonto pi ci ain con Valfabetto 
dtspomdo di Giulio Cesare Croce ; e vedi ciò che ne dice Olixdo Guer- 
RiNi nel La vita e ìe opere dì G. C. C. Bologna, 1879, p. 502 e segg.; e M. 
Menghini, Cannoni antiche del popolo italiano , ecc. fase. 4 0 . 

Rumanèli. 

I. 

Mi è stato detto che tu fai la spia, 
o lin gua di serpente avvelenata. 

Voresti dir di me quando non sai : 
pensa di te, allor di me dirai. 

IL 

Bela beiina che su ’1 monte stai, 
il fresco de la sera voi godete, 
e con le boiari voi traficate. 

La spiglia 1 voi la fa 1 che non sbagliate. 


1 Spia. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


III. 

Come mi piace P erba fatta a cuore, 
quella che fa su la riva del mare ! 
quella che fa su la riva del mare ! 

Un azzidèint a chi mi dis di male. 

. iv. 

Mi son inamorà de P Angioletta 
e il suo papà non me la vuole dare, 
o dio del ciel ! mandai una saietta ! 
fug al palaz, e fuori P Angioletta. 

V. 

Bela beiina, al tu papà P ha ditto : 

— Chi passa per di qui scannar lo voglio. 
E mi i ho ditto — Vecchio traditore, 
per stra corriera puoi passar chi vuole. 

VI. 

Vago di note come un disperato, 
perchè la vita mia la stimo poco. 

Ogni colona fosse un uomo armato, 
ogni finestra una fiatila di foco. 

VII. 

O cancellier clic con la penna scrivi, 
o scrivi pure una condanna giusta; 
ho doi pistòl eh’ io tengo carghe a baia, 
e una cortela grida : — Scana, scana ! 

Vili. 

Sta’ forte, o lingua mia, e non tremare; 
de la galera non aver paura, 
a la giustizia non ti appalesare. 

Sta’ forte, o lingua mia, e non tremare. 


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CANTI POPOLARI DI SAN PIETRO CAPOFIUME 


417 


IX. 

Ma stati allegri, boni carcerati, 
chè quando piove buona casa avete: 
a bere ed a mangiar niente pensate. 

Ma stati allegri, boni carcerati. 

X. 

Poveri carcerati malcontenti, 
sempre vi spetta una cattiva nova; 
per ingiustizia un qualche tradimento. 

^ Poveri carcerati malcontenti. 

XI. 

Capo di casa, vi voj dimandare 
se in questa casa ci si puoi entrare. 

E se si puoi entrar se n’ entreremo; 
e se non si può entrar, se n’ anderemo. 

XII. . 

O razzi d’ oro, le galline han fame ! 
Dasi'i un pizzigotto di mondiglia, 
dasin un pizzigotto a la padrona, 
ed un basèin a chi canta e chi sona. 

XIII. 

Al canta V usignuolo in su la brocca, 
al scosa al so cudèin e po al mi doccia. 
Al canta Y usignuolo in su ’l sentire: 

— Un uomo innamorò non poi durmire. 

XIV. 

In mezo al péto tengo d’ un giardino : 
bela, vuoi tu venir per giardiniera ? 
bela, vuoi tu venir per giardiniera ? 
a me la rosa e a te il garofalino. 
Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 


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418 ARCHIVIO PER le tradizioni popolari 

XV. 

Son stato a confessar da un confessore, 
da un confessor che mi voleva bene; 
dicea: — Fare a Y amor non è peccato: 
faccio a P amore me che son curato. 

XVI. 

Ma come piace a me la Carulèina ! 
la porta i rizzi a la napoletana ! 
la porta i rizzi a la napoletana ! 

Ma come piace a me la Carulèina ! ^ 

XVII. 

Tu sei pur bela il lunedi mattina, 
sempre più bella il martedì seguente, 
e il mercoldi mi pari una bambina, 
il giovedì una stella rinocente *. 

XVIII. 

Tuti mi disen eh’ a son moritèina. 

Tuta la colpa n’ è minga la mia: 
tuta la colpa Y è del muratore; 
m’ ha fatto la finestra contr’ al sole. 

XIX. 

Allegri, allegri, ché il diavol Y è morto ! 
n’ ho più paura che ’l mi porti via ! 

S* ora mi porta via mi fa un gran torto. 

Allegri, allegri, ché il diavol Y è morto. 

Severino Ferrari. 

1 Rinocente per rilucente . Errore che può mettere sulla strada per istabi- 

lire ché il canto è importato, dacché chi me lo disse non intendeva il valore 

della parola. 



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GLI ABISSINI 


ALL'ESPOSIZIONE NAZIONALE DI PALERMO. 


a parecchi giorni mi son fatto Abissino, e tutto quel 
che si poteva spremere dalle 63 teste dei neri ospiti 
nostri T ho già spremuto. L’ interprete è un certo 
Merscià Gabrasion. Sa l’italiano; meglio però il latino, chè, figlio 
di un prete di Mencia Emtti Sellini (Terra Nera), fu educato da 
alcuni preti cattolici, che gP insegnarono , dopo la grammatica 
latina, la teologia romana. Figuratevi che caos dentro quel cra- 
nio ! Io mi ci diverto moltissimo a studiare questo strano pro- 
dotto delPistruzione dei gesuiti ai Negri. 

Merscià è buono, mistico; vuol farsi prete, per predicare la 
teologia appresa ai suoi fratelli. Che cosa diventerà, passando da 
lingua a lingua e da testa nera a testa nera, la grigia teologia 
che i reverendi padri gesuiti ridussero ad usimi d'un delfino della 
Terra Tenebrosa , lo lascio immaginare a voi. 

Gli altri Abissini sono: Abbà Sebat Labab (sacerdote), Haleka 
Luccas (pittore) , Ieddego Ghengebà e Ualdà Sellassiè (argentieri), 
Tohà Bescir y Mohamed Senti, Destà Ntirtì (ricamatori), Hvméd Abdù, 
Hassen Abd-El-Kader , Marrag Abdù (tessitori), Gabrè Sellassiè , Bi- 
gerondi Ualleftì (sellai), Ga^ei Iourit , Uallè Gherimà (murifabbri), 
Gherè Martin (falegname), Tiascià Burù (suonatore), xAilù Ma- 
rtin e Bitù (mulattieri). 




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420 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLAR] 

Meno 1* interprete e il sacerdote , tutti hanno una famiglia 
più o meno numerosa. Il mulattiere Ailù Marian , che è vera- 
mente un bel giovane, è il Don Giovanni della compagnia. Quant i 
amori, quante gelosie per questo Adone abbronzato ! Egli si la- 
scia pregare, amare, e si degna di concedersi quando crede. 

Le donne rispondono ai nomi di Tahà , Desta , Burciccb , Cifta, 
Abarrasc, Ridane , ecc. Di belle non ve ne sono che tre. Quando 
parlo di bellezza non m’impegno di escludere dalla Venere nera 
un po’ di sudiciume, un certo tanfo di bestia selvatica, e tante 
altre cose che noi , guasti dalla civiltà , non siamo in grado di 
pregiare. Ad ogni modo, le linee del corpo e le teste "di quelle 
negre sono d’una certa bellezza, che può contentare quegli sta- 
tuari, i quali non hanno l’abitudine di accostarsi soverchiamente 
col naso ai loro modelli. 

Halekà Luccas , il pittore , esporrà diversi quadri , alcuni, 
quelli di soggetto sacro, nella chiesa, gli altri, nella galleria della 
pittura. 

Il primo quadro ch’egli mi fé* vedere, mentre si compiaceva 
deU’ammirazione che io mostravo per i suoi gialli che si accor- 
dano, con una pace che lascio immaginare a voi , con il pao- 
nazzo più cardinalesco, ed il turchino più cupo, rappresenta tre 
Padri Eterni l’uno accosto all’altro. Ognuno di quei Padri Eterni 
ha un manto rosso, un’aureola gialla , e un mondo verdognolo, 
come un limone, nella sinistra. Con l’altra mano benedice con due 
dita, come se vi mandasse il più funebre e il più jettatore dei re- 
quia. Questo nella parte di sopra del quadro. Nella parte di sotto 
(j quadri abissini sono quasi sempre a diversi piani), c’è Gesù 
in croce fra i due ladroni. Ai piedi delle tre croci c’è San Gio- 
vanni da una parte e la Madonna dall’altra. Oh che tipi da megere! 

Un altro quadro rappresenta , nel piano superiore , la Ma- 
donna vestita di rosso , con un mantello azzurro , e il bambino 
Gesù vestito di giallo, e nel piano di sotto , il negus Giovanni, 
con tre guardie d’ onore che han la camicia bianca , il ditto , il 
fucile, la lancia e la sciabola. 

Il terzo quadro rappresenta una leggenda che l’interprete mi 


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GLI ABISSINI ALL'ESPOSIZIONE NAZIONALE DI PALERMO 42 1 

narrò nel modo seguente: « C’era un drago che uccideva tutte le 
vergini ? San Giorgio P uccise. Vicino al luogo in cui il drago 
mori era una pianta d’euforbia, sulla quale stava una vergine che 
aveva paura della bestia. La vergine intanto non credeva che il 
drago fosse morto , e San Giorgio le diede una corda dicendo : 
« Tiralo su e vedrai che non si può muovere. » 

Nella parte inferiore di quel quadro havvi uno dei re Teo- 
dori, che uccide il negus Okus, il quale gli voleva usurpare il 
regno. Il re sta col sedere in aria. La posizione non è nè co- 
moda, nè decente. 

In un altro quadro è rappresentato il combattimento di Kuf- 
fit, tra gli Abissini e i Dervisci! sudanesi. In quel combattimento 
muore il primo capo di Ras-Alula, ‘Blata-Bairu. Il quadro è di- 
viso in quattro parti, che rappresentano Pesercito di Blata che si 
avanza contro il nemico ; P esercito dei Dervisci!, che si avanza 
contro Alula; il combattimento, e la morte di Bairu. 

Un’altra tela su cui è raffigurata una cena abissina è divisa 
in due parti: a destra c’è una tavola attorno a cui sono seduti i 
convitati, mentre parecchi camerieri portano l’idromele; a sinistra 
cavalcano alcuni capi che, nell’intenzione dell’artista, vanno a far 
visita ai banchettanti. 

Il sesto quadro raffigura il combattimento che ebbe luogo, 
nel settembre del 90, ai confini del Farras-Mai, tra Degiac-Sa- 
bahat dell’Agamè contro Ras-Mangascià e Ras-Alula. 

Il settimo quadro, infine, rappresenta un San Giorgio a ca- 
vallo, e un San Michele con la sciabola in mano. Che faccie pa- 
tibolari ! 

E questo per quel che riguarda la pittura. 

Per quel che riferiscesi alla scultura , di abissino non vi *è 
nessuna cosa importante, ad eccezione di alcuni ornati, che sono 
adoperati per ornamento delle porte. 

Ho voluto raccogliere intanto alcune poesie abissine. La dif- 
ficoltà avuta da Merscià Gabrasion a tradurmele in italiano , in 
guisa da farmele capire, è stata grandissima, Meno male che quel- 
l’interprete si aiutò coq il latino, 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


La poesia degli Abissini è tutta di frasi staccate , ripetute 
centinaia e centinaia di volte dai cantori che rimangono stanchi 
di quella fatica. 

Pensare che i negri , cantando quelle frasi, si commovono 
talora fino alle lacrime ! Stanchi di una frase , passano a ripe- 
terne un'altra, e così per ore ed ore. Voglio darvi a leggere al- 
cune di tali poesie. 


Canti d'amore. 

1. a Omia bella, oh se foste mia vicina di casa ! » 

2. « Quando la guardai feci le viste di non guardarla; però 
la vidi bene ! » 

3. a Quando gira la donna dal petto bianco, i miei occhi 
vanno attorno con lei ! » 

4. « O mio limone , mio limone ! » ( come a dire : « O mio 
fiore , 0 mio fiore /) » 

5. « Vi saluto, o ragazza dai grandi occhi cristallini , e dal 
collo lungo. » 

6. « Voi siete odorosa come un fiore e liscia come la seta.» 

7. « O ragazzina di bello e bianco petto , vi adoro come 
adoro la Madonna. » 

Per intrattenere una ragazza : 

8. « Ditemi, ragazzina, è abbondante l’acqua dove eravate ?» 

Il suonator di tamburo di Adua, per fare omaggio alla sua 
bella e per mostrarle la sua valentìa le dice: 

9. « O ragazza di bei capelli , ascoltate un po’ il tamburo 
di Adua. » 

E ancora: 

10. a Simpatica, fatemi una moina, fatemi vedere un vostro 
movimento. » 

11. «O graziosa, se potessi trovarvi, come sarei felice di 
vivere con voi ! » 

12. « Venite nel Mai-Seiè (giardino), o giovinetta, a fare 
con me un colloquio d’amore.» 


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GLI ABISSINI ALL'ESPOSIZIONE NAZIONALE DI PALERMO 42 J 

13. a Jlnailei anailei (intercalare senza senso), se potessi toc- 
care i suoi capelli ! » 

14. « Io sto arando i campi , mentre lei sta guardando i 
giovani; io sto arando le sabbie, mentre lei sta cocendo il dolce 
in casa e sta ricevendo la morte pasquale. » 

15. « Game mia, argento di Alassa , la tua schiena è mor- 
bida come cotone ed il tuo respiro odora come arancia. » 

16. O bel giovine, andiamo fuori a far conoscenza. (Il gio- 
vane risponde) : Se non ci fosse la madre a cui dare il buon 
giorno.» (Significa che non vuol farsi vedere ). 

17. « Salomone di Cohain, mi avevi promesso uno sciamma .» 

« Per ora ho in mano un limone ; vi darò in questa setti- 
mana lo sciamma. » 

18. «Padre, invece di sposarmi con voi preferirei un gio- 
vane. » (Questa canzone è cantata ai vecchi). 

Una donna canta ad un giovine che ama : 

19. « Copritemi col vostro mantello. » (Il senso non è de- 
cente). 

Ecco una canzone d’ampre datami giorni fa dall’ interprete 
M. Hailu. È tradotta daH’amarico: 

20. Tu mia cara sei molto bella 
Sì, tu sei cara. 

I tuoi occhi sono come quelli d’una colomba, 

I capelli tuoi sono neri e ricci come la seta, 

Le tue labbra sono rosse come i pepi di Tebien, 

I tuoi denti sono bianchi come la neve del Semien, 

II tuo seno è bello come un guanciale di Re, 

In tutta la tua cara persona non ci è un difetto 
Tutto è bello, tutto è perfetto in te. 

Vieni con me, o dolce amorosa. 

Vieni con me nel paradiso d’amore, 

O mia sorella, tu mi hai rapito il cuore. 

Io ho lottato pel tuo amore, 

* E tu finalmente m’hai vinto 

La tua lingua è dolce come il miele e latte; 

O mia amorosa, tu sei chiusa come il paradiso. 



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424 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


Canti di guerra. 

21. « F.ngheda Uerku (nome d’ un guerriero) maneggiatore 
d’armi, Y aver tua madre partorito te, è come se ne avesse par- 
toriti mille. » 

22. - «O gente di Maitenaru , non siete buona che a rom- 
pere pentole.» 

« Figlio di Bellata Abbai Haramettai, dove arrivi metti l’in- 
cendio. » 

Delle superstizioni narratemi da Merscià Gabrasion , voglio 
riferirvi queste due : 

1. « C’è un albero che si chiama abisci'o , delle cui foglie si 
fa un decotto, il quale ha la virtù di far apprendere subito quel 
che si poteva apprendere in uno o due anni. » 

2 . « C’ è un albero cosi fiuto che se se ne torce un ramo 
davanti a qualcuno, questo s’ammala, se se ne rompe una fronda, 
l’individuo presente muore. » 

Passiamo ad altro. 

Il villaggio abissino è stato già costruito dai Negri stessi, 
che sono qui da due mesi. Comprende sedici capanne in mura- 
tura coperte di paglia, oltre ad una chiesa, ad una capanna tutta 
di paglia e ad una stalla per i muletti. 

La chiesa è in muratura. Alle sue pareti stanno appesi quadri 
sacri e parecchi ritratti di uomini grandi, come a dire Ras-Alula, 
Ras-Mangascià, Re Teodoro, Re Giovanni. Ad un altare non pos- 
sono dire la messa che quattro preti. I preti qui sono due e 
perciò non potremo assistere ad una messa abissina. La chiesa, 
che e circolare, è cinta da un muro, il quale chiude il sacrato. 
È nel sacrato che in Abissinia sono seppelliti i grandi guerrieri. 

Numerosissimi sono gli oggetti esposti nella Mostra Eritrea. 
Comprendono vestimenta da uomo e da donna , come a dire 
scialli (sciammo) , mutande in seta per signora (i leb-olbà ), scialli 
per i capi ( mtrghef ), camicie da signora (camis) y scialli da sacer- 


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.•Il 



GLI ABISSINI ALL’ESPOSIZIONE NAZIONALE DI PALERMO 425 

doti del convento di Debrà ( mermrios ), berretti bianchi da sacer- 
doti ( hood ), abbigliamenti da guerrieri ( kobà ), scarpe per signora 
( kuf-ciatnmà ), elmi da gran sacerdote (i eklil ), un berretto del Ne- 
gus (kuftà-uork), abiti da guerriero ( dino-uork ), oltre a molti og- 
getti che servono per ornamento , come a dire braccialetti da 
piedi per signora ( feghir-suannat ), collane da piedi (1 enteltel ), spil- 
loni per donne (< uollebà ), anelli (colavet), braccialetti (amestià), col- 
lane con amuleti (gelsetti), collane (drl), stellette che portano in 
fronte e ai pulsi le donne (i tururù ), orecchini (guticcià) , collane 
che adoperano le ragazze quando si fanno fidanzate (^agul), brac- 
ciali da gran guerriero (bità)> borse a tracolla con porta-profumi 
faelsem), braccialetti d’avorio ( garmaddò ), collane per muletti (da- 
qnà ), ecc. ecc. 

Fanno parte della Mostra infine parecchi oggetti di curio- 
sità, per esempio, la corona d’un ras (gamma-uork), la sedia del 
Ras-Ailù (umber) , taluni giochi (ghebetà) e parecchi canti sacri 
con note musicali abissine, quanto basti insomma per poterci fare 
un concetto di quello che sia la vita dei Negri dell’Abissinia. 

G. Ragusa-Moleti. 


■’W 


Archivio per le tradizioni popolari. — Voi. X. 


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DI ALCUNI GIUOCHI 


IN USO SPECIALMENTE IN BOLOGNA 
DAL XIII AL XVI SECOLO. 


no de’ primi giuochi antichi tornati in onore nel pe- 
riodo del risorgimento fu quello della palla , che si 
faceva in tutte le città d’ Italia tanto dalla plebe che 
dai gentiluomini sulle pubbliche strade e piazze. Divenne nuova- 
mente un esercizio di destrezza , e simbolizzava , nelle battaglie 
della vita , i fini accorgimenti che si mettono in opera per ot- 
tenere questo o quello scopo. 

Vi era la palla piccola e la palla grande. La palla piccola 
serviva usualmente per giuoco dei fanciulli e delle donne, e si 
lanciava colle mani o colla racchetta o palletta. La palla grande 
era il pallone, e si giuocava generalmente, come oggi, col brac- 
ciale di legno \ Il giuoco del pallone acquistò gran rinomanza 
in Toscana sotto il nome di giuoco del calcio. I giovani meglio 
esperti s’ ingegnavano di parer destri e forti nell’ avventare in 
alto un palloncino gonfio di vento; e siccome volevasi questo 
assai voluminoso ne’ primi tempi , in ispecic a Prato , essendo 

1 Sperone Speroni, Offre. — Venezia, appr. Doni. Occhi, 1760, Voi. V, 
pag. 442. 



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DI ALCUNI GIUOCHI BOLOGNESI 


427 

malagevole imprimervi spinta col braccio , si soccorrevano col 
darvi col piede, ciò che gli produsse il nome di giuoco del cal- 
cio x . A Firenze invece si batteva il pallone colla mano arman- 
dola però di un guanto di ferro, talora di un bracciale di legno a . 
Questo giuoco venne introdotto una prima volta in Bologna 
nell'anno 1480 da Giovanni Bentivogli, divenuto signore di que- 
sta città per gli acquistati domini 8 . 

Fra i giuochi aventi relazione colla palla che si facevano nel 
medesimo tempo in Bologna troviamo ricordati i seguenti : 

La frombola , indicata negli antichi statuti sotto il nome di 
ludus frombolarmi. Non differisce dalla nostra frombola, essendo 
anche allora un ordegno fatto di lino a tre trefoli con cui si 
gettavano sassi o pietre rotonde, roteggiandola sul capo. Ma come 
è facile comprendere, essendo questo giuoco di un certo peri- 
colo per i passanti, lo troviamo proibito prima con riformagione 
deiranno 1294 e poscia con altra dell’anno 1298 \ 

I Zoni. Nella precitata riformazione dell’ anno 1298 viene 
anche proibito il giuoco agli Zoni (ad %onicos, in altri luoghi ad 

1 Lettera di Redi a Menagio. V. Opere . — Venezia, 1712, voi. II, pag. 16. 

* Giov. dei Bardi, Discorso sopra il giuoco del calcio fiorentino. — Firen* 
ze, 1580. 

3 GhirardacO, Storia di ‘Bologna , anno 1480. — Al signor Gio. (Benti- 
vogli) dopo la sua venuta per dar solazzo e trastullo al popolo di Bologna 
elesse da cinquanta giovani disposti e gagliardi e li divise in due classi ve- 
stendone una di verde , 1 ’ altra di rosso, tutti a un intaglio. Egli della parte 
verde si fece capitano, e della parte rossa ne fece capitano il conte Nicolò 
Rangoni, ed radunate amendue le parti in piazza, una dalla parte di sopra e 
l’altra di sotto, fu nel mezzo di loro gittato un grosso pallone. Corsero ambo 
le parti a travagliarlo, gittarlo olii termini della parte contraria. Erano le leggi 
che chi dieci volte gettava il detto pallone alli termini del nemico acquistava 
venti ducati d’oro. Ciascuno adunque si forzava or contro Y uno, or contro 
l’altro passare i termini del nemico, e quando credeva esservi giunto tosto ne 
era urtato et cosi ciascuno era intento ad acquistare la vittoria. Durò questa 
dilettevole scaramuccia meglio di tre ore con molto piacere, et contento della 
città, et l’onore fu della parte verde. 

4 Toselli, Spogli tnss. dell’Arch. Crini., parte I, pag. 970-971. — Frati, 
Stai, boi . Ili, pag. 360. 


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4^8 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

Zpnitos, ad %onetos) y il quale troviamo in seguito cosi descritto dal 
Montalbani : Zoni o Ciotti sono certi pezzi di legnò disposti di- 
rettamente sopra il terreno in quadro con uno di essi centrale 
nel mezzo, il quale compisce il numero ternario quadrato, e questi 
colle loro cadute segnano le vittorie giocose, dove i giuocatori 
s’ingegnano di rovesciarli a più potere con una palla di legno 
da un termine prefisso, ora sdrucciolandola da lontano, ora tra 
le mani ferma da vicino abbattuta \ 

La pirla. Sotto questo nome si conosceva ne’ secoli XIII e 
XIV la trottola (turbo). Dal Montalbani invece viene detta prilla , 
ed è così descritta. È un pezzo di legno pineato con un vertuto 
in cima che i putti giuocando con finta battaglia fanno girare 
lungamente per terra, ciascuno indirizzando il proprio a cozzare 
ed a spezzare anco quello del compagno 2 . Ma il nome dialet- 
tale di questo giuoco era pirla , rimasto anche oggi nel Lom- 
bardo, e cioè pirla, birla 0 birlo a Milano, pirla a Tortona. Contro 
questo giuoco abbiamo un’antica grida del 1370, che lo proi- 
bisce s . 


1 Gio. Ant. Bumaldi (Ov. Montalbani). Vocabolarista boi. — Bologna, 
1660, pag, 258. — È lo stesso giuoco che si fa oggi in molte parti d’ Italia 
detto ai ^ otti in Venezia, a j * omet in Piemonte, ai rulli o ai rocchetti in To- 
scana. In Sicilia è detto a li brigghia , e si fa con nove cilindretti, rulli o roc- 
chetti, che si fanno stare in piedi e si tira contro di essi una grossa palla, 
Inabilità consistendo nel farne cadere il più possibile. Vi è una variante di 
questo giuoco nella stessa Sicilia detto a sbricciari , dove invece della palla si 
adoperano i rulli per lanciarli contro gli altri. Appunto in questo modo si 
faceva : n Bologna alla fine del secolo XIII, come risulta dagli accenni che 
ne fa il Toselli nei precipitati spogli sotto gli anni 1295 e 1300. Questo stesso 
giuoco andava anticamente in Sicilia sotto il nome di ‘Rjmdolo o Rullo , ed 
era pure, come presso di noi proibito. V. Pitrè, Giuochi fanciulleschi , p. 137. 

* Montalbani Ov., Diagologia . — Bologna, 1652, pag. 40. 

3 Toselli, Spogli tms. cit. parte II, pag. 918 e 682. — Nel Parmigiano 
dicesi pirla un arnese noto che consta di un’asta bilicata, che si fa girare so- 
pra uu perno, e che segna il premio di quel bericnocolo posto sul raggio va- 
riamente colorato della tavola ove si ferma il bjcco dell’asta. V. Malaspina 
Dispariti. Ili, 296. Tale giuoco è generalmente conosciuto in Italia sotto il 
nome alla bianca o alla rossa. 


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DI ALCUNI GIUUGHI BOLOGNESI 


:é 2 9 

4 La ruzzola, succeduta airantico trochus. Si fa anche oggi cpn 
una grossa forma attorno, alla quale si ravvolge qno straccio, 
eppoi, fissato un punto, si fa a> chi, spingendola con forza, riesce 
a ruzzolarla fino a quel punto. Ma perchè esso giuoco efa.di grave 
pericolo per le persone transitanti per la via, lo troviamo con 
bando dell’ anno 1674 divietato « a cominciare dalla casa della 
Biada, e seguitare giù dalle Moline fino alle Àgocchie », luoghi 
doVe certamente solevasi fare l . 

Ghiarè. Dice il Montalbani : E un giuoco appresso di noi, 
che non si può bene esercitare se non in luoghi aperti, ineguali 
e ghiarosi. In Venezia si chiama pandolo 2 . E adunque il, mede- 
simo che si fa oggi con due bastoncini , V uno lunghetto detto 
Mazza, con cui il giuocatore batte, e l’altro più corro fuseiforme 
detto Lippa , che si fa balzare lontano. Anticamente in Venezia 
si chiamava tanto Lippa, che Pandolo : oggi soltanto Tandolo, Lippa 
si dice in Toscana. 

Questi giuochi si facevano non solo io Bologna, qUviq : tutte 
le città d'Italia sotto eguali e diversi! nomi. Il, Garzoni, 4 qella sua 
Piazza universale di tutte le professioni del mondo , oltre il pirla o 
girlo (nostra pirla) e la lippa o pandolo (nome Toscano e Yqne- 
ziano del nostro ghiarè ), ricorda al castelletto, oggi noto in To- 
scana sotto il nome alle caselle o alle capannelle ; alla fossetta, che 
era probabilmente il giuoco che si fa oggi colle noci col tirarle 
in apposite buche fatte per terra, detto alle buchette in, Toscana 
e particolarmente a Firenze, e al bido a Pistoia; alla semola , ri- 
spondente alla cruscherella de* Toscani e al nostro remlatt 3 * Ma 


1 V. Bando 27 gennaio 1674 in Racc. Merlani cit. 

2 Diogologia , ediz. cit., pag. 36. 

3 V. Garzoni Tomm., La Piazza universale di tutte le professioni del mondo . 
— Venetia. 1626 , cc. 242 e segg. — A Venezia si faceta anche: 

A i paleti, specie del nostro a \accagn. V. Calmo, Lettere pubb.da Ifitt. 
Rossi , Torino 1888, pag. 45. 

A far la boìpe in cenere . Secondo il Calmo: Si disegnava nella cenere il 
contorno di un animale che rappresentava una volpe , ed unp de’ giuocatori 
doveva, guardando altrove,, indovinare quale parte^ dell* animale fosse toccata 


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430 


ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


la nostra città, che è sempre andata famosa pe’ suoi monelli, si 
distingueva dalle altre pe' suoi giuochi chiassosi, fra i quali non 
sono da dimenticarsi i seguenti : 

TZjpiattarola. Montalbani: Giuoco nel quale alcuni ragazzi si 
nascondono ed altri sono i cercatori de* nascosti; e questi cer- 
catori , dato il segno del tempo di cercare , partitisi dal centro 
prefisso del giuoco, chiamato area , allora vincono quando tro- 
vano i nascosti, dicendo chio cbio y sete vinto; come all'incontro se 
i nascosti ponno eludere i cercatori, e, senza essere veduti da 
quelli arrivare a toccare il luogo dell’ area , eglino vinceranno 
servendosi pure dell 1 istesso grido : Chio chio , io sono nelVarea x . 

Sillisella. Montalbani : Certo giuoco che fanno i nostri ra- 
gazzi, nel quale con una scorsa grande, saltandosi a cavalluccio 
l’un Taltro, s’ ingegnano ciascuno di loro di far cadere in terra 
il compagno per eccitare il riso a . E qualche cosa dell' odierna 
nostra cavalcheina 9 del al diavolo %oppo di Val d’Elsa, del salt di 
Spissigin di Tortona e dell’ a travu longu siciliano 8 . 

Za da la mi rata . Montalbani: Giù dalla mia ratta pronun- 
ziavano i fanciulli in un certo giuoco , nel quale si fa a chi è 
più gagliardo nel respingere i compagni e salire sopra una muc- 

da un altro della compagnia : Che toccbio de bolpe, compare Miriiolfe ? E In 
responde : 'Ptnin de drio , marchese ‘Biribio ; e lu ghe torna a dir ; Gamb i da- 
vanti , o conte Barabanti . V. Calmo’, 1 . cit. pag. 549. Cfr. il giuoco siciliana 
A càncara bella in Pitrè, Giuochi fanciulleschi , pp. 169-75. 

A Bologna invece si conosceva a la piastrarfa e al buciatt , giuochi ram- 
mentati entrambi nella Commedia di Ces. Ventimonti, li villano nobile . — 
Bologna, 1669, aito II, scena II e III. Inoltre il nostro Mitelli, fiorito in- 
torno al 1600, ci lascia disegnata una curiosa tavola intitolata al \ug ed tot i 
qug, in cui sono indicati fra gli altri il Trucco e il Pallamaglio , che si face- 
vano in quel tempo in Bologna, ed oggi usati specialmente a Firenze e a 
Roma. 

1 Montalbani Ov. Cronoprostasi felsinea . — Bologna, 1655, pag. 15. — 
Lo stesso giuoco era allora noto in Venezia sotto il nome a le rrsescole. V. 
Calmo, 1 . cit. pag. 348; oggi Zogo a le scundariole o ascondi erbj t ed in To- 
scana a rimpiattino o a capinascondere. 

1 Vocabolarista boi ., ediz. cit. 

3 Cons. Pitrjè, Giuochi fanciulleschi , pag. 231. 


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DI ALCUNI GIUOCHI BOLOGNESI 43 1 

chia di terra costituita teatro del giuoco *: del quale giuoco in 
verità non sappiamo trovare alcun raffronto moderno. 

Ma parendo che per tali giuochi i ragazzi avessero preso di 
mira specialmente la vicinanza delle chiese e de’ monasteri, la cui 
quiete veniva disturbata dai litigi e spesso dal trar de’ sassi, ebbe 
il governo più volte ad occuparsene per impedirli, pubblicando ap- 
posite disposizioni, nelle quali si stabiliva quanto segue: — Omissis 
etc. Ordina et comanda a qualsivoglia persona, cosi uomini come 
putti, che non ardiscano, nè presumano per V avvenire di gio- 
care, nè fermarsi a veder giocare a qualsivoglia gioco, nè a far 
sassate , o altri trattenimenti vicino a Monasteri et specialmente 
quello delle monache di San Guglielmo, sotto pena alli huomini 
di tre tratti di corda, e 50 scudi d’oro, ed alli putti di 50 staf- 
filate oltre la detta pena pecuniaria et più e meno ad arbitrio di 
Sua Sign. Illustrissima etc. a . 

Ne’ secoli XIII e XIV ebbero anche origini in Italia i cosi 
detti giuochi cibari, tipo principale de’ quali è la cuccagna , che 
b\ fa anche oggi in molti luoghi. Ne troviamo una prima notizia 
in Lombardia. Consisteva questa nell’ innalzare un albero altis- 
simo ben ripulito ed unto , sopra il quale si ponevano cose 
mangereccie, come pollastri, prosciutti etc. da darsi in premio a 
chi sapeva arrampicarsi fino alla cima e prendersele 3 . La cuc- 
cagna è certamente una derivazione del tnajo , 1’ albero fronzuto 
che oggi ancora in Toscana si va a piantare dinnanzi alla porta 
dell’ amata, oppure si parta in giro adorno di freschi fiori e li- 
moni. Non è molto tempo infatti che sulla nostra provincia nel 
piantare majo solevansi appiccare ad esso varie cose mangereccie 
destinate a chi, arrampicandovisi, se la prendeva 4 . Ma questa festa 

1 Cronopn stasi felsinea , ediz. cit. pag. 15. 

2 Trobibione | del Giocare | del fare delle sassate , et del fermarsi per ve- 
dere ciò | fare ne i luoghi vicini a i Monasteri delle | Monache di Bologna . |) 
Pubblicato in Bologna alli 26 di maggio i;Si nella Racc. Merlani, cit. 

3 Sacchi Def., Antich. romani . d'Italia, II, 30. 

4 In Bologna il costume di piantare il primo maggio davanti la porta del 
Confaloniere un gran majo carico di robe mangereccie per la plebe è durato 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


si cambiò nel secolo XIV in Pavia in uno strano giuoco. Inalbera- 
tasi nel Pasquario di San Martino una pianta ramosa, e la pianta 
e i rami erano forati internamente in modo da potervi attaccare 
certe imagini' falliche tenute ferme da certe cordicelle, le quali scor- 
rendo pel vano de' rami fino alla radice facevano muovere quelle 
imagini a talento. Sotto questo trofeo accorrevano in folla i cit- 
tadini e vi gongolavano airimpazzata, finché non giungevano al- 
cune donne sconciamente vestite a squassare quella pianta e a 
percuotere que* falli con una bacchetta per farseli cadere in un 
canestro che portavano seco 1 . 

Un avanzo di barbarie medievale è il giuoco del tirare il 
collo all' oca. Fu una delle consuetudini di Pavia fino ai al:uni 
secoli addietro, e si faceva dagli abitanti propingui al Ticino in 
questo modo: — Si dispongono nell’acqua, innanzi al ponte ove 
declina la corrente due barche fronteggiami dalle due rive op- 
poste , e agli alberi di queste si annodano i capi di una corda 
che attraversa il fiume, lungo la quale si appendono varie oche 
vive, anfore di vino ed altro. Il più esperto nuotatore si gitti 
dal ponte nell’acqua, dove l’accoglie una barchetta, che presta- 
mente scende; e, pervenuto dov’ è tesa la corda, spicca un salto 
per aggrapparsi al collo dell’oca: la barchetta gli sfugge di sotto, 
ed egli, se è abbastanza destro, rimane penzoloni e si aggira at- 
torno a quel collo, finché non 1’ abbia distaccato ; oppure, non 
riuscendo ad afferrarlo, cade nell’ acqua. A lui succede un altro 

fino all’ anno 1600. V. Cosi timi e usante nella nostra ci Uà ili Bologna dill* a. 
16S0 fino alVa. 1742. Mise. ms. della Coni. Bibl. di Boi., c. 16. 

1 Sacchi Def. Op. cit., II, 31. — La cuccagna si faceva nel secolo XVI 
a Roma nel Prato di Testaccio il giorno della festa che da questo luogo 
prendeva il nome, dove erano condotti davanti al popolo carri sopra cui erano 
legati dei porci, e s'innalzava un’asta dalla quale pendeva un drappo rosato. 
Il popolo correva e urtavasi per rapire i porci e impadronirsi del drappo. 
Dopo aveva luogo la cuccagna. V. Manzi, Discorso sopra gli Spettacoli etc., 
pag. 29. — A questo genere di divertimenti appartiene la festa della porchetta t 
che si è fatta in Bologna sino alla fine del secolo passato , circa la cui ori- 
gine vi è anidra contestazione. Cons. Pellegrini Flam. Il Serventese dei Lam - 
bertazxi e dei Geremei , in Atti della Deputazione di Storia Patria per le 
provincie di Romagna , Ser. Ili, voi. IX, pag. 70. 


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DI ALCUNI GIUOCHI BOLOGNESI 4$ 3 

giuocatore, e la prova dura finché tutte le oche non siano state 
decollate K 

Molto simile alla cuccagna era la cosi detta Festa del peco- 
rone o Giuoco deU'agnello, che si faceva in Bologna sul principio 
del secolo XVI — ubi (secondo il Toselli) imponilur agntis super 
quodam Ugno consuelndinis X vel XII pedem, quern agnum pueri cer- 
Uttirn conabanlur a ripere, et incidere vincla gladiis quibus erat colli - 
gatus agnus 2 . 

Finalmente allo stesso genere di giuochi dobbiamo compren- 
dere quello delle ova , che si faceva circa nello stesso tempo in 
Pavia, e consisteva nel disporre in uno spazio quadrato parecchie 
decine di uova, Furio a egual distanza dell’altro, e molti uomini, 
ciascuno a sua volta, vi facevano in mezzo un* allegra danza; e 
quello che conducevasi così destramente da non rompere alcun 
ovo , se li pigliava tutti in premio 3 . Un giuoco delle ova tro- 
viamo ricordato ne’ nostri antichi statuti per proibirlo, ma non è 
ben sicuro che sia il medesimo, perchè la menzione che se ne fa 
non è sufficiente a dare un’ idea in che esso giuoco consistesse 4 . 

' Bologna , ottobre 1S91 . 

^ G. Ungarelli. 

1 Sacchi Def. Op. cit., Il, 28. — Questo giuoco si chiama a Roma strap- 
pacoili alti paperi, e da noi timer al col a V oca , e si fa con una corJa tesa 
attraverso una via o una piazza. In molti luoghi si appende un gallo invece 
di un’oca, e si chiama perciò giuoco del gallo . V. *Bibl. Itaì. 1830, toni. 57, 
pag. 73; Pitrè , Spettacoli etc. pagg. 220, 263. — In Sardegna il giuoco del 
gallo si fa in due modi: appendono questo animale attraverso una contrada e 
si dà in premio a chi ad occhi bendati venendo da una certa distanza 1’ uc- 
cide con un colpo di ferro sguainato; oppure lo seppelliscono vìvo dentro una 
fossa, ricoperto di terra, meno la testa, che si lascia sporgere alPinfuori (ciò 
che rammenta il supplizio della madre di Buovo d'Antona), e si dà in prem o 
a chi P uccide ad occhi bendati a colpi di bastone. V. Giac. Lumbroso, Me- 
morie del buon tempo antico . — Torino, 1889, pag. 250. 

*•*.,* Spogli mss . cit., parte II, pag. 515. 

3 Sacchi Def. Op. cit., II, 30. 

4 Toselli, Spogli mss. cit., part. I, pag. 980 sotto Panno 1 306 : — Quod 
nulla persona parva vel magna audeat ludere ad luduni de ovis nec eliam ac - 
collare intimai aliqua ova in platea coni . Bon. nec in alia parte civit . Boti, 
poena 100 soldi et pater tenebitur prò filio in cujus potestà te esset. 

Archivio per le tradizioni popolari — Voi. X. 55 


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LA STORIA 

DI LI MIRÀCULI DI SANTU SANU. 


La Leggenda di Santo Sano. 


superfluo ch'io ricordi a’ Siciliani come il famoso so- 
netto dell’abate Meli contra li Giacnbini, abbia principio 
con la quartina : 

L* antichi hannu vantata a Santa Sana 
’ntra li gràzii soi astutu e fina, 
sanava un ugnu c poi cadia la manu, 
cunzava un vrazzu e cci ammuddia lu schinu. 

Ma leggendo questi versi, ben pochi, io credo, sonosi fermati un 
momento a chiedersi chi sia, e donde, c come, c perchè sbucata 
fuori questa strana e perniciosa figura di Santo; certo è, però, 
che nessuno ne ha detto mai una parola , nessuno s’ è presa la 
briga di tentarne una illustrazione, non foss’altro per comento alla 
quartina del Meli. E pure, questa illustrazione a me pare valga la 
pena di farla, massimamente che la leggenda del Santo è diffusa 
presso il popolo , non solo di Sicilia , che la ripete nientemeno 
in tre redazioni poetiche diverse, ma eziandio del Napoletano. 

È certo che il popolo niente crea, senza che si prefigga uno 
scopo; niente conserva, se non trova utilità e ragione di con- 



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LA STORIA DI LI MI RAGÙ LI DI SANTU SANU 435 

servare. Or, Santo Sano é indubbiamente una creazione popolare, 
indubbiamente tradizionale, e gii noto, fin dal secolo scorso, come 
celebre presso gli « antichi ». E poiché è un Santo sui generis e niuno 
scrittore ne ha parlato, interroghiamo il Leggendario speciale dei 
Santi che ha il popolo, quel Leggendario grottesco e quasi sempre 
irriverente e sboccato, per non dir peggio, che ha avuto in tutti 
i tempi ed in tutt’ i luoghi 1 . Ma tutti gli altri paesi io qui metto 
da parte, e restringo, coirT è giusto, le mie ricerche alla Sicilia ed 
al Santo nostro. 

.. Il popolo siciliano (ugualmente che ogni altro, antico e mo- 
derno) oltre ai Santi veri , diciam così , ai Santi che la Chiesa 
cattolica riconosce, ed a ciascuno de’ quali peraltro, seguendo la 
pagana tradizione , accolla speciali incombenze e patrocinj , si è 
creato aneli* esso un ciclo di Santi, che sono un misto di burlesco 
c (Ji briccone e di osceno ad un tempo, e direi anche di empio, 
se non fossi convinto che Tempietà non entra affatto nelle inten- 
zioni de* popolani; i quali, nel narrare le gesta di questi tali Santi, 
mirano più che altro a ridere e far ridere, quando pur non in- 
tendono anzi a moralizzare con la satira. Cattivo è il mezzo scelto, 
ne convengo, ed equivoca e pericolosa la via; ma giusto il fine 
ultimo, che si vuole raggiungere. 

I Santi principali di questo singolarissimo ciclo eccoveli qui: 

Santa Mannanu. La leggenda ce lo dipinge nano e gobbo , 
con barbaccia folta e lunga quanto la sua persona, rabbioso, ven- 
dicativo. Fu, come tutt* i gobbi, gran libidinoso, non rispettando 
neppur la innocente età; poi pentito e confessatosi al Papa in Roma, 
stette settenni in una buca sotterra a far penitenza. Ne uscì Santo, 
e mosse per convertire a Cristo i peccatori. Ma appena in via, 
ecco lo scontrano due donnacce, antiche conoscenze, le quali lo 
provocano a libidine con il motto equivoco d’una volta. Il Santo 
allora, arrabbiato strappasi un pelo della barbaccia e lo scaglia su le 
scoperte mammelle delle due, (poiché stavano allattando), condan- 


1 Cfr. H. Gaidoz , Les Saints pour rire; nella Mélusine (Paris), t. V, 
n, 1, janvier-février 1890, pag. 12 et suiv. 


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43 6 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

nandole a soffrire il doloroso ingorgo della glandola mammaria; 
e non solo esse, ma quante come esse, nel periodo dell’ allatta- 
mento, sentono soverchi desiderj carnali. La sua Orazioni ripetesi 
oggi dalle donnicciuole inferme d'ingorgo mammario, volgarmente 
detto pilu di la minna , appunto per quel tal pelo che Santo Mon- 
dano buttò in seno alle due sfacciate che lo provocarono 1 . 

San Virtìcchiu apostulu. La istoria di questo santo apostolo, 
che catechizzava a suo modo..., ecco, non è narrabile. Immaginate 
un quissimile di quella di Santa Nafissa, eh’ è ben nota neiritalia 
peninsulare, e tiriamo via. 

San Ca^ianeddu abati , od anche San Ca^avcsi. È un abate 
che fa il pajo con 1* apostolo antecedente, e del quale non mi è 
lecito nemmeno di riassumere la leggenda. 

SatUu Mància- 1 - sedi. Qui ci troviamo, relativamente , in più 
spirabil aere. Questo Santo rappresenta il tipo del frate fannul- 
lone, che beato adagia per tutto il di nella cuccia la grassa epa, 
fra un monte di manicaretti di qua ed una fila di bottiglie di là; 
e, supremamente egoista, non dà nulla a nessuno , non commo- 
vendosi nemmeno per un infelice che gli muore innanzi di fame 
e per una gravida che abortisce dal desiderio insoddisfatto di un 
bocconcino che a lui vede gustare. È un Santo, che è volentieri 
invocato dagli oziosi delle taverne 2 . 

Sanili Accutufatu. Ecco un Santo buono , due volte buono , 
a grande albero di santa pazienza », come lo chiama la leggenda, 
e che è la calamita delle baje, dei ceffoni, delle pedate, de* ciot- 
toli e de’ bastoni di tutt' i monelli e facchini di piazza ; e più 
ne riceve, egli più si raggomitola e gira, esponendo le parti di 
corpo meno ammaccate. Un Santo stupido, insomma, che desta 
pietà e raccapriccio nelle persone di cuore , ma che co' visacci 
che fa pel dolore delle battiture, alle quali non sa reagire, muove 
a riso la gentaglia malvagia che lo maltratta, e la alletta quasi a 

1 Vedi ^Ippendice, num. II. Per qualche parte, la leggenda richiama a quella 
notissima di San Giovanni Boccadoro. 

* Vedi appendice, num. III. Per un certo ver.o, il nostro Santo richiama 
$ant' Ermolao, per un altro, Le grand Saint Lundi (Ctr T Gaidoz, loc. cit, >, 


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LA STORIA DI LI MIRACULI DI SANTU SANU 437 

continuare. Dolorosa immagine di que’ poveri scemi che alla gior- 
nata veggiamo dileggiati, inseguiti, eccitati ed offesi in ogni ma- 
niera da 1 monellacci per le vie, senza che nessuno, di quei che po- 
trebbero, si levi a impedire sì selvaggio ed immorale spettacolo 

Saniti Cbcciu 2 , Santu Aiacari, Santu Marrùggiu di Capaci 8 , 
San ‘Patacuccu , San Pannagli, Santu Pinu cu V occhi di pannu, Santu 
Sbavò , Santu Menna , San Sipiuni , San Liafantu , Santu Sàliciu pu - 
tatù 4 ed altri meno noti ma non meno speciosi, fanno corona a* 
sopranotati nel Paradiso loro speciale, indicando col nome equi- 
voco e di doppio senso o col calembourg il proprio ufficio e sim- 
bolo, più o meno satirico o buffonesco. 

Però Santu Santi rimane sempre il maggiore di tutti e il più 
caratteristico, ma nel tempo stesso il più enigmatico, e più degno 
pertanto che si studii e conosca. Ma non c’ è che la sua leg- 
genda a cui possiamo ricorrere : esaminiamola un pò* dunque. 

Santo Sano è un Santo che fa de’ miracoli portentosi... ma 
a rovescio, e fin dal suo primo apparire nel mondo. È un genere 
nuovo di miracoli, dilettevole proprio a sentire : ma, (ci avverte 
il poeta popolare), in questa « santa Orazioni » io ve ne dirò solo 
il fior fiore, poiché essi sono innumerevoli; e badate, poi; che 

... « cu* l’ascuta cu divuzioni 
allampantisci com’ un cuccù viu ». 

Il Santo inizia la serie de' suoi miracoli nascendo : che la 
madre muore nel parto, e il padre, per averlo guardato, s* ammala 

1 Vedi Appendice , n. IV. — Fino al 1763, nell’antica chiesa di San Cristo- 
faro in Palermo, leggeyasi una strana iscrizione latino-maccheronica, nella quale, 
il bellumore che Favea dettata, volendosi forse burlare dei Confrati che gliela 
commisero, introdusse il nome di Santu Accutu/atu . Vedi: Villabianca, Pa- 
lermo d* oggigiorno , a pag. 539 del voi. XIII della « Biblioteca storica e let- 
teraria di Sicilia » per cura di G. Di Marzo, (Palermo, MDCCCLXXII 1 ). 

* La leggenda di Santu Caccili , il tipo dell’accattone, si può leggere in 
S. A. Guastella, Le parità e le teorie moYali de' nostri villani (Ragusa, Piccitto 
e Antoci edit., 1884), pagg. 193-194 e 250-252. 

3 Altrove: Santa ‘R.ag tutti, o anche semplicemente: La Ragiuni. Cfr. Gua- 
stella, op. cit., pagg. 57, 219-220. 

4 AUrove: San Cornucòpiu t e San Crastòriu . Vedi: Appendice , num. V, 


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43 8 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

agli occhi. E la mammana dal canto suo , che sollecita porta il 
neonato al fonte battesimale, incorre nell’ernia, mentre il chieri- 
chetto assistente si soffoca nel voler rispondere : amen ! al prete 
che facea la sacra funzione. Non è detto per quale speciale virtù 
si salvi dal comune malanno il prete : certo, per la stola che in- 
dossa e per il nome di Dio che invoca. 

Seguono una serie di strepitosi miracoli, che fanno allibire: 
Un villico si raccomanda al Santo per un patereccio al dito, ed 
ei lo guarisce facendogli perdere Y intero braccio. I marinai d’ un 
galeone, cli’è in pericolo di sommergere in una tempesta, lo chia- 
mano divotamente in soccorso, ed egli salva il legno, ma annega 
tutto l’ equipaggio. A una donna, che non può partorire, è messa 
sul ventre la « santa pellegrina » del gran taumaturgo ; ed ecco 
che la creatura vien fuori di botto, ma insieme al materno utero. 
Ad un muratore, che invoca il Santo perchè ferito al capo da una 
pietra staccatasi dall* alto mentre sta cavando un fondamento, e- 
gli dà grazia sùbita, seppellendolo sotto la terra che in blocco fa 
crollare. E via di questo passo, con un crescendo maraviglioso, 
dispensando grazie e favori sbalorditoj, con danni e malanni img- 
giori, quanto più ricchi sono i voti che egli riceve o più cabla 
è la preghiera e più intensa la devozione. Dapertutto , il Santo 
lascia orma indelebile de’ suoi favori ; e tra gli altri, particolar- 
mente si segnano i miracoli operati a un sellajo della Correria 
di Palermo, a un vetturale di Buccheri, ad un tavernajo di Pie- 
digrotta, ad un soldato e ad una berrettaja del Papireto, pur di 
Palermo, a un borgese di Ventimiglia. Ma non basta. Il poeta , 
che tutti questi portenti ci narra in ventisette ottave siciliane ’ ntnic - 
cati (legate, cioè, dalla rima) , piene di humour , di arguzie e di 
frizzi; innanzi di conchiudere con la protesta eh’ egli scappa a fu- 
ria perchè non desidera grazie dal Santo, ha cura di birci sapere, 
in tre spiritose ottave, che è ad Àvola il santuario del gran tau- 
maturgo che ha cantato, che ad Àvola corrono ad adorarlo i cre- 
denti in lui, all’ altare di Àvola recano i voti, i cerei, gl’ incensi, 
e lì stesso, prosternati , spesso soccombono. 

Dal principio alla fine, la poetica storia di Santo Sano ha 




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LA STORIA DI LI MIRÀCULI DI SANTU SANU 


439 


una intonazione satirica nettissima; e si scorge alla prima ch’essa, 
nella forma, non è che una squisita parodia delle sacre storielle, 
che comunemente si chiamano Orazioni: e per <r santa Orazioni » 
la vuol gabellare In fatti il poeta, rivolgendosi ai soliti «divuteddi». 
Su tutto questo non cade dubbio. I dubbj cominciano quando vo- 
gliamo renderci ragione de’ nuovi miracoli che il Santo fa, della 
estesa falange di fedeli che trova, della città eh’ è la sede del suo 
santuario, del nome stesso che egli porta. Si dee convenir meco, 
che, scherzo o satira o parodia quanto si voglia , la storia non 
accoglie a casaccio nomi e circostanze; senza di che, non sarebbe 
durata per tanto tempo si famosa, nè durerebbe. 

Industriamoci dunque a chiarire ogni cosa, e cominciamo an- 
zitutto dal nome. 

Santu Sana è un Santo immaginario, come Sanlu Mutinantt, 
come Sanlu Acculufaht , come tutti gli altri insomma della mira- 
bile schiera che abbiamo passata a rassegna, e come tutti essi si 
presta a far ridere le brigate. Ma ho già notato, che ognuno di 
essi non è sorto a caso, ma incarna un concetto , ma resta un 
simbolo, e, pur in veste scollacciata e con linguaggio impudico, 
intende a modo suo dar una lezione di morale. Fatto non nuovo 
nè strano, del resto, presso il volgo di Sicilia 1 . 

Perchè Santo Sano ? Qualcuno del popolo , interrogato in 
proposito, ha risposto : Sano , per ironia , perchè tutto rompe, 
tutto danneggia. Altri mi ha detto : Perchè sana tutto , lo sana 
completamente e per sempre, esterminandolo. Altri finalmente, e 
sono i più, e tengo che abbiano ragione (come chiaro si vedrà 
da quanto segue), hanno risposto: Sano , come sarebbe a dire in- 
tegro, puro, sen^a macchia: ma si intende sempre ironicamente 9 . 
E addirittura, Santo Sano non vuole e non fa che il bene, tutto il 
bene, sempre il bene ! ed è integro, è puro, è senza macchia ! 

Ma lasciamo lo scherzo. Se lo spirito dei male , Diavolo, 
Ahriman, Loke, come volete chiamarlo; se il gran nemico di Dio, 

1 Cfr. in proposito tutto il citato importantissimo volumetto di S. A. Gua- 
stella : Le parità morali, ecc. 

3 Vedi nell’ / Ippemìicr , al num. I, c. 


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ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 


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dell’ uomo e di ogni bene volessimo indicare con nuovo nome, 
noi non potremmo più appropriatamente battezzarlo che con quel- 
lo di Santo Sano, vista V indole di questo e il mestiere eh’ ei fa. 

Dunque, Santo Sano è il Diavolo? O coni* è che ci compa- 
risce sotto questa nuova veste, che nessuno (fuor che il fecondo 
e arguto popolo) avrebbe mai potuta immaginare, che nessuno 
ha mai sospettata, tra quanti del Diavolo si sono occupati ? 

Si, proprio cosi. Il Diavolo, in Sicilia, era già noto sotto i 
travestimenti di varie bestie, di vento, di turbine, di tromba ma- 
rina, di essere favoloso o allegorico \ di umana forma, donna, 
uomo, e perfino frate cappuccino 2 e santocchio 3 ; ma in veste 
di Santo, no, davvero. Ma tant’c : Santo Sano non è altri che il 
Diavolo. E riaffacciandoci alla leggenda poetica e rifrugandola da 
questo punto di vista, troviamo di fatti che non vi mancano gli 
elementi che ci portano alla conclusione , essere proprio il Dia- 
volo quello che ci appare coperto de’ sacri paramenti. Che ci 
dice, in sostanza, essa leggenda? Questo solo: « Chi si racco- 
manda a Santo Sano, chi divotamente lo prega, non ottiene che 
danni e mali, e tanto più terribili, quanto più gli è fervoroso e fe- 
dele seguace ». Nè altrimenti può accadere, se stiamo ai sacri prin- 
cipi della fede di Cristo e della sana morale. Nella poetica storia 
è detto che, nascendo Santo Sano, la sua madre mori, e il padre 
perdette la sanità degli occhi: e bene, fa comento a questa cir- 
costanza quello che conta una leggenda in prosa; la quale ci fa 
sapere che il Diavolo, nato da sacrilego incesto di due esseri che 
teneano della natura angelica , appena divezzato , apportò morte 
alla genitrice che fu la instigatrice all* orrendo peccato , c acce- 
camento al genitore che a peccare accondiscese \ Santo Sano, 


1 Cfr. Pitré, Il Diavolo; a pag. 63 c segg. del voi. XVII della « Biblio- 
teca delle tradizioni popolari siciliane ». (Palermo, 1889). 

2 Vedi: Historia degl’ inganni del Diavolo tentatore ecc., a pp. 43-64 del 
mio volume: Storie popolari in poesia siciliana riprodotte sulle stampe de* secoli 
XVI , XVII e XVIII, (Bologna, Tipi Fava e Garagnani, 1877). 

3 Vedi nell’ appendice, al num. VI. 

4 Vedi nell 1 Appendice, al num. VII. 



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LA STORIA DI LI MIRÀCULI DI SANTO SANO 44I 

portato al fonte battesimale, danneggia gravemente la mammana 
e fa morire il chierico che ribadisce col suo amen! le parole ri- 
tuali del sacerdote, ma non nuoce a quest’ ultimo, perchè ha la 
croce su la stola e il nome di Dio su le labbra. Se guardiamo 
poi ai disastri che il Santo dispensa costantemente a* suoi devoti, 
ci risulta evidente (come già notai) che maggiori ne toccano a 
quei che più cordialmente lo invocano. Ma chi son essi ? Infermi, 
bisognosi, sfortunati tutti, e appartengono massimamente alle classi 
de* villani, marinai, muratori, calzolai, sellai, vetturali, tavernieri, 
servitori, soldati, ladri, assassini , meretrici,... a quelle classi in- 
somma, che sono più sofferenti o più corrotte, che più facilmente 
e più comunemente si dànno 1 ’ anima al Diavolo e alimentano, 
per conseguenza, le compatte falangi de’ suoi fedeli. Ma chi ha 
fede nel Diavolo, chi lo invoca riconoscendone la potestà , dice 
bestemmia : e bestemmiatori della peggiore specie sono appunto 
quei che registra la poetica istoria, poiché non si contentano di 
invocare il Diavolo, ma costantemente lo invocano con V appel- 
lativo di Santo. 

Ed eccoci venuti, quasi naturalmente, alla soluzione de* nodi 
che ci si paravano innanzi in sul principio. È tutta siciliana , e- 
sclusivamente siciliana ed antica, la grossa bestemmia che invoca 
il Diavolo santificandolo. Il Cardinale Arcivescovo Giannettino 
Doria, appena giunto in Palermo, la fulminò, nel 1609, con un 
severo editto, non mai in sèguito abolito *; e tuttavolta, essa è 
sempre, come come già fu , sì universalmente diffusa per tutta 
T Isola, che fino le anime più timorate, in momenti di escande- 
scenza, non rifuggono dal ricorrervi , nella forma (è vero) im- 
bellettata e semi-mascherata, ma sempre riconoscibile di : Santa 
di cavala! Santu di pània! Santa di pàntani! Santu di pàmpini! 

Assodato questo punto, la via per passare avanti nell’ intri- 
cato campo ci riesce agevole e piana, e la forniremo in un mo- 
mento. 


* Vedi il Diario di Palermo di Filippo Paruta e Nicolò Palmerino, nel 
voi. I, pag. 161, della « Biblioteca storica e letteraria di Sicilia » cit. 

^ Archivio per le tradizioni popolari . — Voi. X. 56 


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ARCHIVIO PBR LE TRADIZIONI POPOLARI 


Perchè in Àvola, e non in altra città di Sicilia, è 1’ altare del 
Santo, quando è Sicilia tutta che lo ha santificato e santifica? 
Perchè in Àvola, se questa città, che a me consti, non porta il 
primato per la famosa bestemmia e gode anzi la proverbiale fama 
di due volte buona *? — La ragione è semplice, ve la ripeto con 
le parole che mi rispondeva una donnetta da me interrogata in 
proposito : « Vuol sapere chi sia questo Santo Sano ? È un Santo... 
miracoloso davvero!... In somma.... è il Santo di ... Àvola ... (ca- 
pisce?)... e chi l’adora o gli si raccomanda, non può averne che 
triboli e malanni. Quando a un pover’omo tutte le cose vanno 
a rotta di collo, e per un danno ch’ei vuol cansare gliene capi- 
tano cento, allora gli si suol dire: Che ti sei forse raccomandato 
a Santo Sano, che è il Santo di... Àvola? E lo dicono ironica- 
mente Sano, perchè è integro, netto , senza macchia ; un Domi- 
nedio a rovescio, quale in fatti il Diavolo è 8 ! » 

Non è chiaro adesso ? Àvola c’enrra... perchè si chiama Àvola , 
e dovendo, nell’ invocazione al Santo, venir necessariamente pre- 
ceduta dal segnacaso di, si presta naturalmente all’equivoco delle 
parole. Con u6 ingegnoso artificio dunque , con un caltmbourg 
ben trovato, senza nominar mai reterno avversario e molto meno 
ripetendo la orrenda bestemmia siciliana * il poeta popolare ha 
esplicato affatto il suo intento, che è quello di ammonire i con- 
nazionali credenti in Dio , quanto grossa e ruinosa sia essa be- 
stemmia che santifica il Diavolo. Ecco, dunque, la origine della 
leggenda; ecco il perchè della sua diffusione e stabilità; ecco netto 
lo scopo morale che, allettando con gli scherzi c le risa, essa si 
prefigge, in un paese ove i fedeli di Santo Sano si incontrano 
a centinaja, cosi come in essa appunto li veggiamo descritti. 


1 Gli Avolesi, per tradizione, son tenuti sciocchi; ed è proverbiale il SCitf 
chiuni d' Avuta, Cfr. Guastella, Vestru , scene del popolo siciliano , pp. 48-55 (Ra- 
gusa, Piccitto e Antoci editori, 1882); — e Pitrè, Proverbi siciliani, voi. Ili, 
pag. 133, (Palermo, L. Pedone Lauriel cdit., 1880: voi. X della cit. «Biblio- 
teca delle tradiz. popol. sicil.) », 

? Vedi nell’ appendice, al num. I, c. 


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LA STORIA DI LI MIRACULI DI SANTU SANU 443 

E che essa appartenga originariamente alla Sicilia , non mi 
pare che debba più esser dubbio, dopo quanto è detto. Siciliana 
è la bestemmia, che le dà occasione e argomento ; siciliano af- 
fatto il teatro delle micidiali grazie del Santo; siciliani gli usi e 
le costumanze, che descrive o ricorda; in ottave siciliane è com- 
posta, delle più belle e singolari. E anche siciliana la dimostra il 
fatto, che di essa corrono in Sicilia tre testi poetici diversi , i 
quali hanno in comune i più dei miracoli , ma poi qualcuno in 
proprio; il che dimostra altresì la estesa popolarità e l’antichità 
di essa. 

E siciliano pur esso è il poeta che ha verseggiata questa po- 
polare leggenda, ch’egli ha probabilmente trovata esistente e non 
cavata già di suo capo. Siciliano lo dimostrano la perizia eh’ egli 
ha nel maneggiare la difficile ottava siciliana intruccata , la padro- 
nanza assoluta del dialetto, la perfetta conoscenza delle abitudini 
e dei costumi e dell’ indole dei Siciliani, e finalmente il suo stesso 
nome. Questo nome egli , come tutti i poeti popolari autori di 
storie , ce lo fa conoscere nell’ ultima ottava : è Battista Basile; 
ma disgraziatamente non ci fa saper dove e quando nato, nè la 
sua condizione, nè il tempo del suo poetare. È un nome, è vero, 
comune anche ad altre parti d' Italia e specialmente a Napoli, ove 
nel secolo XVIII visse il meritamente famoso Giambattista Ba- 
sile, autore del Cunto de li Canti . Ma, con questo, nulla ha di co- 
mune il nostro. Il quale, probabilmente, fiorì nel fecondo cinque- 
cento in Palermo, ove gareggiò forse, egli ignoto popolano e senza 
lettere, co’ dotti e rinomati Veneziano, Ficalora, Graccaro, Bonin- 
contro, Bonasera, Paruta ecc. ecc., che allora coltivarono con gran 
successo la musa siciliana. Tutto ciò è supposizione, ragionevole 
del resto; questo è certo, però: che all’ iniziarsi del seicento, egli 
doveva essere universalmente conosciuto come poeta dialettale 
scherzevole e satirico, e probabilmente era anche morto, se Luigi 
d’Erèdia, al 1604, ne prendeva a prestito il nome per dar fuori 
la Surci-Giurania , libera traduzione o imitazione, in apparenza, 
della Batracomiomachia , ma in sostanza gustosa satira di unalo- 
gomachia letteratesca che qualche anno innanzi fu combattuta 


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444 ARCHIVIO PER LE TRADIZIONI POPOLARI 

fra' più celebri uomini di lettere di quei tempo a Palermo *. E 
sempre estesamente famoso dovette mantenersi il nome di questo 
valoroso poeta popolare Battista Basile per tutto il secolo XVII, 
se anche i noti letterati palermitani, Giuseppe De Montagna e 
Giovan Battista Del Giudice, se lo tolsero in prestito anche loro, 
come già Y Erèdia,* per mandar fuori, il primo, La Cuccagna con- 
quistata (1640, 1674) e La Musca Furmica (1663), due poemetti 
giocosi, e il secondo La ìuntanan^a di Battillu (1684) e Li que- 
reli amurusi di ‘Battillu (1685), due ecloghe. 

La tradizione orale dei popolo, dal canto suo , conserva la 
Storia di li miràculi di Santu Santi e con essa il nome del Ba- 
sile. Se lo trascurarono i letterati, gli è che, fino ai giorni nostri, 
a nessun letterato parca decoroso di abbassarsi a tener conto del 
volgo profano ne’ proprj libri, neppur quando (e potrei provarlo 
con molti esempj) si giovò largamente de’ tesori di poesia e di 
sapienza che questo spregiato volgo possiede ed a tutti generoso 
dispensa. Lo stesso abate Meli, che alla pura sorgente del popolo 
attinse non raro e in essa ritemprò e abbellì il suo splendido 
ingegno, non si seppe del tutto liberare dall’ uso cortigiano della 
toga, e però alla musa popolana stese la mano per tirarla a sè 
nel proprio palazzo e goderne i favori quasi furtivamente, an- 
ziché scendere apertamente nel tugurio di lei ed uscire con lei 
al braccio per le strade e le piazze affollate di popolo. Il Meli co- 
nobbe la « santa Orazioni » del Basile e la intese benissimo; ed 
è per ciò che il paragone fra Santo Sano e il Giacobino, « suo 
fratello o cugino almeno » , riesce così azzeccato ed opportuno, 
quale ci si rivela ora che ci è noto Santo Sano chi sia *. 

E noto perfettamente dovett* essere ancora a quel Napole- 
tano che la storia siciliana del Basile tradusse nel proprio dia- 
letto. Me ne dà chiara dimostrazione il fatto che lì, nella ver- 

1 Questo dimostro nel mio lavoro, ch’è sotto i torchi: La Surci-Giurania 
di Luigi Erèdia ristampata e illustrata. (In Palermo, co 1 2 Tipi de « Lo Sta- 
tuto», 1891). 

2 Osservo, che i due miracoli ricordati dal Meli, palermitano, sono ap- 
punto due di quelli che la storia del Basile narra come accaduti in Palermo. 


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LA STORIA DI LI MIRÀCULI DI SANTU SANU 445 

sione napoletana. Santo Sano diventa « cittadino di Àscole » , e 
Àscole sostituisce Àvola nelle ottave ove occorre si menzioni. La 
picena Àscoli, come la siciliana Àvola, è innocentissima e invo- 
lontaria sede di un Santo che non conosce manco per fama \ e 
questa bella sorte è toccata anche a lei per il nome che porta. 
Santo Sano, pertanto, passato a Napoli , da Santo di .... Avola è 

divenuto Santo di Àscole , conservando esattamente 1* equivoco 

siciliano delle parole ed il calembour g ! di fatto , nel Continente, 
uno de’ modi di nominar con un po’ di garbo il Diavolo è 
quello di dire: Diascolo. È evidente, lo spirito non mancò all’ i- 
gnoto traduttore della poetica storia del Basile. 

Ciò che a lui mancò fu l’abilità di traduttore, sì che, come 
tutt' i suoi simili, riuscì traditore del testo che aveva innanzi. 
Questo dico, guardando alla stampa della Piacevolissima racco t 
mandatone a Sacco Sano , cittadino d'Àscole 1 2 3 , che ho sott* occhio, 
e eh' è la sola che si conosca e va per le mani di tutti, ma che 
dovett’essere certamente riprodotta su altra più antica 8 : una ver- 
sione scorrettissima e smozzicata, la quale, anche sanata nelle mag- 
giori e sanabili piaghe, non riesce ad appagarci 4 . Santo Sano 
mutasi in Sacco Sano , come si vede : o ad arte , per allontanar 
T idea della bestemmia, che si vedrebbe quasi chiara fin dal 2° 
verso, o per alterazione orale o tipografica ; ma del rimanente. 


1 Le mie indagini in proposito mi han dato per risultato che nè il Santo 
nè la sua leggenda son noti ad Ascoli. 

* Napoli, presso Avallone, 1840: in 1 6*, pagg. 8. 

3 Nè in Bibliotech